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Autore: PaleMagnolia    27/08/2010    3 recensioni
Credere di essere migliori degli altri è un potente catalizzatore di eventi. E frequentare le persone sbagliate può condurre a scelte pericolose."[...]“Con questo, naturalmente, non voglio dire che non debbano avere le stesse opportunità di istruzione di tutti gli altri”, stava dicendo lei. “Però non si può nemmeno negare che le classi con un’alta percentuale di nati Babbani siano parecchio indietro col programma. Insomma, come si può parlare di Cura delle Creature Magiche, quando metà della classe non è nemmeno sicura che le creature magiche *esistano davvero*?”...".
Cosa possono condurti a fare le cattive compagnie lo sa fin troppo bene Severus Snape, che vive tormentato dai rimorsi per le sue azioni. Non lo sa altrettanto bene Altea Von Wasser, la cui giovane, suggestionabile mente sarà profondamente condizionata dall'incontro con uno studente dagli occhi neri... E quando quel ragazzo emaciato le ricomparirà davanti qualche anno dopo, adulto e perseguitato dai ricordi, nei panni austeri dell'insegnante di Pozioni...
PS: sto cercando di mantenere Snape IC. E' un tentativo disperato e uno sforzo quasi disumano (per una Snapeaholic come me), ma ci sto provando. Apprezzate l'impegno :)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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“Al diavolo

“Al diavolo!”, sibilò con rabbia infantile, gli occhi di nuovo pieni di lacrime di frustrazione; afferrò la bacchetta, la puntò a caso verso una mensola e soffiò un “Confringo!” che mandò sonoramente in pezzi un’ampolla polverosa.

“Uh, oh!” disse una voce bassa, di gola. Altea sussultò per la sorpresa, e per poco non gridò quando si rese conto che la voce apparteneva a qualcuno che lei ben conosceva: lo studente che aveva spiato sul prato fino a un attimo prima la fissava con un’espressione beffarda sul volto affilato.

“Non si danneggiano i materiali della scuola: non lo sai?”.

Girò lo sguardo sui frammenti della boccetta. “Reparo” mormorò distrattamente con la sua voce stranamente adulta, e l’ampolla si ricompose con un tintinnio delicato e si riposizionò sullo scaffale.

Altea provava un bizzarro miscuglio di sensazioni: da una parte, l’essere così vicino all’oggetto dei suoi pensieri, essere per la prima volta la destinataria delle sue parole e dei suoi sguardi la elettrizzava; dall’altra, il suo lato cinico e disincantato le ricordava che lei aveva undici anni e un viso scialbo e infantile, mentre la giovane che lui così palesemente desiderava era una donna fatta, dai capelli rosso granato e dalla risata argentina.

Lui si appoggiò col fianco contro una colonna e abbassò lo sguardo su di lei. Il viso stanco - mesto anche sotto l’aria di lieve derisione che le stava rivolgendo - dimostrava più dei suoi diciotto anni.

Altea notò che i polsini della sua camicia erano lisi; i pantaloni color antracite e la camicia bianca, che sembravano quasi troppo larghi sul suo corpo ossuto, gli erano però un po’ corti... come se fossero stati acquistati di proposito di una misura in più, ma poi non fossero mai stati cambiati.

La cravatta a righe verde e argento era allacciata a nodo stretto, e il colletto abbottonato fin sotto al mento gli dava un’aria seria, austera.

“Che ci fai qui, ragazzina?” le chiese con la sua strana voce profonda. “Non dovresti essere fuori a prendere un po’ di sole, invece di fare incantesimi che non conosci?”

Altea arrossì. “Non sono l’unica a cui farebbe bene un po’ di sole”, disse con voce agra, salvo pentirsene un attimo dopo. L’ultima cosa che voleva era essere scortese con l’uomo che le faceva tremare i polsi e accelerare il respiro, ma la sua ritrosia, in casi come quello, si trasformava in aggressività.

Il giovane dai capelli neri emise un singulto ilare. “Vero”, disse, poi, chissà perché, il breve sorriso che gli aveva attraversato il viso svanì. “Vero”, ripeté, con una punta di amarezza.

“In ogni caso”, riprese “Il confringo è un incantesimo pericoloso. Non so chi te l’abbia insegnato o dove diavolo tu l’abbia sentito, ma non è certo roba da primo anno. Sul serio, potresti fare del male a qualcuno... Per inciso,” la fissò. “per inciso, non hai risposto alla mia domanda: che stai facendo, qui? E poi, si può sapere chi sei? Di quale Casa fai parte?”

“Mi chiamo Altea Von Wasser, e come puoi vedere da te” Altea afferrò la propria cravatta e gliela sventolò davanti agli occhi con aria di sfida. “sono in Corvonero.”

La miglior difesa è l’attacco.

“Ah, sì. Corvonero”, riconobbe lui, in un tono che non era di ammirazione né disprezzo: piuttosto, di un garbato disinteresse. Altea si sentì oltraggiata: il senso di appartenenza alla propria Casa era forte in lei come in qualunque altro studente.

“E poi” riprese lei in tono polemico, con un rapido passaggio degli occhi pallidi sul suo mantello privo di distintivi “perchè mi fai il terzo grado? Non sei mica un Prefetto.”

Altea si rese conto a malapena di quanto fosse stata scortese: era così offesa, tremava di rabbia... rabbia che non era altro se non l’umiliazione di avere undici anni, di essere piccola e insignificante, e di essere appena stata rimproverata come una mocciosa dall’uomo per cui aveva una cotta disperata.

“Anzi, dimmi un po’: tu, che ci fai qui? Tu chi sei?”, gli ritorse contro.

“Ehi, ehi, a cuccia”, le rispose lui, con un ghigno divertito. “Forse saresti stata meglio a Serpeverde”, aggiunse. "Qualche volta penso che lo Smistamento avvenga troppo presto..."

Altea lo guardò e aggrottò le sopracciglia, confusa. Cosa...?

“Comunque”, sospirò lo studente, staccandosi dal muro. “Quel che è giusto, è giusto. Io, come forse anche tu, avevo bisogno di starmene un po’ per i fatti miei. E, visto che l’hai chiesto, il mio nome è Severus. Severus Snape.” Scrollò le spalle e guardò lontano con quei suoi strani occhi neri senza età. “Non un granché, come nome” disse piano, e forse ricordava una casetta squallida in un brutto quartiere, e un uomo che portava quello stesso cognome...

“Ti si addice”, mormorò Altea, senza riflettere.

Snape alzò lo sguardo, incuriosito. “... Come, prego?”

“Niente” ritrattò lei, in fretta. “Devo... mi sa che devo andare”, disse in un sussurro impacciato, e fece un passo verso la porta.

“Quanta fretta hai tutt’a un tratto, Altea Von Wasser.” Il giovane Snape aveva allungato il braccio di traverso alla porta, per bloccarle il passaggio; e anche se avrebbe potuto agevolmente passarci sotto – lui lo teneva abbastanza alto perché non fosse un vero impiccio - Altea si fermò e si girò a guardarlo di sottecchi. Sul suo viso, improvvisamente serio, non c’era derisione, e la guardava con espressione strana, un po’ triste.

“Che cosa vuoi? Devo andare, ho –  ho dei compiti da fare.”

“Resta un po’ qui, dai. Solo un minuto.” Snape tolse il braccio dal vano della porta e si appoggiò allo stipite. Chiuse gli occhi, e il suo petto scarno si sollevò in un sospiro.

“Raccontami qualcosa.”

Cosa? Ma... cosa dovrei raccontarti...? Non ti conosco nemmeno.” Altea era confusa, e al tempo stesso intrigata. Le sarebbe piaciuto restare lì, in quella stanza deserta e silenziosa, con quello strano ragazzo serio e la polvere che danzava nella luce fioca – fuori dal tempo, fuori dal mondo, solo loro due.

“Non lo so”, mormorò il giovane con voce lontana, assente, senza aprire gli occhi.

“Qualsiasi cosa. Ho solo bisogno che qualcuno stia a parlare con me per cinque minuti, d’accordo? Poi giuro che ti lascio in pace.”

“Ma... Non avevi detto che volevi startene per i fatti tuoi?”

Altea si morse la lingua. Non era quello che voleva dire. L’idea di sedersi per terra e parlare con quel ragazzo tanto più grande di lei con quella sua bizzarra voce da adulto e il volto segnato, che aveva tanto osservato da lontano... L’idea di stare lì a chiacchierare senza scopo per ore, in quella stanzetta polverosa, seduti l’uno di fronte all’altro come due pari, era una fantasticheria talmente attraente...

“Sì, lo so... lo so. Ma tu sei una strana ragazzina - mi ricordi un po’ me (e qui il cuore di Altea ebbe un buffo piccolo sobbalzo). E vorrei dimenticare solo per un attimo quello che mi tormenta sempre.”

Altea restò qualche attimo a guardarlo. Con gli occhi chiusi e quell’espressione tirata sul viso, sembrava ancora più slavato e smunto del solito: sentì d’improvviso un moto di tenerezza e comprensione verso di lui.

“Che cosa vuoi che ti racconti?”, chiese infine. “Le fiabe di Beda il Bardo?”, aggiunse con un sogghigno; ma non era per prenderlo in giro, quanto per farlo sorridere, e lui se ne accorse.

Snape infatti aprì gli occhi e fece un mezzo sorriso storto.

“Raccontami una storia divertente”, le chiese.

Altea alzò le spalle. “Ma non mi viene in mente nulla di divertente.”

“Una cosa qualsiasi.”

“Il Mago e il Pentolone Salterino? Baba Raba e il Ceppo Ghignante?”

“Raccontami di qualcosa che ti è successo quando eri piccola.”

Altea fece una smorfia. “Perchè?”

“La mia infanzia non è stata molto interessante. Mi piace sentir parlare di quelle degli altri: sembra che tutti, a parte me, abbiano fatto cose fantastiche, quando erano piccoli... Campionati di Quidditch, campeggio coi genitori... e feste, balli in quelle loro grandi case...” E qui Snape pensava di certo a Malfoy Manor “... i dispetti agli elfi domestici – io non ho mai avuto un elfo domestico -, e le gite a Diagon Alley, i gelati di Florian Fortebraccio...” Si interruppe.

“Neanche la mia infanzia è stata un granchè interessante.” Altea riflettè un attimo. “Ma ti posso raccontare della mia casa, se vuoi”, disse.

Snape aggrottò le folte sopracciglia nere: pensava all’appartamento malandato in Spinner’s End. “Sì,” disse lentamente. “Raccontami di casa tua.”

E Altea raccontò.

 

 

 


Nel caso ve lo steste chiedendo... Sì, so quanto surreale e poco probabile sia il dialogo in questo capitolo. Ma, insomma, non sono che due ragazzini, uno più asociale e disadattato dell'altro - Altea ha undici anni, perdiana! Non potete pretendere coerenza da lei! XD
  
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