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Autore: Vì Cullen    17/08/2010    3 recensioni
-Bella, ti prego-, ci riprovò con sguardo implorante.
-Edward, basta-, sussurrai senza staccare gli occhi dal pavimento.
Il silenzio regnò per qualche istante.
-Lo sapevo-, dissi lentamente, -sono sempre stata come tutte le altre per te-
Se fossi stata umana probabilmente avrei avuto gli occhi rossi dalle troppe lacrime che ne uscivano.
-Bella...-, cominciò, ma lo interruppi.
-Non serve che ti scusi, ho capito-, mormorai con un sorriso.
Dovevo lasciarlo andare...
All'improvviso si mise ad urlare.
-Grissino, Bella, mi lasci parlare?! Per me sei importante, non vedo altre che te dal primo momento in cui sei entrata in mensa, il mio primo giorno qui! E mi fa letteralmente impazzire-, continuò ansante, -che tu sia sinceramente convinta che io non ti voglia-
-E allora dimostramelo!-, gridai anch'io con voce spezzata.
-Come?! Mi sono praticamente dichiarato qui davanti a te!-
Le mie riflessioni durarono l'esatto tempo di un battito del suo dolce cuore.
-Baciami, Edward-
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Ciao a tutte!! Questa è la prima ff che posto qui, spero davvero che vi incuriosisca! Il primo capitolo è una specie di presentazione del protagonista!

Spero che vi piaccia!! Un bacio, Ve

CAPITOLO 1

Odiavo già quel posto. Non ce la facevo, sul serio. Un altro giorno lì dentro e sarei impazzito.

La quarta casa in cui ero stato sbattuto, a Los Angeles, era grande, certo. Era bella, certo. Ma si soffocava. Ci viveva una coppia, e fin qui niente da ridire, ma se la coppia in questione ha sei figli dopo un po’ si comincia a soffocare. Nessuno, in quella casa, si era curato di presentarmi, o almeno di cercare di parlare un po’ con me, di chiedermi come stavo, se mi trovavo bene.

Da due anni i miei genitori erano morti, in un incidente d’auto, a Chicago. Da quel giorno cominciai ad odiare quella città, la quale era per di più quella in cui ero nato. Eravamo una famiglia semplice, molto tranquilla, e mio padre, Edward, era la persona migliore del mondo. Avevo ereditato il nome da lui. Mia madre Elizabeth, era un’ altra delle persone migliori che avevo mai conosciuto, sempre gentile, altruista.

La loro scomparsa mi aveva distrutto. Ero stato sbattuto in orfanotrofio, e quelli erano stati i mesi più brutti della mia esistenza, chiuso tra quei muri grigi, quella puzza di chiuso. Dopo circa cinque mesi, in cui mi ero chiuso in me stesso, diventando solitario e silenzioso, una coppia si era interessata a me. Dopo una settimana, non mi vollero più. Ero troppo chiuso, dicevano. Poi mi aveva adottato una famiglia di New York. Una di Atlanta. Poi a Detroit. A Dallas. A Phoenix. E infine qui, a Los Angeles. Beh, almeno avevo girato un po’…

Non ricordavo l’ultima volta che avevo sorriso… forse sei mesi prima, quando la piccola della famiglia del momento aveva vomitato sui miei pantaloni. Avevo sorriso, ma solo per tranquillizzare la madre, che non smetteva di chiedermi scusa. Nessuno aveva mai cercato un legame con me, né io ne avevo dato l’impressione.

E ora me ne andavo di nuovo, in una città sperduta, nello Stato di Washington. Avevo cercato su Internet; era la città col più alto tasso di piovosità di tutta l’America, ma il freddo non mi dispiaceva poi tanto. Forks. Andavo da una coppia, marito e moglie, ma non ricordavo i loro nomi, perché erano molto strani. Stavo facendo la valigia, per l’ennesima volta, ma ormai c’ero abituato.

Bussarono alla porta.

-Edward?-, chiese una voce da dietro la porta. Non avevo idea di chi fosse, non avevo parlato che con i genitori, ma le loro voci erano sbiadite nei miei pensieri.

-Sì?-, ecco, quelle erano le prime parole che pronunciavo da settimane.

-E’ arrivato il taxi. Ti porterà in aeroporto- disse la voce. Un secondo dopo sentii dei passi allontanarsi.

Chiusi la valigia, presi l’unico ricordo che restava dei miei genitori, una foto stropicciata con noi tre insieme, sorridenti, felici. Com’era prevedibile, inciampai mentre aprivo la porta, ma non ci feci caso, ormai inciampavo continuamente. Lanciai un ultimo sguardo a quella che era stata la mia stanza, e uscii, ancora una volta diretto verso un ignoto del quale non mi importava.

  
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