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Autore: BigMistake    02/09/2010    3 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XX: Calad nimp.

Pochi giorni passarono tra l’arrivo di Tirinîr in Ithilien e la partenza per Gondor. Pochi giorni per permettere alle due coppie reggenti e la loro corte di prepararsi all’ennesimo viaggio, che fortunatamente prevedeva una durata assai breve. Le mura che delimitavano la protezione di Gondor lungo il confine dei campi del Pelennor erano state abbattute e ricostruite in punti diversi; dopo che il Flagello di Isildur e Sauron l’Ingannatore vennero distrutti, non vi era più bisogno di proteggere la Capitale dagl’attacchi provenienti dall’Ithilien e da Osgiliath, quindi l'intereo assetto strategico venne cambiato. Le due corti umana e elfica attraversarono una strada rialzata che li condusse ad una porta custodita tra torri merlate, una parte delle mura di Osgiliath che non subì alcuna variazione, dove li attendeva il fratello di Èowyn, Èomer sovrano delle terre del Mark e Signore dei Cavalli che, con la sua consorte, era stato convocato come rappresentanza di Rohan al cospetto del Re.

Tirinîr durante il viaggio rimase in disparte, per lo più ascoltando quello che veniva detto partecipando poco alle conversazioni. La notte stessa in cui il messaggero era giunto in Ithilien, ripartendo immediatamente per gli altri principati, un sogno aveva iniziato ad agitare il suo pensiero già tormentato da quell’improvvisa chiamata da parte del Re. Non era la sola ad essere angustiata. Molti interrogativi vorticavano nelle teste in parte preoccupate per quel gran raduno di re e sovrani: cosa stava spingendo Aragorn a richiedere con urgenza la presenza di tutti i principati e degli alleati di sempre? Se fosse stata una lieta novella la richiesta sarebbe stata accompagnata da una motivazione, eppure nessuno sembrava avere notizie più certe di altri.

Mentre attraversavano la città di Osgiliath Faramir si perse in racconti di gesta eroiche e di uomini che combatterono per proteggere il baluardo che rappresentava. Parlò di Boromir con affetto e nostalgia di quel giorno in cui si ritrovarono a festeggiare l’arresto dell’avanzata nemica con cuori colmi di speranza. Tirinîr era affascinata da questi uomini del Sud appartenenti ad una stirpe così nobile e pura, diversa dall’idea che aveva di coloro che conobbe nella sua vita alla Taur en Gwaith. Nel loro animo vi era posto per la pietà, la tristezza e l’amore.  Ammirava il coraggioso Sovraintendente e la sua saggezza, ammaliata da tutte le storie che aveva avuto occasione di ascoltare sempre più con attenzione. Ma con Èowyn, la Bianca Dama dell’Ithilien, era un rapporto completamente diverso a causa del loro piccolo scontro che aveva sortito degli effetti raggelanti.

Raramente si rivolgevano l’una all’altra e, ogni volta, si poteva respirare tra le due una sorta di brivido. Quello che provavano non era rabbia miei signori, anche se entrambe questo pensavano, né tantomeno odio. Loro avvertivano quello che si potrebbe paragonare alla paura, perché questo risvegliava la presenza reciproca. L’una con il desiderio di eterna pace, l’altra con la brama di gloria non del tutto sopita. In realtà Èowyn  avrebbe voluto approfondire il discorso con Tirinîr, ma ella era riuscita ad evitarla. Non vi era astio o voglia di erigere muri sfuggendole e negandosi, anche se poteva essere interpretato come tale. Era troppo presto per affrontare il passato quando, dalle ferite ancora aperte, il sangue non aveva cessato del tutto di sgorgare. Le rimaneva solo di attendere del tempo per poter lei stessa fare fronte a quello che l’aveva marchiata come fuoco sulla pelle. Quello di cui Tirinîr non si era ancora avveduta era di come il Fato solitamente non aveva riguardo sulla prontezza della sua vittima.

Di ciò se ne sarebbe accorta molto più tardi dato che, oltre ad evitare il confronto con Èowyn, doveva cercare di tenere a bada l’ossessiva apprensione di Legolas e di Anrond. Lo scudiero del Reame Boscoso era stato irremovibile, intestardendosi a seguirli anche in quella occasione. Poco importava che stesse meglio, al minimo accenno di malessere  i due accorrevano come se i corni di guerra riecheggiassero prima di una battaglia. Eppure Tirinîr non avvertì più i malori avuti durante il viaggio tra il Reame Boscoso e Regno degli uomini, almeno non nella stessa intensità.

“Qualcosa vi impensierisce Arweamin?” Anrond non si staccava dalla sua Signora, divenuto praticamente la sua ombra; ombra di un Ombra, un particolare gioco del Destino più beffardo della consuetudine. Tirinîr vagò sospirando con lo sguardo alla ricerca di Legolas. Era  con Faramir  e discorreva di chissà quale perplessità. Poco più addietro Éowyn si trovava in compagnia di Lothìriel, sua cognata, una docile donzella di poche parole e dalla bellezza imbarazzante. La pelle candida incorniciava tratti aguzzi ma femminili, labbra vellutate e occhi scuri inspessiti da folte ciglia. Erano abbastanza lontani e presi per non udire un’eventuale conversazione con il suo amico a cui voleva confidare ciò che nel profondo l’aveva turbata.

“Non so Anrond, da quando siamo partiti ho una strana sensazione …” disse in un sussurro. “È dal giorno in cui il Re ci ha mandato a chiamare che una persona mi viene a trovare in sogno …” lo sguardo di Anrond si fece più fitto cercando di ghermire ogni minima sfumatura di quella volontaria confidenza.

Man Arweamin? | Chi mia Signora? |”

“Non conosco il suo nome o il suo aspetto, ma ogni notte la trovo riflessa sul fondo di uno stagno, non capisco cosa voglia dirmi e né riesco a capire se la riconosco nel mio passato. Io cerco di distinguere i suoi lineamenti e le sue parole, ma quando provo ad avvicinarmi all’acqua mi trascina con sé e il sogno termina svegliandomi con la sensazione di stare per annegare … ” tremò, come se un freddo innaturale le percorresse il corpo. Per sconfiggerlo sollevò il cappuccio del suo manto di seta sulla testa.

Lo stalliere stava per ribattere, ma venne interrotto dallo scalpitio del cavallo di Re Èomer, affiancato ormai ai due. Rimirava Aratoamin intrigato dalla sua stazza. Non era sfuggito ai suoi occhi di esperto la somiglianza con la cavalleria Variag con cui aveva avuto a che fare durante la Guerra dell’Anello, ma poteva giurare che le sue dimensioni fossero addirittura più minute. Quella particolare razza di cavallo lo incuriosiva: al garrese era almeno di una spanna inferiore al suo, la lunghezza era più compatta ed anch’essa inferiore a qualsiasi atro equino, i suoi zoccoli erano più piccoli, gli appiombi sembravano però praticamente perfetti e ogni suo arto ben proporzionato. Sguardo vispo ed intelligente, in confronto al purosangue che montava poteva sembrare il suo puledro. 

 “Bella bestia!” esclamò d’un tratto verso il mezzelfo che placidamente cavalcava poco distante. “Ma quelle zampe sembrano piuttosto malferme!”

“Voi dite sire Èomer?” chiese Tirinîr, forse alla ricerca di un piccolo brivido privatole da qualche tempo.

“Le trovo un po’ troppo sottili e il suo aspetto sembra quasi gracile. Sicura che sia un cavallo?” la provocò apertamente con strafottenza. Tirinîr, che in alcuni momenti risentiva del fuoco orgoglioso che custodiva nel cuore, gli rivolse uno sguardo che valeva più di mille parole.

 “Non vedo cos’altro potrebbe essere …” rispose con stizza mentre il suo destriero sbuffava innervosito come se avesse percepito tale  affronto. “Non vi facevo persona che si lasciasse abbindolare dalle apparenze. Eppure avete assistito con i vostri occhi a come due piccoli Hobbit hanno salvato tutta la Terra di Mezzo …” tra i vari compagni che componevano il corteo iniziarono a muoversi bisbigli vedendo la concitazione degl’animi salire.

“Sicuramente mia Signora Tirinîr, ma non credo che in una corsa in velocità possano le loro gambe precedermi … ” affermò sicuro e con sufficienza.

“Quindi pensate che Aratoamin non possa battere il vostro …”

“Zoccofuoco, il suo nome è Zoccofuoco!” disse con orgoglio carezzando il manto bruno sui muscoli febbricitanti del collo.

“Che ne dite di una sfida, sire Éomer?” sul volto del mezzelfo si disegnò un sorriso a mezza bocca. Sapeva di essere stata sottovalutata e il suo amor proprio le imponeva di dare una lezione di umiltà al Signore dei Cavalli. Aratoamin aveva leggerezza ed eleganza dalla sua, forte e veloce come l’impalpabile vento. “Vedete quel dosso in lontananza …” di fronte a loro si stanziava, a circa una lega di distanza, una lieve altura che nascondeva il sole ormai verso il tramonto. La strada che portava a quella piccola collinetta era caratterizzata da due ammassi rocciosi ai lati. Creavano una piccola gola strozzata in un punto poco prima di un avvallamento sul terreno, ricoperto in parte da una rada sterpaglia verde e gialla. Aratoamin iniziò a muovere gli zoccoli battendoli sul terreno, come un cucciolo che provoca l’adulto per invitarlo a giocare. “Vediamo chi riesce ad arrivare per primo alla sua cima, se Aratoamin vince dovrete rimangiarvi tutto quello che avete detto …”

“Se invece saremo noi a vincere, mia cara Signora dell’Ithilien, dovrete ammettere che il vostro ronzino …” a quell’epiteto il cavallo sbuffò con un nitrito a rimarcare il suo dissenso. “Non è molto più interessante di un puledro!” non serviva una scommessa puerile ad accender gli animi, già concitati per l’evasione che quella gara stava fornendo, ma di certo dava un sapore più speziato alla competizione.

“Arweamin, siete sicura di voler …” provò a dire Anrond zittito da uno sguardo scocciato della fanciulla.

“E sia, Éomer figlio di Éomund, accetto!”disse allungando una mano verso il Re del Mark che strinse con uno strano sorriso disegnato sulle labbra.

“Se volete, mia Signora vi lascio del vantaggio …” disse l’uomo mentre si sistemavano sulla stessa linea. Éomer strinse fra le mani le redini e posizionò i talloni pronti a spronare Zoccofuoco a tutta velocità. Era totalmente sicuro di sé.

“No grazie, non gradisco favoritismi.” Rispose prontamente. Tirinîr si levò accuratamente un guanto, sfilando dito per dito con lentezza. In realtà stava studiando ogni via ed ogni possibilità affinché l’ambiente fosse a lei utile.

“Bene, allora se siete pronta sarà meglio cominciare …” affermò osservando la sua avversaria che ghignava con fare sospetto. Il Re del Mark però si soffermò su inutili crucci, il suo spirito competitivo era stato stuzzicato ed ora non si sarebbe di certo tirato indietro. Era un Signore dei Cavalli, come poteva essere sconfitto da una minuta Principessa Elfica?

“Quando il mio guanto toccherà terra?” chiese mostrandolo all’uomo.

“Quando il vostro guanto toccherà terra.” Il mezzelfo non se lo lasciò ripetere che con un gesto repentino sollevò in aria il leggero pezzetto di stoffa che in balia del vento ondeggiava con calma irreale fino a toccare il suolo. Èomer partì senza accorgersi che invece Tirinîr parlava al suo destriero, sussurrando con dolcezza al suo orecchio parole nella leggiadra lingua degl’Eldar.

“Si, Aratoamin! Thia o nad naa maed! | Ora [lett. Adesso] Aratoamin! Mostra di cosa sei capace! | ” disse con un tono leggermente più alto, ancorandosi fermamente al collo del cavallo che dopo un’impennata, scalciando e nitrendo (la quale attirò l’attenzione di tutti), partì con una velocità incredibile raggiungendo  in breve il galoppo possente e pesante di Zoccofuoco. La leggerezza del suo corpo e l’esile figura del destriero permetteva di fendere attriti prodotti dall’aria come un coltello caldo contro il burro. Le falcate dell’altro invece coprivano una zona più ampia e questo li portava a un pari livello. Ad ogni due passi di Aratoamin ne corrispondeva uno di Zoccofuoco. Una corsa che veniva seguita da tutto il piccolo corteo di uomini ed elfi. Quando il vociare ed il brusio divenne più insistente anche gli altri reggenti furono attratti dal clamore creato dalla competizione. L’unica cosa che distinse in lontananza Legolas era il mantello che volava alle spalle della sua consorte.

“Per tutti i Valar, cosa stanno facendo quei due?” la domanda retorica di Faramir richiamò anche le  due dame alle loro spalle. Éowyn vide suo fratello che sfrecciava accanto alla figura più composta del mezzelfo, in un testa a testa tra velocità e potenza. In fondo, come Aratoamin veniva sottovalutato, anche Tirinîr ed il suo aspetto da fragile nobildonna elfica veniva frainteso. Per quanto ripudiasse quel suo lato sarebbe per sempre stata una guerriera nel profondo ed Éowyn si trovò a patteggiare inspiegabilmente per lei.

“Credo che stiano gareggiando, mio sire!” disse sorridente. Di contrario invece, Legolas, non appariva divertito dalla situazione. Si spostò solo con il suo cavallo fino ad Anrond ancora impietrito a guardare la sua Signora determinata a vincere l'inconsueta gara fra un Re ed una Principessa.

“Anrond, perché hai permesso questa follia?” chiese ancor prima di raggiungerlo.

“Mio signore!” risposte mestamente destato dall’elfo che, nonostante non tradisse alcuna espressione con i suoi lineamenti perfetti del viso, era più teso di una corda di lira. Era terribilmente arrabbiato non per la gara in sé, ma per lo stato ancora confuso in cui vedeva la sua sposa. La spossatezza l’aveva indebolita e comprovare così la sua salute appena ristabilita sembrava una vera pazzia. Era questo il motivo per cui Anrond era venuto con loro, per frenarla in una delle sue sciocchezze ed invece ci sarebbero voluti chiodi e cinghie. “Me lo sto chiedendo anch’io …”

“Almeno sta vincendo?” comparve Éowyn alle loro spalle, sempre più curiosa di quella divertente competizione.

“Sono alla pari Arweamin, Aratoamin è molto veloce ma Zoccofuoco è decisamente più forte. È difficile dire chi fra i due avrà la meglio.” Anrond riprese a guardare verso i contendenti che stavano raggiungendo la gola fra le due rocce l’uno affianco all’altro, sapendo che in quella posizione entrambi non ci sarebbero passati. Stava diventando una prova di coraggio, a chi per ultimo avrebbe ceduto. Éomer, soddisfatto, guardava di sottecchi Tirinîr che sembrava totalmente impassibile dello sforzo per l’irruente cavalcata. Se non fosse stata per la posizione prostrata del suo busto, si sarebbe detto che stesse facendo una passeggiata nella radura. Ed invece era lanciata a tutta velocità contro una grande roccia, era costretta ad arretrare perché il Re del Mark aveva conquistato il centro della gola. Ma Tirinîr non accennava a demordere e continuava imperterrita ad avanzare. Poi, a pochi passi dal masso, sussurrò qualcosa al suo destriero che, con un agile balzo s’arrampicò sulle increspature in pietra come uno stambecco, lasciando Legolas respirare nuovamente. Riusciva a destreggiarsi bene Aratoamin sulla nuda roccia,  costretto a viaggiare in luoghi impervi per non farsi scoprire da Arda. Già le Ombre. Un passato che non cessava mai di tornare nei ricordi.

Éomer non cedette, nonostante l’avesse sorpreso alquanto e, dopo un piccolo rallentamento, riprese a correre come un forsennato. Incitava il suo destriero in continuazione, lo spronava con redini e talloni, ma ormai Tirinîr l’aveva preceduto scendendo dalla roccia proprio davanti alla sua traiettoria. Per quanto provasse la strada gli era preclusa e la piccola altura talmente vicina che poteva già decretarsi sconfitto. Infatti, subito superato il terreno roccioso, il dolce pendio della collinetta si presentò sotto gli zoccoli di Aratoamin e poco dopo la cima venne raggiunta da entrambi.

Aratoamin aveva vinto, ma Tirinîr non esultò sentendosi estremamente fiaccata dalla corsa. Scese semplicemente da cavallo e lo elogiò con il fiato debole. Baciò il muso dell’animale e si volse ad Ovest, dove Arien stava conducendo Anar dall’altra parte del mondo. La sua fiamma era tagliata dalla pietra scura che tentava di nascondere prima ancora la sua calda luce. Ma i suoi potenti raggi fendevano ancora il cielo, indorando la vallata e la sua immensa distesa d’erba. Un bianco accecante rifletteva i colori del crepuscolo al suo nascere e, mastodontica ed imponente, Minas Tirith rivolgeva lo sguardo a Tirinîr. I sette livelli si districavano con giochi di luci ed ombre e in cima, dove l’ultimo cerchio chiudeva le sue strade, la Torre di Ecthelion si ergeva in tutta la sua magnificenza. Le parole le morirono in gola confusa e stupefatta da tanta bellezza.

“È la prima volta che vedete Minas Tirith?” chiese il Re del Mark interrompendo il silenzio. Tirinîr si volse a lui, domandandogli con lo sguardo come avesse potuto capirlo. “Fa quest’effetto, mia Signora!” il loro visi erano inondati dalla luce carezzevole del sole morente mentre osservavano la città di lontano. Come colpita da un fulmine la testa di Tirinîr prese a girare e sentì lo stomaco contorcersi simile alla sensazione del dopo di uno sforzo fisico eccessivo. Con la destra si sorresse la fronte madida di sudore che, freddo, aveva iniziato ad imperlarle la pelle. Espirò l’aria con un fiacco rantolo catturando lo sguardo preoccupato di Éomer. “Mia Signora Tirinîr cosa avete?” domanda che non ebbe risposta. Le gambe le cedettero così come le palpebre. Crollò come dei massi sul fianco di una montagna instabile, ma l’uomo di Rohan fu lesto e la recuperò prima che potesse toccare terreno.

Di nuovo quello stagno salmastro. Attorno ad esso tenera erbetta svettava verso i raggi densi di Anor, piccoli papaveri rossi ed alcune primule tingevano il campo che circumnavigava la riva della piccola pozza d’acqua. I rami degl’alberi attorno donavano un’ombra ristoratrice sul tappeto smeraldino. I colori erano troppo vivaci per essere reali, ma al contempo venivano avvolti da un’aura plumbea e fitta. Una voce, una voce di cui non si capiva la pronunzia, sommersa ed ovattata. Tirinîr s’avvicinò alla riva, come ripeteva da giorni ormai, trovando sulla superficie il suo riflesso macchiato da chi giaceva sul fondo. Aveva paura? Sì. Sapeva che quello apparso in sogno era un avviso non comprensibile, ma c’era qualcuno che voleva dirle di stare in guardia. Questa volta quindi osò di più: allungò una mano sul pelo dell’acqua così come il suo riflesso di cui sfiorò le dita. Non poteva essere quindi la semplice immagine di sé stessa, perché quello che stava toccando era reale e si muoveva con lei sfiorandole i polpastrelli.

“Chillah …” s’udì un qualcosa di finalmente comprensibile.

“Chi sei?” aspirò la fanciulla sempre più contrita, alla ricerca di chi o cosa la stesse perseguitando ogni qual volta il sogno le riappariva. Attese, continuando con le dita a giocare con il suo riflesso.

“Chillah …” ripeté la voce senza nessuna nuova inclinazione.

“Non riesco a capire …” a quel punto il riflesso afferrò la sua mano e, per quanto il mezzelfo tentasse di scioglierla, riuscì a trascinarla sul fondo.

Quel sogno era tornato, ma non aveva la forza di svegliarsi trafelata. Secondo quello cui si ricordava doveva essere svenuta dopo la gara, ma non vi era l’odore buono di fieno misto ad erba medica che percepiva sulla pelle del Signore dei Cavalli, eppure sapeva che l’aveva afferrata prima che l’oblio prendesse il sopravvento. La sua mente forse non stava più diventando affidabile. Percepiva bensì un profumo di lavanda e cenere rimestati ad una fragranza più fresca quasi di menta piperita, ma non come quest’ultima. Rilassava in un certo qual modo, donava un senso di pace forse grazie anche al soffice guanciale che non doveva trovarsi sotto la sua testa. Era stato tutto un sogno insieme allo stagno dunque? Il messo da Gondor, il viaggio, la corsa, il tramonto su Minas Tirith. Ma il senso di malessere, la stanchezza c’era ancora. Quello di sicuro non era un inganno della sua testa: la morsa instancabile che le premeva sullo sterno affaticandole il respiro era ancora presente. Tirinîr si voltò supina cercando di respirare meglio. Mentre il petto le si gonfiava irregolarmente qualcuno le passò un panno umido sulla fronte. Quell’effluvio fresco e dolce l’investì stabilizzando ogni dolore ed acciacco, come un benefico infuso dalle proprietà ristoratrici.

“Legolas …” mugugnò aprendo lentamente gli occhi, ma quel che vide non fu ciò che si aspettava. Fredde mura ingrigite dalle ombre ricoprivano la sua testa con alti soffitti e solo una piccola finestra dava luce alla camera. Con uno scatto la fanciulla si alzò sui gomiti, roteando il viso con gli occhi sbarrati come quelli di un animale ferito e spaventato che si risveglia in un luogo che non conosce.

“Non sono vostro marito …” quella voce bassa e greve, ma calma come le acque del lago, non la riconobbe. Ciò che però vide fu un uomo bello, fiero e dallo sguardo penetrante che l’invitava con un tocco cortese e lieve a posare nuovamente le spalle sulle fresche e morbide lenzuola. “Avo eriodh Arweamin! | Non alzatevi Mia Signora! |”

Manke naa amin? | Dove mi trovo? [lett. dove sono?] |” Nonostante quel l’uomo le infondeva fiducia non aveva la situazione sotto il pieno controllo e questo aumentava la sua ansia. Era come se si sentisse in trappola, con le spalle al muro. La fanciulla non accennò a stendersi, anzi si issò seduta puntando i suoi occhi castani in quelli del signore seduto accanto al suo giaciglio.

“Siete nelle Case di Guarigione di Minas Tirith, Mia Signora Tirinîr …” rispose pacatamente. “Avete avuto un malore durante il viaggio e vi hanno portata qui mentre ancora non avevate recuperato i sensi!”

“Dove si trova Legolas?” chiese titubante e sempre più spaesata. Quello era solo il primo quesito della moltitudine che le stavano arrovellando il cervello.

“È rimasto con voi a lungo, l’ho mandato a riposare anche se è stato arduo convincerlo … ” disse l’uomo con un sorriso sincero. “Se desiderate lo mando a chiamare.”

“No, non è necessario. Non voglio aggiungere altri affanni, è così apprensivo per questi miei strani malori …”faticava ancora a parlare, tanto che la sua voce appariva arrochita dalla spossatezza.

“Non sapevo che gli Eldar fossero soggetti a malattie, Arweamin, pensavo il contrario.” Rispose l’uomo mentre deponeva il panno umido dentro una tinozza, da dove Tirinîr riconobbe provenire il profumo benefico che l’aveva ridestata.

“Probabilmente, anche se io ho scelto, la mia parte umana deve ancora abbandonarmi …”disse perplessa e sovrappensiero, troppo incuriosita dalle movenze dell’uomo. Era abile nell’utilizzare ciotole e attrezzi del mestiere da Guaritore, ma il suo abbigliamento e il suo parlare erano troppo nobile perché fosse un semplice servo. “Sa di menta e basilico, è dolce ma piacevolmente freddo come una piccante mattina di primavera. Ne respiro il profumo e lo sento in tutto il corpo, lasciando riemergere i ricordi che ho del mio orto. Cos’è quest’effluvio così rigenerante?  ” chiese di getto, non frenando la curiosità da studiosa che le era sorta. L’uomo, che ora le dava le spalle occupato nel sistemare ciò che non era più necessario, voltò appena il suo viso per incontrare l’espressione interessata della fanciulla. Sembrava completamente ristabilita.

“Questa è Athelas, Mia Signora …” rispose semplicemente come se fosse ovvio. “Molti la conoscono come Foglia di Re.”Ora che era in piedi poteva studiare meglio il suo interlocutore vedeva i suoi abiti semplici, una casacca scura dalla stoffa pregiata, e le sue mani che riportavano solo vecchie cicatrici. Non erano consunte dal lavoro, questo l’induceva a pesare sempre più ad una provenienza aristocratica.

Athelas dite?” gli occhi di Tirinîr si persero cercando di ricordare dove avesse già udito questo nome e se fra i suoi appunti di Guaritrice vi fosse qualche accenno, ma la confusione che regnava nella sua mente non le giovava. “Non credo di conoscerla …”

“Il vostro sposo ha detto che siete stata una Guaritrice, non l’avete mai utilizzata o vista?” L’uomo si girò e con calma serafica si sedette di nuovo accanto a Tirinîr. Sembrava gradire la compagnia cosciente della fanciulla Peredhel ed era totalmente rapito dalla conversazione.

“Le mie conoscenze da Guaritrice non sono, come dire … ” spiegò realizzando di non dover temere chi aveva di fronte. “… ortodosse. Per lo più conoscenze da autodidatta, niente a che vedere come quello che mi hanno raccontato delle Case di Guarigione di Minas Tirith.” Probabilmente erano i suoi toni o il suo sguardo rassicurante, ma si sentiva pienamente a sua agio in sua presenza. La tranquillità che trasmetteva in quei modi cortesi poi la rasserenavano e l’invitavano a rilassarsi, mentre ancora l’essenza vivace dell’Athelas continuava ad infondersi assieme ai suoi effetti curativi. La fanciulla si trovò a chiudere gli occhi e ad inspirare a pieni polmoni, posando poi la schiena contro la spalliera del letto. Era molto più che benefica, meglio definirla salubre, rinvigoriva ogni muscolo in una manciata di istanti e le donava la forza di alzarsi. “Se l’avessi conosciuta prima sarebbe sicuramente stata nel mio officinale. Chissà quante altre erbe o medicamenti vi sono tra queste mura. Vi confesso che la prima cosa che avrei voluto fare giunta a Minas Tirith era visitare le Case di Guarigione. Guarda caso il Destino ha concordato con me, anche se non è esattamente come pensavo.”

“Da quel che vedo state molto meglio, sarei onorato di accompagnarvi in visita come desideravate …”

“Ora?” chiese la fanciulla con un guizzo allegro negl’occhi.

“Sì, ora!”

 

Tirinîr rimaneva sorretta al braccio del suo accompagnatore, osservando tutti i lavoranti delle Case con gli occhi curiosi di una bambina. Vi era l’esperto di erbe che discorreva con uno dei Guaritori sulle forniture del mese, alcuni fanciulli apprendisti che correvano da una parte all’altra delle Case portando ciotole, messaggi, garze. Tutti occupati nel loro impiego, tutti che al loro passaggio si fermavano per inchinarsi e salutare prostrandosi di fronte all’uomo che stava con Tirinîr. Camminavano tranquilli tra i corridoi e nel giardino, ricco di piante e alberi che crescevano rigogliosi sulla pietra bianca. La fanciulla si chiedeva il perché un nobil uomo come lui fosse così avvezzo a muoversi tra malati e sofferenza. Quando le era capitato di curare ferite a Variag o Gwaith nessuno fra gli aristocratici osava sporcarsi le mani. 

“Sire!Sire!” Un ragazzo gridò alle loro spalle mentre stavano camminando nel lungo viale alberato, dove i malati convalescenti in via di guarigione passeggiavano in armonia con la natura. Tutti indossavano vesti bianche ed uguali, come Tirinîr. Era l’abito che veniva fornito agli abitanti delle Case di Guarigione. “Re Elessar! Il Custode chiede di voi!” gridò ancora quel ragazzo tra un affanno e l’altro della sua corsa.

“Re Elessar?” chiese Tirinîr staccandosi dal suo braccio e guardando nei suoi occhi con sospetto. L’uomo asserì con il capo, mascherando la sua costernazione a quella piccola omissione. “Perché non me lo avete detto subito?” Prima che Aragorn potesse rispondere giunse il ragazzo con il fiato corto e l’urgenza impellente sulle gambe.

“Sire, la vecchia Ioreth sembra stia peggiorando!” disse velocemente senza fornire le giuste pause per il respiro trafelato dalla corsa.

“Come ti chiami ragazzo?” chiese verso di lui il Re dei Popoli liberi della Terra di Mezzo.

“Ithilion, eccellenza, figlio di Ithilbor.”Affermò fiero, ergendosi dalle ginocchia su cui era chinato ed ampliando il petto con un pizzico di vanità del suo fisico appena allo sboccio. Era giovane, ma si approcciava all’entrare nel mondo degli adulti e già lavorava.

“Bene Ithilion figlio di Ithilbor, conducici dal Custode!” quel plurale pronunciato confuse il ragazzo che guardò perplesso dapprima il Re e poi la fanciulla mezzelfo che l’accompagnava. Non si era accorto della compagnia del Re ne sapeva chi fosse, nemmeno perché la stesse portando con sé nelle stanze dove la vecchia Ioreth si stava spegnendo, ma la bellezza che caratterizzava la stirpe da cui Tirinîr proveniva fece sì che il ragazzo rimase senza parole, imbambolato, come colpito da un fulmine. La fanciulla non si lasciò distrarre e rimase fissa con lo sguardo sul Re che, invece, aveva evitato di rispondere. In lei si era insinuato un dubbio e si sentiva stranamente frustrata, anche se la reazione che quella omissione aveva scatenato risultava esagerata. “Ithilion?”

“Sì – sì, certo Mio Signore, come comandate Mio Signore!” e dopo un inchino il ragazzo indicò ad Aragorn e Tirinîr di seguirli incitandoli alla fretta.

Percorsero quasi tutte le Case, destreggiandosi tra malati e guaritori, attraversando ogni andito fino a giungere davanti ad un arco poco più alto di un uomo medio. Dalla sua volta pendeva una tenda di velluto, coprendo l’accesso ad una stanza. Fuori di essa un signore piuttosto in carne, con i segni del tempo sul viso e gli anni a sbianchirgli la capigliatura ormai quasi del tutto canuta, camminava su di un asse fittizia percorrendo nervosamente sempre gli stessi passi. Quando si accorse del Re alzò le mani in aria agitandole come a ringraziare il cielo, per poi andargli incontro prima che giungesse.

“Oh sire, mi spiace avervi disturbato ma ho saputo che eravate tornato a farci visita proprio quando la vecchia Ioreth ha avuto un peggioramento!” disse prostrandosi e prendendo la mano del Re tra le sue in segno di rispetto.

“Vi prego alzatevi e ditemi cosa è successo.” Disse con dolcezza aiutando l’uomo a sollevarsi.

“Vedete stamane ha iniziato a respirare a fatica, chiedeva di voi.” Il Custode prese a scuotere il capo sconsolato. Era veramente afflitto per la sorte di Ioreth. In fondo, l’anziana donna, aveva percorso una vita intera, malandata e con gli acciacchi che aveva poteva contare il tempo rimastole sulla punta delle dita. “Ahimè temo delirasse, ha detto di voler vedere il vostro viso per l’ultima volta come se potesse ancora farlo!”

Appena oltrepassarono il drappo, Ioreth girò la testa palesando gli occhi spalancati e vuoti, ricoperti da un velo biancastro che le occultava totalmente la vista. La cecità l’aveva colta un giorno improvviso quando, già ormai costretta a letto e con la vecchiaia che inesorabilmente si nutriva della sua vita, le forme ed i colori iniziarono a nascondersi. Da allora chiedeva a chiunque la venisse a trovare di descriverle il giardino ed i suoi fiori, oppure l’Albero Bianco ancora giovane arbusto con i suoi teneri germogli. Gli altri erano diventati i suoi occhi.

“Mio Re siete voi?” disse con voce tremula e stanca. Aragorn non proferì alcuna parola lasciando l’anziana persa in un monologo. Prese solo una sedia e si accomodò accanto al giaciglio della donna per poterle tenere la mano. Anche Tirinîr  rimase silenziosa in disparte, osservando la donna che giaceva tra le lenzuola bianche. Avvertiva l’odore dell’athelas forte e ormai inutile se non come palliativo. “Sire, che bello avervi qui sento che il mio tempo sta giungendo al termine! Volevo potervi salutare e poter rivedere il vostro viso, voglio ricordarlo per sempre.” Disse toccando con le ossute e scarnite dita la guancia di Aragorn ormai prono per permetterle tale gesto senza eccessivo sforzo. Poi d’un tratto, mentre ancora contemplava con il tatto il suo Re, Ioreth si bloccò roteando infruttuosamente gli occhi nella stanza. “Mio Signore cos’è quella strana luce che vedo? Vi è qualcuno con voi?” chiese stupendo entrambi.

“Sì, Ioreth. Lei è Tirinîr, appartiene agl’Elfi dell’Ithilien.” Aragorn non sembrava turbato, né scosso, piuttosto sereno e la sua quiete ne infondeva altrettanta.

“Oh un elfo …” sospirò puntando lo sguardo vacuo verso la fanciulla. Sembrava davvero vederla e scavato tra le sue rughe nacque un sorriso.  “Venite cara, sedetevi qui accanto a me! Voglio osservavi più da vicino!” ed indicò un posto sul ciglio del letto. Tirinîr, dopo un cenno di assenso da parte di Aragorn, avanzò lenta nella stanza accomodandosi proprio dove l’anziana donna le aveva indicato. “Ora capisco perché vi chiamano il Popolo delle Stelle. I Valar mi hanno resa cieca, rendendomi capace di vedere solo ciò che è degno di essere visto …”

“Cosa vedete?” chiese allora Tirinîr. Dentro di sé il suo animo di Guaritrice stava emergendo: aveva percepito la sofferenza ed il dolore per la malattia della donna, ne stava assorbendo ogni particella e la stava vivendo lei stessa. Sentiva il cuore indebolito, la stanchezza e vedeva appannato. Ioreth sorrise udendo la voce carezzevole della fanciulla che l’allietava anche solo pronunziando quella richiesta leggera. Lasciò le mani del Re e prese quelle del mezzelfo, sicura, quasi davvero potesse vedere le sue mosse.

“Vedo la vostra luce. Siete bella, sembrate una stella proprio come la nostra Regina …” due colpi di tosse forte e grassa interruppero la donna che fu costretta a coprirsi la bocca con il pugno. Quando il petto di Ioreth smise di scuotersi, la donna tornò a sorridere beata in direzione della ragazza. La Guaritrice allora, senza sapere perché, passò una mano sulla fronte della donna. Da quel contatto gentile una debolissima luce, che solo una vista acuta e molto attenta poteva percepire, si diffuse sul corpo dell’anziana, che prese a respirare più vigorosa. Le sue condizioni non erano migliorate, ma almeno il dolore sembrava affievolirsi accompagnandola in una morte più dolce di quella che la vecchiaia le stava preannunciando. Il dono di Estë non rappresentava soltanto la cura o la salvezza, ma il sollievo ed era quello di cui si avvalse in quel momento la Guaritrice essendo tuttavia incosciente di ciò che possedeva fra le mani.

Nella mente di Ioreth comparvero colori e splendidi paesaggi, Minas Tirith con dei bambini che giocavano felici fra le sue vie. Poi le Case di Guarigione, quel luogo che l’aveva accolta e a cui aveva dedicato tutta la sua esistenza. Ed infine il viso del suo Re, esaudendo così il suo desiderio.

Sa Valar Tirir erin lle, Ioreth o Minas Tirith! | Che i Valar veglino su di te, Ioreth di Minas Tirith! |” sussurrò al suo orecchio. “Egleriathon angen! | Pregherò per te! |” disse infine donandole un bacio sulla fronte, rialzandosi poi per poterla osservare. Ioreth aveva gli occhi lucidi, intrisi di un pianto arido. Commossa l’anziana donna singhiozzò e senza voce ringraziò la fanciulla per quel dono appena avuto.

“Ora vi lasciamo riposare, venite con me Tirinîr …” disse Aragorn apparendo alle spalle della fanciulla. Si accorse di lui solo quando le sue mani si posarono su di esse e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo all’anziana donna che entrava nei giardini di Lorien, si alzò. Uscirono dalla stanza, ma tutto quello che avvenne la scosse a tal punto che si sorresse a fatica e per pochi passi. 

“H – ho bisogno di sedermi …” disse a stento. Aragorn galantemente la fece accomodare su di una sporgenza in marmo addossata alla parete. “Grazie …”

“Volete dell’acqua?” chiese chinandosi di fronte alla fanciulla per guardarla negl’occhi.  

“Perché non mi avete detto di essere Re Elessar?” chiese senza troppi giri di parola inutili tra un respiro e l’altro.

“Voi non me l’avete chiesto.” Rispose semplicemente nascondendo una risata, cosa che non fu necessaria perché nonostante l’affaticamento anche Tirinîr prese a ridere. “Sarà meglio che torniate anche voi a riposare, Arweamin. Nelle vostre condizioni il riposo è necessario …”

“Nelle mie condizioni?” chiese perplessa, ma fra i due il più sorpreso fu Aragorn. Come non poteva essersene accorta?

“Mia Signora, voi custodite una vita nel vostro ventre …”

 

Miei cari commensali, ben trovati! Scommetto il mio rancio che voi vi starete chiedendo come dopo già aver avuto un’altra esperienza simile Tirinîr non si fosse accorta di ciò che le stava accadendo. Ebbene come poteva quando era solo una bambina troppo cresciuta essere cosciente di ciò che le stesse accadendo e soprattutto possederne un ricordo nitido? Ed ecco che proprio il Re le svela cosa covava il suo corpo e cosa celava la sua stanchezza. Con questo vi lascio miei amici, spero che abbiate la pazienza di attendere per sapere tutti gli altri perché che vi sarete posti. Buonanotte miei amici, il vostro Sarìin è tornato solo per allietarvi ancora. 

 

Note dell'autrice: Quel re, mae govannen Melloneamin!!! Sono tornata al galoppo, più o meno, anche se diciamo che il mio rientro sorridente è stato un po' rovinato. Va buon si torna a scrivere e tutto passa, come dico sempre io. Daltronde è una cosa che ho imparato in un periodo orribile della mia vita ed ora mi ritrovo qui con voi che comunque mi rendete felice anche solo aumentando il numerino delle visite, toccando di struscio le mie fanfiction. Quindi un GRAZIE è più che doveroso a coloro che leggono questa e altre storie. Detto ciò passiamo al capitolo. Che ne dite di questo ritorno di Aragorn? Sono sicura che vi starete chiedendo: ma un Re perchè dovrebbe perdere tempo nelle Case di Guarigione? Non so io ho visto Aragorn come un Re speciale, generoso e altruista (vedi con Faramir, Eowyn e Merry dopo la Battaglia del Pelennor invece di andare a riposare li ha curati). Vi pare che se la moglie del suo migliore amico stesse male, lui sarebbe rimasto in disparte?Sono certa di no e per questo ho voluto che prima di Elessar fosse Envinyatar ad incontrare Envinyatarë. Comunque sono aperta a critiche perchè capisco che questa mia scelta possa avervi fatto storcere il naso, comunque è solo il mio modo di vedere. A breve tra l'altro si saprà perchè ha convocato tutti i popoli di Gondor e Rohan. A proposito la gara con Eomer è vagamente (molto vagamente) ispisrata ad una scena del film "Il tredicesimo guerriero" quello con Banderas Arabo e il suo cavallo piccolo ma velocissimo e agile. Mi è sempre piaciuta, del genere nella botte piccola c'è il vino buono (Thranduil è d'accordo!!!^^).

Nel prossimo capitolo comunque rivedremo un vecchio amico: SI APRE IL TOTOSCOMMESSE!!!

E poi non potevo non metterci la vecchia Ioreth malata. Spero vivamente che la scena con lei non sia esagerata, che Tirinir non sia apparsa un guru zen. In realtà lei non ha un potere o un abracadabra. E' solo capace di alleviare il dolore e nemmeno sa come funziona. Ioreth la vede come luce e questo non ne fa un Dio ma solo un elfo quasi del tutto.Avrebbe visto una luce pure se al pposto suo ci fosse stato Anrond o Legolas (tant'è che dice che è come la Regina, anche se lei è diventata umana mantiene alcuni aspetti della sua stirpe elfica. Scusate la frase ingarbugliata!!!^^)

Ah! Quasi dimenticavo! Qualche nota fa (ovvero Capitolo 19. CAPITOLO XVIII: Loss. Un'ultima volta.) Avevo scritto nelle note che era passato un anno tra la partenza di Legolas e quella di Tirinir. Ebbene ho sbagliato a leggere gli annali (quelli che sto costruendo per pubblicare a fine storia; un anno passa dal primo gruppo di elfi che parte per la ricostruzione, Legolas, per assecondare sua moglie, attende con lei fino all'ultimo quando non può più rimandare. Però questo sta sugli annali e nella mia testa quindi non potevate saperlo ghghgh!!! ^^) e ho corretto (il giorno dopo, ma ho scordato di avvertire) dicendo che parte qualche mese dopo. In realtà dovrebbero essere passati circa tre mesi quando la gravidanza non si può ancora capire dalle forme più pronunciate ma si avvisano i primi sintomi. Per una donna normale al terzo mese c'è la prima pancetta e il feto più o meno formato, ma per un elfo il processo dovrebbe essere più lungo visto che la gestazione dura circa un anno.

Per darvi comunque delle coordinate temporali, siamo a circa 8 anni dalla fine della Guerra dell'Anello, ma, ripeto, ci saranno gli annali (già scritti perchè mi aiutano a mantenere una scaletta della storia come l'avevo immaginata ormai 10 anni fa)

E con questo dovrei aver terminato i miei sproloqui: 

Thiliol: Grazie mille per il tuo appoggio! Bhè io non ho pretese, non voglio fare la scrittrice e non pretendo di diventarlo. Mi limito semplicemente a mettere nero su bianco una fervida fantasia e non ho mai pensato di esserne capace. Con questo però non significa che non m'impegno quindi magari sentirmi dire che una storia è noiosa, bhè mi ha fatto male. Non parlo di questa che, ha uno stile particolare e ispirato comunque ad un tipo di scrittura più aulica e complessa (sempre senza pretese), ma di un'altra che ora non sto qui a dire. Comunque non importa si dice che i gusti sono gusti e io non sono un cuoco di mensa, preferisco definirmi la signora della tavola calda con i sapori regionali, non uno chef di un ristorante francese ma sempre apprezzabile per i miei manicaretti comunque prodotti con cuore e passione. Va buon basta piangersi addosso, quel che è fatto è fatto. ^^ Scusa se da un lato ti ho utilizzato un momento come valvola ma il tuo commento mi ha diciamo rallegrata. ^^ Spero vivamente che questo Ritorno del Re (Oddio ma che ho scritto O.O) ti sia gradito! Un bacione e ben trovata mellon nin!

Rigrazio e saluto sempre tutti i miei lettori e se avete un minutino fatemi sapere che ne pensate!!!^^

Vostra Mally

Della serie A VOLTE RITORNANO!!!MUAHAHAHAH!

PS: Piccolo cambio di stile - Le frasi in elfico Sindarin sono scritte in italico o meglio conosciuto come corsivo, in modo da renderle più chiare  ed accanto hanno la traduzione.

   
 
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