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Autore: BigMistake    14/09/2010    3 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XXII: Il passato dimentica.

Mentre il nero oblio di una notte senza luna governava incontrastato sulla città, il mezzelfo, aveva avuto di nuovo quell’incubo: lo stagno e la persona che dietro il suo specchio l’attirava sul fondo. Oscuro di significato e nefasto come il più terribile degli auspici. Legolas, coricato al suo fianco, si era svegliato con lei che scalciava come a volersi liberare da quella opprimente forza invisibile, rivelandole il suo dubbio sul farla presenziare l’indomani. La fanciulla era restia nel ritirarsi dai suoi doveri già al primo ostacolo, quindi aveva cercato di rassicurarlo in ogni modo finendo di riaddormentarsi in un dormiveglia poco più che accennato. Quando il sonno sopraggiunse assieme al canto dell’allodola venne svegliata dal rumoreggiare di alcune ancelle. Il loro compito era quello di aiutarla ed assisterla nei preparativi per presentarsi nella sala del Trono, cosa che su di sé pesava come una cotta di maglia in ferro.

“Ho finito, mia Signora!” disse una giovane ragazza dietro le sue spalle che aveva preso a spazzolarle i capelli. Era rimasta tutto il tempo a lasciarsi curare da quelle fanciulle, in fondo era il loro dovere ed il loro lavoro, non avrebbe impedito che lo compissero. Aveva imparato ormai ad assuefarsi a quei piccoli agi dovuti ad una buona posizione, cosa che invece nel suo precedente mondo sembrava inverosimile. In effetti anche le Gwaith erano asservite, ma a qualcosa di più che una semplice regina. Quello che facevano era un tutto per tutte, le loro mansioni erano suddivise secondo capacità, quindi ognuna agiva per il bene dell’altra. Così, la figlia della Regina, poteva curare le malattie del popolo e della Città Alta senza distinzioni o priorità di rango. Non era poi una teoria così sbagliata, condivisibile sotto certi punti di vista, ma con un buco che non era prevista: è nella fallace natura umana quello di sopraffare l’altro. Animi come Geldena vi sarebbero sempre stati, avvelenando così addirittura il concetto di uguaglianza nato con il popolo ed in virtù del popolo.

“Grazie, potete andare!” rispose alla giovane che dopo un inchino raccolse l’ordine e lo portò via con sé, seguita dalle altre. Tirinîr osservò la sua immagine riflessa in un grande specchio, la conteneva in tutta la sua altezza e ne delineava ogni piccola sfaccettatura. Era cresciuta in statura, anche se sempre le sue spalle piccole e il fisico asciutto ne manteneva l’aspetto minuto, gli occhi erano leggermente più chiari, i tratti sottili e affinati dalla sua scelta, la pelle candida e non logorata dalla fatica se non per una lievissima ombra che ne cerchiava il contorno inferiore. Di profilo poi, lisciando con la mano la seta scura della veste, notava il rigonfiamento del suo grembo. Da quando aveva saputo di ciò che custodiva aveva come recuperato le forze, si sentiva rinvigorita più per la tensione avvertita che per altre arcane ragioni. Quale madre in natura non supera ogni barriera per il proprio figlio?

 Della sera precedente ricordava ogni dettaglio: la Sala dei banchetti accoglieva i numerosi invitati con un grande tavolo a ferro di cavallo, ospitando sulle sue braccia i diversi principi. Si poteva dire che ogni popolo di Gondor e Rohan aveva risposto all’appello di sire Elessar. Notando le loro diversità Tirinîr riscoprì la vastità del mondo degli uomini, ciò le diede modo di capire quanto avesse vissuto in una realtà troppo piccola e troppo protetta dagli sguardi fieri che ora la osservavano per quello che era diventata.

Ognuno veniva annunciato sotto il proprio vessillo, si potevano distinguere le varie regioni che coprivano una vasta area attorno a Minas Tirith e una moltitudine di culture: il Lossarnach con le sue genti dalle pelli olivastre e dalle stature non molto pronunciate, semplici e bucolici con le loro vesti di pelle nera conciata seppur raffinatamente erano i signori di Anfalas, totalmente differenti dagli eleganti capi in un bel verde che avvolgevano chi governava sulle colline di Pinnath Gelin. Molti altri si avvicendarono in quell’immensa sala, illuminata a giorno da torce e fuochi. Il posto destinato all’Ithilien era, come sulla mappa, vicino al Re e alla Regina. Alla sinistra di Aragorn infatti sedevano Faramir ed Éowyn, con accanto Legolas e Tirinîr a cui seguivano Gimli con la sua gente. Alla destra invece il Re dei Rohirrim se ne stava con Lothirièl e i primi due Marescialli del Mark. Di fianco Dol Amroth ed il principe Imhrail rimaneva pensieroso conferendo in bisbigli con un altro della sua corte. La cena avvenne nello spirito gioviale di una grande famiglia, questo anche grazie alle vecchie e le nuove amicizie conquistate, ma il banchetto serviva solo ad informare il resto delle persone convocate a quella riunione.

Era ormai giunta l’ora di affrontare il suo personale patibolo. Percorreva infatti i corridoi con un aura scura ad avvolgerne la figura, adombrata dalla sensazione che lo scotto da pagare per il Re la riguardasse sempre troppo da vicino. Era sola. Suo marito l’aveva preceduta per poter parlare con Aragorn e spiegare lo strano comportamento della moglie e la reazione esasperata della sera precedente.

“Hanno invocato il nostro aiuto e vi ho voluto qui perché ogni popolo che condivide con me i tumulti del Khand e dell’Harad possa prendere parola.” così aveva esordito il Re dopo l’annuncio che il mezzelfo attendeva con l’angoscia nel cuore, così continuava a tornarle alla mente la voce del Re che esponeva l’accordo richiesto. Quando le aveva sentite la prima volta, Tirinîr, non si trattenne e con furore prese la parola alzandosi dalla sua seduta zittita dallo stesso principe Faramir che le chiese gentilmente come potesse conoscere così bene quel popolo che definiva “Vile e doppiogiochista, con un solo linguaggio atto alla guerra”. Ma ella non poteva dire il perché fosse così coinvolta e soprattutto contraria a quell’alleanza: come spiegare quell’astio e quella paura nei loro confronti se non raccontando un passato di cui Tirinîr stessa cercava di liberarsi? Un passato che tra l’altro la stava attendendo nella sala del Trono, dove i Variag avrebbero avuto la loro possibilità di parlare.

Non era riuscita a convincere il Re, né i principi giunti da lontano. Tutti erano disposti a stringere un alleanza con i Variag pur di debellare le ultime guerre e le ribellioni da parte del Khand e dell’Harad. I Variag erano la cavalleria dei Sudroni, rappresentavano uno dei contingenti più forti in guerra anche se di ppochi elementi, nel momento in cui sarebbe venuta meno, agl’Haradrim, non sarebbe rimasto che arrendersi ed accettare un trattato con Gondor. Nessuna disapprovazione in questo se si fosse limitato ad uno scambio equo, ma era quello il punto a cui Tirinîr non riusciva a venirne a capo. Cosa poteva chiedere uno dei Signori Variag al Re? Immersa nella ristagna delle proprie elucubrazioni, la fanciulla non si accorse di esserti imbattuta in una piacevole scena. Appena voltato l’angolo si ritirò dietro di esso, celandosi alla vista di quella Dama già incontrata il più delle volte. I lunghi capelli color della notte le scendevano sulle spalle, splendenti come la prima stella del tramonto. Regale e nobile anche stando prona sulle ginocchia, di fronte ad una bambina dagl’occhi grigi che la fissava contrariata. Accanto a loro una donna corpulenta e florida dagl’abiti semplici teneva in braccio un’altra bambina, molto più piccola di quella in piedi. I loro visini erano belli e dai tratti dolci, nonostante avessero una lieve carezza di tristezza. In loro poteva rivedere l’eredità degl’elfi e dell’umana regalità.

“Non voglio stare ancora in camera, naneth!” disse allora la piccola emettendo un tenero sbuffo.

“Oh, Gilraen!” rispose dolcemente la nobile signora. La piccola teneva le braccia distese lungo i fianchi, con l’aria di chi da troppo covava un disagio e esprimesse tutta la frustrazione di quella reclusione a fin di bene. “Cosa ti ho sempre detto? Non è forse la pazienza una delle più grandi virtù?” a quell’affermazione sul viso del mezzelfo si dipinse un sorriso. Quante volte Anrond o Legolas l’avevano rimproverata per la sua impetuosa e poco paziente indole. La bambina sospirò sconfitta e la Regina le baciò il capo, donandole una delicata carezza sulla guancia rosata. Poi, sollevatasi dalla posizione così poco consona per una donna del suo lignaggio, fece la stessa cosa con la bambina più piccola raggomitolata tra le braccia della balia. “Ora, Gilraen e Aranel, andate con Colinde. Il precettore vi attende. Amin mela lle! | Vi amo! |” istintivamente Tirinîr adagiò una mano sul suo grembo. Come un goloso osserva il cuoco preparare un dolce, così pregustava quegl’attimi famigliari in cui sarebbe stata lei a rivolgersi a lui. Nella sua testa non faceva altro che ripetere quanto amasse già la minuscola vita che teneva in sé, impaziente forse di conoscerla.

“Mia Signora, non mi aspettavo di trovarvi qui!” esclamò all’improvviso una voce conosciuta. “Penso che alla Sala stiano attendendo noi!” Èowyn l’aveva intravista con le spalle poggiate sul muro, l’osservava incuriosita dal modo in cui si teneva in piedi, il tenero sorriso a incresparle le labbra e la serenità a rilassarle i muscoli, totalmente diversa dalla donna che solo la sera prima aveva espresso il suo dissenso con rabbia e disperazione. La Dama l’aveva sentita, forse era l’unica che se ne fosse veramente accorta di quella sua fobia quasi isterica.

“Mia Signora Éowyn, è un piacere incontrarvi nuovamente!” rispose cordialmente. “Credo proprio che stiano attendendo noi, mi fareste compagnia?” chiese allora alla Dama, la quale rispose con un cenno di assenso.

“Sarei onorata di entrare con voi!” le due donne si affiancarono e superarono l’angolo. Quel piccolo intramezzo aveva concesso alla Regina e le sue figlie di accomiatarsi, lasciando così il corridoio, dapprima animato, ora deserto. Camminarono per un po’ senza rivolgere alcuna parola, erano proprio quelli i momenti in cui la discussione nella stalla riaffioravano. Loro, così simili e così diverse, combattive e combattute, donna e uomo in un solo corpo chi per scelta chi per dovere. “Posso permettermi una domanda indiscreta?” chiese ad un tratto Éowyn, dando finalmente voce alla sua curiosità. Tirinîr rispose flebilmente, spaventata dal quesito che sapeva riguardare ciò che era successo durante la sera precedente. “Perché vi opponete a questo trattato?”

“I – io …” le parole tentennarono in gola, con l’ansia di dover affrontare questo discorso così apertamente. Come poter rispondere? Con la verità? Con la menzogna? No, avrebbe arretrato di anni, distrutto tutto per cui aveva lottato, deluso sé stessa. “Conosco molto bene i Variag mia Signora, so che non sono affidabili: il prezzo per il loro aiuto sarà alto e volto solo verso i loro interessi di potere. Mancheranno a qualsiasi accordo appena questo non sarà più fruttuoso.” Disse di getto, cercando di non calcare con le parole lo stato di evidente agitazione che la stava cogliendo.

“Quindi nella vostra vita, quando siete stata un soldato, immagino che vi siate imbattuta in loro …” rifletté la perspicace donna. Tirinîr non si sorprese di come nulla le sfuggisse, era arguta almeno quanto lei e ormai aveva capito il gioco a cui stavano giocando. Era una costante richiesta d’informazioni da parte della Bianca Dama ed un rifuggirle altrettanto abilmente da parte del mezzelfo. “Hanno tradito la fiducia del vostro esercito, o qualcosa di simile?”

“Non proprio …” rispose criptica lasciando in sospeso quelle semplici parole. “Diciamo che so cosa vuol dire avere un accordo con loro e quanto sia vincolante …” ma Éowyn si arrestò afferrando il braccio della fanciulla per incontrare i suoi occhi, pallidi e fiammeggianti. Vedeva all’orizzonte un pericolo e forse una nuova occasione di gloria, ma questo non era possibile da riconoscere a pelle.

“Credo che dovreste avvertire Re Elassar di ciò che sapete, in fondo se già vi siete trovata ad avere a che fare con questi misteriosi Signori della Guerra è giusto informarlo di ciò a cui andremo incontro!” disse in un sussurro come se anche le pareti avessero orecchie tese ad ascoltare. “L’essere impreparati non è una buona cosa, soprattutto quando si cammina sull’orlo di un precipizio. Non pensate sia meglio fornire una rupe al nostro Re?” Tirinîr scosse la testa incredula, abbassando lo sguardo in preda alle immagini che scorrevano nella marmaglia dei suoi ricordi. L’ultima notte da Ombra, passata nella paura di tornare ad essere un gioco per un principe annoiato e finita alla scoperta della libertà.

“Non è facile come pensate, mia Signora Éowyn. C’è troppo a cui pensare e poco tempo!” rispose ingoiando amaramente le proprie parole. “Voglio capire prima di creare un allarme che magari si possa rivelare fallace …”

Giunsero in breve nella Sala senza più affrontare il discorso. I più importanti esponenti dei principati si trovavano distribuiti a lati degli scalini più bassi che conducevano al trono su cui vi era Elessar con accanto Arwen, adagiata elegantemente su di una seduta posticcia in tutta la sua totale e disarmante bellezza di stirpe elfica. Faramir invece rimaneva impettito sul piccolo trono scuro in fondo alla gradinata, rimanendo in un posto privilegiato rispetto agli altri principati per il suo posto di Sovraintendente. Le navate laterali della Sala del trono erano gremite di gente, il corridoio centrale invece era libero nessuno vi sostava. Tra la piccola folla di gente delle varie corti, vi erano le Signore delle Regioni, comprese Éowyn, Lothìriel e Tirinîr che s’aggirava con angustia fra le persone presenti. Nessuno si curava degl’altri, troppo curiosi ed impazienti per potersi interessare di chi vi era affianco, eppure la fanciulla mezzelfo avvertiva su di sé i loro sguardi, come se una lettera scarlatta fosse impressa con il fuoco sulla sua fronte indicando “io so”.

Anrond essendo semplicemente parte del suo seguito era rilegato in fondo alla sala e schioccò con lei solo un fugace sguardo per rassicurarla. Gli pesava enormemente non poter avvicinarsi, ma già aveva sfidato a sufficienza la pazienza del suo Signore intervenendo ad una riunione riservata ed importante. Legolas invece stava in silenzio alla destra di sire Faramir, scambiando qualche parola giusto per educazione con gli altri. L’espressione contrita rifletteva bene i pensieri che stava facendo l’elfo, anche se sperava che tutte le sue più nefaste aspettative non venissero assolutamente rispettate. Persino Gimli, di solito spavaldo ed orgoglioso, non sembrava sentirsi al più completo agio e si lisciava ripetutamente la barba, scacciando così almeno in parte l’atmosfera resa tesa dalla difficoltosa trattativa che avrebbe avuto luogo il prima possibile.

Il Gran Ciambellano irruppe nella Sala con un chiassoso clangore di porte e seguito da alcuni giovani che sembravano essere al suo servizio. Egli era un uomo alto e dall’aria di chi sapeva molto, vestito di nero con l’insegna della sua sudditanza a Gondor, con l’albero bianco e le sette stelle ricamate sul corpetto. Era giunto il momento tanto atteso da tutti, i misteri nati da quella stramba richiesta d’aiuto e la foschia che aleggiava attorno a quella nuova situazione sarebbero stati diradati. Sembrava che ogni suono fosse stato rinchiuso da una bolla, tutto tacque escluso lo sfrigolio dei paggi che si muovevano sapientemente per accogliere gli ospiti. La porta della Sala spalancata per facilitare il compito di attraversala da parte del corteo dei Signori della Guerra, forniva solo un’ombra scura come se fosse l’interno di una gola di roccia bianca, da cui non si conoscevano quali terribili creature ne sarebbero uscite. In quel irreale mutismo vi era però il battito accelerato di un cuore stanco ed affaticato. Il cuore di Tirinîr, che schizzò all’improvviso come spaventata. Si ritirò con un passo all’indietro scomparendo alle spalle della folla, nessuno se ne accorse di quello che stava vivendo, di quanto incontrollabile fosse il suo terrore.

“Kudrem … ” seguirono altre specifiche, come di quale satrapia fosse il sovrano o da chi fosse seguito, mogli e figli, ma ogni cosa si era fermata a quel maledetto nome. Una stilettata diritta a quel cuore impazzito, ne aveva cessato ogni battito. Una stilettata dalle sei lettere chiuse in un nome che aveva la valenza di tutti i linguaggi, un nome che la conosceva con un altro nome che poteva essere riconosciuto sulla sua pelle. E c’era solo quell’uomo, che camminava eretto come una picca alta verso il cielo, bardato di rosso e con stendardi dai colori scuri come l’animo di chi li portava. Il vessillo, gli occhi appannati e il respiro soffocato le stringevano il petto sullo sterno. Era colui che l’aveva deturpata dell’innocenza, aveva depredato il suo ventre e il suo cuore.

D’un tratto non fu più la paura a governarla, ma la rabbia, l’odio. Non sapeva di poter provare così forti sentimenti verso qualcuno, né sapeva l’intensità con cui li stava vivendo. Lui era lì, protetto ed infingardo, s’insinuava come una serpe nella sua nuova vita facendo riemergere un passato oscuro di cui era finalmente riuscita a liberarsi con non poca fatica. Il suo carnefice si muoveva libero, non guardava ai suoi misfatti con disgusto, non gli pesavano le vite che aveva rovinato. Le confessioni che in quella notte le aveva fatto, quando pensava che quella ragazzina dormisse, invece giaceva tra le lacrime di un inconsapevole ignoranza in ciò che era costretta dal suo destino, oppure non l’ascoltasse, inneggiavano alla sua efferatezza nell’uccidere uomini inermi e avversari politici del padre. Un fiero mercenario che elargiva una giustizia sommaria. Al tempo non portava quella barba ad incorniciare le labbra carnose e i capelli erano solitamente lasciati liberi piuttosto che legati ordinatamente con una treccia fin sotto le scapole. Il fisico, ormai maturo, appariva più forte e crudele di quanto ricordasse.

Non aveva notato di essere studiato al dettaglio da quell’uomo che aveva rinnovato i suoi sentimenti negativi. Kudrem lo guardava come se vedesse in lui qualcosa di famigliare e lo stentasse a riconoscere. Cercava di focalizzare il suo sguardo sulla figura slanciata dell’elfo, sicuro di conoscerlo in un certo modo. Il Principe si sorprese di quel suo modo di esaminarlo, gli anni non avevano in alcun modo intaccato il suo aspetto e tutta quella titubanza pareva ingiustificata. Forse, le Gwaith, avevano cercato di proteggere la loro Principessa più di quanto si aspettasse.

“Sire Elessar!” disse ad un tratto il Variag, riscosso dai suoi pensieri all’improvviso come se si fosse ricordato dove fosse ed il perché. “Vi ringrazio di avermi ricevuto. Vedo come immaginavo che avete riunito tutti i popoli delle vostre terre e oltre …” con un cenno del mento indicò il nano e l’elfo. Evidentemente sapeva ben poco delle amicizie strette durante gli anni più oscuri, forse un termine poco agevole per un Signore della Guerra.

“Non potevo fare altrimenti. Tutti speriamo che si volga finalmente alla fine di ogni conflitto, compreso quello con i Sudroni e con i Variag.” rispose il Re chinando la testa. “Desideriamo ardentemente la pace e credo che la migliore via sia la parola …”

“Bene, desiderate la pace.” Il solito tono sfrontato, con il ghigno sghembo di chi ama le sfide. Era mutato nell’aspetto, ma Tirinîr riconobbe il solito borioso ragazzino viziato. “Avevo cominciato a dubitarne visto le guardi che circondano il mio accampamento.” Pensava sicuramente che con la provocazione appena mossa di urtare la sensibilità del Re, renderlo nervoso quel tanto da farlo sentire a disagio di fronte ai suoi ospiti. Ma Aragorn, forte del suo completo autocontrollo, non mosse un ciglio. Piuttosto fu Gimli a sbuffare infastidito da quell’atteggiamento. Non lo sopportava allora ed adesso meno che mai. Avrebbe tanto voluto sputargli in faccia il rancore che covava da quel giorno, magari rinvangando la pessima figura che fece di fronte ai suoi occhi quando cadde inerme a terra tramortito.

“Non dovete temere, le guardie vi servono nel caso vi sia bisogno per la vostra protezione e per il mio regno. Che io sappia vi sono alcune fazioni ribelle fra gli Esterlings e gli Haradrim che non vogliono questo nostro colloquio.” Ribatté con una calma irreale, mentre tra i Variag si alzavano proteste e borbottii increduli. Nessuno però s’arrischiava a denunciare il loro sospetto. “Ora ditemi Kudrem, Signore del Khand, di cosa volevate parlarmi?”

“Re Elessar …” il sibilo con cui pronunciò il nome del suo nemico, perché era di quello che si trattava ancora, era sprezzante tanto quasi la sua espressione. “Come, avete detto voi, sono qui per un patto di non belligeranza.”

“A quale prezzo?” Era nata come una flebile ma irriverente domanda, risultando infine come un’aperta provocazione. Chiunque avesse mosso tale affronto era sicuramente qualcuno che sapeva come funzionavano i trattati per i Variag. La pace di solito veniva pagata con il sangue o con dolore. Tutti rimasero attoniti da quella richiesta, era stato espressamente vietato ogni intervento non preventivato e questo lungi dall’esserlo. Quella voce acuta e tremula, fece sì che l’attenzione vertisse su una delle due navate. Chiunque coprisse quella voce si scostò rivelando la proprietaria, che fissa, teneva la mano sul suo cuore. Con più coraggio, alzò il tono e quasi con un grido più sfrontato disse: “A quale prezzo?” il brusio si fece alto anche fra gli uomini di Elessar, perfino il Re si alzò colto alla sprovvista così come il Sovraintendente che aveva riconosciuto chi stava parlando. Legolas, di suo canto, era terrorizzato da come si stesse esponendo sua moglie senza un vero motivo. Ma la fanciulla sapeva che forse l’unico momento che avrebbe avuto per capire e per far capire quanto pericoloso fosse aprire trattati con loro, era quello. Kudrem aveva aggrottato le sopracciglia soppesando la minuta ragazza che aveva avanzato tale richiesta, sembrava conoscerla molto bene, ma il suo viso non s’annoverava facilmente fra i suoi ricordi. Mosse un passo incerto, spostando la testa da destra a sinistra come se cercasse da altri punti di vista un elemento nuovo, aggiungendoalo a quella strana sensazione di già visto.

“Chi siete voi?” chiese con voce roca, la sua spavalderia era stata annientata dal dubbio e dalla confusione che quel elfo provocava. La fanciulla si ritrasse come pentitasi di ciò che aveva detto, il fatto che non la riconoscesse l’aveva fatta rinsavire, pensando che forse la sua buona stella era stata magnanima questa volta.

“Kudrem!” intervenne allora Éowyn, notando la difficoltà della fanciulla e parandosi di fronte ad essa. L’uomo si riprese ed osservò quell’algida donna di ghiaccio dagl’occhi vividi di puro ardore.  “La domanda che la Signora dell’Ithilien ti ha posto è giusta. Ci sarà un prezzo?”

“La Signora dell’Ithilien?” sembrava titubante, la sua fronte descrisse più pesantemente il suo dubbio. “Ebbene Signora dell’Ithilien effettivamente c’è un prezzo da pagare, ma mi sembra che uno scambio equo sia più che giusto.” Disse allora rivolgendosi di nuovo al Re con una teatrale piroetta su sé stesso.

“Quali sono dunque le vostre richieste?” prese allora parola Aragorn,  vedendo che anche Legolas stava iniziando a dare segni di spazientirsi. Gimli gli si affiancò percependo la pelle dei suoi pugni stretti perdere colore, fino a diventare quasi del tutto esangui. Da quando l’elfo aveva conosciuto e sposato quella ragazza, era toccato a lui a frenare gli impulsi di quello che in realtà fra i due doveva essere il più pacato.

“Dovrete aiutarmi sire a concludere una annoverata questione che tempo immemore imperversa.” Uno strano ghigno prese vita tra le labbra, alzando il baffo scuro ben sopra il suo solito limite. “Dovete sapere che nelle foreste a nord del mare del Rhûn esiste una popolazione nascosta agl’occhi di Arda da anni e anni. Essa è popolata da donne guerriere, che lo stesso Sauron voleva tra le sue schiere perché fin da bambine vengono allenate ed abituate alla guerra. Sono letali e pericolose, si muovono in piccoli gruppi capaci di sterminare eserciti. Nascono solo con uno scopo proteggere il loro segreto a costo di distruggere ogni segno del loro passaggio. Vengono chiamate Ombre, Gwaith e sono terribili come dei fantasmi della notte …” le descrisse come se fossero Variag, instillava paura nei cuori dei presenti. Ai loro occhi apparvero terribili e letali, chiunque vi si fosse avvicinato e avesse anche solo intravisto una Gwaith sarebbe stato trucidato. No, questo non era vero e Tirinîr non lo sopportava. Il più del male lo facevano solo a sé stesse, c’erano anche principi giusti tra quelle leggi arcaiche. Nessuno in quella Sala era disposta a difenderle, nessuno sapeva la verità che veniva manipolata.

“E voi come le conoscete se sono un popolo nascosto?” chiese quindi sire Faramir, con un’arguta osservazione.

“Vedete, Sovraintendente, gli unici a conoscere la loro esistenza era il mio popolo.” Rispose con sufficienza, come se quel quesito fosse solo una buca in una strada battuta. “Avevamo degli accordi … commerciali.” Ed eccola la nausea ed il disgusto che sempre aveva provocato in lei, scambi commerciali quando di vite stava parlando. “Una volta l’anno, durante l'equinozio d'autunno, giungevamo a sud Mare del Rhûn e venivamo prelevati, disarmati e bendati per essere condotti nella Taur en Gwaith, le loro abitazioni sono scavate negl’alberi e si distribuiscono in altezza possono diventare addirittura invisibili. Sono streghe malvagie, incantatrici, maledette e sono state loro ad uccidere mio padre!” un accusa troppo precisa e detta con troppo effetto per essere reale. Almeno questo cercava di pensare la fanciulla mezzelfo, incredula di fronte le parole di quell’uomo. “Sire, sto chiedendo aiuto a Gondor per sterminare questa piaga una volta per tutte. Ho bisogno di aiuto per stanarle e distruggere quest’esercito, voglio vedere ogni singola testa sulla picca.” L’ira funesta con cui diceva queste parole sembrava incontrollabile, nemmeno la mascella serrata ed il pugno che brandiva esangue riusciva ad arginare tutto l’odio provato. Tirinîr si sentì mancare: tra quelle persone di cui chiedeva lo sterminio vi erano anche Raja, Ruin e sua sorella Callial. Come se non potesse fare altro, agguantò il braccio di Éowyn che le stava accanto e vi si aggrappò con la forza della disperazione. La donna aveva capito che c’era molto di più, non le chiese il perché di quel suo comportamento, anzi cercò di sorreggerla per non farla capitolare in quel momento.

“A me sembra così strano, questo odio verso un intero popolo. Se come dite voi vostro padre è stato ucciso da queste Ombre, vorreste prima di tutto la testa del suo assassino. Quindi mi chiedo se non ci sia altro …” disse Éomer con una semplice sincerità del tutto disarmante. Kudrem prese a studiarlo osservando le effigi che portava ricamate sulle vesti, un cavallo bianco sulla stoffa verde.

“Voi dovreste essere il Re del Mark, Éomer figlio di Éomund.” L’uomo rispose con un inchino della testa quasi ad accogliere il tono strafottente con cui aveva pronunciato il suo nome. “Ebbene, mio Signore, come avete intuito non si ferma solo all’uccisione di mio padre. Quando ancora intrattenevamo i commerci, durante una delle notti in cui soggiornavamo presso di loro per poi l’indomani ripartire e tornare dalle nostre mogli, queste donne infingarde ci hanno tradito. Io con i miei soldati e mio padre, siamo stati drogati e derubati. Solo un uomo è stato mantenuto cosciente, per raccontare ciò che era accaduto. Queste megere sanno usare erbe e pozioni in grado di farti dimenticare il passato e manipolare il presente. Pensavano che somministrandocelo e facendoci raccontare da uno scudiero di primo pelo giovane ed inesperto che avevano chiuso i trattati con noi, ci saremmo dimenticati dello smacco. Non fu così. Da quel giorno non ci siamo dati pace, volevamo riconquistare ciò di cui ci avevano depredato e, mentre cercavamo di sedare le lotte interne, ci siamo lanciati alla ricerca di queste donne. In una di queste spedizioni mio padre si è imbattuto in un drappello di Gwaith, aiutate dall’oscurità hanno ucciso ogni singolo uomo! Noi volevamo solo ciò che era nostro, non meritavamo di essere uccisi e trucidati!” Il brusio s’accresceva ad ogni parola, raggiungendo il culmine a quella affermazione. Tirinîr non riusciva a guardare la melma che ricopriva quel cuore di pietra.

“Kudrem, capisco il tuo rancore e mi unisco al tuo lutto.” Rispose il Re alzandosi dal suo trono per scendere alcuni gradini. Quando la sua pacata voce aveva risuonato tra le alte mura, tutti si erano ammutoliti. “Tuttavia non riesco ancora capire cosa stai chiedendo a Gondor.” Finì così, con un piede sul gradino più alto con le braccia strette al petto e con gli occhi persi a riflettere su ciò che l’uomo aveva appena detto.

“Chiedo giustizia, mio Re!” gridò quasi l’uomo dal volto ottenebrato dal rancore.

“Ma la giustizia non può essere equivalente ad una vendetta. Gondor e tutti i Regni dei popoli liberi non pagano sangue con sangue, Kudrem.” Disse Aragorn facendosi ancora più avanti e gesticolando appena come a dimostrare la veridicità delle sue parole. “Qui anche il più spietato degli assassini ha diritto ad un processo, ne converrete che non possiamo condannare addirittura un intero popolo!”

“Ma se volete il nostro aiuto contro le restanti fazioni ribelli, mio Sire …” e quel ‘sire’ gli uscì tra i denti come una serpe velenosa, perché quello era. “Dovrete darmi qualcosa in cambio. Quello che vi chiedo è solo che ogni singola Gwaith che mi aiuterete a catturare sia affidata alla giustizia del Khand. Mi sembra uno scambio equo!”

“Conosco la giustizia del Khand!” intervenne quindi Imrahil. “Voi condannate e basta, date solo la pena e questa non è giustizia! Non me la sento di condannare un popolo solo avendo ascoltato una delle due parti …”

“Concordo con il principe di Dol Amroth!” disse Faramir sollevandosi per guardare verso il Re. A loro ne seguirono altri e in breve vi fu un chiacchiericcio brulicante. Gli unici che in silenzio si osservavano erano i due elfi. Tra di loro c’erano sguardi inequivocabili, intrisi di preoccupazione e voglia di fare qualcosa.

“Volete quindi ascoltare anche una di loro, bene e sia …” era solo un sussurro, quando nessuno poteva ascoltarlo o almeno chi non possedeva un udito sottile come una lama. La fanciulla mezzelfo aveva sentito benissimo il suo ordine detto in una lingua di cui ricordava ben poco e  mentre si spostò in avanti protraendo il busto per osservare meglio il suo nemico, perché così lo vedeva, una luce frenò il suo sguardo. Un raggio di sole penetrato dalle alte finestre s’infrangeva su di una figura poco più piccola al suo fianco. Un ragazzo, di quindici anni nel viso alcuni di più nella fisionomia asciutta e scolpita gli era accanto. Ne vedeva appena il profilo e non fu necessario altro. Lo sentiva dentro, non aveva bisogno di molte conferme non c’era altro a cui pensare. Vuota. Come un vaso appena riversato del suo contenuto, giaceva inerme tra la folla che era scomparsa. L’infimo gioco del Fato aveva tirato i suoi dadi e l’aveva reso ancor più intrecciato.

Non era la sola ad averlo riconosciuto, vi era anche colui che la conosceva talmente bene da riconoscerne i tratti su di un viso diverso. Quel ragazzo aveva la pelle più chiara dei suoi compatrioti, occhi scuri e immersi in una profondità liquida che aveva notato in una sola persona, capelli castani dorati dalle soffici onde in cui tutte le notti affondava le mani. Legolas rimase ad osservare il frutto di quella che era stata una convivenza forzata dagl’eventi e dalle regole e quel che vide fu solo un fanciullo, completamente ignaro di chi ci fosse dietro la sua nascita. L’avevano nominato figlio di primo letto, ovvero defunta moglie del Sovrano. Assurde bugie dette solo per giustificare la sua presenza accanto al padre. In effetti i bastardi generati con le Gwaith, non ricoprivano mai ruoli di spicco a livello politico. La loro carriera era puramente militare, strateghi onorati solo di poter morire sul campo e godersi la vita fino ad allora, sperperando la loro paga di soldato. Ciò a cui erano destinati rimaneva relegato alla caserma e all’esercito, conducevano le loro vite solo ed esclusivamente per combattere e la massima aspirazione erano rivolte a diventare ufficiale nulla di più. Figli di Re o Principi non potevano rivendicare alcuna pretesa, spesso nemmeno sapevano i nomi dei loro padri al pari delle madri. Invece lui era di fronte a tutto il regno degli uomini liberi, presentato come figlio di Kudrem e reso noto come tale alla corte del Re di Gondor e di Anor.

 

Miei signori! Quale triste destino può accadere ad una madre quando il figlio diventa suo nemico. Cosa accadrà ora che il dado è tratto? La storia si avvicina alla sua fine, la nostra beniamina deve concludere e capitolare con il suo passato. Ora non ci resta solo che attendere di finire i nostri boccali, bevete amici miei come beve il vostro servo: per i prossimi avvenimenti ci servono almeno altre due pinte di questo succo di luppolo. Io attenderò paziente prima di ricominciare, affinché l’oste riesca a soddisfarvi tutti.

 

Note dell'autrice: Siamo alle battute finali!!! E già in due o tre capitoli + epilogo troverò la parola fine per questa avventura. Piasuta la sorpresa? Ebbene sì il figlio c'è, e ci sono tante domandine a cui rispondere. Vi dico solo che in questi ultimi capitoli si spiegheranno da soli (almeno spero). Comunque sia ho voglia di mettere un po' di sana azione. Mi scuso per la super scena corale, ma la volevo proprio così ampia e piena di persone. Deve essere davanti a tutti, senza scampo.

Ah Kudrem non si ricorda di Adamante/Tirinir perchè quella notte gli hanno somministrato l'estratto di fiore di loto. Sa solo che le Gwaith hanno giocato loro un brutto tiro e umiliati. Brucia la sconfitta!!!

Thiliol: Ciao cava!!! Bhè sì il figlio ci doveva essere, era una questione irrisolta e lei è incinta del fratellino o sorellina. Ma c'è anche il nostro Variag crudele e oltretutto non è più frenato dal padre. Ora vedremo cosa accadrà e che ruolo giocheranno ogni personaggio (ovviamente chi più e chi meno). Spero che continui ad appassionarti, volevo anche un po' di politica. Besitos!!!

Ringrazio sempre tutti!

   
 
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