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Autore: Sailor Vulcania    08/08/2010    0 recensioni
Passarono altri sei mesi, sei mesi di solitudine, sei mesi di reclusione, sei mesi d'inferno, ma, a dirla tutta, migliori di quelli che aveva passato prima, quando si svegliava la notte, da solo nel proprio letto in preda al panico.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Michael, Raphael
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Mentre tutto scorre
Autore: Sailor Vulcania
Fandom: Michael x Raphael tratto dalla omonima role (+Kira86+ & Light66 alias Sailor Vulcania)
Personaggi: Raphael, Michael, Kyoya e Miky
Avvertimenti: Raiting Arancione
Genere: Yaoi, sentimentale, drammatico
Breve introduzione: Ci sono tante cose che possono accadere quando la persona che ami ti tradisce, alcune le puoi prevedere, altre no. Altre, invece, puoi addirittura pianificarle...

N.d.A(facoltativo): Allora, devo precisare che Raphael e Michael non usano soprannomi come “amore”, “tesoro” o cose simili, loro si chiamano “puttana”.
I personaggi sono tratti dal contesto di una role, in cui Raphael è un rinomato chirurgo con comportamenti da puttana. Passa le sue notti a scopare con chiunque. Michael, invece, è un ragazzo impulsivo e scalmanato, membro di una banda di strada, i Red dragons, di cui Miky il dolce è il capo.
Proprio questo Miky diventerà l'eterno rivale in amore di Raphael, rivale per modo di dire, perchè non corrisposto da Michael, detto il sanguinario.
Michael e Raphael s'incontrano una notte, per caso. L'auto di Raphael si guasta proprio nel quartiere della banda di Michael e lì avviene il loro incontro, non proprio uno die migliori dato che cercano di uccidersi a vicenda. Da lì, poi, nasceranno tutte le vicende che li porteranno ad innamorarsi, finalmente.
Credo che questa sia la reazione che Raphael avrebbe SOLO se Michael lo tradisse con Miky. Probabilmente se lo avesse tradito con qualcun altro avrebbe agito in maniera nettamente diversa.
Questo perchè Miky è il migliore amico di Michael ed ha cercato in tutti i modi di portarglielo via, quindi Raphael ha una profonda avversione verso di lui, inoltre si sente colpevole perchè non ha prestato troppa attenzione, perchè non è riuscito ad allontanare Miky da Michael e, quindi, ha fallito.
Kyoya è un collega di Raphael che si è innamorato di lui ma che non è stato corrisposto. Per gelosia ha tentato di spezzare le mani a Raphael (questo nella role) ma non ci è riuscito grazie all'intervento di Miky e, successivamente, Michael per vendicare Raphael, lo ha trascinato a Crystal Square e gli ha spezzato tutte le dita delle mani e i polsi, ricostruiti chirurgicamente, poi, da Raphael.

Mentre tutto scorre

Un piccolo litigio, come al solito.
Succedeva sempre tra loro, avevano pareri discordanti quasi su tutto ed i loro caratteri non li aiutavano di certo.
Erano entrambi due puttane testarde ed orgogliose e se non litigavano furiosamente, nessuno dei due riusciva a mettere da parte il proprio orgoglio ed ammettere con l'altro di aver sbagliato ed esagerato.
Ma ormai ci erano abituati.
Mancavano poche settimane al loro matrimonio, pochi giorni e finalmente sarebbero stati l'uno dell'altro per sempre.
E Raphael non stava più nella pelle, aveva sempre condotto una vita priva di principi, se non i suoi, ma adesso....adesso aveva la sua puttana, aveva Michael e non voleva altro che stargli accanto, per sempre.
Non aveva mai pensato al matrimonio, figurarsi, era abituato a scopare con chiunque, quando ne aveva voglia, legarsi non era concepito nemmeno dall'angolo più recondito della propria mente.
Tutto questo prima di incontrare Michael.
Ora era tutto diverso.
Però, prima, doveva risolvere un problema più importante, doveva fare la pace con Michael.
Era uscito di casa vestito in maniera impeccabile, provocante e sexy come sempre, jeans aderenti e magliettina rossa che gli fasciava i fianchi, mettendo in risalto il suo corpo snello.
Aveva afferrato al volo le chiavi della macchina e via, verso casa di Michael, sfrecciando, per quanto gli era possibile, per le strade della città.
Non ci aveva messo molto ad arrivare al suo monolocale, non molto distante dal proprio attico.
Quel posto era carino, ma decisamente troppo piccolo, per fortuna tra qualche giorno si sarebbero trasferiti nella loro nuova casa, non grande come la propria, ma non era nemmeno un buco.
Aveva un bel sorriso stampato sul viso, un sorriso dolce e felice, riservato alla sua puttana.
Poggiò la mano sulla maniglia e spinse la porta, sapeva che era aperta, Michael non la chiudeva mai.
Entrò ed il monolocale gli sembrò stranamente silenzioso, che fosse uscito?
Strano anche quello, raro che Michael uscisse di giorno, lo sapeva.
Forse era in camera da letto, magari stava dormendo.
Scosse piano la testa, Raphael, perchè il suo amore era sempre il solito, pronto a far casino la notte e poi a dormire di giorno.
Salì piano le scale del soppalco, per non svegliarlo nel caso stesse davvero dormendo.
Arrivato in cima, con una mano scostò la tenda blu che copriva il letto.
Il sorriso di Raphael si spense.
Davanti ai suoi occhi c'era Michael, disteso sul letto a torso nudo, sopra di lui Miky che gli stava sfilando gli shorts di jeans, baciandogli il petto, mentre Michael gli stringeva i capelli.
In quel preciso istante, proprio nella frazione di un secondo, gli crollò il mondo addosso e il cuore gli si fermò. Michael, il suo Michael, la sua puttana, a letto con un altro, con Miky!
Solo perchè avevano avuto un fottuto litigio il giorno precedente.
Strinse forte la tenda tra le dita, la stoffa blu che si arricciava, mentre continuava ad osservare la scena, le mani di quel bastardo che accarezzavano i fianchi di Michael mentre lo spogliava.
Era pietrificato, non riusciva a dire nulla, non riusciva a muoversi, non riusciva nemmeno a respirare.
Fece un passo indietro, poggiando il piede su uno scalino di legno, che scricchiolò, palesando la sua presenza anche agli altri due che si voltarono a guardarlo.
Miky imbarazzato e Michael quasi sconvolto, ma Raphael non li vedeva, non riusciva a vedere nulla.
Solo le lacrime che gli velavano gli occhi, gli rigavano il viso, silenziose, fin troppo per uno che aveva assistito ad una scena del genere.

"Raphael... io..."

Michael cercò di spiegarsi, ma infondo, cosa c'era da spiegare?
Era palese ciò che stava facendo.
E Raphael sapeva fin troppo bene come andavano quelle cose anche solo per poter trovare una scusa qualunque per giustificarli.
Lasciò andare la tenda, sconvolto, senza riuscire ad esternare ciò che provava.
Poggiò una mano sul corrimano, un altro passo indietro, prima di voltarsi e scendere le scale, aprire la porta, mentre Michael si toglieva Miky di dosso e cercava di raggiungerlo, inutilmente.
Perchè Raphael era già uscito, aveva raggiunto l'auto ed era ripartito, con il rischio di ammazzarsi, perchè non riusciva a vedere nulla.
Troppe lacrime. Troppe. Troppe lacrime.
Nonostante tutto, nonostante questo, riuscì ad arrivare a casa, ma forse sarebbe stato meglio morire, perchè dal momento in cui mise piede nel suo attico, iniziò il periodo più brutto dello sua vita, quello che poi lo avrebbe condotto alla pazzia.
Si, proprio alla pazzia.
Perchè non riusciva ad accettare la cosa, non riusciva a superarla, non riusciva a perdonare Michael, ne voleva farlo.
Ferito nel profondo dalla persona che più amava al mondo.
Per la seconda volta.
Sapeva che non avrebbe retto, ne era consapevole, eppure Raphael non era un tipo che si arrendeva facilmente, no, lui voleva provarci, voleva lottare.
Ma era difficile.
Più passava il tempo e più sembrava impossibile.
In ogni istante, ogni momento della giornata, veniva dilaniato dal dolore, la mancanza di Michael era pesante, soprattutto nei primi tempi quando aveva dovuto respingerlo, scappare per evitare di vederlo, perchè davanti a lui sarebbe crollato.
E Michael lo aveva cercato, lo aveva cercato tanto, troppo, forse per spiegare perchè aveva fatto una cosa del genere, forse per farsi perdonare, forse per una altro milione di motivi che, comunque, Raphael non sarebbe riuscito a capire e non avrebbe accettato.
Per questo aveva fatto di tutto per evitarlo e cercare di andare avanti, di vivere la sua vita come sempre, e ad un certo punto, ci era pure riuscito, di giorno, quando era circondato dalla gente, quando non era solo, perchè quando lo era, ogni cosa, ogni fottuta cosa gli ricordava Michael, o qualcosa che aveva fatto con lui e allora tutto il dolore, l'amarezza, risalivano a galla.
Ci aveva messo mesi per arrivare a quel punto, mesi che si trasformarono in un anno, ma era riuscito a stare apparentemente bene, di giorno, grazie anche al proprio lavoro.
Il problema era la notte.
Puntualmente, nel cuore della notte, si svegliava, terrorizzato, calciava via le coperte e si rannicchiava, tirandosi le ginocchia al petto, la schiena contro la testiera del letto e la testa tra le mani che stringevano i capelli, mentre continuava a ripetersi "Non c'è, Michael non c'è"
Tutte le notti, ormai era diventata un'abitudine.
Un'abitudine che non poteva eliminare, qualcosa che era più potente anche dei sonniferi, nonostante avesse provato a prenderli, continuava a svegliarsi, sempre terrorizzato, sudato, le lacrime agli occhi, che erano vacui, quasi persi.
E alla fine dovette arrendersi all'evidenza, era un medico, un professionista e certe cose non poteva trascurarle, tralasciarle, altrimenti non sarebbe più stato il miglior chirurgo di tutta la città.
Non c'era altro da fare ormai, per Raphael, se non una sola cosa.
L'ultima che poteva davvero essere utile per lui e, forse, per qualcun altro.

E in clinica, quella mattina, andò a sistemare ogni cosa, prima con il direttore e con Kyoya poi.

"Raphael, sei sicuro? Io non credo che tu debba farlo, è una decisione drastica, stai esagerando"

Raphael aveva già previsto che Kyoya avrebbe reagito così, era innamorato di lui ed era giusto che il collega provasse a fermarlo.

"Ti rigrazio Kyoya, ma fidati, questa è la soluzione migliore e lo sai anche tu. Non sei uno stupido e sei un medico, quindi sai benissimo che non c'è altro da fare"

Si, Kyoya lo sapeva, solo non riusciva a capacitarsene, a farsene una ragione, era difficile pensare che quello che aveva davanti era Raphael Jeevas, era davvero difficile.

"Ti prego Raphael, metticela tutta, torna presto"

Raphael sorrise, stringendo il medico che era sull'orlo del pianto, ma ne aveva abbastanza di lacrime, ne aveva versate troppe per poter vedere scorrere anche quelle degli altri.

"Devi farmi un favore Kyoya"

Il ragazzo dagli occhi verdi e liquidi lo guardava un pò stranito, evidentemente non si aspettava una richiesta del genere, non in quel momento.
Raphael sorrise ancora, infilandosi una mano in tasca, prendendo una piccola busta da lettere bianca, consegnandola nelle mani di Kyoya.

"Devi portare questa a Michael, lo so che per te non è facile, ma ti prego....consegnagli questa se tutto andrà male"

Queste furono le ultime parole che si scambiarono prima che Raphael si voltasse e uscisse dalla clinica.

Passarono altri sei mesi, sei mesi di solitudine, sei mesi di reclusione, sei mesi d'inferno, ma, a dirla tutta, migliori di quelli che aveva passato prima, quando si svegliava la notte, da solo nel proprio letto in preda al panico.
E in quei sei mesi, solo Kyoya a fargli compagnia, un Kyoya che vedeva Raphael cambiare, impercettibilmente, con il passar del tempo.
Un Kyoya che aveva sperato, pregato, con tutte le sue forze che Raphael reagisse, che si riprendesse, un Kyoya che, alla fine, fu costretto a rivolgersi all'ultima persone che avrebbe voluto vedere sulla faccia di quello schifo di mondo.
Quella piazza gli dava ancora i brividi, quasi gli sembrava di vedere strisce del proprio sangue ancora ad impregnare il terreno.
Chiuse gli occhi ed iniziò a camminare, riaprendoli poco dopo, una busta bianca stretta tra le mani.
Venne accerchiato quasi subito da una decina di ragazzi armati di coltello, chi lo stringeva tra le mani, chi tra i denti, chi ci giocherellava come se avesse in mano una matita e nonuna lama affilata.
Gli giravano intorno, ghignavano e ridacchiavano, facendogli venire i brividi.

"Cosa ci fa un culo raffinato come il tuo a Chrystal Square?"

Il cerchio di uomini si restringeva sempre di più, ma Kyoya non riusciva a rispondere alle loro domande, riusciva solo a tremare e ripensare a quella notte di due anni prima.

"Cos'hai in quella busta? Ci hai portato un regalino? Ma che gentile, non dovevi disturbarti tanto!"

I ragazzi scoppiarono tutti in una grassa risata ed istintivamente il medico strinse di più la busta al petto, per evitare che gliela strappassero di mano. Doveva consegnarla, doveva assolutamente farlo.

"Io....i-io..."

Non era facile per Kyoya parlare, non era facile esprimersi e quei bastardi non gli rendevano di certo il compito meno difficile.
Gli furono addosso, che nemmeno se ne rese conto.

"Io...i-io...." iniziarono a fargli il verso "Avanti stronzetto, facci vedere cos'hai lì"

Kyoya cercò di fare un passo indietro, ma era accerchiato, non poteva muoversi.

"No, lasciatemi in pace"

I tipi ghignarono ed uno di loro gli afferrò un braccio, strattonandolo con forza, mentre con l'altra mano cercava di prendergli la busta.

"Hey, ma che sta succedendo?"

Una voce fuori da quel cerchio di gente, cerchio che si aprì per far passare il possessore della voce.

"Che cazzo ci fai tu qui? Vuoi morire per caso?"

Occhi dorati guardavano Kyoya con rabbia, furia, occhi che si avvicinavano sempre di più, fino ad essere a un soffio da quelli del medico.
Occhi dorati che, però, avevano qualcosa di diverso, era come se non ci fosse più quella sadica scintilla che si accendeva ogni volta che Michael faceva qualcosa che gli piaceva.

Lo aveva notato, Kyoya,

"Ti avevo avvertito di starmi lontano, o sbaglio?"

Michael afferrò Kyoya per il colletto della maglia, strattonandolo, rischiando quasi di farlo cadere, data la poca delicatezza che aveva usato e la molta forza che ci aveva messo in quel piccolo e semplice gesto.

"Io sono qui per conto di Raphael"

A quelle parole, Micahel allentò la presa, lasciandolo andare, allontanandosi un pò da lui per guardarlo, studiarlo, capire se diceva la verità.
Raphael non aveva mai voluto vederlo, nè parlargli e adesso mandava Kyoya a cercarlo, gli sembrava quasi paradossale e gli faceva male al petto, come se fosse una sorta di tradimento, ma non poteva giudicare, il primo vero traditore era lui.

"Parla, veloce!"

Il rosso incrociò le braccia al petto, pronto ad ascoltare quello che il medico aveva da dire.

"Mi ha detto di consegnarti questa"

Kyoya gli porse la lettera, che Michael gli strappò dalle mani.
Cercava di mantenere la calma, ma si vedeva che c'era impazienza nei suoi gesti, foga.
Strappò letteralmente la busta per estrarne la lettera che conteneva, spiegandola con mani tremanti.
Tutti i pesenti si ammutolirono, sapevano quanto fosse importante quella lettera per Michael e poi nessuno voleva rischiare di incorrere nella sua ira.
Gli occhi di Muchael si muovevano frenetici tra le righe e si velarono di lacrime e preoccupazione già a metà dello scritto.
Quando terminò, ancora con il foglio tre le mani, alzò lo sguardo su Kyoya che era rimasto immobile davanti a lui.

"Dov'è?"

Quasi aveva urlato, facendo sobbalzare il medico che non riusciva a far uscire la voce.

"Ho detto dov'è? Dimmi il nome della clinica!"

"Ru-Ruesche"

La voce di Kyoya, balbettante, fu solo un sussurro, ma aMichael bastò.
Veloce, si mosse, iniziando a correre verso il luogo in cui avrebbe trovato Raphael, spintonando chiunque gli si parasse davanti, senza fermarsi un solo istante, nemmeno per riprendere fiato.
Quando giuse a destinazione si fiodò verso il banco delle informazione, dove un'infermiera stava chiacchierando allegramente al telefono.
Aveva il cuore in gola e nel cervello le parole che aveva letto su quel foglio di carta.
Strappò letteralmente la cornetta di mano alla donna, riaggangiando, guardandola con rabbia e angoscia.

"Raphael Jeevas"

La donna lo osservava sbigottita, il gesto di Michael era stato quanto meno maleducato e ci mise un pò per riprendersi e rispondere, giusto prima che Michael urlasse esasperato.

"Signore, lei è un parente del..."

"Mi dica in quale cazzo di stanza è!"

Sbattè i palmi delle mani sul bancone facendolo tremare e con esso anche tutti gli oggetti che vi erano sopra.
Tremava, per la rabbia e per la paura, per tanti di quei sentimenti che nonavrebbe saputo elencare.
L'infermiera lo guardò spaventata, tentata di chiamare la sicurezza, ma qualcosa negli occhi dorati di Michael gli suggerii che era meglio non farlo.
Poggiò le dita incerte sulla tastiera del computer che aveva davanti e pochi istanti dopo riferì a Michael il numero della stanza che cercava.
Di nuovo, Michael, riprese a correre, salendo la rampa di scale che lo avrebbero portato al secondo piano della clinica, non aveva tempo di aspettare gli ascensori, troppa ansia, troppa fretta, troppa anche la voglia di rivedere gli occhi azzurri di Raphael.
Corse per i corridoi mentre alcune persone gli urlavano dietro che era vietato correre tanto in una clinica, che avrebbe dovuto fare più attenzione, ma lui non le ascoltava, l'unica cosa che sentiva era il battito impazzito del suo cuore.
Arrivato davanti alla camera, la porta aperta, vide Raphael seduto su un lettino bianco, così come lo era il resto della camera, bianca, così impersonale, così diversa da come era il suo amore.
Accanto al lettino, un medico che stava pettinando i capelli biondi di Raphael.
Entrò e l'uomo si voltò a guardarlo, sorridendogli cordiale.

"Salve, lei è un parente del dottor Jeevas?"

Michael non rispose, troppo concentrato ad osservare il profilo di Raphael che non si era mai voltato.
Sembrava così....strano.

"I-io sono..."

Cos'era lui?
Non era di certo un parente, cosa lo legava a Raphael?
L'amore, ovvio, ma non bastava, se tutti quelli che si erano innamorati di Raphael fossero lì, quella stanza sarebbe stracolma di persone.
Ma il medico sembrò non badare molto alla sua risposta, continuava a spazzolare i capelli di Raphael tranquillamente.

"Si accomodi, sono sicuro che il dottor Jeevas sarà felice di vederla"

Con passo incerto Michael entrò nella stanza, non sapeva cosa dire, non sapeva come comportarsi, non sapeva nemmeno se Raphael ce lo voleva lì.

"Raphael..."

La voce roca, incrinata, affannosa, mentre si avvicinava ancora un pò al lettino, sperando che Raphael si voltasse e gli sorridesse.

"Prenda pure una sedia e si accomodi"

Il medico poggiò la spazzola su un comodino, afferrando una cartellina, sfilando una penna dal taschino del camice, per iniziare a scrivere qualcosa.

"Mi dia solo cinque minuti e la lascio solo con il paziente"

Michael iniziava a sentirsi confuso, perchè Raphael non diceva nulla, perchè non si voltava, perchè non si muoveva?
Gli si avviciò, chiamandolo ancora, allungando una mano per poterlo toccare, per poter stringere una delle sue, ma la ritrasse, di scatto, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Raphael.

"No..."

Fu un "no" straziato, partitogli dallo stomaco, fermatosi in gola.
Gli occhi della sua puttana erano vacui, vuoti, fissavano un punto impreciso davanti a lui senza guardarlo realmente, era come se Raphael fosse assente.

"Lei....non sapeva delle condizioni del dottor Jeevas?"

Il medico lo guardò un pò stupito, credeva che Michael fosse al corrente della situazione, ma dalla sua espressione sconvolta sembrava proprio di no.
Come medico non avrebbe dovuto parlare a quello che sembrava un estraneo delle condizioni di un suo paziente, ma Michael era totalmente sconvolto, gli occhi ricolmi di lacrime e il dolore e la paura gli stavano deformando il viso in un'espressione straziante.

"Si segga, le spiegherò tutto"

Michael annuì, aveva la gola troppo secca per riuscire a pronunciare anche una sola parola.
Afferrò una sedia, allungando semplicemente un braccio, e l'avvicinò al lettino, sedendovicisi, senza mai distogliere lo sgaurdo da Rapahel.

"Quando il dottor Jeevad è arrivato, eravamo tutti stupitissimi. E' sempre stato un modello per noi, una sorta di traguardo da raggiungere per tutti i medici.
C'è stato anche qualcuno che ha cercato di dissuaderlo, ma lui era convinto di ciò che stava facendo"

L'uomo prese un respiro profondo, passandosi una mano tra i bruni capelli prima di continuare, anche lui sembrava affranto dalla situazione.

"Sono stato proprio io ad accompagnarlo in questa stanza, ho dato tutte le disposizione agli infermieri ed ho cercato di spiegare al dottor Jeevas il trattamento e le cure che avrebbe ricevuto, ma lui semplicemente annuiva. L'ho lasciato solo per pochi minuti, il tempo che si spogliasse dei vestiti per indossare il camice che diamo a tutti i pazienti e quando sono rientrato lui era seduto sul lettino, nella stessa identica posizione di adesso, ed il suo sguardo era già spento e privo di vita. Credo che quando sia arrivato qui, sapeva già come sarebbe finita, penso che sia stato lui stesso ad indursi a cadere in questo stato."

Michael scosse la testa, incapace di accettare tutto quello, incapace di credere alle parole di quell'uomo.
Non poteva essere vero, quello lì seduto non poteva essere il suo Raphael, eppure era così, era lui, un vegetale seduto su un lettino in una clinica per malati mentali.

"Perchè? Perchè non reagisce? Perchè non fate niente per riportarlo indietro?"

Quelli dovevano per forza essere degli incompetenti, altrimenti avrebbero già trovato una soluzione al problema.

"Non sappiamo perchè sia caduto in questo stato, non abbiamo avuto il tempo di porgli delle domande, ma sappiamo che se non reagisce è perchè NON vuole reagire. Ci abbiamo provato in tutti i modi, mi creda, ma il dottor Jeevas si ostina a rimanere rinchiuso nel mondo che lui stesso si è creato"

Sembrava quasi di essere in un incubo, anzi, Michael era convintissimo che fosse così, presto si sarebbe svegliato urlando e si sarebbe ritrovato nel suo letto, si, doveva essere così.
Poi sarebbe corso da Raphael e che lo volesse o no, avrebbero parlato.
Eppure...
Eppure sembrava tutto così reale, la mano di Raphael, che ora stava stringendo nella propria, era così calda e morbida, la sua pelle liscia proprio come se la ricordava.
No, quello non era un incubo, era reale.

"Vi prego..."

Si voltò verso l'inserviente, uno scatto veloce del viso, le vene del collo a gonfiarsi per lo sforzo dei muscoli.

"Vi prego, riportatelo da me...pagherò qualunque cifra, farò qualunque cosa, ma ridatemi Raphael"

L'uomo sembrò colpito dalle parole di Michael e gli sorrise con compassione e tristezza, avrebbe voluto dare una speranza a quel ragazzo ma sapeva di non poterlo fare, semplicemente perchè non ce n'erano, nemmeno di vane.

"Mi dispiace, ma non possiamo fare più di quanto abbiamo fatto fin'ora. Le abbiamo provate tutte, dal mettergli in mano un bisturi alle terapie elettroconvulsivanti, ma il dottor Jeevas non risponde. L'unica...."

Il medico sembrò tentennare, forse incerto se rivelare o non quella cosa a Michael, che ricambiò il suo sguardo con uno disperato.

"Continui..."

"L'unica cosa a cui ha reagito, anche se solo minimamente, è un nome"

Adesso l'espressione di Michael era confusa, non capiva cosa intendesse il medico, ma qualunque cosa fosse, se aveva fatto reagire Raphael, allora perchè non stavano provando e riprovando?

"Vede, qualche settimana fa, ero qui per i soliti controlli, quando un mio collega chiamò un inserviente poco distante da questa camera. A quel nome il dottor Jeevas sembra reagire"

"Che..."

Michael era ancora confuso, ma una piccola speranza si era accesa nel suo cuore e la stava alimentando con tutte le sue forze, non gli interessava soffrire o rimanere deluso, non poteva arrendersi, non poteva abbandonare Raphael, non di nuovo.

"Che nome? Qual è stata la reazione di Raphael?"

Era impaziente, voleva sapere come aiutare il suo amore, non poteva starsene lì con le mani in mano, non avrebbe retto, in qualche modo doveva scaricare la paura e il dolore.

"L'inserviente si chiamava Michael"

Il medico si voltò a guardare Rapahael che nel momento in cui l'uomo aveva pronuciato quel nome, sorrise.
Non un sorriso raggiante, non un sorriso palese, qualcosa di appena accennato, qualcosa di triste quasi, ma le labbra gli si tirarono per qualche secondo, prima di riassumere la solita inespressività.
Anche Michael riuscì a scorgere quel sorriso e fu come se il mondo gli fosse crollato addosso, consapevole sempre di più di essere la causa dello stato in cui versava Raphael.
Lente e calde lacrime gli rigarono gli occhi, non copiose, ma poche, perchè il suo orgoglio gli impediva di esporsi troppo davanti ad estranei, ma il dolore lo sentiva tutto e forte, pulsare nel petto, come se si fosse aperta una voragine e i margini bruciassero, impossibilitati a richiudersi.

I giorni passavano così, con Rapahel seduto su quel lettino, lo sguardo assente puntato fuori dalla finestra e Michael accanto a lui, che gli sussurrava parole di scuse, parole d'amore, a volte anche di rabbia, perchè lui non reagiva, non reagiva!
A volte stava lì, ore ed ore, con la testa poggiata sulle gambe del chirurgo, ad osservare il suo viso che, anche se privo di espressività, era sempre bellissimo, pronunciando ogni tanto il suo nome per veder spuntare quel tenue sorriso.
Poi capitavano giorni in cui anche Kyoya andava a trovare Raphael, solo per poco, lasciando che l'amore che provava per lui, scemase e si consumasse a poco a poco nel petto.
Giorni vuoti, in cui la vita, il tempo, sembrava essersi fermato, scandito solo dai segni che lasciava sul viso e sul corpo delle persone.
Sessant'anni, passati così, lentamente, con il susseguirsi dei giorni sempre uguali.
Poche cose erano cambiate, poche, ma forse fondamentali, Kyoya aveva trovato un compagno e Michael sembrava aver riacquistato un po' di serenità, grazie anche all'aiuto di Miky, o forse si era solo rassegnato.
Poche cose erano cambiate, ma non per Raphael, che se ne stava sempre fermo lì, in quel letto, come se non ci fosse realmente, il viso ormai segnato dalle rughe, la pelle decadente, segno della vecchiaia, i capelli non più biondissimi ma grigi.
Solo i suoi occhi era rimasti gli stessi di sempre, vuoti, ma bellissimi, di quel blu che era stato capace di far innamorare chiunque.
Sessant'anni, una vita intera, non vissuta, adesso ne aveva ottantasette, a sentir Michael novanta e se Raphael avesse potuto, gli avrebbe risposto che lui era un bellissimo uomo di ottantasette anni e non di novanta!
Ma non poteva.

Era inverno, il cielo era grigio, cupo, era pomeriggio, ma sembrava fosse piena notte.
Michael, come suo solito, si era recato in clinica per portare dei fiori a Raphael, per poterlo salutare, per potersi scusare ancora una volta, la miliardesima volta.
Con l'ascensore raggiunse il secondo piano, ormai non ce la faceva più a salire le scale da un bel pezzo e poi anche la fretta e l'angoscia erano sparite, anche se non la voglia di rivederlo.
Raggiunse lentamente la camera, camminando dritto e fiero per i corridoi, non mostrando nemmeno per un istante gli accacchi della vecchiaia che segnavano il suo corpo.
Ma quando fu arrivato, trovo la stanza vuota, il letto rifatto, silenziosa come sempre, le poche cose di Raphael scomparse, portate via, e capì.
Capì e pianse, ora meno restio a mostrarsi debole.
Pianse, le spalle che si muovevano quasi convulse per i singhiozzi, per il pianto sommesso seppur violento, a cui si era lasciato andare.
E lo fece per ore, seduto sulla sedia, accanto a quel lettino vuoto, osservandone le bianche lenzuole, come se lui fosse ancora lì, come se il suo amore fosse ancora seduto lì e potesse sorridergli sentendo pronunciare il proprio nome.
Pianse per ore, ma con un leggero sorriso ad incurvargli le labbra, perchè una sera d'inverno, ad ottantasette anni, Raphael Jeevas si era spento, aveva chiuso i suoi bellissimi ed inespressivi occhi per sempre.
Ma lui sperava, anzi sapeva, che nel posto in cui li avrebbe riaperti, quegli occhi potessero tornare a splendere come e più di prima, magari osservando il Michael che lui aveva creato e rinchiuso nella sua mente per tutti quegli anni.

  
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