What I need now is an honest answer,
to make things better
You can see now my hands are tied, and I surrender
So I'll wait here for your final answer, your final answer
The Calling- Final Answer
Com’è stringere le tue mani? Me lo chiedo spesso
quando fisso le mie e le trovo troppo vuote di te.
Com’è baciare le tue labbra? Me lo chiedo ogni volta
che sfioro la mia bocca e la trovo arida dei tuoi baci.
Com’è scompigliare i tuoi capelli? Me lo chiedo quando
spazzolo i miei troppo lisci e diritti, troppo in ordine in assenza di te.
Com’è accarezzare il tuo viso? Me lo chiedo vedendo le
lacrime scivolare sul mio quando è troppo intenso il desiderio d’averti
accanto.
Com’è il tuo profumo? Perché a me pare di conoscerlo?
Come dormi?
Dove voli quando sogni?
Come ti piace mangiare? Io adoro farlo camminando per
strada. E lo so che è buffo ma io non sono troppo seria in queste cose.
Come studi i tuoi copioni? Ti immagino svaccato sul
divano, a gambe incrociate su di un tappeto, con le gambe alte sulla ringhiera
di una terrazza sigaretta tra le dita e chitarra di fianco pronto per un break.
Qual’era il tuo gioco preferito da bambino? Il mio era
la caccia al Tesoro degli Gnomi. Papà preparava per me e altri bambini un
percorso incantato tra i boschi e le radure. Trovavamo il prezioso tesoro, un
sacco di caramelle in un piccolo cofanetto colorato, appena sotto terra tra le
radici delle querce o nei pressi di piccole sorgenti o ancora all’ombra di
enormi rocce.
E’ davvero il grigio il tuo colore preferito? Io non
ce l’ho un colore preferito. Mi piacciono tutti i colori. Mi piace fare l’arcobaleno
con i prismi come faceva Pollyanna. Ne parlavamo l’altro ieri con un’amica.
Sai, tutte e due associamo la parola prisma a Pollyanna. Ci siamo proprio
trovate io e lei. Tu li fai questi discorsi con i tuoi amici?
Ti manca Londra? A Londra tu manchi. Tu mi manchi a
Londra. Insomma manchi a tutte e due. A Londra e a me. A me di più però, fa
niente se non ti ho ancora incontrato.
Com’è litigare con te? Ci penso quando vorrei odiarti.
Quando sto troppo male perché non riesco a raggiungerti e l’unica persona con
cui posso prendermela sono solo io. Varrebbe la pena litigare fino ad urlare,
fino a restare senza fiato, fino a piangere disperata, fino a maledire il
giorno in cui t’ho incontrato. Varrebbe la pena se il prezzo da pagare fosse l’averti
a fianco ogni giorno della mia vita. Varrebbe la pena per poi fare pace. Perché
io lo so che la faremmo la pace.
Com’è venire a cena con te? Vedi, ho letto questa
cosa. Ho letto di una tua cena con Kristen e ho pensato a come sarebbe, di cosa
potremmo mai parlare, a cosa mangeremmo, di cosa faremmo dopo… Cose così
insomma. E ho anche pensato che la invidio profondamente, Kristen intendo. La
invidio perché lei queste cose non è che le deve immaginare, lei queste cose le
puo’ fare.
Stai davvero con lei? Questa è una domanda che mi
dilania se ci penso. Quindi di solito tento di non farlo. Quindi di solito la
relego nell’angolo più lontano della mente… Ma è come una minuscola scheggia
che anche se non vedi da fastidio. Sono patetica, forse. Ridicola? Sicuramente.
D’altra parte non sono un po’ tutti ridicoli gli innamorati?
Mi ameresti se ci conoscessimo? Questa è un’altra
domanda che mi dilania, però in un modo dolce. In un modo che prevede un lieto
fine. In un modo che mi fa sorridere perché i sogni sono solo miei e le fiabe
che mi racconto hanno come ultime sette parole “E vissero per sempre felici e
contenti”.
Qual’era la tua fiaba preferita da bambino? La mia era
la storia della casetta raffreddata. Non credo la conoscano in molti. L’inizio
recita così “C’era una volta una casetta tutta blu col tetto d’ardesia…” Mi
piacerebbe raccontarti il resto. E anche la storia dello specchio burlone e
anche quella delle bambole. Non sono buona come Cenerentola che tace e
sopporta. Non sono servizievole come Biancaneve che pulisce e canta. Forse sono
più Cappuccetto Rosso… Di Lupi ne ho incontrati troppi per i miei gusti e il
cacciatore non s’è mai visto… Fortuna che me la sono sempre cavata. Ah già… la
Sirenetta. Era la Sirenetta la tua fiaba preferita… Beh, io farò finta di
dimenticarmelo e tu me lo racconterai. Perché sono sicura che sentita dalla tua
voce avrà il gusto della novità e si rivestirà della giusta tenerezza che deve
ammantare questi ricordi.
Qual è il tuo primo ricordo? Io ricordo mia mamma
mentre allatta mio fratello e mi ricordo che ero arrabbiata perché non poteva
prendermi in braccio con quel coso tra le braccia. Che vita difficile le
sorelle maggiori! Tu ne hai due. Le tratti bene vero? Perché sai, poco
importano i dispetti o gli scherzi… Tra fratello e sorella si rimedia sempre
tutto. Sempre.
Perché t’hanno buttato fuori da scuola? Non è che
davvero mi importi poi… Insomma… Mi fa quasi sorridere perché non ti ci vedo a
fare grandi cazzate per te stesso… Più che altro ti vedo finire nei casini per
aver aiutato qualcun altro.
Ho forse una visione troppo “buonista” di te? E di
grazia, un’innamorata come lo dovrebbe mai vedere il suo innamorato?
Come faccio ad amarti? Dimmelo tu, perché io non lo
so. Io so solo che ti amo. Pensarlo mi sconvolge, scriverlo mi distrugge…
Dirtelo… Dirtelo mi annienterebbe o mi concederebbe la grazia? Non so nemmeno
questo. Ci sono così tante cose che non so. Ma il mio cuore pare abbia deciso
da solo. Ha deciso che ti conosce. Ha deciso che ti riconosce. Ha deciso che t’appartiene.
Il vero problema è che ora sta convincendo anche la mia testa. Dove mi porterà
tutto questo? Fossi Wendy e tu Peter passeresti a prendermi e ce ne voleremmo a
Neverland. Fossi Alice e tu Il Cappellaio Matto andremmo allegramente a berci
un tea a Wonderland, a bordo di cappello ovviamente che è il modo più veloce
per spostarsi. Se fossi solo io e tu fossi solo Robert ti porterei a vedere i
posti in cui sono cresciuta e quelli che più ho amato e tu mi faresti
riscoprire Londra attraverso i tuoi occhi, i tuoi ricordi e me ne innamorerei
di nuovo. E mi innamorerei di nuovo di te, se non che già lo sono. M’innamorerei
lì in quella piccola stradina di Soho che porta al tuo vecchio appartamento, lì
su quella panchina che sta di fronte al pond del Barnes Green e che è dedicata
a Shirley da tutti coloro che l’hanno amata. La vorrei anche io una panchina
così un giorno. Quel giorno in cui sarò tra il vento e spirerò sui volti di chi
su quella panchina si siederà e racconterò loro la mia storia d’amore e loro
forse non capiranno le mie parole fatte di sussurri ma sentiranno un’emozione
nel cuore che tenteranno di afferrare. E non sapranno d’avermi trovata.
Ascolta anche tu i sussurri del vento Amore mio e odi
il mio cuore che t’invoca.
Guarda l’ombra che ti segue, io sono anche lì.
Tocca quella fronda e nel verde delle foglie scorgi il
mio sguardo che ti segue.
Sdraiati al sole e senti il mio tocco nel tepore della
sua carezza.
Dissetati alla fontana e nel ristoro dell’acqua fresca
t’offrirò sollievo dalle arsure della vita.
Odora quei piccoli fiori di gelsomino e saprai
riconoscermi se ti passassi accanto…
Maela chiuse le
pagine del diario non prima di avere messo il suo segnalibro preferito. Una
farfalla in ferro fatta a mano da una carissima Amica. L’orologio battè le
7.00. Il film sarebbe iniziato alle 8.30.
Mise un vestito,
delle scarpe coi tacchi e si trucco’. Attenzioni che normalmente non si
rivolgeva. Normalmente avrebbe indossato un paio di jeans e una t-shirt, le all
stars e a malapena del burrocacao sulle labbra.
Ma quella sera
avrebbe visto Robert, finalmente. Erano passati ben quattro mesi dall’ultima
volta. E quattro mesi erano tanti per chi come lei viveva di quei 124 minuti.
Scese dalle scale di
corsa e dopo un saluto veloce ai genitori sparì fuori dalla porta lasciandosi
dietro una scia di profumo dal sentore di gelsomino.
“Ma dove va così di
corsa?”
“Da Robert”
“E chi è questo? Uno
nuovo? E perché non la viene a prendere a casa?”
“Oh… Lascia perdere.
Non sono affari tuoi e comunque, è andata al cinema!”. La signora Manuela guardava
la porta che la figlia per la fretta aveva lasciato aperta. Il marito
continuava i suoi rimbrotti contro i tempi moderni in cui erano le ragazze a
rincorrere i ragazzi. Ai suoi tempi era il contrario…
“Oh, ma non devi
preoccuparti… Sembra venire da un altro secolo…” e con questo la signora
Manuela tornò ai suoi affari lasciando il marito a meditare perplesso.
Yaketi Yak…
Delirio
notturno… Chiedo Venia… Ma da dove mi vengono ‘ste cose Mia Dolce? Che qua a
farsi male ci si mette ½ secondo…