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Autore: Cymbaline    09/09/2010    0 recensioni
Uno scrittore in fuga dalla realtà. Un giornalista cinico riluttante ad abbandonarla. Un giovane musicista sull'orlo della notte, e suo fratello, che ha il sole negli occhi. E una ragazza dallo sguardo di caleidoscopio. Il tutto, nell'irreale labirinto di luce della città di Alumina.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che la vidi, nonostante fosse notte, portava gli occhiali da sole.

Faceva freddo - il suo corpo, avvolto da una giacca di panno leggero, era tutto un brivido - e il respiro le si condensava in piume di ghiaccio davanti alle labbra. Le dita sottili e nervose tamburellavano costantemente nell’interno delle tasche della giacca seguendo una musica che io - povero mortale indegno - non potevo ascoltare, secondo uno spartito segreto che non sapevo leggere. Forse lo faceva per scaldarle, quelle dita sottili e nervose, tanto lunghe e pallide da dubitare che fossero parte integrante del suo corpo piuttosto che ramoscelli innestati in una nodosa, bizzarra comunione tra uomo e natura.

Ma allora non lo pensai; mi soffermai solo sul suo aspetto bizzarro, esoticamente variopinto. È stata la nostalgia a far riaffiorare lentamente questi particolari come macchie d’olio che galleggiano sull’acqua - pensi che si sia disperso, e invece eccolo lì, pronto a riaggregarsi in chiazze sempre più grandi.

È stata la nostalgia, solo lei. Ammesso che il tempo possa sbiadire lentamente i colori dei ricordi, la nostalgia è lo scudo sottile che protegge la memoria dalla rovina e dall’oblio. Il pegno da pagare è la tristezza. Ricordare - ricordi piacevoli o meno - è quasi sempre soffrire un po’, come constato ogni giorno con una punta di amarezza.

E quando il ricordo di quei giorni pigri ad Alumina bussa alla porta della mia mente, è inutile che tenti di resistere. Mi torneranno in mente la luce vibrante e liquida del sole d’estate, la sensazione dell’erba sulla pelle, il profumo - già, il suo profumo - della notte. L’unico rimedio è lasciarmi trascinare su quel fiume denso di memoria fino alla fine.

Ma quando le rapide della cascata alla fine del fiume stanno per inghiottirmi mi tornano in mente le parole di Tangerine. Anche io in un tentativo di calmarmi inizio a ripetere tra me e me la frase che lei stessa ripeteva sempre quando aveva paura in uno strano mantra infantile: Immaginati in una barca su un fiume, con alberi di mandarino e cieli di marmellata. Mi disse che erano le parole di una vecchia canzone e che sua madre gliela cantava sempre prima di andare a dormire. Pensare di essere su una barchetta e scivolare pigramente lungo i filari di alberelli di mandarino la rilassava.

Su di me non funziona altrettanto bene. Non mi soffermo sull’immagine in sé, ma sulla sua innegabile assurdità. Passino gli alberi di mandarino, ma i cieli di marmellata! Che cosa significa, un cielo di marmellata? Se provo ad immaginarlo non mi trasmette alcun senso di tranquillità, anzi. Penso ad una nube vischiosa, scura e violacea, che cola sulle foglie di mandarino e si mischia in gocce pesanti all’acqua del fiume. Un incubo.

Forse sono un po’ troppo razionale.

Qui non è il fatto di essere razionali, polemizzerebbe Tangerine, il problema è che non hai immaginazione.

   
 
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