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Autore: Amalia89    04/08/2010    1 recensioni
Una Luna persa come sempre nella semplicità e nella purezza dei suoi pensieri, conoscerà per la prima volta l’amore, un sentimento che le farà così paura, da mutare la sua natura ed il suo destino per sempre.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Allora, siamo arrivate già alla fine di questa storia, era una breve ff, come vi avevo già avvisate

Allora, siamo arrivate già alla fine di questa storia, era una breve ff, come vi avevo già avvisate.

Mi spiace solo che non abbia avuto commenti come le altre, ma ringrazio comunque chi l’ha letta o chi semplicemente le ha donato un po’ delle sue attenzioni.

 

Rispondendo a Dindy80: Grazie cara per aver nuovamente recensito, Vaiolet beh… Non posso dire nulla, leggerai tutto in questo capitolo XD. Spero che alla fine, apprezzerai comunque la storia XD. Anche a me Luna è sempre piaciuta, sai al sua aria un po’ sbarazzina mi ha sempre incuriosita… Ora ti lascio, augurandoti buona lettura. Un bacio Amalia.

 

 

 

 

Capitolo 3

 

 

 

 

Vaiolet, era una ragazza strana, mi portò con lei all’interno della sua stanza, che era molto simile alla mia.

Ci sedemmo e mi offrì un bicchiere di burrobirra caldo.

«Grazie». Farfugliai, ancora un po’ sotto shock.

Non riuscivo a capire che cosa mi stesse succedendo, le parole di Charlie mi avevano scossa, terrorizzata, in qualche modo, avevo collegato questo fatto con la leggenda che mi aveva raccontato.

«Ti aspettavo. Ti ho vista arrivare nella sfera…». Cominciò a parlare, con voce melliflua, incrociando le mani a preghiera e distogliendomi dai miei pensieri.

«Sai leggerle?». Domandai in un sussurro.

Lei annui, alzandosi ed andando ad aprire una piccola borsa di pelle nera, con i ganci in oro.

Ne estrasse una piccola ampolla di vetro, che conteneva un liquido nero, con qualche sfumatura rossa.

Prese una mia mano, e me la posò sul palmo, facendomi chiudere poi le dita intorno.

«Questa risolverà tutti i tuoi problemi». Mi sorrise, fissandomi in modo strano.

«Che cos’è?». Chiesi, osservandola da vicino e poggiando il bicchiere che tenevo ancora stretto.

«Una pozione… Bevila».

Sollevai il mio sguardo su di lei, davvero mi credeva così sprovveduta?

«A che cosa serve?». Chiesi ancora, senza abbandonare il grigio topo dei suoi occhi.

«Ogni qualvolta che incontrerai l’amore sulla tua strada, il tuo corpo si tramuterà in farfalla. Riprenderai le sembianze umane non appena ti allontanerai da quel sentimento». Spiegò stizzita, quasi infastidita dalle mie domande.

Non mi fidavo, chi mi diceva che quello in realtà non era veleno? Alla fine non la conoscevo e per quanto fossi spaventata, non ero certo intenzionata a trangugiare una pozione della quale non sapevo nemmeno l’esistenza.

«Ti ringrazio, ma è meglio che li risolvo in un altro modo i miei problemi». Posai la boccetta sul letto e mi alzai, per tornare nella mia stanza.

Lei mi bloccò per un braccio, penetrandomi con il suo sguardo.

«Tienila sempre con te». Insistette, ponendola di nuovo sul mio palmo.

Strinsi la mano e senza aggiungere una parola, uscii dalla stanza.

Che strana ragazza… Perché voleva aiutarmi se nemmeno mi conosceva?

Scossi la testa, non era certo il caso di aggiungere un altro pensiero ad offuscarmi la mente.

Passai il resto della giornata all’interno del castello, ne approfittai per fare qualche giro nei corridoi di pietra fredda, ma non vidi nulla d’interessante.

Per questo, la maggior parte delle ore, le impegnai in letture ed esercizi d’incantesimo, feci anche qualche compito, nell’attesa che mio padre rientrasse.

«Luna! Sei già qui?». Domandò, entrando in stanza all’improvviso.

Non mi spaventai, ero abituata ai suoi interventi inaspettati.

«Sì, non mi andava di stare fuori». Risposi sorridendo.

La cena arrivò poco dopo e la passai ad ascoltare tutti i racconti incredibili di papà.

Non aveva trovato la pianta che tanto cercava, ma aveva visto animali nuovi, insoliti, ai quali non sapeva attribuire un nome, fiori dai mille colori e babbani ancora più stravaganti di quelli dove vivevamo noi.

Aveva anche provato a comprare un souvenir, ma la commessa del negozio nel quale era entrato, parlava una lingua a lui incomprensibile e così, si era ritrovato a mani vuote.

«Domani vieni a visitare il paese con me?». Domandò, infilandosi sotto le coperte.

«Sì, mi sembra una buona idea». Risposi, spegnendo il lumino.

Quando poggiai la testa sul cuscino, la calma si era impadronita di tutto il mio corpo.

Più nessun pensiero su Charlie o sulla sua strana confessione.

La boccetta misteriosa, era chiusa al sicuro dentro la mia borsa e con essa, tutte le mie paure.

 

Mi svegliai di buon ora, pronta per ricominciare tutto da capo. Volevo vivermi la giornata in assoluta tranquillità, girare, ridere e scherzare con papà. Nient’altro.

«Già sveglia Luna». Chiese, uscendo dal bagno vestito.

«Sì, pochi minuti e sarò pronta».

«Ti aspetto sotto».

M’infilai nella doccia calda e ne approfittai per rilassarmi un altro po’.

Esattamente venti minuti dopo, fui nell’atrio assieme a mio padre.

«Buona giornata». Ci salutarono le cameriere, chiudendoci il portone alle spalle.

Non prendemmo le scope, ma percorremmo a piedi il sentiero di pietra che conduceva alla città.

Si poteva sentire il rumore del vento scuotere gli alberi e i gufi bubulare, mi strinsi nel cappotto, rabbrividendo appena.

Ci impiegammo una buona mezz’ora, tempo nel quale, rimanemmo nel più assoluto silenzio, ci guardavamo entrambi attorno, cercando di memorizzare più dettagli possibili.

Tuttavia, appena arrivammo al fondo, mi sentii ghiacciare il sangue nelle vene. L’intera famiglia Weasley, era lì, ferma ad osservare una strana pianta, compreso Charlie.

«Oh signor Xenophilius, buongiorno!». Salutò il padre di Ron.

«Ciao Luna, tutto bene?». Chiese il mio compagno di scuola, avvicinandosi.

«Ciao Ron, sì tutto Okay. Tu?». Risposi, fingendo disinvoltura.

«Non c’è male».

Papà e Arthur, iniziarono a parlare e la signora Weasley, andò avanti con Ginny, la figlia più piccola.

Gli altri fratelli non c’erano e dopo uno sguardo imbarazzato di Ron, Charlie ed io, restammo da soli.

Passeggiavamo dietro agli altri, cercavo d’essere spontanea, ma era difficile con lui accanto.

Sapevo che cosa provava per me, era stato chiaro il giorno prima, ma speravo che con il mio comportamento potesse capire che io, non ero interessata a lui, né a nessun altro per il momento.

«Allora… Bello qui, vero?». Iniziò a parlare, per mettere in piedi una conversazione.

«Sì, molto». Mi limitai a dire, per non incoraggiare una continuazione.

«Girerete con noi oggi?». Continuò imperterrito.

«Non lo so, dipende da papà». Il mio tono era incolore, sicuramente il più freddo e distaccato che avevo usato in tutta la mia vita.

«Senti, per ieri...».

Sospirai tanto rumorosamente da zittirlo.

«Charlie… Io non… Non mi va. Non voglio avere nessuna storia, non ora». L’interruppi, provando ad essere chiara.

Ma mi riusciva difficile, non ero abituata a certi discorsi.

Nonostante tutto, la mia breve frase sembrò funzionare, non mi rivolse più la parola ed io, potei godermi il mio giro in assoluta allegria e spensieratezza.

Quando fu ora di pranzo, ci fermammo tutti in una piccola locandina, nel cuore della cittadina.

Era calda e molto accogliente, Charlie si sedette vicino a me, ma finsi di non accorgermene.

«Tu hai già iniziato i compiti Ron?». Chiesi, per evitare che il fratello maggiore, ricominciasse ad opprimermi.

«Ehm… no… Non ancora». Rispose in imbarazzo.

Non eravamo mai stati grandi amici, ma c’era un buon rapporto, di cordiale simpatia.

Subito dopo, si rivolse alla sorella cominciando a raccontarle qualcosa che non capii, aprì il menù facendo scorrere gli occhi su pietanze che nemmeno conoscevo.

«E’ inutile che tenti la strada dell’indifferenza. Hai detto che per ora non te la senti, ma ti starò vicino, fino a quando non lo sarai». La sua voce fu un sussurro e per quanta dolcezza c’era nel suo tono, a me sembrò più una minaccia.

Lo guardai, senza dire niente, lasciando che dal mio sguardo trasparissero tutte le mie emozioni; tristezza, frustrazione ed in parte, rabbia e fastidio.

Mi sorrise teneramente ed io mi voltai, sistemandomi il tovagliolo sulle gambe, ma non appena misi le mani sotto al tavolo, lui allungò la sua, intrecciando le nostre dita.

Indispettita da quel gesto, sciolsi subito la stretta, afferrando la mia borsa ed andando in bagno, lì non avrebbe potuto di certo seguirmi.

Entrai nella toilette e mi sedetti sul water, aprendo la borsa in cerca di un fazzolettino per asciugarmi le lacrime che copiose, bagnavano il mio volto.

Le mie dita, toccarono un materiale duro e freddo, capii subito che era la boccetta che la sera prima mi aveva dato Vaiolet.

La stappai con mano tremante, se mi fossi davvero trasformata in farfalla, sarei potuta tornare al castello, avvisando poi mio padre per non preoccuparlo, tanto valeva provare.

Mi sentii tanto Dafne e il mio Apollo, era nella stanza accanto alla mia, pronto ad importunarmi con le sue attenzioni.

Presi un respiro profondo e senza pensarci oltre, buttai giù la pozione.

Avvertii chiaramente il liquido denso scendere lungo la mia gola, aveva un gusto terribilmente amaro ma non m’importava, se sarebbe servito a qualcosa, l’avrei sopportato altre mille volte.

Osservai le mie braccia, notando che il colore della mia pelle stava cambiando, così come la mia vista ed il mio udito.

Fu tutto terribilmente veloce ed in meno di un minuto, presi le sembianze di una bellissima farfalla.

 

 

Pov Charlie.

 

Luna non ritornava al tavolo ed io, come gli altri, iniziavo a preoccuparmi.

Mamma stava valutando l’idea di andare a vedere in bagno, quando la mia attenzione fu catturata da una bellissima farfalla.

Aveva dei colori particolarissimi, era azzurra con qualche sfumatura d’orata, in qualche modo, mi ricordava lei, la ragazza che mi aveva rapito il cuore, i suoi occhi blu ed i suoi capelli biondi, lisci e setosi.

Mi chinai sotto il tavolo ed estrassi dalla mia borsa un contenitore con il tappo forellato. L’animale volava in modo strano, quasi insicuro, fu facile prenderlo.

Chiusi la farfalla dentro al barattolo vetro e la riposi nel mio zaino, l’avrei sicuramente aggiunta alla mia collezione.

«In bagno non c’è. Ho trovato solo i suoi vestiti». La voce allarmata di mia sorella, mi fece tornare bruscamente alla realtà, che fine aveva fatto?

Tutti ci mobilitammo per cercarla. Ispezionammo tutto il locale, ma di lei, nessuna traccia.

Il dolore m’avvolse con la stessa velocità con la quale il mio cuore si era riempito dell’amore per lei, in un attimo.

Qualcosa mi diceva… Che l’avevo appena persa, per sempre.

 

 

 

10 anni dopo.

 

Seduto alla mia scriva, stringevo tra le mani una delle teche più belle che avessi. Era di vetro fine con i bordi in oro.

Sfiorai con i polpastrelli il coperchio che mi separava da quella piccola creatura.

Era la farfalla più bella che io avessi mai visto, la più bella di tutta la mia collezione.

Unica, non solo nell’aspetto ma anche nel ricordo di dieci anni prima, giorno in cui l’avevo catturata, giorno in cui, avevo perso per sempre l’amore della mia vita.

 

 

 

 

The End.

 

  
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