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Autore: samskeyti    13/07/2010    16 recensioni
Soteriologico, verosimile e disperatissimo sogno nato dall'analisi del rapporto che lega Matthew e Dominic verso un solo destino: amarsi,
e farlo nel modo meno sereno e più silenzioso possibile, abnegando una vita normale in nome di un unico, risucchiante ed ineluttabile bisogno speciale.
Tra vergogna, sbagli e paura, l'infinita lotta di due uomini invincibili.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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•SPECIAL NEEDS•

≈Prologo≈ 

.1993-Teignmouth.

Fra le alture verdeggianti e le colline cosparse di case, fra le rientranze paludose e le spiagge selvatiche, fra i sentieri intrecciati e le strade cementate, c'era un lago naturale conosciuto solo dai 15.000 abitanti del paese.

Si chiamava -Lago Viola- ed aveva sempre esercitato un certo fascino sui rari visitatori che in esso s'imbattevano.

Le sue acque assumevano un colorito livido e malaticcio indipendentemente dal cielo; era lo spesso strato di alghe fluttuanti sul suo fondale a donargli quelle tonalità insolite.

Riposava all'ombra di una parete rocciosa e pareva che per qualsiasi posizione assumesse il sole, mai un raggio di luce riuscisse a sfiorarlo.

Nessuno ci faceva il bagno o ci pescava, anzi, era preferibile evitare ogni contatto con le sue acque sempre gelide, melmose, infide.

Il passare degli anni aveva fatto sì che leggende e miti di creature mostruose o miracolose magie alimentassero l'immaginario collettivo fino a porre veri e propri divieti circa l'avvicinamento a quel luogo lugubre.


 

 

 

 

Primo Capitolo: I'm so happy, 'cause today I've found my friend and he's in my head.

 

Matthew James Bellamy, 15 anni di ragazzo poco più alto del metro e sessantotto per 52 kg di pelle ed ossa, uscì di prima mattina per recarsi a scuola. I passi affrettati delle sue scarpe dalla suola consumata risuonarono confusi sul selciato, prima di venire sovrastati dalla voce della donna che si sporse da una finestra per salutarlo.

«Buona giornata!» gridò l'anziana signora, sporgendosi dal secondo piano di una villetta bifamiliare.

«Buona giornata a te, nonna!» rispose il ragazzino mentre correva via veloce.

Giunse in breve tempo al posto in cui passava dell'autobus messo a disposizione gratuitamente dal servizio scolastico del paese, poi si apprestò a ripararsi sotto il tettuccio di plastica della fermata dato che il cielo plumbeo sembrava promettere solo un imminente temporale. Ricontrollò per l'ennesima volta i libri all'interno della cartella; quel tiepido giorno di metà ottobre aveva un'importante verifica di geometria analitica e, avendo studiato diligentemente, voleva che nulla gli impedisse di prendersi la giusta e meritata lode. Ogni cosa al suo posto, poté mettersi il cuore in pace ed attendere paziente l'arrivo del bus. Cominciava a tirare un vento tagliente che profumava di bosco, ma gli feriva le labbra screpolate. Alzò il colletto della giacca impermeabile che gli fasciava il busto per ripararsi, dunque si riscaldò sfregandosi le mani sinuose contro i bicipiti sottili. Stava arrivando l'inverno, ad annunciarlo era proprio quel freddo ancora tenue; presto i campi colorati sarebbero diventati una distesa di bianco uniforme.

Guardò oltre il vetro di protezione. I suoi occhi percorsero abilmente il paesaggio familiare per soffermarsi sul Lago; era di una meravigliosa tintura violacea, sembrava un telo di velluto color prugna distrattamente dimenticato su un prato, e da lì si poteva godere di un'ottima visuale. Sorrise al pensiero che un simile splendore riuscisse ad esercitare tanta negativa paura sulle persone perché in lui risvegliava solo curiosità e ammirazione. Senza saperlo, i suoi occhi trasparenti avevano attinto parte della porpora delle acque immobili e così esaltavano maggiormente il pallore della sua pelle nivea. Incontrò il proprio riflesso sul vetro, ma vedendosi addosso un'espressione talmente concentrata su qualcosa di proibito e pericoloso, si spaventò, preferì distogliere lo sguardo.

Tamburellò agitato sul palo degli orari; aveva in mente una nuova melodia da scrivere per la sua chitarra, ma non trovava mai il necessario tempo per dedicarcisi. La natura decise di rispondere al suo ritmo con il proprio, perché una delicatissima pioggia cominciò a cadere proprio in quel momento dalle nuvole grige. Lui si ritrasse all'interno della fermata e fissò le prime gocce che coraggiosamente osavano schiantarsi sulla terra. Si domandò come mai tanta tenerezza venisse infranta in modo tanto impietoso. A scostarlo dai suoi pensieri fu un ulteriore rumore. Ticchettio di passi veloci sull'asfalto.

Era Dominic James Howard, un grazioso biondino di un anno più grande, compaesano e frequentante la stessa scuola superiore. I due ragazzi si erano trovati fin da subito simpatici, anche se non avevano legato particolarmente per via dei loro caratteri spesso schivi e solitari. L'orecchio attento di Dominic colse subito il ritmo che creavano le lunghe unghie di Matthew sul ferro del palo e non poté fare a meno di trovarlo musicale.

Si scambiarono un timido saluto, accompagnato da un sorriso di circostanza. Fermatosi a debita distanza, Dominic controllò l'orologio argentato che teneva al polso sinistro. Matthew desiderava conoscere l'ora perché cominciava a domandarsi se il bus sarebbe davvero passato, secondo i suoi calcoli mentali doveva già essere stato lì da cinque minuti abbondanti. Un'ondata di nervosismo gli si riversò nel sangue, per scaricarla assestò un leggero calcio al palo. D'altra parte, Dom appariva calmo e distaccato, quasi lo attendesse una giornata di svago.

Se proprio vogliamo esser sinceri, parte dell'ansia isterica del moro era causata da un appuntamento che avrebbe dovuto tenersi nel pomeriggio.

-Però quello me lo sono cercato io, sono io che andai a chiederle di uscire. Riguardo a lei, si sentiva un totale fallimento. Non sapeva dove portarla, di cosa parlarle, come trattarla; il punto è che non si aspettava neanche lontanamente di ricevere un «Sì» così immediato e schietto. Questo avvenimento lo aveva portato a riflettere; forse non era poi quel bruttino imbranato privo di fascino che si credeva tanto fermamente. Ma ora che l'aspettativa saliva, sarebbe stato all'altezza? Rabbrividì al pensiero. Scosse la testa e la sensazione di inadeguatezza aumentò vertiginosamente.

Si passò una mano fra i capelli incolti, un po' lunghi e selvaggi, ma di un nero notte incantevole. Desiderò una bella tinta drastica; presto l'avrebbe fatta e di un colore tutto suo, blu, arancione o viola, qualsiasi purché fosse shock e innaturale. Un impeto di rabbia gli stritolò la gola, l'attesa era snervante.

«Dove cazzo è questo pullman?» disse all'improvviso, senza accorgersi di aver parlato, inoltre così sboccato davanti ad un altro.

Dom si voltò di scatto appena udì la sua voce. Assunse un'espressione contrariata, infine rispose.

«Stai aspettando il pullman?»

«Bè, non sto qui mica a prender freddo» esclamò Matt irritato davanti a quell'ovvietà.

«E invece temo di sì, visto e considerato che oggi c'è lo sciopero» continuò imperturbato il biondo. Matt s'irrigidì.

«Tu che fai qui? Non potevi dirmelo prima?» balbettò tremante di rabbia. Gli saltavano tutti i programmi, dalla scuola all'appuntamento, dato che con la ragazza si sarebbe dovuto accordare all'intervallo.

«Io aspetto un amico in moto. Comunque scusa, è che non volevo farmi i fatti tuoi» il tono di Dom era tanto calmo da far nascere in Matt il dubbio che non fosse umano. Lo guardò storto, se non fosse stato illegale lo avrebbe strozzato volentieri.

«Ora che faccio...» sussurrò, controllando mentalmente tutte le alternative pur di giungere in centro, non più per il compito, quello lo avrebbe recuperato, ma almeno per la ragazza. Dom alzò le spalle, come poteva essergli d'aiuto?

«Non, non so! Vuoi forse un passaggio in moto?» chiese anche se prevedeva un probabile rifiuto. Confermando i suoi presentimenti, Matt fece segno di «No» e tirò l'ultimo debole calcio al palo ormai traballante. Senza aggiungere altro, girò sulle suole e raccolse lo zaino. S'incamminò lungo la strada in discesa e presto la sua esile sagoma s'assottigliò fino a confondersi con il paesaggio tutt'attorno.

Dom vide l'amico sulla moto in avvicinamento e in men che non si dica, salì a bordo. Dovevano andare a prendere le loro ragazze al college per saltare scuola collettivamente. Infilò il casco e smise di pensare a Matt.

 

Lo scricciolo dall'aria di vagabondo trascurato raggiunse in pochi minuti un sentiero che si distaccava dalla strada principale per inoltrarsi nella boscaglia rada posta come recinto al Lago. S'intrufolò fra gli alberi e i rami lo ripararono dalla pioggia ora divenuta aggressiva. Tirò su col naso arrossato; presto gli sarebbe venuto il raffreddore, ma dopo il fallimento di quella mattina, non gli importava più di niente. Si strinse nella giacca e proseguì attentamente. Gli balenò in mente un'idea tutta nuova. E se c'è una cosa che sempre lo caratterizzò fu la passione per le novità.

-Io ti voglio toccare. Che sarà mai? pensava, evitando il fitto sottobosco spinoso ai lati del sentiero appena visibile. Qualche goccia sfuggiva al tetto di fogliame e lo colpiva dritto in testa, imperlando i neri ciuffi d'argento. Pian piano il suo corpo perdeva calore, ma in quella natura ogni cosa era fredda, perciò riusciva a sentirsi a proprio agio nonostante le mani congelate o i piedi fradici.

C'era un pontile di legno che si slanciava sopra le acque; era lungo una trentina di metri. Costruito 10 anni prima, non venne mai utilizzato perché mai ci era salito qualcuno. Se non fosse stato per gli inevitabili scricchiolii che emetteva il legno ormai marcio dei piloni che affondavano nell'acqua e sorreggevano la struttura, pareva nuovo.

La pioggia che cadeva sul lago creava piccole increspature, ma la staticità di quel luogo finiva sempre per vincere e trionfava la sua quiete morta. Presto sarebbe cessato il temporale e lui avrebbe attraversato il pontile per andare a sedersi sulla punta del pontile, con le gambe a penzoloni in quei due metri di vuoto che separavano il legno dall'acqua. Forse lì avrebbe trovato la pace necessaria per scordarsi delle inutili preoccupazioni.

 

Dom tornò per mezzogiorno. Si era annoiato con quelle e gli dispiaceva anche aver saltato un giorno di scuola senza motivo. Sarebbe dovuto rincasare nel tardo pomeriggio per non destare sospetti, quindi aveva bisogno di un passatempo e di colmare quelle ore. Il cielo si andava rischiarando e magari sarebbe potuto spuntare il sole fra le nuvole ormai diradate. Tolse la giacca e se la caricò su una spalla, rimanendo in t-shirt. Camminò lungo la strada asfaltata, poi vide una figura umana sul pontile abbandonato. Da quella distanza gli sembrava un bambino o comunque qualcosa di piccolo abbastanza da non doversi assolutamente avventurare da solo in quel posto misterioso.

Decise di andare ad avvertirlo del pericolo e magari convincerlo ad andarsene. Scese attraverso una scalinata in cemento e arrivò ad una spiaggetta color cenere. Da lì poteva vedere meglio la persona sul pontile e dedusse che si trattava di un ragazzo. Continuò scavalcando un paio di pozzanghere e qualche arbusto, finché approdò sul primo asse di legno del pontile. Era piuttosto elettrizzante quell'impresa, per quanto fosse costantemente accompagnato da un senso di colpa, chissà quale dramma se lo avesse scoperto mamma Howard.

-Ma sì, non lo scoprirà mai. Percorrendo a passi lunghi le assi scricchiolanti, fu a due metri dalla fine e capì che quello era Matt. Un po' ci aveva sperato; d'altro canto, sarebbe stata un'occasione d'oro per farsi perdonare dopo il malinteso della mattina.

«Ehi» disse una volte dietro le sue spalle curve. Il moro era seduto con le gambe nel vuoto, mentre appoggiava le mani sulle ginocchia sporgenti. Quando sentì il saluto, si voltò di scatto e sobbalzò stupito.

«C-Ciao» balbettò, con il classico tono di chi è piacevolmente sorpreso a farsi gli affari suoi.

Il viola che li avvolgeva era quasi fastidioso per la vista non abituata. Il biondo si accovacciò e si mise seduto a gambe incrociate, giusto a qualche cm dall'altro. Lasciò passare qualche minuto di perfetto silenzio, dopo sospirò rumorosamente.

«Scusa per prima» disse, notando che fra i piedi di Matt e l'acqua c'era un metro abbondante, ma non gli pareva abbastanza sicuro. «Senti, vuoi stare proprio qui?» cercò il suo sguardo per convincerlo.

«Sì, non è mozzafiato?» Matt aveva una faccia trasognata. Dom gettò uno sguardo sulla superficie livida e rabbrividì di conseguenza.

«Direi da brividi

Gli occhi cerulei del biondo incontrarono quelli ghiaccio dell'altro; si sondarono per qualche minuto lentissimo, infine entrambi tornarono ad esplorare il paesaggio. Il silenzio che aleggiava sopra il lago era assordante, troppa morte si avvertiva in quell'aria soffocante.

«Dom, tu suoni qualche strumento?» esordì il moro all'improvviso. Dom, leggermente spiazzato, annuì vigorosamente.

«Sì, la batteria da cinque anni. Tu?» Il sorriso entusiasmato che invase il volto di Matt brillò nella monotonia del luogo.

«Pianoforte da cinque anni e chitarra da uno. Però so anche cantare.» Nel suo cervello prendeva forma una nuova idea, trapelava da quel sorriso raggiante che un po' imbarazzava l'altro.

«Ti andrebbe di metter su una band?» sussurrò, facendosi più vicino. Dom percepì il profumo del suo alito fresco e sentì impossibile resistere. Era una gran proposta, ma comportava impegno e costanza. Li avrebbero avuti?

«Perché no! Ma il bassista?» rifletteva sul fatto che lui non ne conosceva nessuno.

«Lo troveremo, secondo me a scuola c'è qualcuno che fa al caso nostro!» esclamò entusiasmato Matt la cui espressione ora sembrava quella di un bimbo contento. Dom sorrise e annuì.

«D'accordo, d'accordo. E la sala prove?»

«Ho una taverna che potrebbe rivelarsi adatta» disse Matt, grattandosi il mento sbarbato pensieroso.

«Andiamoci!»

Matt sorrise divertito; era palese che Dom aveva colto l'occasione al balzo per andarsene da quel postaccio. -Allora anche la tua perfetta apatia cede di fronte a qualcosa, interessante!

«Di già? Non vuoi fare un tuffo?» propose cattivo.

«Matthew, ti conosco da poco, ma sappi che ho già tratto grandi conclusioni sul tuo conto!» rispose Dom, un misto fra l'inorridito e l'attratto.

«Non m'importa. Tu sei un pauroso e credulone, ecco tutto» il suo tono si fece malizioso. Forse stava accelerando i tempi tutta quella confidenza. Ma così non fu, dopo la risposta di Dom.

 «No, si dice "schizzinoso". In ogni caso, tengo più al progetto di una band che ad un tuffo nella melma!»

 «Giusto, sarà per un'altra volta. Seguimi.»

 

La strada del ritorno apparve più breve. I due ragazzi la percorsero parlottando del gruppo, dei potenziali bassisti e dei possibili intralci. Matt era riuscito a scordarsi della scuola e della ragazza, Dom della noia e di quel senso di sufficienza da cui pareva sempre assediato. Si accorsero di avere sprecato un anno di vicinanza per una futile timidezza, caduta così velocemente non appena le apparenze sono sfumate.

 «Nonna, sono a casa!» gridò Matt sull'uscio.

 «Nonna è uscita» rispose Paul, il fratello, dal divano. Matthew e Dominic entrarono, perciò Paul guardò lo sconosciuto sospettoso.

«Sei?» domandò, appoggiando il libro che stava leggendo.

 «Dominic Howard, piacere» rispose l'altro, porgendo una mano. Paul accettò la stretta, disse il suo nome e riprese a leggere silenzioso.

 «Vieni, ti mostro la taverna» aggiunse Matt, aprendo una porta di legno alla fine di un corridoio stretto. Dom gradì l'atmosfera della casa; ordinata e pulita, pareva ben arredata, anche se un occhio attento come il suo colse subito la sobrietà forzata dell'ambiente candido.

-Chissà perché poi vive coi nonni! Era ancora all'oscuro del divorzio di Marilyn e George Bellamy. Preferì aspettare, temeva di risultare indiscreto. Qualcosa di Matt, di quel piccoletto magro e impavido, lo incuriosiva terribilmente.

Matt accese le luci e ai loro occhi si dischiuse una stanza piuttosto spaziosa, insonorizzata e senza finestre. Qualche scatolone addossato alle pareti, una sedia, un armadietto smontato.

«Matt! È perfetta!» disse Dom, già calcolando dove mettere la sua batteria.

«Trovi? Guarda, lì la tua batteria -e indicò il posto che aveva in mente Dom-, qui il mio microfono -e fece segno al centro-, là gli amplificatori -verso la parete di fronte. Poi la chitarra la reggo» spiegò e gesticolò.

«Il piano?»

«Quello è fisso di sopra, ci dobbiamo accontentare»

«Va benissimo. Sicuro che non disturberà?»

«Fidati. Ti va di mangiarci qualcosa?» chiese, spegnendo la luce.

 «Molto!» rispose Dom, dando un'ultima occhiata. Il resto della giornatà passò veloce: in un batter d'occhio, si fecero le sei e Dom dovette andare a casa. Si diedero appuntamento all'indomani, tanto avrebbero preso lo stesso autobus.

Quando la nonna venne a conoscenza da Paul che Matt aveva invitato qualcuno in sua assenza, s'incuriosì. Lo raggiunse in camera e, trovandolo alle prese con le pulizie, lo guardò stupida.

«Mattie, hai un nuovo amico?»

«Sì! Si chiama Dom e faremo una band. Useremo la saletta di sotto, possiamo vero?» disse, spolverando una catasta di libri sugli alieni.

«Chiedo al nonno, ma per me è un sì. Poco fracasso però!»

«Prometto!»

«E perché riordini la stanza? Non lo fai mai...»

«Devo imparare, nonna»

«Mah! Non è che oltre a Dom è venuta una ragazza?» la donna anziana sorrise dolcemente. Matt negò e le augurò la buona notte, voleva sentirsi un po' più autonomo. Stava crescendo. Appena finì il lavoro, si gettò a pesce sul letto e chiuse gli occhi al sonno incalzante.

-Veramente, penso di averlo fatto perché prima o poi dovrò pur mostrare la mia cameretta a quello lì, come si chiama, Dominic...che nome sciocco, Dom, sembra il suono delle campane...però lo sento così simile a me, chissà, secondo me ho trovato il mio primo vero amico... Senza accorgersene, crollò.

 

Tre settimane dopo, 21 giorni passati tra scuola-Dominic-scuola-Dominic-scuola-Dominic, avevano montato la betteria pezzo per pezzo e trasferito microfono e amplificatore. Inoltre, Dom aveva conosciuto due potenziali bassisti. Era giunto il momento della temuta e desiderata domanda.

 «Ma camera tua esiste?»

Ora, non che ci fosse nulla di strano, anzi, quando era capitato che andassero a casa di Dom (più raro perché vivendoci padre, madre e sorella più parenti occasionali era sempre affollata) la camera era stata una delle prime stanze visitate, però Matt ci teneva in modo maniacale. Nella sua camera, il suo nascondiglio, rifugio, habitat, non entrava nessuno all'infuori della nonna, quindi era come un piccolo gioiello da difendere. Sarebbe stato pronto a farla vedere ad un altro? E Dom sarebbe stata la persona giusta? Matt ci pensò su qualche secondo, poi farfugliò:

«N-Non...»

Dom alzò le sopracciglia chiare.

«Non?»

«Non è un gran che!»

Dom scoppiò a ridere e desiderò menarlo. Non capiva come fosse possibile che nella sua vita fosse entrato un tesoro tanto prezioso dal nome Matthew. Dal canto suo, Matt arrossì appena Dom gli strinse una spalla nel palmo della mano.

«Si dà il caso che a me piacciano particolarmente le cose che non sono un gran che» fece il biondo. Attese impaziente. Dopo due minuti di nulla, Matt si voltò e si diresse su per le scale a chiocciola. Aprì la porta piano piano, seguito dallo sguardo irremovibile di Dom.

La stanza, piccola ma accogliente, aveva una sola finestra rivolta al Lago Viola. Il letto era basso e scomposto. Sui muri c'era qualche poster; Cure, Queen, Pink Floyd. La scrivania piena di libri e fogli scarabocchiati. Due mobili, probabilmente per i vestiti, uno scaffale di vinili e una chitarra appoggiata al muro. Ecco quanto.

«Che bell'altro...» commentò Dom, scorrendo i titoli dei libri sulla scrivania.

«Bello no, antro sì» lo corresse Matt, distendendosi sul letto. Dom gli sorrise e, dopo aver carezzato il manico e le corde della chitarra acustica, si sedette sul bordo del letto.

«Complimenti, è proprio tua, si vede» continuò imperterrito il biondo. Matt scrollò le spalle e ridacchiò imbarazzato.

«Bugiardo» sogghignò, pizzicandogli un gomito. Dom si incupì. Era arrivato il momento di chiedergli una cosa.

«Matt, quando si separarono i tuoi?» azzardò con un tono molto dolce. Matt se l'aspettava, quell'Howard era sveglio.

«L'anno scorso» disse con naturalezza, ma abbassò lo sguardo. Si voltò su un fianco, diede le spalle a Dom e si raggomitolò. La cosa gli bruciava ancora tantissimo. Dom apprezzò la sincerità, era segno di maturità.

«Non è colpa tua» sussurrò, anche se quella frase gli pareva eccessiva.

«Mmh...» replicò Matt, sempre più triste e addolorato. -Perché sei così perspicace?

«Se ti può consolare, mio papà, Bill, è malato di cuore» aggiunse Dom, che comprese di non poter sopportare la visione di Matt abbattuto.

«Non mi consola niente, ma quello che dici è ancora peggio del divorzio» -Complicato, Matt, sei complicato da farmi impazzire.

«Può darsi, però la sofferenza aiuta a crescere, credimi»

Matt sorprendentemente sentì la tristezza e la malinconia tornare nel buco nero da cui erano sbucate. Riuscì a inspirare a fondo, poi trovò la forza di guardare negli occhi Dom. Era l'inizio di una grande amicizia. Eterna? Sì, a giudicare dallo sguardo clemente che si scambiarono in silenzio. Si sorrisero debolmente.

«Devo andare. A domani?» domandò Dom, alzandosi controvoglia.

«Certo, così mi fai conoscere quei due bassisti»

«Va bene! Allora io vado...» concluse il biondo, aprendo la porta per uscire. Matt si mise seduto.

«Ah, Dom! Una cosa!»

«Sì?» fece l'altro, tornando sui suoi passi.

«Ti spiacerebbe tornare al Lago con me?»

Dom lo squadrò dubbioso. -Cos'hai in mente?

«Per?»

«Innanzi tutto: nostalgia del luogo. Poi, dovrò chiederti una cosa...»

Dom scoppiò a ridere. -Nostalgia! Ma quella cosa lo incuriosiva troppo per desistere.

«E sia! Ci vediamo e smettila di leggere quella robaccia!» esclamò, indicando la pila di libri sugli extraterrestri. Matt impostò il finto broncio e lo lasciò andare.

 

Qualche ora dopo, si infilò fra le coperte morbide del suo letto incasinato. Fuori incalzava la tempesta; battevano sulla finestra e sul soffitto goccioloni pesanti simili a proiettili innocui. I lampi sfavillavano nelle viscere del cielo disfatto, i tuoni esplodevano nei timpani violentemente. Matt desiderò qualcuno al suo fianco. Non sapeva dargli un nome, un'identità, però qualcosa gli suggeriva che quel qualcuno esisteva. Qualcuno da stringere nella notte, qualcuno che scacci la paura degli alieni, qualcuno il cui cuore batta più forte di quel temporale...

S'addormentò abbracciato al cuscino, mentre, a meno di un km da lui, Dom faceva lo stesso.

 

Nota d'autrice. Benvento ad ogni lettore-recensore! Sono tornata, ma questa volta con una storia che non ha il solito intento puramente erotico e perverso, tutt'altro! Tenterò un'analisi dei personaggi a partire da qui, l'adolescenza, in periodo in cui si conobbero e nacque tutto...e in quel tutto racchiudo sia i Muse che... bè, lo sapete. Spero di essere stata precisa con le date, qualora trovaste degli errori, gradirei le correzioni. Vi ringrazio e vi aspetto al prossimo capitolo. Cheers and BellDom for all <3

ps: Dimenticavo! Il motivo del Lago Viola lo capirete molto più avanti ^^



  
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