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Autore: mise_keith    17/10/2005    5 recensioni
FanFiction ispirata alla leggenda di Danae, fanciulla greca murata viva dal padre e fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, secondo molti divenuta simbolo della volubilità e voluttà della donna. Cosa succederebbe se sogni ed illusioni dovessero scontrarsi con la dura realtà? Racconto di una battaglia per la vita e per la comprensione, senza bene, male, giusto o sbagliato, ma solo l’ineluttabilità delle proprie scelte.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VIINon-ritorno

 

Era stanca, affaticata. Sentiva i polmoni come tranciati a metà, il respiro corto, l’aria troppo pesante per essere digerita. E un peso, quel peso sullo stomaco.

Forse non aveva ancora corso abbastanza.

Forse non c’era distanza che avrebbe potuto mettere fra sé e fra chi la inseguiva. Cosa la inseguiva. Cosa?!

Non sapeva. Non voleva sapere. Troppo, troppo dolore. Ancora quel peso sul suo stomaco, eppure forse era proprio ciò da cui fuggiva. Troppe lacrime dietro agli occhi, sulle guance, sul collo, sul cuore.

Sentì due dita sopra al suo mento, che le alzavano il viso da terra. Un tocco leggero sotto alle palpebre chiuse. Fiato sopra ai suoi occhi. Caldo e dolce, in quella notte fredda, immensa.

Chissà che quello sguardo plumbeo non illuminasse la strada buia, in quel momento.

Ma quando tese le mani e riaprì gli occhi non c’era niente. O meglio, il buio c’era ancora. E c’era anche un respiro, corto ed incostante, al suo fianco.

Qualcun altro stava facendo dei sogni agitati, quella notte. Dubitava però, che ci fossero occhi grigi a disposizione per tutti.

Abbozzò un sorriso alla fitta oscurità, si avvolse stretta fra le lenzuola, si asciugò le lacrime col palmo della mano. E si morse le labbra.

Forse era fuggita abbastanza, Weasley.

Sentì un flebile lamento provenire dal suo fianco. Una gamba sfiorare la sua. La nuca di un estraneo agitarsi contro il cuscino.

Il suo estraneo quotidiano.

Si avvicinò al viso dell’uomo, tentando di ricordarne i lineamenti e confrontandoli con l’ombra che ne rivelava l’oscurità. Accostò la mano alla guancia, lasciò che il suo dito indice disegnasse il suo profilo.

Fronte, naso, labbra, spesse e rosee; le ricordava sulla sua pelle. Qualche screziatura luminosa fra i capelli chiari.

Spostò il suo bacino contro il fianco dell’uomo. Si strinse nelle lenzuola, i gomiti a contatto con la pelle dell’altro. Una sagoma nera sull’avambraccio.

Un sospiro.

Chissà di che colore sono i suoi occhi...

 

Inebriante. Odore di luoghi lontani e di casa. Casa. Odore di ricordi.

Cominciò a bere il suo the, con il giornale davanti, la mente altrove, scomparsa, come i pensieri.

Nient’altro che quello: liquido, caldo, fiotti di rassicurazione dalla gola a tutto il corpo. Serenità, o molto più probabilmente l’assenza di questa. Assenza di sentimento, che bussava fuori dalle finestre, fuori dalla sua mente pulsante ma distaccata.

Niente rimpianti, oggi, lo prometto.

Solo calore, silenzio, carezze lontane. Fiato sul viso. Occhi dentro agli occhi. Mani sul cuore.

E parole taglienti.

Assolutamente no. Tutto ciò non tocca e non fa male. Come può? Un mangiamorte? Un Malfoy? Un... Draco? No. Certo che no. Probabilmente. Forse. Non saprei. Sì.

Grazie, cara. L’ho già detto. Niente lacrime, oggi. Se ciò può servire, anche se non vedo come,continuerò a sognarlo, perché mi fa bene, continuerò a vederlo al mio fianco che sorride e beve il the, liscio, niente zucchero, limone o latte. Harry, forse. Però ha gli occhi grigi e turbinosi. E fa male.

E allora forse non dovrei.

Ma non c’è altro.

Spalancò gli occhi. Le si bloccò il respiro. Rischiò di soffocare, un sorso un po’ distratto, un pensiero che l’aveva svegliata e stupita come una doccia fredda e improvvisa. Gelo, ma chiarezza. Sentiva la testa girarle quando posò la tazzina e si alzò, afferrando il mantello gettato con noncuranza sulla spalliera della sedia. C’era troppa nebbia intorno. Rumori, assordanti, insistenti, pressanti. Come alti fischi da dentro qualche angolo della sua mente.

E poi il buio. Un buio fermo e immobile. Ne ebbe paura, ma almeno c’era silenzio. Però...

Aveva chiuso gli occhi, di questo ne era sicura. E la testa aveva ripreso a dolerle, più di prima. Brusio, di nuovo. Ronzante.

Aveva chiuso gli occhi. E li riaprì. E come avrebbe dovuto aspettarsi (Teorema già sperimentato, del resto, si disse), c’era qualcosa a poca distanza dal suo viso.

Si lasciò scappare qualcosa a metà fra lo stupito ed il rassegnato.

Lo sapeva. Non poteva dire di non averlo sempre saputo. Che ciò che aspettava, da cui era più spaventata, che tanto desiderava, sarebbe accaduto, prima o poi.

La vita è prevedibile, quando non c’è da scegliere.

-         Stai bene? – conosceva quella voce. Morbida, aperta, alta. Verde. Come i bagliori danzanti dietro alle lenti.

-         Harry. – mormorò solamente, con un profondo respiro.

 

Di nuovo quella sedia e quell’angolo. Niente the caldo, tra le mani. Vetro, trasparente, come l’acqua dentro. Fredda, come quel turbine ignoto che spadroneggiava nello stomaco. Come lo strano, galleggiante silenzio.

Harry tentò di sorridere. Aveva una mano poggiata sul mento, si tirava e torturava la pelle sull’osso. Gli riuscì solo di storcere gli angoli della bocca. Un che di grottesco, in mezzo a tutto quel gelo. Dentro. Fuori. Di lei.

-         Allora?

-         Mm? – inflessione leggermente interrogativa. Occhi sui suoi. Vi leggeva un certo imbarazzo, mentre lui accavallava le gambe con un gesto un po’ nervoso.

-         Va meglio?

-         Sì. Credo di sì. – laconica. Una certa angoscia traspariva dalla sua voce. Se ne rese conto. Si passò inconsciamente una mano sulle labbra.

Lui tentava di apparire rilassato. Non lo era. Si appiattì più volte i capelli sulla fronte. Sembrava facesse un grande sforzo per riflettere su cosa dire.

-         Stai tentando di fare conversazione?

A lui scappò una smorfia.

-         Beh... sto tentando di incominciare da qualche parte. – poggiò i gomiti sul tavolo, in quello che probabilmente voleva sembrare un fare deciso. La tazza davanti a lui vibrò scampanellando contro il piattino, lasciandosi sfuggire qualche goccia di caffè. Su porcellana bianca. Rivoli scuri. Inchiostro su carta. Ripensò a tutti i Caro Harry che l’altro non aveva mai letto. Ma che adesso anche lei ricordava appena, qualcosa che fu. Non le sarebbero serviti. Non le erano serviti. Lui era lì, ma la sua assenza le pesava ancora.

Si portò una mano al petto, ed aggrottò le sopracciglia.

-         Incominciare cosa? – un moto d’impazienza.

Harry la guardò di sottecchi, mentre giocherellava col cucchiaino, dopo aver zuccherato la bevanda calda. Zucchero. Caffè. Dolciastro. C’era chi non aveva sofferto né  imparato a convivere con l’insipido, allora.

-         Ginny... – gli sfuggì un sospiro. Lei strinse le labbra, abbassò lo sguardo, prossima alle lacrime.

L’avrebbe abbracciato. Le era mancato (le mancava ancora). Lui, Harry. Tutto ciò che avesse mai avuto. Tutto ciò che non avesse mai avuto. Tutto ciò che l’aveva spinta ad andarsene e che le aveva insidiato l’amaro desiderio di tornare indietro, verso quello di cui si diceva aveva già avuto abbastanza, senza fare i conti con il moto perpetuo delle abitudini che torna, sempre, sotto forma di rimorso. Ma ora lo odiava. Eppure era tutto come prima. Perché non c’era nulla da dirsi, nulla era cambiato. Era cambiato qualcuno. Non lui. Nemmeno il suo amore verso ciò che lui era stato.

Era stato.

-         Questi anni, Ginny. Io... mi sono... dovuto allontanare, lo sai, affari dell’Ordine. Tu... perché l’hai fatto? Tua madre...

-         Hai rivisto mia madre? – deglutì. Inspirò. Avvertì qualcosa risalirle su per la trachea, spingere sin da sotto al diaframma. 

Si torse le mani. Non aveva intenzione di mostrarsi debole davanti a lui. Non di nuovo.

-         Sì. Silente. Mi ha detto di tornare, di andare da vo... loro. – Ginny rimase impassibile, gli occhi ambrati come pesanti e truci pugnali conficcati sul suo viso. Harry avrebbe voluto distoglierne lo sguardo: lei lo avvertì. Ma sentiva anche che non ne era capace.

Egli prese un respiro profondo, socchiudendo per un attimo gli occhi, spostandosi indietro gli occhiali in un gesto meccanico. Tentò di continuare.

-         Ginny... Credi che sia stato facile per me? Trovare quella che per me era come una famiglia, distrutta? E tu? Scomparsa? Non sai che dolore hai dato a Molly, io...

-         Perché te ne sei andato? – quelle poche aspre parole le sgusciarono fuori dalle labbra prima che potesse accorgersene. Non rimpianse di non averle fermate quando lo vide trasalire.

-         Io... lo sai... te l’ho detto... la missione...

Acuta e bassa come un sibilo, una risata s’insinuò rapida fra tutti i pensieri che lottavano cercando sfogo fuori dalla sua bocca. Poteva percepire la tensione dell’altro salire.

-         Bravo, ma bravo. Di certo il tempo per trovarti un alibi non ti è mancato. – lui abbassò lo sguardo, e il cuore della ragazza ricevette una stretta più forte mentre tutte le sue supposizioni si rivelavano vere – Chissà sei hai sedotto e abbandonato anche Silente per convincerlo ad assegnarti questa fantomatica, oscura e soprattutto lontana missione. Il suo povero e anziano cuore non avrà retto per il dolore. – incrociò le braccia sul petto, mentre qualcosa saettava sul viso di lui, un lampo rosso, d’irritazione forse, di vergogna.

-         Silente non è argomento su cui scherzare adesso, sta molto male, e...

-         Oh, sì, certo. Il nostro Silente. Come faremmo senza di lui? Lui ti capisce, vero, Harry? Povero ragazzo incompreso, che agisce per il bene del mondo? È sempre stato lui a giustificarti e portarti via dai guai, nevvero? E così tu con tanta abnegazione vai e ti sacrifichi per tutti in pericolose missioni. E quindi, tornato, vedi il tuo piccolo universo perfetto andato in pezzi, ti guardi intorno, ed è tutta colpa degli altri. Come sempre. Perché non ti passa mai per la testa, né per il cuore, né per lo stomaco, perché forse quella è la parte più sensibile che possiedi, che sia tutta, solo ed esclusivamente colpa-tua!

Non stava gridando, ma era come se lo stesse facendo. Vide Harry spostarsi indietro sulla sedia, inconsciamente, sconvolto da quel sibilo basso e penetrante, attraverso gli occhi socchiusi che ribollivano di rabbia. Il veleno pungente della voce di lei affondato sotto alla sua pelle. Lui aveva stretto i denti senza accorgersene. Non riusciva ad abbassare lo sguardo, per trovare conforto sul pavimento di cotto, calmo, rassicurante, ordinato.

Ginny scuoté la testa lasciando la lunga chioma ondeggiarle dietro alle spalle in suggestive onde scarlatte, furiose, sanguigne.

-         Ma... – provò a ribattere.

-         Sì? – Harry rabbrividì a quella s strascicata e furiosa – Sì? Continua. Non ti stai tormentando? Non è da quando mi hai vista svenuta sul pavimento che la domanda ricorre ansiosa e pressante ad intervalli, nella tua testa? Chiedimelo, Harry. Chiedimi dove sono finita, e cos’è che mi rende tanto frustrata da aggredire te dopo tanto tempo, dopo che avevi progettato un ritorno in grande stile, indifferente, distante, freddo, dopo quello che mi hai già fatto. Avevi immaginato tutto, io che ti sarei saltata al collo, magari, e tu che mi avresti scostata con le tue belle parole pompose e ridondanti perché avevi cose più importanti da fare. Non è vero?

Lui avvampò, si mosse leggermente in avanti, poggiando gli avambracci sulla tavola, gli occhi verdi prima smarriti ora animati da un barlume di indignazione.

-         Credo che ora tu stia esager...

-         No, Harry. Non esagero affatto. – Ginny ansimava, adesso – Non esagero affatto. – scandì ogni parola, sottolineandole con respiri corti e affannati.

Si alzò in piedi, china sul tavolo, e afferrò repentinamente un polso dell’uomo davanti a lei, avvicinandosi al suo volto, portandosi a pochi centimetri dal suo viso. Un fremito le attraversò la schiena e si accorse che era disgusto. Si ritrasse, sbattendo veloce le ciglia, una smorfia involontaria sulle labbra vermiglie.

-         Ma credo che tu possa renderti utile per la prima e ultima volta.

Qualche gocciolina di sudore scese dalla tempia alle guance dell’altro, mentre lei si alzava ed il suo mantello, di nuovo sulle sue spalle, gli frusciava accanto.

-         Puoi riferire a mia madre che non è colpa sua, se sono andata via. Ho avuto tempo per rifletterci. – gli occhi di Ginny saettarono – Il mio punto di rottura sei stato tu. Ed è colpa tua se adesso tutto ciò che sua figlia può fare è la puttana.

Non vide l’espressione di Harry quando uscì fuori, calma, con passo controllato. Sperò di non vedere neanche la propria, non era sicura di quello che avrebbe potuto trovarvi.

Si passò una mano sulle labbra e spalancò gli occhi quando si rese conto di quale fosse l’ultima parola che avesse pronunciato. Sospirò.

Sentì la porta sbattere dietro di lei, e si voltò di scatto. Non avrebbe osato seguirla. All’improvviso si sentì un po’ stretta nel cortiletto del retro del locale, compressa tra quelle quattro mura e le pattumiere davanti a lei. Ma la figura alta ed incappucciata lì davanti non era Harry, non era Harry che batté la bacchetta su un mattone alla sua altezza, e la precedette nel varco verso il centro vibrante del mondo magico.

Non erano di Harry gli occhi grigi che lampeggiarono un attimo sul viso pallido, incorniciati di capelli biondi, troppo pieni di parole per quel silenzio.

-         È già un passo avanti ammetterlo, Ginevra. – un sorriso quasi ghigno, ma, capì per la prima volta, sincero come pochi altri avesse mai ricevuto.

Decisamente non era Harry l’ombra che scomparì senza un rumore tra la gente nella strada affollata.

 

 

Eccomi di nuovo qui, in una breve pausa dai miei pressanti impegni esterni, per tentare di soddisfare le mie care pulsioni interiori. Penultima puntata! Una delle più soddisfacenti, più che altro per i numerosi sassolini che ho potuto togliermi dalle scarpe (sospiri di sollievo ad intermittenza tra una parola e l’altra. Che bello essere quasi soddisfatti dei propri lavori).

Ok, la smetto con le mie tiritere prolisse ed insopportate, anche perché il mio tempo è davvero poco, ed è giusto lasciare spazio alle risposte. Ma prima di tutto, devo congratularmi con voi per aver indovinato, anche se l’avevo detto che era facile! Ebbè...

Thilwen: Wow, grazie tesoro, i tuoi commenti sono sempre più commoventi (sarà l’avvicinarsi della fine), nonostante i Wordsworth che pendono come spade di Damocle sulla tua testa... Ebbene sì, lo scorso capitolo, con quarto e ottavo è uno dei più belli, ma non c’è bisogno di ricordarmi che avrei dovuto imporre a Draco di comparire più spesso... anche se a me la diluizione non piace mai, non per niente la mia media è di fanfic di due pagine. Sì, e fortunatamente nessuna delle mie lettrici è tanto crudele da impormi qualcosa del genere... M’invidio da sola...

Izumi: Non ti preoccupare, ma stavolta dovrai essere tu a perdonarmi per la brevità della risposta... Bravissima ancora per aver indovinato... Sono sempre più contenta del tuo giudizio su Draco, che personalmente adoro (come già ben sai, e suppongo si noti anche da tutto ciò che gli metto in bocca...). Grazie anche per il solo fatto di perdere tempo con me, e non preoccuparti. Il prossimo è l’ultimo capitolo comunque... badate che però non vi lascerò per così poco!

Briseide: E qui devo lasciarmi qualche secondo per sopprimere un rossore spontaneo. Avrei bisogno di ancora un po’ tempo per digerire tutti questi complimenti, ma mi sa che dovrò farmi bastare quello che ho... Grazie grazie grazie, suppongo sia superfluo nonché banale ripetere quanto sia lusingata, ma non posso fare altrimenti. Spero di riuscire trattenerti almeno fino al prossimo capitolo, allora. Un bacio, e grazie ancora.

Helen Lance: E grazie anche a te! Su, che ho praticamente finito...

  
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