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Autore: Jan Wilde    07/09/2010    5 recensioni
“Ho sempre pensato che vivere fosse solo un modo come un altro per passare il proprio tempo. L’ho sempre pensato fino a quel giorno, fino a quando, trovandomi di fronte alla scelta più difficile della mia vita, ho dovuto scegliere la strada più impervia. Da quel momento ho incominciato realmente a vivere, a soffrire forse, a trovare un ostacolo dietro l’altro, ma a vivere.”
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non lo vide per tutto il resto del pranzo e della lezione che seguì. La speranza di intravedere la sua figura, dietro ad ogni angolo della scuola stava divenendo quasi un’ossessione. Sospirò quando, entrando all’ultima lezione della giornata, scoprì che probabilmente non l’avrebbe visto neppure in quell’occasione.

-Smettila di struggerti! Non si scappa da qui ed è solo il primo giorno, lo rivedrai.

Le disse Serena come se le avesse letto nel pensiero.

–Rivedere chi?- chiese lei con finta indifferenza. La nuova amica sospirò alzando gli occhi al cielo e si andò a sedere in uno dei banchi in fondo all’aula. Ginevra la seguì e cercò di non pensare a Jaren.

Girava voce che la professoressa di fisica fosse la più tosta dell’istituto, cosa che le sembrava assurda dopo aver partecipato alla lezione di storia della filosofia: insostenibile. L’untuoso Signor Tompson si era rivelato un individuo insopportabile, crudele e sempre pronto ad assegnare punizioni su punizioni.

Quando la professoressa di fisica entrò la ragazza rimase senza fiato. Era una donna bellissima. Pelle leggermente abbronzata, labbra così perfette da essere oggetto del desiderio di ogni uomo, due occhi di un dolce color nocciola e capelli castano chiaro che le scendevano, sciolti, sino alla vita. Sembrava un angelo. E a rendere quella visone ancora più paradisiaca fu Jaren che, con un sorriso accattivante, entrò nell’aula scusandosi per il ritardo. Le sue guancie si erano fatte più rosee e i suoi capelli sembravano scompigliati dal vento. La signorina Godman, così si chiamava l’insegnante, non lo degnò neppure di uno sguardo e Jaren, senza troppe cerimonie, andò a sedersi nell’unico banco rimasto libero: accanto a Ginevra.

La giovane si ritrovò a trattenere il respiro per l’agitazione. Serena quasi scoppiò a ridere nel vedere la faccia della sua nuova compagna: questa passava dal pallore assoluto a un rosso intenso che le tingeva dolcemente il volto imbarazzato.

-Respira o ci rimani.- le disse con una mezza risata.

-Non sei d’aiuto-. Rispose lei acidamente.

-Chi ha detto che voglio essere d’aiuto?

Ginevra sbuffò; prese un quaderno e iniziò a scarabocchiare facendo finta di prendere appunti. Almeno non avrebbe corso il rischio di incrociare lo sguardo di Jaren, ma per sua sfortuna la spiegazione della Signorina Godman non era ancora iniziata e non era ancora tempo di prendere appunti, il suo gesto passò come un puro menefreghismo nei confronti della Godman.

-Ancora non ho iniziato e già si fa gli affari sua, signorina Cole?

Ginevra, terrorizzata, alzò lo sguardo verso l’insegnante che, con passi leggeri e silenziosi, si era avvicinata al suo banco.

-No è che…- balbettò cercando una scusa plausibile. Lanciò un’occhiata a Serena, in cerca di aiuto, ma la ragazza aveva lo sguardo fisso sul proprio libro di fisica.

-Punizione, Signorina Cole. Stasera, alle otto, nel mio ufficio. Non ammetto ritardi.

Ginevra annuì, senza trovare il coraggio di dire nulla. Era così ingiusto.

L’insegnante, dopo averla umiliata davanti a tutti come solo un diavolo di donna poteva fare, tornò alla cattedrà.

-Auguri-. Le disse Jaren con un sorriso da perdere il fiato, dopo che la Godman ebbe iniziato a spiegare. Lei lo guardò interrogativa.

-Ti sei appena guadagnata un viaggio di sola andata per l’inferno-. Spiegò lui con sarcasmo. Sembrava che la cosa lo divertisse molto e ciò servì solo a far aumentare la frustrazione della ragazza.

-Ti diverti?- le chiese aprendo di scatto il libro di fisica, quasi come valvola di sfogo.

 –Moltissimo-. Sentenziò lui con l’ennesimo sorriso.

-Signorina Cole-, li interruppe la Godman con la sua voce bellissima,- Vogliamo estendere la punizione a tutta la settimana?- Chiese in tono acido. Ginevra alzò gli occhi al cielo e fece per protestare ma la donna la interruppe subito.

-Bene, dato che ha anche il coraggio di contestarmi facciamo che, per le prossime due settimane, tutte le sere, alle otto, la voglio nel mio ufficio. E con questo la questione è chiusa. Almeno che lei non voglia passare l’intero semestre in punizione.

“Non è giusto!” pensò la ragazza mentre la frustrazione aumentava a dismisura, ma non osò controbattere e rimase con lo sguardo perso nel vuoto davanti a se, trattenendo a stento le lacrime per l’umiliazione e la rabbia.

Jaren, dal canto suo sembrava spassarsela. Improvvisamente le apparve così infimo e odioso che avrebbe voluto presentargli con forza il palmo aperto della sua mano.

La lezione proseguì senza altre interruzioni. Di tanto in tanto qualche studente azzardava uno sguardo verso Ginevra, facendo aumentare ancora di più l’umiliazione che provava. La rabbia la avvolgeva come una coperta di spine, dolorosa e tagliente, come un fuoco che la divorava gridando vendetta.

-Sei soddisfatto!?- Sbottò quando la lezione fu finita. Jaren lasciò andare la risata che aveva trattenuto per tutta la lezione e il suono magnifico e così terribilmente musicale della sua voce attirò molti sguardi. La osservò con un’espressione divertita dipinta sul volto. –Su via! Qualche ora di punizione! Cosa vuoi che sia?

-Va al diavolo! Sei… sei…

- Ginevra, calmati…- intervenne Serena prendendola dolcemente per un braccio. Li stavano guardando tutti e Ginevra si sentì sprofondare ancora di più per l’umiliazione.

-Certo tanto è toccato a me!- scattò lei arraffando con le cose che aveva sul banco, rinfilandole di fretta e furia dentro la borsa.

Senza degnare di un altro sguardo Jaren si diresse verso l’uscita dell’aula, con le lacrime che a tutti i costi volevano rigarle il viso.

-Potevi evitare, Jaren-. Sentenziò Serena, prima di seguire l’amica fuori dalla classe.  Il ragazzo scoppiò nell’ennesima risata che risuonò per tutto il corridoio, fino a che le due ragazze non svoltarono l’angolo, pronte a scendere le scale verso i loro dormitori.

 

 

 

Il cuore le batteva a mille mentre studiava la porta di noce dell’ufficio della Godman. Era stata costretta a saltare la cena per arrivare in tempo all’appuntamento e così sarebbe stato per le prossime due settimane. Dopo l’ennesimo sospiro trovò finalmente il coraggio di bussare.

-Entra…- Le disse una voce melodiosa da dietro la porta. La ragazza, timorosa, ruotò la maniglia, immaginando di trovarsi di fronte l’insegnate pronta a torturarla in ogni modo possibile, con un aria di pura cattiveria stampata sul volto.

 Rimase stupita invece, quando la trovò adagiata su un lungo divano color lilla, avvolta da un bellissimo kimono di seta argentea. Gli occhiali le ricadevano leggermente sul naso fine sul quale, alla luce di numerose candele, risaltavano delle efelidi appena sbiadite.

Ginevra si guardò intorno imbarazzata: quello studio sembrava non aver nulla a che fare con l’aspetto rigido della scuola. Le pareti erano di un soffice color pesca, addobbate con quadri colorati in cui spiccavano fiori e tramonti di ogni genere. Un armadio di noce prendeva metà della parete di destra e un’anta aperta lasciava intravedere dei bellissimi abiti da sera. Le tende ricadevano lungo i vetri di un’ampia finestra, con pizzi colorati di azzurro, sino al pavimento, il quale era coperto da un morbido tappeto dove erano dipinti arabeschi di mille colori. Sulle varie mensole, eleganti porcellane mostravano il buon gusto della donna che in quel momento la stava osservando.

-Siedi.

Le disse indicando una sedia posta sotto l’ampia finestra, alla sinistra del divano. Ginevra obbedì senza neppure alzare lo sguardo, notando però che quello era sembrato più un invito che un ordine. La Godman rimase a guardarla ancora per qualche minuto, in silenzio. La ragazza avvertiva il suo sguardo indagatore che la studiava, come se fosse stata un interessante esperimento di fisica.

-Avevo sentito parlare bene di te…- Continuò con la sua voce calda dandole del tu, quasi in tono confidenziale, a differenza di come aveva fatto nel pomeriggio.

Quella donna aveva sentito parlare di lei? da chi? Quando? Alzò per la prima volta lo sguardo, incuriosita e intimorita allo stesso tempo, senza sapere cosa aspettarsi.

- E pensare che… no, niente, non importa-. Disse estraniandosi dalla realtà, con lo sguardo perso nel vuoto che però un attimo dopo era nuovamente rivolto verso di lei.

 Si passò una mano nei capelli castani, spostandosi una ciocca dietro un orecchio. Un atto semplice, ma che in lei sembrava sfiorare la perfezione. Quasi si ritrovò ad invidiarla per la sua bellezza e la sua eleganza. Quasi, fino a quando non si ricordò di come l’aveva umiliata quella mattina.

-Così imparerai a non mancarmi di rispetto…- Le disse, come se le avesse letto nel pensiero. Ginevra si chiese sbalordita se la sua espressione avesse reso espliciti i suoi pensieri o se semplicemente la donna li avesse indovinati.

-Oh, sei come un libro aperto…

Rimase a bocca aperta. La guardò ancora più stupita, domandandosi come diamine avesse fatto. La Godman si alzò avvicinandosi alla scrivania. La vestaglia le ricadeva perfettamente lungo il corpo sinuoso, i passi leggeri sembravano toccare a malapena il pavimento, silenziosi, come il suo respiro. Le mani ben affusolate si mossero, delicate, tra i fogli posti sulla scrivania. Ne prese uno e si avvicinò alla ragazza.

-In realtà non ho molto tempo per la tua punizione, stasera… sei un impiccio, non credere che sia un fastidio solo per te.

-Allora mi lasci in pace!- Lo disse senza neanche accorgersene.

La donna la guardò con sguardo severo mentre le sue labbra si riducevano ad una linea sottile e autoritaria. Ginevra si pentì immediatamente di quella uscita. Sembrava che non riuscisse a stare fuori dai guai in presenza di quella donna.

-Fidati ragazza, se non me lo imponessero i piani alti, farei volentieri a meno di averti tra i piedi.

Piani alti? Davvero voleva darle a d’intendere che le aveva assegnato quella punizione solo perché così volevano le regole della scuola? Per una cosa così da poco? No, non era di certo così. Doveva capire per quale oscuro motivo ce l’avesse con lei. Che fosse semplicemente una vittima casuale di una qualche frustrazione privata? Sempre che una donna del genere avesse almeno un  motivo per essere frustrata.

-Ma così non è…- Continuò in tutta tranquillità, porgendole un foglio. Su di esso vi erano riportate solamente poche righe che la lasciarono nuovamente a bocca aperta. Un tema di dieci pagine sulla termodinamica, con ricerca allegata.

-Ma è un tema di dieci pagine! Per domani! Non ce la farò mai! Dovrò passarci tutta la notte!- protestò, sapendo già che avrebbe perso in partenza..

-Sono quel che ti meriti per la tua arroganza…- Rispose Miss Cole in tono acido, -Imparerai a portar rispetto a chi di dovere. E ora ho di meglio da fare che stare a discutere con una viziatella come te, su, su, vattene…

Si morse le labbra per non peggiorare la situazione. Non solo era tutto il giorno che la umiliava, ma l’aveva anche definita viziata: lei che dai genitori non aveva avuto null’altro che la vita, un tetto sotto il quale stare e lo stretto indispensabile per vivere. Annuì alzandosi dalla sedia e si avviò verso la porta.

-Aspetta un attimo…- Ginevra si arrestò col cuore che tornava a battere a mille. Che altro voleva ancora?

-Consegnamelo dopo domani…- Alla ragazza sembrò di scorgere una venatura di dolcezza sul volto della donna. Ma non fece in tempo a capire se fosse stato solo il frutto della sua immaginazione che il volto della Godman tornò subito severo.

–Ma ti voglio comunque domani sera, qui. E non la passerai liscia come questa volta.

Ginevra annuì: se quella era passarla liscia che le avrebbe fatto per punirla seriamente? Uscì dalla stanza, trattenendo a stento la frustrazione che però esplose quando si scontrò contro un ragazzo.

-Ma che diavolo fai!?!?

Non fece in tempo ad alzare lo sguardo per vedere chi fosse che Jaren gli porse i fogli che le erano caduti. Un sorriso dolcissimo la abbagliò frantumando in mille pezzi ogni rancore.

-Come è andata?- Le chiese mantenendo quel sorriso.

-E’ andata…

-Terrificante?

-Meno del previsto… anche se…- Indicò i fogli che le aveva appena restituito. Jaren li riprese e lesse velocemente.

-Si, ti è andata bene-. Sentenziò restituendole nuovamente il tutto.

-Quanto meno mi dovresti dare una mano. Se sono finita in punizione è soprattutto per colpa tua-.  Jaren rise di gusto, quella stessa risata che quella mattina aveva riempito i corridoi. Ginevra sentì un brivido correrle lungo la schiena. Alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi verdi e la mente le si annebbiò, ogni parola perse senso e il mondo sembrò girare al contrario. Si sentì un’idiota per ciò che aveva detto e, ripensandoci, le sembrò quasi che la sua voce fosse suonata supplichevole.

- Mi spiace, è per domani e io stanotte ho da fare-. le disse, senza cercare di celare la sua ironia. Ma che diamine poteva avere da fare un ragazzo così, di notte, in una scuola come quella? Poi la risposta sembrò talmente ovvia.

-Oh già, ne cambi una ogni sera?- Le chiese sfrontatamente.

-Ogni sera? La cambio ogni mezza giornata-. Le rispose con uno sguardo malizioso negli occhi. Ginevra alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Si avviò per le scale senza aggiungere altro.

-E’ dura perdere la testa per qualcuno che non ti ricambia, vero?- le fu accanto senza che Ginevra se ne accorgesse neppure. Sembrava camminare nello stesso modo silenzioso ed elegante della Godman.

-Sei un cretino-. Sentenziò lei senza troppe cerimonie. Jaren la superò, sbarrandole la strada, col medesimo sorriso dipinto sul volto.

-Sei odioso, sai?

-Strano, non sono in tante a crederlo, e pensavo neppure tu.

-Oh, così sicuro di te… buffone-. Jaren scoppiò nuovamente a ridere e le tese la mano per aiutarla a scendere le ultime scale della rampa che nel frattempo avevano sceso. Ginevra lo superò senza degnare di uno sguardo la sua mano.

-Senti… non posso… sono… molto stanco, ti aiuterei ma…

-Trova un’altra scusa. È per domani l’altro, troverò un modo per farlo.

Mentre scendevano la seconda rampa di scale che portava al pian terreno fu Jaren a sospirare. Si riavviò i capelli spettinati e per la prima volta, sotto la luce di una lanterna, Ginevra scorse i segni di una sottile stanchezza dipinti sul volto del ragazzo. Due occhiaie violacee gli circondavano gli occhi, era più pallido di come lo aveva visto durante la giornata, come se quest’ultima lo avesse provato più del normale.  Attraversarono il corridoio del primo piano immersi nel silenzio. Jaren non aveva aggiunto altro e si era limitato a seguirla, silenzioso come un’ombra. Sembrava immerso nei propri pensieri sino ad essersi completamente estraniato dal mondo che lo circondava. Si stava torturando il labbro inferiore con fare pensieroso, gli occhi verdi vagavano distratti da un angolo all’altro del loro percorso. Non indossava la divisa, a differenza di Ginevra. Un leggero pullover marrone gli aderiva perfettamente al corpo snello, così come facevano i jeans neri con le cosce. Le sue converse sbiadite sembravano muoversi su un silenzioso tappeto di piume.

Quando arrivarono alla porta della sua stanza, Ginevra si fermò, iniziando a giocherellare con la chiave che aveva in tasca.

-E’ la tua stanza-, le disse lui distratto, osservando il numero diciannove inciso sulla porta.

-Non ti ci mettere ora a fare quel tema… domani sarà ancora più dura di oggi ma troverai il tempo. Io devo proprio andare, scusami.

E senza aggiungere altro svoltò l’angolo del corridoio, sparendo dalla vista della ragazza. Certo che era strano. Cosa ci faceva proprio lì, davanti alla porta dell’ufficio della Signorina Godman? Come mai l’aveva accompagnata sino alla sua stanza. Scosse istintivamente la testa decidendo che, almeno per il momento, era meglio non porsi troppe domande futili.

Guardò l’orologio che portava al polso. Erano le undici di sera, la sua punizione e la sua passeggiata in compagnia di Jaren, lungo i corridoi della scuola, erano durate più di quanto si fosse aspettata e la stanchezza la stava lentamente assalendo. Aprì la porta della sua stanze e rimase per qualche secondo ad osservarla. Non vi aveva dato ancora un minimo di arredamento, eccezion fatta per le soffici coperte bianche che ricoprivano il letto. Si ritrovò a scoprire che quel morbido rettangolo, in quel momento, era l’unico desiderio presente nei suoi pensieri. Si spogliò della divisa, lasciò ricadere i capelli, che fino a quel momento erano stati raccolti in una coda, in una cascata di ciuffi neri che, provocandole un leggero brivido di piacere lungo la schiena, le accarezzarono le spalle.

Avviò l’acqua della doccia si fece ben presto calda e Ginevra si godette quel torpore, dimenticando per un attimo dove si trovasse e gli avvenimenti di quella giornata. Poche ore prima gli erano sembrati terribili ma in quel momento, in quell’attimo di beatitudine, sotto il getto caldo della doccia, le sembrarono tutti risolvibili.

Dopo essersi infilata un soffice pigiama di cotone rosa, si mise sotto le coperte, con i capelli ancora bagnati. Le gocce che le scendevano lungo il collo la fecero rabbrividire nuovamente e, fu durante uno di quei brividi, che si addormentò, sprofondando in un sonno privo di sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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