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Autore: BigMistake    07/09/2010    1 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XXI: Destino beffardo.

Erano passate ore ormai da quando Aragorn l’aveva lasciata sola nei Giardini delle Case di Guarigione, tornando ai suoi doveri reali. Dopo che gli innumerevoli interrogativi su come se ne fosse accorto si esaurirono, le aveva promesso solennemente di tenere per sé il segreto della sua gravidanza cosa che, di certo, sarebbe avvenuto anche senza le morbose raccomandazioni fatte dal mezzelfo.

Non era sola nel giardino, altri momentanei abitanti delle Case e persone che vi lavoravano la stavano osservando. La sua presenza in quel posto scaturiva molta curiosità in loro. Infatti tutti si trovavano a sbirciare la longilinea figura seduta al bordo di una fontana scolpita sulla parete, con i lunghissimi capelli sciolti in morbide onde quasi a sfiorare il pelo dell’acqua increspata dal suo stesso moto e luminosa come tutti gli appartenenti alla sua stirpe. Nessuno però si arrischiava ad avvicinarsi più del dovuto, non per paura come si può pensare, piuttosto per rispetto di una creatura che in maniera evidente desiderava rimanere con i propri pensieri. Ciò non tolse che la sua bellezza elfica sortiva l’effetto incantatore per chi di rado ne poteva ammirare lo splendore, per di più considerando che secondo credenza gli Eldar non erano soggetti a malattia. Ma quello di cui soffriva Tirinîr non era un morbo o una ferita.

Veniva costantemente travolta dal vortice dei conflitti interiori dovuti alle emozioni contrastanti provate. L’euforia e il panico, convivevano nel suo cuore in maniera non del tutto pacifica. L’una e l’altra cercavano di prevalere, in una lotta alquanto dolorosa per il suo umore. Il gran terrore provato si trovava alla base, come uno sfondo stonato, sensazione inconsulta, istinto di autoconservazione. Una paura incontrollabile di perdere di nuovo qualcosa di così prezioso dopo averla custodita, l’angoscia grave di affrontare invano tutti i patimenti dovuti al suo stato. Se con i suoi ricordi ripercorreva ancora il passato, la sofferenza fisica e spirituale si ripresentava come viva: per la madre era un progressivo dare e spesso l’energie le sarebbero mancate, i malori quindi erano solo un dolce preambolo a quello che sarebbe stato successivamente. Nausee, dolori, stanchezza, febbri incontrollate nell’ultimo periodo. Quel grande dono avrebbe richiesto molta forza, le energie sarebbero state consunte fino allo sfinimento, proprio come quando non era riuscita a proteggere ciò che le era stato dato di più prezioso.

Il primo vagito, come aveva fatto a dimenticarsene Tirinîr non seppe rispondersi, un lamento ascoltato di sfuggita e di nascosto. Ricordava ancora quel pianto nella notte e la nutrice che, accertatasi del sesso del bambino, non le diede il tempo nemmeno di allungare una mano per poterlo solo sfiorare. “Un giorno sarà un condottiero, il suo sangue è nobile, i suoi natali i migliori. Anche se non saprà mai chi sono i genitori avvertirà il suo destino, non temete Principessa …” questo le disse la nutrice vedendo la tristezza spezzare la vita della giovanissima bambina adulta a cui le avevano strappato persino l’innocenza. Era lontana, un sogno appannato di ciò che accadde, l’unica sua àncora di salvezza strappata brutalmente dal proprio petto. Non ci sarebbero state le sue braccia a confortarlo durante gli incubi, non ci sarebbe stato il suo seno a cullarlo. Suo figlio era un uomo e pertanto apparteneva al padre, o meglio, al suo popolo. Quello non era un bambino, era un soldato bastardo, nato da un patto e dall’unione di due guerrieri nobili. In realtà un piano fallito, un gioco politico non andato a buon fine ecco cos’era. Vittima ancor più che sua madre, divenuta colpevole quando non era riuscita a proteggerlo perché troppo debole.

Molto però era cambiato da allora. Nella sua mente vi erano ancora le sue preghiere dopo il parto, le uniche parole prima di non provare più nulla se non apatia, prima di sentirsi vuota senza alcuno scopo. L’amore, emblema della propria salvezza, aveva seminato i suoi frutti ed ora, quel corpo un tempo solo oggetto allo sfruttamento della sua capacità di procreazione, era diventato qualcosa di più. Uno scrigno di un piccolo tesoro immenso, ma non di quelli intagliati nel semplice legno grezzo, bensì un cofanetto di pari valore del tesoro stesso. E non era sola, non doveva rimanere nascosta per sotterfugi di corte e rappresaglie famigliari. Sul petto nacque un piccolo sussulto di gioia, sfociato poi in una fila luminosa di stelle calata sulla gota purpurea. Si sentiva incaricata di un compito ben maggiore di quello assegnatole quando, ancora, non sapeva nemmeno quello che le stava accadendo.

Gerig nin, gerig men … | Sei mio, sei nostro … [lett. Appartieni a me, appartieni a noi … ] | ” Confessò sottovoce al suo ventre, ora che le sembrava più rotondo e florido. Emozionata e incerta posò una mano su di esso aderendo perfettamente alla piccola curva poco più che accennata.  Era lì chissà da quanto tempo ad attendere di essere vista, di essere percepita ed invece c’era voluto l’occhio di un esterno per vedere il suo fisico cambiato. “Gweston nin sa pen cronithag … | Giuro a me stessa che nessuno ti farà del male … | ” disse ancora con toni sottili come fili di seta per non essere udita da altri, o almeno, da altri che non avevano sensi sviluppati più del normale.

“Con chi parlate, Arweamin?” la voce di Anrond la riportò a collegare ogni tassello del presente: il dove, il come e il perché. Almeno una parte del perché. Aragorn non si era pronunciato in merito al motivo della adunanza che aveva richiesto e Tirinîr era stata distratta da tutte le nuove scoperte appena fatte.

“Erano solo pensieri a voce alta, Anrond.” Disse pacata rivolgendo un sorriso rilassato al giovane. Il suo arrivo aveva provocato bisbigli più accentuati dei precedenti, la gente sembrava confondersi quando qualcosa destabilizzava la quotidianità. Certo, la presenza dei due elfi era diventata un diversivo piacevole alle monotone giornate da degente degli sfortunati che si trovavano fra quelle mura. Anrond però, forse per i suoi scarsi contatti con gli uomini o forse per il suo carattere generalmente più schivo, si sentiva in soggezione e decisamente a disagio con i loro occhi puntati addosso. Tirava ripetutamente le maniche della sua casacca, come a volersi coprire ancor di più fino a schermarsi in maniera totale da quegli sguardi esaminatori. Per Tirinîr, invece, abituata da sempre a ricevere curiosità nei suoi confronti, non badava a quel che nella gente provocava. Era sempre stata sul filo di due mondi e, la sua doppia sfaccettatura, non poteva che incutere ogni genere di sentimento, dalla paura all’interesse più eccessivo.  “Sei venuto a trovarmi?” chiese per cercare di distrarlo dal suo imbarazzo.

“Sono venuto solo a prendervi, sire Elessar ha informato il Principe del vostro risveglio e mi ha ordinato di accompagnarvi a Palazzo.” Rispose distrattamente, con ancora lo sguardo che vagava dalla fanciulla all’ambiente che lo circondava. Non si accorse nemmeno dell’espressione  corrucciata della Guaritrice, forse delusa che non fosse venuto Legolas stesso a prenderla.

“Perché non è venuto lui?” quindi chiese senza esitazioni, ma con un accento deformante la frase a caratterizzarne l’inclinazione. Era dispiaciuta, profondamente dispiaciuta.

“In realtà, Arweamin, si stava precipitando qui appena saputo che vi eravate ristabilita, ma Re Elessar ha chiesto di conferire con tutti i re e i principi che sono giunti. Mi ha inoltre ordinato, o meglio intimato, di tenervi sotto stretta sorveglianza. Non vuole che vi stanchiate in alcun modo, visto che stasera dovrete partecipare ad un banchetto molto importante.” Disse allora cercando posto accanto al mezzelfo. “Comunque come vi sentite? I Guaritori hanno scoperto per qual motivi avete questi malori?” la maschera facciale della ragazza mutò completamente e si trasformo in un sorriso irradiante.

“Sì, Anrond, so cosa mi fa stare male …” Lo sguardo grigio del giovane stalliere si posò perplesso sul viso di Tirinîr che, sempre più rilassata e calma, socchiuse gli occhi lasciandosi inondare dai raggi del sole che risplendeva sopra le loro teste. La frase sembrava sospesa nell’aria, ma la fanciulla non sembrava voler continuare a parlare.

“Ebbene …” incalzò allora il giovane elfo.

“Ebbene non posso parlartene, almeno per ora!” rispose tornando a guardare il suo amico.

“Cosa?” disse con impeto quasi sgarbato. “Non è giusto, perché non potete parlarmene?” Tirinîr si sorprese del tono usato dall’elfo, alterato ma al contempo misurato. Sembrava detto fra i denti, come a contenere il vero livello di frustrazione che sentiva infrangersi con forza contro la sua mente. Non le rivolgeva lo sguardo, serrava solo i pugni e la mascella in un gesto furente. Respirava concitato, faticando a mantenere il controllo.

“Anrond, guardami.” Rispose dolcemente prendendo il viso del giovane tra le mani. L’elfo esitò prima di volgere nuovamente i suoi algidi occhi su quelli ardenti e confortevoli della fanciulla. Non ne aveva mai potuto rimirare così da vicino le caratteristiche singolare come il colore non uniforme che ne tingeva l’iride. Un filo quasi nero ne accerchiava una sfumatura color delle nocciole e piccole screziature dorate riscaldavano ancor di più il tono. “Pensi che ti escluderei così dalla mia vita?” Era troppo per il suo animo ancora acerbo, l’affetto provato nei confronti di Tirinîr era quasi pari a quello che avrebbe provato per una sorella. Potevano chiamarla infatuazione, amore o semplicemente amicizia, ma era veramente attaccato a quella fanciulla così diversa da chiunque avesse mai incontrato e non riusciva a soffrire che venisse escluso in quella maniera dopo che si era preso così tanta pena. “Anrond, devi fidarti di me. Saprai tutto, ma prima devo parlare con Legolas …” l’elfo sospirò ritrovando la calma perduta, soprattutto grazie al sorriso amorevole che Tirinîr gli stava dedicando.

“Comprendo.” Affermò arrendevole e, dopo un lieve bacio sulla fronte, la fanciulla lasciò scivolare le mani dal suo viso.

“Allora, non mi dovevi accompagnare fino alla Cittadella?” chiese mentre si sollevava in piedi, interrompendo così definitivamente la discussione.

“Certo, mia Signora.” Disse alzandosi per porgerle il braccio ed incamminarsi successivamente verso l’esterno.

Anrond la condusse fuori dall’arcata che collegava le Case al sesto livello, mentre Tirinîr osservava con attenzione l’architettura altisonante di cui erano fregiate le mura. Ovunque vi erano palazzi e cortili suntuosi, le porte e le arcate riportavano il nome degli uomini e delle famiglie che erano tornate ad abitare in quella parte della città. Di lì passarono l’ingresso alla Cittadella interamente scavato nella roccia rivolto verso oriente e, superatolo, seguirono il lungo pendio illuminato dalla debole luce delle lanterne sempre accese a rischiarare il buio della nuda pietra. Camminarono per molto parlando di come Aratoamin avesse fatto impazzire gli stallieri di corte al sesto livello, quando ad un tratto si bloccarono, accecati dalla luce del giorno che ferì i loro occhi abituati oramai al buio.

Li ripararono, giusto il tempo di ambientarsi al ritrovato chiarore, ma per Tirinîr invece fu solo per poter rimanere abbagliata da altro. Alte colonne slanciate venivano cinte da spesse mura, lustre come una lama appena lucidata. In esse vi era scavato un grande arco alla cui chiave di volta vi avevano scolpito quello che fu un Re incoronato, scheggiato però in più punti dalla guerra che aveva tentato di raderlo al suolo. Il Re invece c’era ancora, resistente e duraturo, era tornato al suo trono ed aveva sconfitto l’ombra che da Est aspettava solo di sfruttare la debolezza degli uomini senza più nulla a guidarli.

“Bello, vero Mia Signora?” Tirinîr, distratta dalla meraviglia di ciò che vedeva, ascoltò di sfuggita la retorica domanda del giovane elfo, affascinata e rapita dall’imponenza e dalla grandezza di quell’opera. Non si era assolutamente accorta del movimento ai piedi del grande portale. Abbassò quindi il suo di sguardo, guidata dal movimento poco al di sotto del suo naso puntato in alto. Il mezzelfo acuì la sua vista in loro direzione, cercando di identificare meglio le piccole figure che di lontano non riusciva a distinguere al meglio quel formicolare brulicante. Mescolati agli uomini vi erano altri esseri dall’aspetto antropomorfo, ma più basso e robusto di un normale secondogenito di Ilùvatar, inconfondibile di stazza e conformazione.

Dornhorth? | Nani? | ” chiese la fanciulla osservando più attentamente le piccole figure totalmente indaffarate.  “E sembrano piuttosto oberati di lavoro …”

“Sì, Arweamin, ricostruiscono i cancelli distrutti dalla Guerra dell’Anello. Dovreste vedere il Grande Cancello, quello demolito dal Grond: ora ricaccia l’oscurità meglio di una fonte di luce, Mia Signora. Non c’è che dire: i nani saranno anche ostinati ed ingordi di ricchezze, ma è meglio affidare a loro i metalli perché di essi ne faranno prestigio. ” Confermò Anrond.

Tirinîr si sforzò ulteriormente, cercando con più solerzia una fisionomia conosciuta. Ebbene, quella ricerca non fu vana, miei Signori. Tra tutti un nano alzava la sua gretta e famigliare voce, impartendo ordini demarcati con un’autorità che cercava d’imporre sempre in ogni inclinazione. Gimli, infatti, dirigeva i lavori mentre gli altri, uomini o nani che fossero, rispondevano con solerzia ai suoi ordini. Ergevano con grande maestria dei colossali battenti, intarsiati delle più raffinate cesellature raffiguranti lo stemma di Gondor e di tutti i popoli liberi. ‘Proteggere ciò che si ama’ la frase incisa in lingua corrente, in quella dei nani e in quella più cortese degl’elfi.

“Non posso crederci, i Valar si stanno prendendo sicuramente gioco di me ingannando la mia vista!” Tirinîr allora si mosse silenziosa come un gatto protetto dall’oscurità notturna, fermandosi alle spalle del sempre più occupato nano ed indicando ad Anrond di tacere ponendo un esile dito sulle labbra. Il Portatore della Ciocca rigirava fra le sue mani una pergamena giallastra, su cui era impresso ad inchiostro nero un disegno dettagliato dell’opera finita.

 “Magnifica fattura, ma forse un po’ troppo sottile per ‘proteggere’a mio parere …” Evidentemente non si era avveduto di chi era stata a pronunziare quelle parole di scherno, perché Tirinîr lo vide bloccarsi come se un dardo gli si fosse conficcato sulla base del collo. La malcapitata pergamena venne stracciata all’altezza dell’impugnatura ed un piccolo strappo sulla destra si aprì sotto la sua ferrea morsa.

“Signora!” esclamò stizzito. “Si vede che non conoscete l’argomento che state affrontando!” Affermò con più sicurezza, lasciando poi cadere l’ormai straccio ed agitando le mani in aria come per mostrare meglio quello che aveva davanti. “Questi cancelli sono fatti in acciaio e mithril, metallo più leggero di una foglia secca, ma capace di respingere un’intera orda di orchetti per resistenza! Quindi vi prego, abbiate la compiacenza di lasciare giudizi a chi ha il carattere forgiato dalle montagne e dal lavoro!” concluse insistendo a rimanere ancora voltato di spalle. La Principessa allora non demorse, decidendo di provocarlo ancor di più nell’orgoglio. Sapeva che il miglior modo per destare un nano occupato a rendere una sua opera magnifica sopra ogni limite, era solleticare il suo amor proprio nel profondo.

Mithril …” pronunciò pensierosa massaggiandosi il mento. “Ma non erano gli elfi a saperlo lavorare nel migliore dei modi?” a quel punto c’era solo d’aspettare il vulcano eruttare, cosa che non tardò. Gimli strinse i pugni lungo i fianchi, le larghe e forti spalle iniziarono a tremare scosse dall’ira sempre più incalzante.

“Voi è meglio che ve ne andiate a disturbare qualcu … Oh …”  ma la sua espressione mutò completamente quando i suoi occhi scuri ed incavati incontrarono quelli plumbei del giovane elfo ad accompagnare colei che aveva osato disturbarlo. “T – tu?” balbettò sconcertato dalla sorpresa, il suo sguardo infossato vide una piccola figura con il viso incorniciato dalla seta della sua cappa, una raffinata veste colore della notte ed ornata di ricami le fasciava il corpo esile, una corona sottile di fili dorati ed argentati le cingeva il capo. Il Portatore della Ciocca non la riconobbe in un primo momento, rimase qualche secondo ad assottigliare lo sguardo alla ricerca di quella fisionomia famigliare fra le sue rimembranze. “Per tutte le montagne!” esclamò ad un tratto come folgorato da una rivelazione.

“Non vi chiedo un abbraccio, so che sarebbe eccessivo , ma posso salutarti vecchio amico mio? O preferite che vi lasci ad occuparvi del vostro lavoro a tempo pieno?” chiese la fanciulla.

“Piccola strega, sei molto cambiata …” era difficile lasciare quel nano con poche parole, il mezzelfo ricordava bene il suo vocabolario sempre molto variopinto. Invece rimaneva di fronte alla ragazza, con occhi sbarrati che venivano più volte sfregati dal guanto per capire se non si stesse sbagliando.

“Vi conoscete, mia Signora?” chiese Anrond all’orecchio di Tirinîr, la quale rispose con solo un piccolo accenno.

“Permettimi di presentarti Gimli figlio di Gloin, impavido nano che fu uno dei Nove Viandanti, amico degl’elfi soprattutto mio e del tuo Principe.” Disse la fanciulla indicando con il palmo aperto e verso l’alto il Portatore della Ciocca che chinò la testa come saluto e rispetto. “Gimli, lui è  Anrond, mio fido stalliere non che mio grande amico.”

“Quindi siete voi il nano con cui il Principe strinse amicizia durante la Guerra dell’Anello!” esclamò sorpreso il giovane elfo. “Lasciatemi dire che è un onore conoscervi. Io personalmente ho sempre creduto che questa rivalità fra nani ed elfi potesse essere messa da parte …” Anrond stava iniziando uno dei suoi sproloqui logorroici sulle teorie per cui non vi doveva essere inimicizia fra i popoli liberi della Terra di Mezzo, quando il nano schioccò la lingua sul palato scuotendo la testa seccato, zittendolo all’istante.

“Sì, sì molto interessante!” Disse liquidando con sufficienza il ragazzo. Tirinîr, che aveva assistito alla scena senza intromettersi, si morse il labbro guardando altrove per non ridere sfacciatamente davanti al suo giovane accompagnatore.  “Ma se voi siete qui, anche il principino elfico con le orecchie a punta è a Gondor.” Chiese il nano con la speranza negl’occhi di incontrare nuovamente molti dei vecchi amici. “Strano che non l’abbia ancora incontrato …”

“Tutti i principati di Gondor e Rohan sono stati mandati a chiamare, noi ora siamo a capo di un insediamento in Ithilien come vi avevo annunciato nell’ultima lettera. Anzi perché qualche volta non vieni da noi, ti accoglieremo con tutti gli onori …” ma si bloccò dal continuare la frase vedendo il nano che, pensieroso, abbassò lo sguardo. Era strano vederlo così silenzioso e assorto, soprattutto dopo che con un tonfo tuonante uno dei suoi operai aveva combinato apparentemente un guaio. Il nano non sollevò il viso, non rimproverò chi aveva distrutto chissà cosa. Era immobile ed impassibile di fronte ad una Tirinîr sempre più preoccupata.  “Gimli, dimmi forse sai cosa sta accadendo?” chiese la fanciulla con premura. Lo sguardo del nano vagò per un attimo prima di tornare a fissare gli occhi del mezzelfo.

“Oh ...” sospirò carico per sentirsi in grado di parlare. “Siediti da qualche parte e parliamone in privato, perché, se ho imparato a conoscerti, so che non ti piacerà affatto!”

 

Anrond la inseguì mentre, con passo ferino, attraversava la Piazza della Fontana ai piedi della Torre Bianca. Il grande bastione se ne stava impettito e fiero, incurante dei secoli che l’avevano preceduto e delle battaglie a cui aveva assistito. Mirava Minas Tirith come un padre guarda il figlio e con le sue braccia fatte di pietra lo teneva stretto a sé. Tirinîr sorvolò il piccolo albero, che già aveva raddoppiato la sua altezza ed ora raggiungeva poco meno di dieci piedi. I suoi rami erano belli e candidi, robusti in pianta e sottili all’estremità. Su di essi molti fiori vi trovavano posto, nonostante l’inverno fosse nel pieno della sua rigida sterilità. Ma quello era un discendente di Nimloth il bello e non poteva essere altrimenti.

Proprio nel vedere che uno di quei fiori stava perdendo i suoi candidi petali e tra di essi una piccola rotondità si era fatta spazio, Tirinîr si fermò dalla sua corsa e voltò lo sguardo. Dalla piazza il panorama offriva la vista di tutta la città e dei campi antistanti, fino a raggiungere all’orizzonte alcune delle antiche mura. Non fu di certo la bellezza devastante della vista offerta dall’altezza dell’Alta Corte a spiazzare il mezzelfo, bensì un vessillo che s’avviluppava al vento, sventolando presuntuoso al suo tocco, ed un vasto accampamento di cui ne segnava le origini.

“Mia Signora, siete uscita di senno?” disse Anrond una volta raggiunta la fanciulla, stremato non tanto dalla fatica piuttosto dalla tensione. “Non dovete affaticarvi in alcun modo! Se non collaborerete sono autorizzato a legarvi, non costringetemi a farlo!” mostrò il dito minaccioso, redarguendo la ragazza che invece continuava a fissare quel punto all’orizzonte con la paura negl’occhi. “Sappiate che non ho nessuna intenzione di finire in punizione a causa vostra anche qui! Intesi?” solo dopo aver sfogato tutta la sua frustrazione Anrond s’accorse che non era stato ascoltato assolutamente e che lo sguardo vacuo di Tirinîr era rivolto a quelle tende piantate lontano. “Mia Signora, vi sentite bene?” chiese allarmato prendendole le spalle per scuoterla leggermente. Tirinîr però continuava a non rispondere.  “Mia Signora?” Cercò di nuovo di scuoterla, ma a quel punto la fanciulla voltò i suoi occhi. Il giovane elfo vide in lei un nuovo sguardo, diverso. Non era dolce e caldo come sempre aveva visto, ma freddo ed imperscrutabile. Vuoto come il fondo di un otre dopo un lungo viaggio.

“Sai dove ha luogo la riunione di Re Elessar?” chiese a bruciapelo, senza alcuna inclinazione nella voce che tradisse un preciso stato d’animo.

“Nella Sala del Trono, ma mia Signora cosa è successo? Perché vi state comportando così?”

“Conducimi alla Sala del Trono!” disse con voce bassa e greve, una voce che mai aveva il giovane fra quelle rosee labbra. “Quello che ti sto dando è un ordine Anrond, non ribattere! ” Tirinîr vedendo l’espressione attonita dell’elfo, gli voltò le spalle impaziente e prese a camminare come se calcasse un pavimento composto da carboni ardenti. Anrond, dopo un primo momento di smarrimento, la fermò tirandola per un braccio e per una volta a Tirinîr apparve l’adulto non il ragazzo. I suoi occhi saettavano nei suoi, inchiodando i piedi con la saggezza e la severità con cui la stava guardando dalla sommità della sua altezza.

“Mia Signora, non credo che possiate entrare nel Sala del Trono ora!” affermò sicuro sussurrando adirato.

“Anrond, ho bisogno di parlare immediatamente con mio marito. Ed ora lasciami!” rispose irritata strattonando il braccio per sciogliere la presa dello stalliere, che invece si fece più forte frenandola da una delle sue solite fuga senza spiegazioni. “Ti prego Anrond, mi stai facendo male!” implorò vedendo che l'elfo non accennava a demordere.

“No, questa volta no mia Signora!” disse il giovane elfo. “Se volete il mio aiuto, dovrete spiegarmi cosa accade!”

 

Essere semplicemente sconvolto non era abbastanza esplicativo per esprimere ciò che provava il giovane elfo. Si era mostrato comprensivo, delicato nell’affrontare le lacrime amare versate da quella che aveva sempre considerato una sua amica. Ma in quel momento come poteva vederla se non con occhi diversi? Cos’era in realtà? Non la conosceva così a fondo come pensava, eppure non riusciva a detestarla per avergli nascosto tutto quello che era invece riuscito ad estorcerle in quel momento. L’aveva condotta nelle sue stanze, con la promessa che avrebbe chiamato il Principe per raggiungerla il prima possibile. Corse per tutto il lungo corridoio pavimentato, leggero ed agile come solo un elfo poteva essere, rallentando a pochi passi dalla lucidissima porta di metallo ai cui lati due silenziose guardie vigilavano che nessuno osasse disturbare l’importante raduno. Anrond si schiarì la voce e sistemò la sua casacca, non era il caso di apparire trasandato ai grandi sovrani del regno unito degli uomini. Sollevò il suo petto e raccolse tutto il coraggio che aveva per intraprendere quei dieci passi che lo separavano dall’uscio. Le guardie , fino ad allora immobili statue dai manti neri e dagl’elmi stretti sulle guance, seguirono con la testa l’incedere dell’elfo e quando fu troppo vicino gli sbarrarono la strada incrociando le lance. Il rumore metallico delle due armi a contatto, poteva risultare stridente e fastidioso alle sue orecchie sensibili. 

“Reco un importante messaggio per il Principe Legolas, vi chiedo di lasciarmi passare per recapitarlo.” Disse con calma cercando di mascherare il proprio turbamento.

“Non abbiamo l’autorizzazione a lasciar passare nessuno.” Rispose la guardia di destra. Anrond scattò con la testa in sua direzione. Non sapeva che fare, si trovava di fronte ad un bivio etico visto che il primo pensiero fu quello di mentire. Ma in fondo quanta verità c’era nella menzogna che si apprestava a dire?

“Sua moglie, ha ancor avuto un forte malore.” Affermò sollevando la testa impudente. “Ha chiesto di lui e non credo che sarà contento di sapere che non è stato avvertito.”

“Ti ripeto, ragazzino …” disse con sprezzo il soldato, d'altronde quello che aveva di fronte era solo un fanciullo ai suoi occhi. “Re Elessar ha ordinato che nessuno può disturbare, quindi togliti di torno se non vuoi finire in qualche cella per aver importunato una Guardia della Cittadella.” Anrond non cedette, si rivolse austero a quell’uomo e pungente come un ago si rivoltò contro di lui.

“Pensate che a Re Elessar possa far piacere sapere che, mentre la moglie di un suo più caro amico ed alleato giaceva incosciente su di un letto, il Principe non era stato chiamato?” per la prima volta vide il dubbio insinuarsi nello sguardo sicuro della Guardia, vacillò un attimo prima di riuscire a riprendere la sfida che stava avvenendo a suon di sguardi.

“Dorlas …” intervenne allora l’altra Guardia, meno certa dell’altra. “Credo che sia meglio lasciarlo passare, il Re vorrebbe così!” Dorlas esitò ancora, giocando con gli occhi dall’uno all’altro. Anrond, invece, non lasciò mai la sua posizione e continuava a fissarlo imperterrito e dopo l’ultimo fugace e stizzito sguardo, Dorlas, scansò la sua lancia.

“Fai in fretta ragazzino!” disse contrito, lasciando trasparire tutto il suo dissenso. Anrond annuì con il capo e salutò l’altra guardia prima di bussare alla porta, la quale si aprì senza che apparentemente nessuno vi fosse a guidarla. Il giovane stalliere si trovò in un immenso salone diviso in tre navate illuminate da ampie finestre. Alte colonne nere dai capitelli scolpiti sostenevano volte a crociera adornate da arabeschi e ricoperte di foglia d’oro. Davanti a sé si ergeva, sopra ad una pedana dagli innumerevoli gradini, un trono coperto da un meraviglioso baldacchino in marmo bianco. Sembrava essere entrati in un luogo sacro, divino, in cui l’aura possente di re e sovraintendenti del passato gravava opprimendo chi non era abituato alla sua suntuosità.

“Anrond!” esclamò Legolas altamente sorpreso. Questo fece tornare l’attenzione del giovane al suo compito, cosa che gli permise di osservare i presenti. Vi erano almeno dieci uomini, ma tra tutti riconobbe Éomer ai piedi della scalinata che sedeva disordinato sul quarto gradino. Teneva una mano sul ginocchio e l’altra pendente dalla gamba, accanto a lui, in piedi, un altro uomo si trovava. L’aspetto fiero e vissuto di un uomo i cui capelli erano solcati da alcune sferze d’argento. Al collo una spilla chiudeva la casacca azzurra come il mare in una giornata estiva e riportava un cigno in argento. Egli era sicuramente Imrahil, Principe di Dol Amroth. Poco più vicino seduto su di un trono d’ebano, scuro in viso e visibilmente preoccupato, vi era Faramir affiancato da quello che sicuramente doveva essere Re Elessar. Fra tutti gli uomini era quello dallo sguardo più penetrante e, nonostante l’avesse osservato per qualche attimo fuggevole, Anrond sentì il suo fardello di Sovrano. “Anrond, parla in fretta! Dimmi cosa è successo a Tirinîr per farti correre qui contravvenendo ad ordini precisi!”

“Dovete raggiungerla, non sta bene …” disse semplicemente evitando di cadere in particolari che avrebbero compromesso la sua bugia. Il Principe si guardò attorno perplesso, sentiva che non fosse ciò che si definirebbe piena verità, piuttosto era meglio definirla distorta. Di certo tutti non avevano colto l’incertezza di entrambi gli elfi, presi a studiarsi in modo da lasciar cadere in fallo o l’uno o l’altro. 

“Cos’ha?” chiese allora cercando più certezze. Per quanto questa situazione non lo convinceva, non se la sentì di giocare con quella che più di una volta era stata una salute instabile.

“Ha chiesto di voi! Anzi, ha bisogno di voi!” eluse la domanda del suo Signore magistralmente, colpendolo proprio nel suo punto più debole. Quelle parole non toccarono soltanto il Principe, bensì anche tutti gli altri che presero a parlottare tra loro. Dal piccolo gruppo si distaccò però il Re, che, dopo aver riflettuto poco più di una manciata di secondi, prese la spalla dell’amico in un gesto di conforto.

“Va da lei!” disse al suo orecchio. Legolas si voltò guardando Aragorn negl’occhi rasserenanti, esprimendo il dubbio di lasciare a metà un importante discorso. “Non servirai qui se rimani con l’angoscia nel cuore …” e a quelle parole toccò il suo petto, proprio all’altezza del muscolo che irrorava di vita il suo corpo ed emozioni la sua anima.

Legolas annuì e si lasciò guidare dal giovane stalliere fuori, raggiungendo la sua camera poco dopo. Durante il tragitto aveva provato a chiedere cosa fosse accaduto e perché tanta urgenza da non poter aspettare. Anrond non rispose mai direttamente, fornendo solo criptiche ed evasive repliche a quelle sempre più esagitate domande. Un battente ligneo segnava l’accesso alle loro stanze, fu proprio il Principe ad aprire con furore ed affanno trovandosi davanti uno scenario che non s’attendeva.

Pensava di trovarla coricata sul morbido letto, stesa in preda ad uno dei suoi attacchi di spossatezza. Invece la fanciulla era in piedi e guardava l’esterno verso l’Orizzonte, dove un accampamento con i vessilli alzati si stanziava. Appena udì il rumore della porta si girò verso Legolas, che attonito la studiava, non comprendendo il perché l’avesse fatto chiamare con tanta impazienza. Quello che vide però fu il viso straziato e livido dal pianto dell’amata, con le mani congiunte al petto.

Tirinîr, Mani marte? | Tirinîr, cosa è successo?|” il mezzelfo non rispose sulle prime, rimase impietrita cercando di trattenere le lacrime in un silenzio irreale interrotto solo da Anrond che accostò la porta, lasciando loro la giusta intimità. Quando lo scatto della maniglia determinò la sua  definitiva chiusura, la fanciulla si precipitò tra le braccia dell’elfo che, tremendamente colto alla sprovvista, non rispose immediatamente all’abbraccio. “Tirinîr, mi stai facendo preoccupare!”

“Mi riconosceranno …” rispose con voce tremante. Legolas s’irrigidì immediatamente comprendendo che anche lei aveva saputo in qualche modo il perché della loro presenza a Gondor.

“Sai che non permetterò a nessuno di farti del male!” rispose freddo ed asciutto. Era determinato, questa volta non avrebbero potuto toccarla in alcun modo. Lei era un Eldar a tutti gli effetti, sua moglie, nessuno avrebbe potuto avanzare diritti sulla sua persona.

“No, Legolas!” Tirinîr sollevò il viso umido dal petto del suo amato, che prese ad asciugare le sue guance con i pollici. “Sono crudeli, Aragorn non può stringere alleanze fittizie con loro, sapranno come raggirare gli accordi. E poi mi prenderanno, vorranno il mio sacrificio, mi porteranno via tutto quello che con tanta fatica ho conquistato! Io li ho sfidati, ho spezzato il loro patto. Vorranno me e vorranno il mio sangue.” le frasi venivano pronunziate velocemente, senza fiato, sconclusionate in preda al panico. Tirinîr scuoteva la testa nervosa, negava perché non riusciva a convincersi che tutto sarebbe andato bene. “Devi avvertirlo, fare in modo che capisca, devi fare qualcosa! No, no, no! Non ora, non ora!”

“Stai calma, melamin.” Disse allora l’elfo, intrecciando le dita tra i capelli dorati che le incorniciavano il viso tumefatto dalle lacrime. “Ci sono io con te, non sappiamo cosa vogliano da Gondor e perché abbiano chiesto udienza con il Re. Ai Variag, poi, appartengono molte casate spesso coinvolte in lotte fratricide. Non è certo che vi siano coloro che strinsero il patto con le Gwaith. Vieni …” l’elfo prese le mani della sua amata e l’invitò a sedersi su di un triclino per poterle parlare. “Guardami …” disse notando che teneva lo sguardo puntato alle mani tormentate. “Melamin,tirag nin! | Amore mio, guardami! [lett. guarda a me] |” le prese il mento e poté finalmente ammirare il suo sguardo inondato da quelle particolari lacrime luminose. “Il giorno in cui ci scambiammo queste vere ho fatto una muta promessa …” prese quindi la sua mano destra e la portò alle sue labbra che lasciarono un delicato bacio sulla sottile fede d’oro. “… non ho intenzione di mancare proprio ora!” sussurrò dolce.

“Cosa promisi?” chiese tranquillizzata dal suo tocco.

“Non sarai più sola, mia Envinyatarë, sarò sempre al tuo fianco e nessuno potrà nuocerti in alcun modo.” Rispose con trasporto baciando la fronte dell’amata e abbracciandola tenendola stretta contro il suo petto. Passarono così minuti interminabili, in cui la fanciulla si sentì veramente al sicuro. Non era più Adamante la Guaritrice, non poteva ritorcersi contro il suo passato. Però ancora vi erano troppe domande che si affastellavano nella sua mente: perché i Variag volevano incontrare Elessar? Cosa aveva spinto un popolo orgoglioso e fiero a chiedere udienza ai propri acerrimi nemici? Chi li guidava, ora che anni erano passati? Di una cosa sola era certa, che qualunque cosa fosse accaduta lei non avrebbe rinunciato alla sua seconda possibilità, non avrebbe permesso a nessuno di portarle via quel figlio che ora sentiva desiderare sopra ogni altra cosa.

“No, non dovrai proteggere me …” disse improvvisamente Tirinîr. Legolas, esterrefatto da quella dichiarazione, scostò delicatamente il suo corpo per poterla guardare negl’occhi. Non riusciva nemmeno ad articolare un modo per replicare a quella assurdità, detta con un sorriso, per quanto era sbalordito. “… noi, insieme …” La fanciulla prese allora la mano dell’elfo per posarla sul suo ventre, proprio dove la prima curva aveva iniziato il suo sentiero verso il basso. “ … dobbiamo proteggere lui …” era giusto che sapesse cosa c’era in ballo, molto più di quello che potesse pensare. Eppure quella rivelazione non sembrava essere pienamente compresa. Legolas vagava dalla mano posata sul grembo della sua amata a i suoi occhi scuri ed intensi, sorridenti per quello che si stava rivelando la più grande gioia che potesse provare. Una felicità destabilizzante, di quelle che paralizzano ogni tuo arto ed ogni tua facoltà di raziocinio per poi tornare come un mare in tempesta, rimestando le numerose emozioni vissute.

“Stai cercando di dire quello che penso, melamin?” chiese ancora stordito dalla notizia.

“Sì!” rispose con una nuova luce negli occhi, che presto si rabbuiò al pensiero che presto forse sarebbero stati minacciati da un nuovo vecchio nemico. “Ed è per questo che sono molto più che spaventata, non voglio che prendano di nuovo mio figlio, darei un braccio piuttosto che me lo strappino di nuovo!” la sua voce uscì come una supplica, smorzata da un tremito di panico e terrore. L’elfo soppesò le parole della sua amata, vedeva in lei quella paura cieca e sorda che provava nel dover rivivere il dolore di una nuova separazione. Proprio per la natura di quello sgomento sapeva che nessun conforto di circostanza l’avrebbe resa più certa del futuro. L’unica cosa sicura era nei loro sentimenti reciproci, nel loro amore che aveva superato barriere molto più alte e impervie. Fu con quella nuova consapevolezza che l’elfo si abbandonò in un bacio lungo ed appassionato come mai prima d’ora, esprimendo in esso tutto il suo amore forte ed intenso. Attese poi in silenzio che la fanciulla tra le sue braccia prendesse sonno e si abbandonasse al riposo più oscuro, rinnovando la promessa di proteggere lei, e adesso anche loro figlio, da qualsiasi pericolo.

 

Ma cosa vorranno i Variag questo ancora non ci è dato sapere. Quello che posso dirvi amici miei è che presto si conosceranno tutti i risvolti che tanto attanagliano le vostre curiose teste. Sappiate solo che ci sono delle volte che il passato insoluto torna sempre a chiedere il fio. Buonanotte, amici miei, che Irmo vegli su voi!

 

 

Note dell'autrice: Buonaseeeeera!!! Bentrovati a tutti i miei amici!!! Allora tempo di ritorni: Complimenti a Thiliol che ha indovinato il ritorno annunciato. Allora cosa dire oggi sul capitolo, poveri personaggi che sono capitati con me e con la mia povera mente da malata pazza. Bhè ovviamente ho cercato d'intrecciare il Canon con la mia storia e quindi Gimli l'ho fatto tornare per i famosi cancelli distrutti. Ebbene sì! Per esigenze di trama gli ho fatto ricostruire pure il settimo cancello, in realtà non sono certa che fosse stato distrutto o meno (il Grond mi pare è stato usato solo con il Grande Cancello). 

Ah per chi se lo chiedesse, Gimli sapeva dei Variag (altro grande rientro) in quanto Aragorn ne aveva parlato con lui in precedenza visto che lo sapeva occupato con la ricostruzione. Comunque ne sapremo di più nel prossimo capitolo. Eh eh, non faccio previsioni azzardate ma credo che stiamo avvicinando sempre più inesorabilimente alla fine. 

Rispostine alle recensioni (ben 3 ragazzuole evviva!!!):

Thiliol:  Bhè mia cara dovevo festeggiare le 300 visite alla mia storia con un lieto evento!!!Peccato che poi ci sia sempre la solita batosta ... eh eh. In effetti ad ispirarmi la scena alle Case di Guarigione è stata proprio la frase "mani di re sono mani di guaritore" l'ho amata ed è rimasta nella mia testa. Devo dire che anch’io penso sinceramente che Éomer avrebbe vinto se non avesse sottovalutato il proprio avversario. Anch’io adoro i Rohirrim e i loro destrieri, amo la loro cultura da morire (anche se l’ho approfondita molto meno rispetto a quella degl’elfi). A presto mellon nin!

Elfa: Bentrovata! Don’t worry! Questo mese io l’ho proprio abbandonato il pc!!!Vacanze a go go! Sono comunque contenta di ritrovarti ^^! In effetti le bricioline di pane le avevo lasciate per far capire la gravidanza in arrivo, ebbene fagottino in arrivo ^^! Il Re di Bosco Atro diventerà nonno!!! scherzi a parte era una delle cose che un po’ mi dispiaceva nel Signore degli Anelli, Legolas alla fine non ha nemmeno un erede. Era un peccato. Per Gimli è diverso, i nani hanno così poche femmine che si sposano raramente, ma per gli elfi dovrebbe essere una tappa fondamentale. Va buon ce l’ho messa io la toppa ^^! Ioreth è stata una scelta diciamo quasi stilistica. Amo ripescare personaggi minori, sono “volti noti” che il lettore dice –Ma tu guarda chi c’è! – che danno la giusta libertà di poterci giocare (cosa che faccio anche con i miei). E poi volevo un malato vecchio e stanco, chi meglio della già allora anziana Ioreth? Dovevo dire qualcosa in più sul dono di Tirinîr, come questo non sia una magia con salvataggio dalla morte. Spero comunque di aver centrato il mio intento. Nu, nu, Gandalf è partito da tempo ormai. Va con Frodo e Bilbo nell’Ovest quindi nun è lui. E’ il mio nano preferito, Gimli!!!^^ Ed insieme a lui ci saranno anche i vecchi nemici di un tempo. Muhahahah!!!Un bacione

L chan: Oh mammina saurissima! Quando ho letto la tua recensione sono rimasta con la bocca spalancata a guardare incredula lo schermo per circa 20 minuti (ogni tanto la vado a rileggere per vedere se mi sono sbagliata). Certe recensioni dovrebbero essere illegali, fanno rischiare il collasso. Quindi innanzitutto Grazie!!!^^Quando ho preso il coraggio di scrivere questa storia non avevo nessuna pretesa, tuttora non ne ho, ed il tuo dirmi che potrei essere inserita nell’opera di Tolkien il mio debole cuoricino ha fatto i fuochi d’artificio. La mia attenzione per i dettagli (felicissima che i miei lettori lo notino) nasce proprio dal grande rispetto che ho per il Professore e per la sua opera. Io ho letto molto su Arda, il mondo che ha creato è ricco e dettagliato tanto che per me è esistito veramente. Sono onorata che questo mio rispetto si veda e salti agl’occhi, anche se non definisco la mia storia una capolavoro (grazie grazie grazie e ancora grazie) ci tengo che sia tutto più o meno conforme a ciò che conosciamo. L’impegno sì è vero ce ne è tanto, ma posso dire che è ben ripagato. Sai sembro una pazza: quando scrivo sto sul tavolo del salone con “Il Signore degli Anelli”, “Il Silmarillion”, “Lo Hobbit”, due dizionari di Italiano, uno di Sinonimi e Contrari, una grammatica, un Block notes per le traduzioni, penne e matite all’occorrenza, sul computer tengo aperti tutti i dizionari Sindarin e Quenya, le grammatiche e le coniugazioni dei verbi Sindarin (questo ora, prima avevo anche i miei appunti sulla lingua delle amazzoni =_=’’’). Oddio io in vita mia non ho mai cavalcato (anche se devo ammettere che mi sarebbe tanto piaciuto) ma in compenso avevo un’infarinatura di struttura equina che mi ha permesso di cercare nei posti giusti come descrivere un cavallo (amo da morire i cavalli arabi che ci posso fare?^^). In realtà per ogni cosa che scrivo cerco di documentarmi, come per esempio nei duelli di spada (i combattimenti poi soprattutto, spesso si incappa in cose poco verosimili ed io da vecchia giocatrice di Gdr on line non riesco a descrivere una scena senza logica) o nel tiro con l’arco. Sono cose che hanno una tecnica e quindi arricchiscono il racconto, ovviamente sempre nei limiti altrimenti potrei annoiare. Comunque sia, ringraziarti ancora è insufficiente per questa meraviglia (rigiro il complimento) di recensione, sono davvero onorata di avere lettrici così attente, scrupolose e severe. A presto! ^^

 

Per finire ringrazio sempre tutti coloro che leggono!

Un bacione, la vostra pseudoscrittrice pazza Mally

   
 
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