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Autore: dirtytrenchcoat    23/07/2010    3 recensioni
Il mio sguardo si posò su un ragazzo che passava lì davanti. Era con i suoi amici, ma notai solamente lui. Lo ricordo perfettamente quel momento, come se non fossero passati 365 giorni, ma uno o due. Era basso, un nanetto, come ancora lo chiamo io. Aveva i capelli castani con un ciuffo adorabile che gli ricadeva sul viso tenero da bambino, gli occhi grandi, color nocciola, che brillavano e sotto il sole diventavano verdi, un sorriso così dannatamente dolce e sincero, così contagioso, che l’avrei fissato per ore, mi aveva fatto sciogliere l’anima.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Frank Iero e i My Chemical Romance, fortunatamente per loro, non mi appartengono; tutto ciò che è descritto qui è frutto della mia mante malata.



Sono seduta sulla valigia e aspetto il treno, che è in ritardo di mezz’ora. È tutto così simile all’anno scorso, mi sembra persino di stare fra la stessa gente.
Spero solo che anche Belleville sia come l’anno scorso.
Il treno finalmente arriva. Salgo, sollevo la valigia e la sistemo sull’apposito ripiano, poi mi siedo e accendo l’i-Pod. Una valanga di immagini mi affolla la testa. Comincio a ricordare.

Era esattamente l’estate scorsa. Stesso mese, stesso giorno, stessa ora. Arrivai a Belleville da mia zia verso mezzogiorno. Lei è un’arzilla vecchietta adorabile, devo dire, ma il posto non sembrava un granché. Mi apprestavo a vivere una settimana al limite della noia, ma avrei passato i sette giorni più belli della mia insulsa vita.
Non vedevo la zia Annie da praticamente quattordici anni, così mia madre mi aveva spedita a casa sua per una settimana.
La zia fu felicissima di rivedermi e anche io ero molto entusiasta. Aveva preparato i biscotti al cioccolato e fatto il letto con le lenzuola più candide che avessi mai visto. Mi accolse con un abbraccio, commossa, e mi mostrò la mia stanza al piano superiore. C’era un giradischi posto sopra una scrivania ordinata, un armadio di ebano, una poltroncina azzurra e un letto comodissimo. Mi colpirono, però, le tende, di un azzurro chiaro che sfumava al lilla. Deliziose, come tutta la casa, che odorava di antico ed era quasi tutta di legno. Dopo essermi sistemata e aver mangiato i biscotti, la zia Annie mi portò a fare un giro per Belleville. c’erano tanti negozietti carini e mi regalò un cappello. Ci fermammo per un caffè e un cappuccino al bar Dante. Sedemmo in un piccolo tavolo accanto alla vetrata. Chiacchieravamo allegramente del più e del meno –famiglia, amici, scuola, salute, amore, football, cappelli, animali–, quando il mio sguardo si posò su un ragazzo che passava lì davanti. Era con i suoi amici, ma notai solamente lui. lo ricordo perfettamente quel momento, come se non fossero passati 365 giorni, ma uno o due.
Era basso, un nanetto, come ancora lo chiamo io. Aveva i capelli castani con un ciuffo adorabile che gli ricadeva sul viso tenero da bambino, gli occhi grandi, color nocciola, che brillavano e sotto il sole diventavano verdi, un sorriso così dannatamente dolce e sincero, così contagioso, che l’avrei fissato per ore, mi aveva fatto sciogliere l’anima. Indossava una t-shirt nera attillata, che valorizzava il suo fisico magro, non esageratamente muscoloso, ma tremendamente sensuale, dei jeans strappati e un paio di All Star. Camminava serenamente por la strada, ridendo, e quando sentii la sua risata cristallina, probabilmente mi luccicarono gli occhi.
Lo guardavo con interesse mentre sorseggiavo il mio cappuccino. Ad un certo punto, lui fissò i suoi occhioni dolci nei miei. Non so di preciso quando durò quello sguardo, la mia cognizione del tempo del tempo venne risucchiata dalla sua personalità, però fu così intenso e tenero che mi sentii trapassare l’anima.
Mi sorrise e il mio cuore batteva così forte da far male. Sorrisi impacciata e lui svoltò l’angolo, mentre sentivo ancora i suoi occhi puntati nei miei.
Girai la testa, mi zia mi guardava con un sorriso malizioso sulle labbra rosee. « Si chiama Frank, Frank Iero. È il mio vicino di casa, pensa un po’. Potremmo portargli dei biscotti… »
Frank. Frank Iero.

Quel pomeriggio feci un altro giro in città, ma in bicicletta. Aveva una gran voglia di sentire il vento fra i capelli.
Stavo percorrendo la pista ciclabile di un piccolo parco pieno di fiori gialli e viola, quando improvvisamente qualcosa, prima che imboccassi la curva, mi venne addosso ad una velocità impensabile per un parchetto di una tranquilla cittadina del New Jersey.
Ero stesa per terra ad imprecare prima che una mano con tatuata la scritta HALLO sulle dita si protese davanti a me. Alzai lo sguardo sul resto del braccio tatuato, sul petto che si alzava e abbassava freneticamente, fino ad arrivare al viso. Frank. Frank Iero.
« Scusami, non pensavo che venisse ancora qualcuno qui! » esclamò imbarazzato mentre gli afferravo poco saldamente la mano. « E poi… Non so frenare » scoppiò a ridere. Quella sua risata argentina mi fece sciogliere.
Lo guardai attentamente. Era vestito come prima, solo che al posto delle Converse indossava dei rollerblade.
« Hey, ragazza, stai bene? » il suo tono incuriosito e preoccupato mi riportò, più o meno, alla realtà.
« Oh, sì sì certo. Tutto okay! » risposi nella maniera più convinta che potessi usare.
« Bene! Piacere, Frank. Sei la ragazza del bar, vero? » aveva i capelli scompigliati, un sorriso spontaneo sulle labbra che gli illuminava il volto e si grattava la testa leggermente imbarazzato.
Annuii. « Piacere, Pansy » gli strinsi timidamente la mano.
« Pansy… Che nome strano. Mi piace! » era così solare che sembrava lui a diffondere la luce del giorno. « Allora, Pansy, che ci fai in questa povera cittadino del New Jersey a metà luglio? »
Passammo il pomeriggio chiacchierando in quel parco. Mi fece anche provare i suoi rollerblade, ma caddi una decina di volte e promisi a me stessa che non avrei mai più indossato quelle trappole.
Tornammo a casa verso l’ora di cena.
« Ti va di andare da qualche parte domani? Potrei mostrarti le rinomate opere artistiche di Belleville » disse ironico quando arrivammo davanti alla mia porta. « Oggi mi sono divertita, quindi, perché no? » cercavo di mantenere un controllo, in realtà avrei voluto saltare di gioia.
« Perfetto! Vengo io dopo pranzo. A domani, senza rollerblade! » mi fece l’occhiolino e se ne andò.
Riuscii a dire « ciao » prima di mettermi a saltare con un’idiota entrando in casa.
Zia Annie aveva appena finito di preparare la cena. Mi sentivo in colpa per averla lasciata tutto il pomeriggio sola –in fondo, ero lì per lei– e glielo confessai scusandomi, ma risposa che era felice del fatto che avessi visitato Belleville.
« E poi, » aggiunse sogghignando « Frank Iero è un bel ragazzo.»
Sentendo quel nome mi vibrò la colonna vertebrale. « Come sai che ero con lui? » ero arrossita.
« Te lo leggo negli occhi, mia cara! Su, non pensare ai ragazzi e mangia! »
La cena era squisita. Prima di andare a letto, io e zia An guardammo un film. Fu una serata stupenda.
Avvolta nel lenzuolo fresco, pensai che la mia breve vacanza non era iniziata male. Anzi, il primo giorno era stato una meraviglia.

Sospiro. Desidero ritrovarlo, Frank. Magari proverò i rollerblade! Per ogni caduta, lui mi stringerà la mano, aiutandomi ad alzarmi.
Accarezzo la felpa rossa che spunta dalla mia borsa e mi immergo nuovamente nei miei pensieri.
   
 
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