Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance
Segui la storia  |       
Autore: Evazick    15/09/2010    1 recensioni
Il sogno più grande di una Romancer? Di sicuro ce ne sono molti, ma uno supera tutti gli altri: entrare nella Parata Nera. La sfortunata protagonista di questa storia ci sarà catapultata dentro per caso, ma non tutto è quello che sembra e forse il suo sogno potrà trasformarsi in un incubo… Mi è venuta in mente mezz'ora fa e non so nemmeno se avrà seguito, ma volevo sentire cosa ne pensate... enjoy! ^^
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Camminammo in perfetto silenzio per parecchio tempo, tranne quando Frank mi chiese come mi chiamavo. Il chitarrista si orientava tra le macerie come se ci fosse nato, ma a me sembravano tutte identiche, e se fossi stata da sola probabilmente mi sarei persa. La spada mi batteva contro la gamba e le ali rimanevano immobili, come per rispetto di quel silenzio di tomba. All’ennesima svolta il paesaggio cambiò leggermente: le macerie c’erano sempre, ma si trovavano in mezzo a una strada asfaltata, tra edifici più o meno integri. Immaginai che doveva essere un bellissimo spettacolo visto dall’alto, e la tentazione di tornare per aria fu forte, ma poi pensai che avevo tutto il tempo che volevo per volare.
Continuammo a camminare un altro po’, poi Frank si fermò davanti a un palazzo meno distrutto di altri. Entrò nell’immenso atrio di marmo, poi si voltò e mi fece cenno di entrare. “Dai, vieni!” mi incalzò. Io continuai ad rimanere fuori: sentivo che c’era qualcosa di strano lì dentro. Era solo una sensazione, ma era parecchio brutta, e non avevo intenzione di rischiare.
“Andiamo, mica ti mangiamo,” disse Frank per sdrammatizzare, senza riuscire nel suo intento. Feci una risata nervosa e, a malincuore, entrai dentro.
L’atrio era parecchio squallido rispetto alla facciata del palazzo, ma era interamente di marmo, e il bianco e il grigio creavano strane figure sulle pareti e sul pavimento. A sinistra, in fondo alla parete, c’era una rampa di scale che portava ai piani superiori. Feci per salire, ma Frank mi fermò. “No, gli altri sono nel giardino. Passiamo di qua,” e indicò una porta a vetri parallela al portone d’ingresso. La aprì, e rimasi a bocca aperta.
Il giardino non era distrutto o in rovina, come gli edifici là fuori, ma rigoglioso e curato. Un lungo muro lo circondava, ma il giardino era talmente ampio che non riuscivo a vedere la parete in fondo. Gli alberi erano maestosi e parevano secolari, e si intrecciavano tra di loro formando arcate a passaggi coperti. Sembrava un bosco in miniatura.
Io e Frank ci inoltrammo dentro. “Dove stiamo andando, di preciso?” chiesi.
“Voglio farti conoscere Gerard. Vuole sempre sapere se è arrivato qualcun altro,” mi rispose Frank scrollando le spalle, come a dire ‘non so perché faccia in questo modo, ma a me va bene così’.
Da un cespuglio sbucò una massa di capelli ricci talmente familiare da farmi capire subito chi fosse il loro proprietario: Ray guardò Frank come se fosse seriamente sorpreso di vederlo, poi notò me. “E lei chi è?” chiese.
L’altro chitarrista aprì la bocca per rispondere, ma io lo battei sul tempo. “Soldato Eve dell’esercito MCRmy a rapporto, signore!” esclamai, facendo addirittura il saluto militare. Ray mi guardò ad occhi spalancati, ma poi scoppiò a ridere, contagiando anche me e Frank. “Sei forte,” commentò, però scoccò un’occhiata preoccupata alle mie ali e alla spada che penzolava al mio fianco. Mi sentii terribilmente a disagio, ma feci finta di niente.
Rimanemmo con Ray qualche minuto, poi lui se ne andò e io e Frank continuammo a cercare Gerard. Probabilmente anche lui si era perso in quel labirinto e avremmo avuto bisogno di una squadra di soccorso per uscire vivi dal giardino. Fortunatamente, arrivati a uno spiazzo sterrato, Frank esclamò: “Eccolo là!”
Osservai meglio la figurina che mi aveva indicato: non era il Gerard Way di Bullets o di Revenge, ma quello della Black Parade, con tanto di capelli corti e bianchi e uniforme militare nera. Era seduto su una panchina di pietra all’ombra del muro che circondava il giardino, e si rigirava tra le mani una spada talmente affilata che la mia, in confronto, sembrava le forbici della morra cinese. Gerard sollevò lo sguardo e notò me e Frank, e ci sorrise. Devo ammettere che ero leggermente nervosa, e si vedeva: le mie ali, ripiegate fino a quel momento, si allargarono un poco e iniziarono a sbattere freneticamente, come un tic nervoso. Frank se ne accorse e, crudele come pochi, mi sussurrò: “Sarà meglio che vi lasci soli, non pensi?”
“Frank, no! Non ti azzardare a farlo!” sibilai, ma lui non mi ascoltò e si allontanò, lontano dai miei pensieri omicidi.
“È odioso quando fa così, vero?” disse Gerard quando mi raggiunse. Merda, pensai, si è accorto di tutto. Feci buon viso a cattivo gioco. “Già: lo conosco da solo un’ora e lo vorrei ammazzare subito.”
Gee rise, ma continuò a fissare la mia ala sinistra. Sbottai: “Per favore, potreste smetterla tutti di guardarmi come se fossi scappata da un circo? Non le ho mai avute prima, va bene?!”
Lui mi guardò sorpreso, poi disse: “Scusa, non volevo farti sentire così.” Poi, improvvisamente e senza preavviso, levò la mia spada dal fodero e la esaminò. “Ti piacerebbe imparare a usarla?” mi chiese alla fine. Lo guardai stupita. “Intendi dire senza tagliarmi un braccio o uccidere qualcuno?” chiesi ironica.
“Sì, ma se vuoi tagliarti un braccio fai pure, nessuno te lo impedirà,” commentò Gerard, facendomi scoppiare a ridere. Il sole stava tramontando e la notte stava reclamando ciò che era suo. Gee mi riconsegnò la spada e mi accompagnò di nuovo dentro l’edificio. Salimmo al primo piano, un lungo corridoio costellato di porte e me ne indicò una. “Dovrai stare in camera con Jennifer, spero non ti dispiaccia.”
“No, tranquillo.”
Lui mi sorrise e mi lasciò sola, tornandosene al pianterreno. Aprii la porta: dava su un’enorme camera da letto dove troneggiavano due bellissimi letti a baldacchino con delle tende nere. In quello a sinistra, sdraiata sul letto davanti a un blocco da disegno, c’era la ragazza che Gerard chiamava Jennifer. Lei non si accorse del mio ingresso finchè non chiusi la porta: alzò gli occhi e scattò a sedere appena mi vide. “Novellina, eh? Tranquilla, i primi giorni è tutto difficile, ma poi non è così male. Ah, che stupida, non mi sono presentata: sono Jennifer, ma non sopporto i soprannomi come JJ, quindi evita di chiamarmi così. Ehi, che belle ali, volano davvero o sono per figura? Uao, hai anche una spada!”
Jennifer non smise un secondo di parlare, facendomi domande in continuazione e rispondendosi poi da sola. Riuscii a farle l’unica domanda importante quando si fermò per riprendere fiato: “MCRmy?”
Lei prima mi guardò come se avessi parlato arabo, poi scattò: “A rapporto, generale!” Ridemmo tutte e due, poi Jennifer aggiunse: “Come sei finita qui?”
“Promettimi di non darmi della pazza.”
“Mai pensato di farlo.”
“Bene.” Raccontai per l’ennesima volta come ero arrivata lì, del mio risveglio, il volo e tutto il resto. Lei ascoltò attentamente e, quando finii, disse: “Strano, anche a me è successa una cosa del genere. Ma io stavo ascoltando Famous Last Words e camminavo per la strada, quando… bè, la terra mi si è aperta sotto i piedi e sono caduta qui.”
Strano davvero. “Siamo le uniche qui? Oltre ai My Chemical Romance, intendo.”
“No, ci sono altri due ragazzi, ma è meglio se stai lontana da loro: quando sono finiti qui il loro cervello è partito definitivamente e non ragionano più nel modo giusto.” Si portò l’indice alla tempia, per indicare che erano fuori di testa.
Mi sdraiai sul letto di fronte a quello di Jennifer, e fu difficile trovare una posizione comoda per me e le ali. Dalla finestra entravano gli ultimi raggi di luce mentre il sole tramontava. Ci misi pochissimo ad addormentarmi, sprofondando in un sonno senza sogni.
 
Quando mi risvegliai, qualche ora dopo, la notte era calata e la luce della luna inondava la stanza. Mi misi a sedere lentamente, per non svegliare Jennifer, ma vidi che lei era ancora sveglia, nella stessa posizione che aveva quando ero entrata. “Non dormi?” le sussurrai.
“Devo finire una cosa.” Mi diede un’occhiata, poi tornò a disegnare sul foglio. Dopo qualche minuto mi disse: “Vieni a vedere.”
La raggiunsi sul suo letto e guardai il disegno: sul tetto di un edificio c’ero io, vista di spalle e seduta per terra, che fissavo il tramonto un po’ più in là. Le ali nere erano spiegate come a proteggermi, e la luce formava ombre inquietanti tra i grattacieli. Era talmente realistico da sembrare una fotografia. “È bellissimo.”
Jennifer sorrise. “Già. Ma mi crederesti se ti dicessi che io non ho mai disegnato in vita mia?” La guardai confusa, e lei continuò: “Quando mi sono ritrovata qui accanto a me c’era questo blocco da disegno, e io ho iniziato a disegnarci. Ma sono sempre stata una schiappa in disegno, non capisco come mai abbia imparato da un momento all’altro.”
Ci pensai su. “Bè, anch’io non avevo un paio d’ali e una spada a casa mia. Forse, venendo qui, bè… non saprei come spiegarlo… ci vengono date delle ‘cose’ in più, anche se non so a cosa servano.” Era un’idea stupida, ma non sapevo come spiegare il concetto. Jennifer annuì, ma rimase in silenzio a fissare il foglio. “Non mi hai detto qualcosa,” affermai. Lei, per tutta risposta, sfogliò il blocco e si fermò in una pagina piena di fumetti, ritratti e roba del genere. Mi indicò il disegno in fondo a sinistra: ero sempre io, ma stavolta era ritratta frontalmente. Ero appoggiata contro un muro, le ali spiegate, le mani a toccare la parete e un’espressione di sfida e paura in faccia. La luce faceva sì che la mia ombra si allungasse a dismisura, ma non era la mia ombra: non aveva le ali, le dita erano lunghe e appuntite ed erano protese verso di me, come se volessero catturarmi. Non potei fare a meno di essere spaventata e ansiosa: chi era l’ombra? Cosa voleva da me? E perché avevo quell’espressione? Mi voltai verso Jennifer. “Quando l’hai fatto?”
Lei deglutì. “Tre giorni fa.”
Il silenzio cadde pesantemente. Non solo mi ero ritrovata scaraventata in quello strano posto con un paio d’ali e una spada, ma c’erano anche i My Chemical Romance versione Black Parade, un paio di fuori di testa, una compagna che prevedeva il futuro e un’ombra che mi minacciava. Come se non avessi altri problemi di cui occuparmi. 
 
*
Na-na-nanaaaa! Il mistero si infittisce!
Oddio, vi sto viziando con tutti questi aggiornamenti a manetta, ma stamattina fine la scuola non è iniziata e mi rompevo le balle XD Quindi se aggiorno tra una settimana non pensate che io sia morta!
Ringrazio calorosamente Lady Numb e Kumiko_Chan per le recensioni (graditissime) e anche chi ha recensito le mie altre due storie. Non sapevo che la mia Frerard piacesse così tanto! XD
Lady Numb: sangue freddo un corno, probabilmente anch'io avrei sclerato di brutto in una situazione del genere... e Mr Iero fa sempre piacere incontrarlo !
Kumiko_Chan: in effetti anche a me Gerard versione Black Parade mi fa paura, non riesco a fissarlo negli occhi quando guardo il poster in camera mia (che, tra l'altro, è accanto a un mio disegno di Mother War O.O Magari da un giorno all'altro mi ritrovo in quel posto). E probabilmente ci tirano scemi con la televisione, il topo e compagnia bella perchè sono sempre nel posto della Black Parade ad aspettare che li tiri fuori di lì, cosa che succederà tra parecchi capitoli, quindi se il disco arriva in ritardo linciami pure XD
So Long And Goodnight to everybody!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > My Chemical Romance / Vai alla pagina dell'autore: Evazick