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Autore: Mr Black    22/09/2010    3 recensioni
Una what-if che riscrive la fine di Eclipse, stravolgendo poi Breaking Dawn.
Mentre si fa sempre più vicina l'armata di Victoria e dei vampiri neonati, il triangolo amoroso Edward-Bella-Jacob esplode con tragiche conseguenze. Così, Edward e Bella andranno incontro ad un destino radicalmente diverso.
Non faccio altro che ripetere gli stessi sogni ed ormai, francamente, lo trovo pure stancante. Prima - non saprei esattamente dire quanto "prima" fosse - era solo dolore. Il dolore perfetto. Sognare un'eternità radiosa e svegliarsi in un'eternità di buio nero, nerissimo.
Altro che alba dirompente... la mia vita è più una notte polare. Anche di giorno, c'è sempre buio. Il sole non sorge mai.
Il sole non sorgerà mai più.
La storia che la Meyer non ha avuto il coraggio di raccontarvi.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE QUARTA: COME UN’OMBRA

 

 

 

“Alice... Carlisle! Presto!”

Sento la voce di Edward spandersi per tutta la stanza. Cerco di mettermi seduta, e subito mi raggiunge la mano di Edward, pronto a sorreggermi. Come mi tocca ho un brivido, e istintivamente mi allontano dal contatto.

Sbatto gli occhi ancora, riuscendo finalmente a mettere a fuoco l'immagine della stanza. Stanza che non mi sembra di aver mai visto. Ma ora come ora, non mi sembra poi così importante. Anzi. Nulla mi sembra davvero importante.

Mi sembra di aver dimenticato per sempre qualcosa di molto importante.

“Bella!” un istante prima che la sua voce mi raggiunge, mi ritrovo stretta tra le braccia di Alice. “Tieni, ti ho portato qualcosa di caldo da bere, fai attenzione, mi raccomando!” Abbasso lo sguardo e vedo la grande tazza celeste. La fisso, non capisco cosa debba farci.

“Fatele spazio, avanti...” la voce cordiale di Carlisle si mette in mezzo a questa gran confusione. Letteralmente. “Anzi, lasciateci soli. Anche tu, Edward.”

Edward. Seguo con gli occhi il suo profilo mentre esce dalla camera, senza dire nulla, seguito a ruota da Alice. Un istante di calma e di silenzio. Sento l'odore del the caldo alla mia destra, la tazza posata su un comodino. Alzo lo sguardo e incontro gli occhi di Carlisle.

“Lo so. Sei confusa. Hai così tante domande da non sapere da dove cominciare. E ti mancano pure le parole.”

Annuisco, poco convinta. Non mi sembra poi così importante, pronunciare qualche parola.

“So che è difficile, ma ti chiedo lo stesso di ascoltarmi molto attentamente. Se sei stanca, vuoi riposare, basta dirlo, intesi?”

Annuisco di nuovo. Lo sguardo vaga per la camera. Un'ampia stanza, una grande parete di vetro dà su un paesaggio per nulla familiare. Vedo possenti montagne innevate, piramidi bianco sporco che appena si riescono a distinguere dal cielo.

“Cominciamo con il dato clinico... sei rimasta a lungo in uno stato di profonda incoscienza. Il termine è sbagliato, ma rende benissimo l'idea: sei stata in una specie di coma emotivo. A lungo. Ti abbiamo nutrita e ci siamo presi cura di te, ciò non toglie il tuo organismo sia profondamente debilitato.”

Abbasso lo sguardo, mi guardo le mani, la pelle tirata, asciutta.

“Non voglio intimorirti. Non è nulla di irreparabile. In poco tempo tornerai quella che sei sempre stata. Ma non devi affrettare i tempi. E' importante concedere al tuo corpo il tempo giusto per riprendersi e tornare a funzionare come si deve. Quindi... non strafare.”

“Capisco.” Dico con un filo di voce. E' davvero la mia voce? Porto le mani alla gola, mentre Carlisle riprende a parlare.

“Ora. Per quanto riguarda la tua coscienza... la questione è delicata, molto delicata. Qualunque cosa abbia fatto Edward, interagendo con il tuo subconscio, sembra aver funzionato. Ma temo che porterai dentro di te i segni di quel che è avvenuto. Di nuovo, non voglio spaventarti, Bella. Ma dobbiamo evitare forti shock emotivi che potrebbero scatenare nuovamente quell'estrema reazione che ti ha portato all'oblio. Dobbiamo essere molto cauti. Per questo motivo, Bella, sarà opportuno che mi concedi un po' del tuo tempo, ogni giorno, per... parlare.”

“Capisco.” Dico di nuovo.

“Ho letto molti trattati di psicologia, preparandomi a questo momento. Posso darti tutto il supporto di cui hai bisogno. E per prima cosa, Bella... so che hai mille domande da farmi, ma non posso risponderti. Nessuno può risponderti. Ho dato precise istruzioni agli altri di come comportarsi con te. Tutto questo per il tuo bene, lo capisci, vero?”

Annuisco. Evito il suo sguardo, mi volto verso destra, vedo la tazza, la afferro, me la porto alle labbra. Mi lascio inondare dolcemente dal calore del the. E Carlisle riprende a parlare.

“Per oggi ti concedo due risposte. Due risposte a due domande fondamentali, che sicuramente sono quelle che ti preoccupano di più. Le altre, mi dispiace dirtelo, dovranno attendere, e ti prego di non insistere.”

“Tranquillo,” dico distrattamente, “non è importante.” Nulla è più importante, dice una voce nelle profondità del mio animo.

“Immagino la tua prima domanda sia: dove mi trovo? Ebbene... siamo in Alaska.”

Ora capisco le montagne bianche.

“Alaska?”

“Sì. Un piccolo paese di pescatori, da qualche parte nel nord-ovest dell'Alaska. Qui siamo al sicuro. Anche tu, Bella, qui puoi stare al sicuro. Ho comprato questa grande casa solo per noi, e anche per te, naturalmente. Vedrai, ti piacerà. Più tardi sicuramente le ragazze ti sottoporranno ad una visita guidata! Comunque sia, rimarremo qui per un bel po' di tempo. Spero ti troverai bene. La cittadina, beh, a sentire i ragazzi è pure più orrenda di Forks... ma è meglio così, credimi.”

“Ok.” Dico annuendo.

“Andiamo avanti. Immagino uno dei tuoi primi pensieri sia rivolto ai tuoi genitori. Cominciamo col dire che stanno tutti bene. Sono ognuno dove li hai lasciati. Tuo padre Charlie è ancora a Forks. Li puoi vedere? Temo di no. Per il momento è meglio di no.”

“Ma... ecco...” comincio a mormorare, mentre in me si risveglia la fiamma dell'apprensione. Ha un sapore strano. “Loro sanno dove mi trovo?”

“No. Non lo sanno. Mi dispiace. Ma questo è un argomento che conviene affrontare successivamente.”

Annuisco ancora. Vuoto la tazza, la poso dov'era. Osservo i miei movimenti, mi sembrano così lenti.

“Ho sonno.” Dico ad un tratto. Incontro lo sguardo dolce di Carlisle, e subito dopo mi addormento.

Quando mi sveglio la stanza è immersa in un grigio buio. Sono sola. A quanto pare è sera. La sera dell'Alaska.

Mi metto a sedere. Mi passo le mani sugli occhi, sbadiglio, fisso le coperte pesanti che mi sovrastano. Rimango per un po' al buio, così, a guardare le linee degli oggetti scolpiti nell'immobilità della sera.

Ad un tratto si apre la porta, all'angolo in fondo a destra della camera. Esme.

“Ciao, cara.”

Esme si avvicina, si siede sul bordo del letto, le faccio spazio. Parliamo, mi carezza un braccio, mi sistema i capelli. Il tempo passa e me ne accorgo a stento.

“Sei pronta per una buona cena?” Mi chiede poi, gli occhi intrisi di un calore tutto materno. E allora mi ci lascio avvolgere, e rispondo di sì.

Esme mi fa alzare, e mi aiuta a cambiarmi, mi fa indossare degli abiti molto pesanti. Ma non ho freddo. Non sento freddo. Non sento nulla, in effetti.

Con calma, attraversiamo insieme il lungo corridoio del piano superiore della casa. Scendiamo le scale, passiamo un altro corridoio, e infine ci ritroviamo nella splendida stanza da pranzo. Mentre camminiamo mi soffermo sui dettagli, è davvero una bella casa, non quanto quella a Forks, forse, ma davvero bella.

La tavola è apparecchiata a puntino. Ci sono diversi piatti da portata. Eppure sono la sola a mangiare.

“Ho cucinato forse un po' troppo... ma dovevo fare qualcosa, quindi non importa.” Mi dice Esme, indicandomi poi il mio posto a tavola. Edward è di fronte a me, Alice alla mia destra. Mi guardo intorno, vedo due posti vuoti.

“Rosalie... Emmett. Dove sono?” chiedo, mentre Edward mi versa dell'acqua.

“Rosalie ed Emmett stanno bene.” Carlisle. “Sono andati via. Ma stanno bene. Non ti preoccupare. Parleremo anche di questo. Coraggio, mangia, adesso, e non pensare ad altro.”

 

Dopocena ci troviamo tutti nell'ampio salone. Edward suona il piano, Carlisle legge un libro, così come Jasper, mentre io mi trovo seduta sul divano in mezzo ad Esme e Alice, che parlano. Ma le loro parole mi attraversano, come se fossi diafana. Come un'ombra.

 

Quando mi sveglio la stanza è inondata di luce. Il primo dato che registro è la totale assenza di sogni. Faccio sempre molti sogni, e al risveglio ne ricordo parecchi. Oggi, invece, non sento proprio nulla.

La stanza è inondata di luce. Credo sia mattina, ma con l'Alaska è difficile da dire. Potrebbe essere ancora notte, in effetti.

Lascio vagare lo sguardo su dettagli inutili della camera, immersa in una bolla temporale piacevolmente indefinita.

Quando sento un rumore, mi risveglio dalla trance. Decido di alzarmi. Mi guardo, ho addosso una camicia da notte. Non ricordo di averla indossata. In effetti non ricordo proprio di essermi coricata.

Esco fuori la stanza, con ancora addosso la camicia da notte. Che importa.

Trovo Edward nel salotto. E' solo. E' seduto accanto ad un'ampia finestra, guarda fuori, gli occhi fissi senza mai sbattere le palpebre. Come una statua.

“Bella!” esclama, accorgendosi della mia presenza, e sciogliendo la sua marmorea posizione.

“Che ore sono?”

“Le sei del mattino. Lo so, dovrai farci l'abitudine...”

Edward si alza e mi si avvicina. Posa il suo sguardo su di me.

“Vai da Alice, ti starà aspettando.”

Esco allora dal soggiorno, rendendomi conto per la prima volta che da quando mi sono risvegliata Edward non mi ha mai toccato.

Entrando in cucina vengo trafitta da dei raggi di luce. Mi faccio scudo con una mano, mentre cerco dell'acqua. Bevo, con calma, cercando di percepire il liquido fresco scorrere dentro di me. Ma non sento niente.

“Oh, eccoti qua!”

Mi lascio condurre dal sorriso di Alice verso uno dei bagni. “Hai proprio bisogno di un bel bagno!” mi ha detto, e così mi lascio convincere. Anche il bagno non è da meno, rispetto allo splendore delle altre stanze. C'è una grande vasca da bagno in stile coloniale.

“Coraggio, aspetta solo te!”

E di nuovo mi lascio convincere da Alice, abbandono i miei vestiti ed entro nell'acqua piena di schiuma profumata e colorata.

“Non è troppo calda, vero?”

“No, tranquilla.” Non è troppo calda.

Per un po' rimaniamo in silenzio. Mi lascio travolgere dalla dolcezza della schiuma, mentre Alice pensa ai miei capelli. L'ho lasciata fare, perché so che le fa piacere, e devo dire che non mi dispiace affatto.

Ad un tratto mi rendo conto veramente del contatto fisico che ho instaurato con Alice. Alice, che mi bagna i capelli e mi massaggia la testa, e allora torno a pensare ad Edward, ad Edward che ancora non mi ha toccato.

Ma con un colpo d'acqua, che mi arriva a cascata sulla testa piena di shampoo, anche i pensieri vengono lavati via.

 

Lo studio di Carlisle è esattamente come si potrebbe immaginare lo studio di Carlisle. Una stanza piccola arredata con molto gusto, piena di libri, ma ordinatissima.

Sono sdraiata su un divanetto sotto una finestra. Guardo fuori, mentre Carlisle mi parla. Bevo qualcosa che sembra the. “Ti farà sentire più rilassata.”, ha detto Carlisle.

Dopo dieci minuti buoni di conversazione di circostanza, Carlisle cambia tono e decide di andare al sodo.

“Sei pronta per un'altra domanda, Bella?”

Annuisco. Del resto, non ho molto altro da fare. E' lui che seleziona le domande alle quali rispondere.

“Prima di cominciare... ti ricordi di Victoria, dell'esercito dei neonati, vero?”

Victoria... i capelli violentemente rossi, lo sguardo da assatanata.

“Sì, mi ricordo. Ricordo che mi inseguiva sempre, nei miei sogni... ora non sogno più. O almeno, non ricordo più alcun sogno.”

“E' inevitabile... ma prima o poi anche questo si sistemerà, vedrai.”

“La battaglia... stavamo preparando una battaglia, non è vero? Carlisle?”

“Sì. La battaglia. Lo scontro contro i neonati di Victoria.”

“Beh... abbiamo vinto, non è vero? Voglio dire... altrimenti non saremmo qua. Anche se... perché siamo finiti in Alaska, se abbiamo vinto?”

“Ottima osservazione, Bella. Purtroppo, non posso ancora darti una risposta completa. Parliamo della battaglia. Non voglio costringerti a scavare nella tua memoria, non ancora. Dimmi soltanto se ricordi qualcosa della battaglia, o meno.”

“No... non mi sembra. Ricordo solo che ci stavamo preparando. Ricordo intere discussioni e preparazioni, a Forks...”

“Va bene, fermati qui.” Dice Carlisle, frettolosamente. Allora spengo il cervello e mi concentro soltanto ad ascoltarlo. “Noi abbiamo vinto la battaglia, Bella. Victoria è morta, così come i suoi seguaci. Li abbiamo uccisi tutti. Rimanere a Forks, tuttavia, non era più opportuno. E così abbiamo deciso di trasferirci in Alaska. Non contiamo di restare qui per sempre... solo lo stretto necessario.”

“Perché siamo venuti in Alaska?”

“E'... complicato. Le ragioni sono diverse.”

“Forks non è più sicura? E allora perché avete lasciato là Charlie?”

“No, Bella, tranquilla, non è così. Forks è sicura più che mai. Per tutti coloro che sono rimasti lì, Forks è sempre una cittadina sicura. Ancora di più, considerato che noi non ci siamo più. Capisco le tue difficoltà a comprendere tutto questo, ma abbi pazienza, a tempo debito ti sarà chiara ogni cosa.”

 

A tempo debito ti sarà chiara ogni cosa, diventa un ritornello che si ripete nei giorni, e che ogni volta si pone come conclusione delle conversazioni tra me e Carlisle.

 

E' pomeriggio. Oggi fa molto freddo, così ha detto Alice, insistendo affinché indossassi qualcosa di più pesante. Carlisle, dal canto suo, ha acceso il camino del salotto. Siamo di nuovo io e lui, a parlare.

“Rosalie ed Emmett. Vuoi sapere di loro, non è vero?”

“Sì. Mi mancano.”

“Mancano a tutti noi. Ma non devi stare in pensiero per loro. Stanno bene, devi credermi.” Prende una pausa, forse per cercare le parole giuste, le parole più semplici. Mi sento una stupida incapace di comprendere anche le cose più banali. “Dopo la battaglia, siamo rimasti qualche giorno a Forks. In quei pochi giorni abbiamo discusso a lungo sul nostro futuro. Alla fine, abbiamo preso la decisione di trasferirci qui. Rosalie, tuttavia, ha manifestato la sua decisa opposizione. Rosalie, come dire... ha sempre mantenuto una latente insofferenza per il suo essere un vampiro. Così, ha deciso di lasciarci, e andare via. Come poi scoprirai, tra qualche giorno ancora, c'è ancora qualche problema in sospeso. Siamo vampiri, in una società occulta di vampiri, ci sono sempre affari da sistemare. Ma Rosalie... lei non ha mai gradito tutto ciò. Dunque è andata via, per stare da sola, fuori dal nostro mondo. Ed Emmett, per amore, non ha potuto fare a meno di seguirla. Non so dove siano, ma sappiamo che sono al sicuro e stanno bene. Ci sentiamo sporadicamente. Ti mandano i loro più cari saluti. E' tutto.”

E' tutto.

 

Il tempo trascorre lentamente in Alaska, con la stessa lentezza e svogliatezza con cui i fiocchi di neve scivolano fino al suolo. In questo tempo allungato ed annoiato, proseguono i miei incontri con Carlisle, i pranzi, le cene, i bagni con Alice, ma Edward ancora non mi tocca.

 

“Oggi è un giorno importante, Bella.”

Di nuovo lo studio di Carlisle. Nella sua voce c'è esaltazione, ma anche preoccupazione.

“Edward ed Esme non sono d'accordo con me, ma abbiamo votato, e con il favore di Jasper ed Alice sono pronto a rispondere ad un'altra domanda importante. Hai fatto molti progressi, il tuo corpo si sta riprendendo molto bene. Davvero, ti vedo in buona forma. Sei pronta?”

Annuisco, come mille altre volte.

“Questa è la seconda risposta alla domanda perché siamo fuggiti in Alaska.” Prendo la tazza e comincio a bere, gli occhi attenti a seguire lo sguardo di Carlisle. “Come sai, lo scontro si è risolto con una nostra netta vittoria. La minaccia di Victoria è stata debellata. Tuttavia, poco tempo dopo lo scontro, in quella stessa giornata, abbiamo ricevuto una visita inaspettata e non esattamente gradita... i Volturi.”

I Volturi... i vampiri incappucciati... l'Italia.

“I Volturi hanno espresso profonda ostilità nei nostri confronti. Ci hanno visto come una potenziale minaccia per la sicurezza di tutti i vampiri. Abbiamo discusso, e sono state proposte delle condizioni, per la nostra libera esistenza, e soprattutto per la tua salvaguardia, che non abbiamo ritenuto opportuno accettare. Dunque siamo fuggiti, lontano dai loro sguardi. Ci troveranno? Non sappiamo dirlo. Alice continua a scrutare il futuro, ma tutto sembra essere fin troppo incerto. Io mi auguro che si accontentino di vederci isolati, incapaci dunque di alcuna azione di disturbo.”

“E' me che vogliono.” Dico ad un tratto, mentre tornano a galla una serie di ricordi. E' sempre me che vogliono.

“Tranquilla. Qui sei al sicuro.”

Al sicuro.

 

Mi sveglio nel cuore della notte. Ormai ho imparato a riconoscere le ore notturne dell'Alaska. Mi sveglio, ho sete, mi alzo dal letto e mi dirigo verso la cucina, camminando lentamente, per non farmi sentire e soprattutto per non inciampare, sbattere su qualcosa, e così via.

Mi disseto.

Mentre compio il tragitto di ritorno, mi accorgo casualmente di una conversazione in atto nella stanza da pranzo.

Per qualche ragione, mi fermo ad ascoltare.

“Come puoi chiedermelo, Carlisle! Io... io davvero non so più cosa fare.”

“Sei l'unico, Edward, che può farlo. L'unico.”

“Ho già fatto abbastanza! E non mi pare sia servito a qualcosa!”

“Non dire così.”

“E cosa dovrei dire, allora?! Che va tutto alla perfezione? Che tutto tornerà come prima?!”

“Abbi fede, Edward.”

“No, Carlisle, non ne ho più! Guardala, Carlisle, guardala! Ti ostini, giorno dopo giorno, a giocare allo psicanalista, e con quale risultato! E' un'ombra, ormai, Carlisle! E' un'ombra!”

“La preferivi ancora in coma? La preferivi morta, forse?”

“...”

“E' vero, è come dici tu, è come un'ombra. Ciò che mi preoccupa è questa sua apatia. Anche Alice me l'ha fatto notare... è un'apatia sia fisica che emotiva.”

“...”

“C'è solo un modo... e lo sai. Spetta a te.”

“No, io ho chiuso. Non voglio più vederla soffrire.”

“E' necessario, Edward... devi farla soffrire. Solo così tutto tornerà come prima.”

“Ma niente tornerà come prima!”

“Sempre meglio di com'è adesso, allora, non trovi?”

Non capisco. Sento il sonno tornare prepotente. E allora mi strappo a quel luogo, a quella conversazione origliata, e torno alle profondità del sonno.

 

“Come ha fatto a svegliarmi?”

“Come?”

“Edward... come ha fatto a svegliarmi?”

Siamo di nuovo nel suo studio. Ho tagliato corto con i suoi discorsi di circostanza. Questa volta voglio scegliere io la domanda.

Vedo Carlisle alzarsi dalla sua poltrona preferita, vagare per la stanza, gettare uno sguardo oltre la finestra.

“Non so tutto... Edward non mi ha detto tutto. Posso solo darti la spiegazione tecnica.”

Mi accontento. Lo invito a proseguire, mentre bevo dalla mia solita tazza.

“Ti sei mai chiesta perché Edward non riesce a leggerti il pensiero?”

“Perché non c'è nulla da leggere?”

Carlisle abbozza un sorriso. “A quanto abbiamo capito, tu hai un dono, Bella. Alcuni umani, in effetti, hanno in sé delle potenzialità nascoste, che poi, se mai diventano dei vampiri, vengono allo scoperto. Edward, probabilmente, sarà stato un ragazzino dalla forte empatia, capace di una grandissima compassione, nel senso più letterale del termine. Quanto a te, hai una notevole capacità di schermarti dagli altri. Una sorta di, come dire, scudo che il tuo ego possiede e che spesso usa per proteggersi dal contatto con gli altri. Sei sempre stata una ragazza riservata, non è vero? Ecco, tu hai un fortissimo scudo mentale. Uno scudo profondamente radicato nell'inconscio, e che spesso agisce per sua volontà.”

Si ferma, mi chiede se riesco a seguirlo, sì, non ho problemi, vai avanti.

“Il tuo scudo mentale ti ha protetto, facendoti sprofondare in uno stato di incoscienza prolungata. Edward, a quanto pare, dopo moltissimi tentativi è riuscito a penetrare nel tuo inconscio, convincendo quello scudo a farsi da parte. Ma qualunque cosa abbia visto, dentro la tua testa, e fatto, è un bel mistero. Non me l'hai mai voluto dire. E credo sia meglio così, dopotutto.”

Ha senso. Eppure non capisco. C'è qualcosa che non mi torna... inseguo i miei pensieri sfuggenti, poi afferro il dubbio.

“Perché il mio, ecco, il mio scudo ha agito così? Cos'è successo?”

Carlisle mi rivolge un sorriso caldo e triste allo stesso tempo.

“Ecco, Bella, è questa la grande domanda. E ora che sei riuscita a formularla, non ti resta che trovare la risposta. Devi trovarla da sola, Bella. E' ben nascosta dentro di te... ma confido nel fatto ci riuscirai. Ti chiedo solo di non affrettarti. Non accelerare i tempi. Procedi con calma, e al momento giusto, la verità salirà a galla, e tu sarai ormai pronta per accettarla, ed andare avanti.”

Andare avanti.

 

Ad un tratto mi sveglio in piena notte, di nuovo. Ho sognato. Stringo gli occhi i pugni e cerco di ricordare, di mantenere quelle poche immagini confuse che affollano la mia mente svuotata.

Vedo dei lupi nella foresta. Grossi lupi. No, non sono lupi.

Rapidamente mi alzo dal letto, esco, scendo di sotto, inciampo in corridoio ma mi rialzo subito. Arrivo nello studio di Carlisle col fiatone.

“Bella! Che succede...”

Lo vedo posare il libro che stava leggendo, mettermi un braccio sulle spalle e farmi accomodare sul divanetto.

Quando mi torna il fiato e la voce, allora comincio a parlargli.

“Mi ricordo. Mi ricordo dei licantropi. C'erano anche loro, durante la battaglia, non è vero?”

Carlisle annuisce. “Sì, è così. Ma non sforzare la memoria, ti prego, lascia che faccia il suo corso.”

“Ricordo... c'era qualcuno. Non so... non riesco a spiegarmi!”

“Non ti preoccupare, Bella... presto lo capirai. Piuttosto, hai visto? La tua memoria funziona bene. Hai ricordato i licantropi. Ma ora non è il momento di continuare a sforzarti... devi dormire, è notte fonda.”

“No!” urlo, senza accorgermene. Mi metto a sedere sul divano, lancio il mio sguardo sul vampiro. “Che fine hanno fatto? Sono rimasti a Forks?”

Carlisle mi guarda, un paio di istanti, è perplesso, poi risponde.

“La tregua tra noi e i Quileute è finita, Bella. La battaglia, i Volturi... e tanto altro. Tutti buoni motivi per costringere i tuoi amici di La Push a rompere la tregua con noi. Anche per questo siamo andati via da Forks. Ma non li biasimo. Dopotutto, forse è meglio così.”

La tregua... finita?

“Ora, Bella, faresti bene a tornare a letto.” Mi rialzo e Carlisle mi accompagna fino alla porta. “Ma tieni duro. Sei sulla strada giusta.”

Sulla strada giusta.

 

Passano i giorni. Io e Carlisle non parliamo più. Carlisle dice di avermi detto tutto quello che aveva da dirmi, e che non c'è davvero nient'altro. Non ci sono più domande alle quali rispondere. Ciò che rimane, ha detto, è la sola cosa veramente importante. E devo essere io stessa, da sola, a ricordarla.

Ma passano i giorni, ed i continuo a non capire, a non ricordare, a non sentire nulla.

 

Un pomeriggio Esme decide di preparare un dolce, e allora l'aiuto. Mentre ci diamo da fare in cucina, mescolando ed impastando, mi sporco tutta la maglietta. Esme mi dice di toglierla rapidamente, e di passare la macchia sotto l'acqua fredda, così da pulirla via facilmente. E così, mentre le rivolgo la schiena nuda, concentrata a lavar via la grande macchia di cioccolato, Esme si accorge di una mia cicatrice sulla schiena. L'ennesima cicatrice, l'ennesima caduta e l'ennesima ferita.

“Sai... questa è un'altra caratteristica dei vampiri?”

“Quale?”

“Non abbiamo cicatrici. E anche quelle che avevamo da umani, spariscono.”

“Oh.”

“Un po' mi mancano. Sono importanti le cicatrici, sai.”

“Importanti?”

“Beh, secondo me sì... ti permettono di ricordarti. Sono dei ricordi. Ti ricordano di esserti fatta male, ma anche di essere guarita.”

Cicatrici. Forse qualunque cosa mi abbia fatto così tanto male mi ha lasciato una cicatrice, dentro.

 

Mentre i giorni passano, le mie notti si fanno più inquiete. I sogni tornano ad affollare la mia mente. Ma non ci capisco più nulla. Ne parlo con Carlisle, ma è inutile, non vuole dirmi nient'altro. Devo essere io a capire da sola, continua a ripetermi.

 

Succede tutto un pomeriggio.

Oggi sono particolarmente stanca. Dopo pranzo mi metto a letto, ma non riesco a dormire bene. Mi agito nel sonno, la mia mente s'incastra tra mille sogni e visioni.

Mi sveglio di soprassalto con un pensiero fisso.

Un braccialetto...

Ricordo che qualcuno mi ha regalato un braccialetto.

Comincio a rovistare tra le mie cose, apro i cassetti, scruto negli armadi, metto la stanza a soqquadro. Non lo trovo, eppure so che dev'esserci, devo trovarlo. Sento che se riuscissi a trovarlo allora capirei tutto. Lancio i cassetti vuoti, spargo vestiti in giro, faccio abbastanza rumore al punto che prima Alice e poi Edward entrano nella stanza.

“Ma che...”

“Il braccialetto!” continuo ad urlare, cercando, senza spiegare nulla.

“Bella! Bella, per favore, fermati un momento e lasciami capire...”mi dice Edward, ma lo ignoro. Apro un altro armadio pieno di coperte, le lancio via, quasi rischio di venire travolta da una torre di piumoni.

“Ragazzi, ma cosa sta succedendo...”

“Jasper, va' a chiamare Carlisle!”

In fondo all'armadio trovo un bauletto, un piccolo scrigno, non ricordo di averlo mai avuto. Mi fermo, il bauletto in mano.

“Dove sono tutte le mie altre cose?!” urlo rivolta agli altri, che dal canto loro sono rimasti davanti la porta a guardarmi. “Dannazione, qui non ci capisco più nulla!” urlo ancora, e lancio lo scrigno di lato, piena di rabbia. Lo scrigno vola, finisce a terra, si apre, ne escono fuori un paio di collane, orecchini e braccialetti. Finché intravedo la forma di un lupo. Mi ci butto, cercando freneticamente, e finalmente lo trovo.

“Ora capisco...” sento Edward dire.

Sgrano gli occhi, mentre fisso il braccialetto sul palmo della mia mano.

Tengo fissi gli occhi davanti a me, mentre il mondo viene fatto a pezzi. Guardo avanti, vedo le pareti della casa sfracellarsi, vedo degli squarci aprirsi nell'aria, vedo la stanza sparire.

“Bella! Bella, stai bene? Dimmi qualcosa!”

La voce di Edward mi giunge lontana, come da un altro universo. Sposto lo sguardo sul suo viso, lo vedo trasfigurarsi in una maschera indescrivibile.

Comincio a sentire le voci, troppe voci. Mi lascio cadere a terra in ginocchio, mi tappo le orecchie, chiudo gli occhi, e tutto attorno a me sento il mondo vorticare come impazzito. Qualcosa si avvicina, si china su di me, vedo una mano sfiorare il mio ginocchio. Guardo la mano di Edward, la vedo sparire e ricomparire, la vedo trasformarsi, sfigurarsi, farsi a pezzi nell'aria, poi ricompattarsi. Poi la mano di Edward non è più la mano di Edward. Alzo lo sguardo e capisco. E' la mano di Jacob, di Jacob, di Jacob che mi porge un braccialetto con un ciondolo a forma di lupo.

“Carlisle, fai qualcosa!” urla qualcuno, mentre rimango impietrita, inginocchiata a terra.

“No! Non toccatela, lasciatela stare!”

“Io... io mi ricordo.” Dico ad un tratto. E ad un tratto tutto diventa più chiaro. Non più semplice, ma più chiaro. Vedo di nuovo tutto, adesso. Vedo Jacob darmi il braccialetto, vedo Jacob baciarmi, vedo me stessa schiantarmi la mano sul suo viso, vedo me stessa baciare Jacob, una, due, mille volte. E poi...

“Devo andare... devo andare nel bosco.” Dico piano, rialzandomi.

“Bella!” urla invano Edward.

“Fatemi uscire... fatemi uscire!” mi faccio largo tra gli altri, mi lancio fuori, oltre la porta, inciampo sulle scale, ma non importa, devo uscire, devo uscire da questa casa, devo raggiungere il bosco.

“Sta morendo! Qualcuno nel bosco sta morendo!” dico, e non mi accorgo di urlare. Correndo, vado a sbattere contro la porta d'ingresso. Strepito, stritolo la maniglia, e alla fine riesco ad aprirla.

Fuori m'invade la luce dell'Alaska. Socchiudo gli occhi e inizio a correre, corro via, seguendo il sentiero che si perde nel bosco.

Corro tra i sassi e gli alberi e gli arbusti, corro e inciampo ed ignoro le abrasioni sul ginocchio, e mi rialzo e riprendo a correre, a saltare tra le radici, seguendo la voce che mi parla.

Ad un tratto arrivo ad una radura.

Sento qualcuno alle mie spalle, ma lo ignoro.

“E' qui... è successo qui. O in un posto simile... è successo... ma... sì, ormai è tardi.” Mormoro a me stessa, confusa, mentre mi guardo intorno, girando e girando su me stessa fino a rischiare di perdere l'equilibrio.

Poi mi volto verso Edward, perché non ho dubbi sia lui la persona ferma alle mie spalle, in silenzio ad aspettare.

“E' successo in un posto come questo.” Allora dico, ad Edward ma soprattutto a me stessa. “Jacob è morto.”

“Bella...”

“Non importa. Non fa male... non ricordo cosa ha provato. Ma ricordo che è successo. Sì, è così... è proprio così. Come una cicatrice.”

E la verità è semplicemente questa: sto in piedi in questa radura, ricordandomi della morte di Jacob, Edward si lancia su di me e mi abbraccia, ed io mi lascio abbracciare, e lui recita una serie di scuse e di promesse, ed io rimango lì, tra le sua braccia, in silenzio, e davvero io non sento nulla, proprio nulla.

 

Ricordarmi della morte di Jacob è stato l'obiettivo primario della mia coscienza, così ha detto Carlisle, che si è detto soddisfatto della cosa, ma ad esser sincera non credo sia cambiata qualcosa. Anzi. Quando non ricordavo, non sapevo ancora cosa ci fosse di così importante da ricordare, credevo che quando fosse accaduto allora tutto si sarebbe sistemato.

E invece non si è sistemato nulla.

Perché non provo più niente? Perché, nell'istante in cui ho ricordato la morte di Jacob, non ho pianto nemmeno una lacrima? Ma soprattutto: perché mentre Edward mi abbracciava, io non sono riuscita a ricordare cosa significa stare tra le sue braccia?

I giorni passano ancora, e se anche tutte le domande hanno avuto una risposta, la mia vita sembra esser rimasta oscenamente fuori binario.

 

Poi una mattina accade che mi sveglio con un pensiero in testa. Quand'è che mi sono innamorata di Edward? Com'è stato possibile? Mi sono chiesta. Allora ho pensato al nostro primo bacio. E a quel punto ho scoperto che non riuscivo più a ricordarlo.

 

E' tardi. Questa sera non ho avuto molta fame. E' da qualche giorno che mi è passata la fame, e non è che ne avessi molta, prima. Esme e Alice hanno cercato di convincermi a mangiare ugualmente, ma almeno questa sera Carlisle ha detto loro di lasciar stare e rispettare le mie volontà.

Siamo in salotto, come tante altre sere. Ogni giorno si ripete sempre uguale a se stesso. Carlisle dice che adesso sono pronta per sistemare la mia vita, trovarmi qualcosa da fare. Finire la scuola, innanzitutto. Ma a me non sembra più importante.

Nulla, in effetti, sembra avere alcuna importanza. Eppure ricordo che un tempo ero in grado di dare alle cose il loro giusto e meritato valore.

Sto leggendo un libro. Carlisle dice che fa bene alla mia mente. Ma mi annoio. Alzo lo sguardo e vedo Alice e Jasper, sul divano di fronte a me. Ammiro la loro unione, il loro legame, la tenerezza dei loro sguardi e dei loro gesti.

Non c'è nessun altro, oltre noi tre. Esme Edward e Carlisle sono a caccia. E allora, lo dico.

“Siete molto teneri, insieme. Lo eravamo anche io ed Edward, non è vero?”

Jasper si immobilizza, muto, completamente inespressivo. Alice assume una postura composta sul divano, la vedo pensare a come rispondermi mentre si sistema i capelli, si passa la lingua sulle labbra.

“Edward ti ama più di ogni altra cosa, Bella, non te lo ricordi?”

“Forse. Eppure non mi tocca più, almeno, non come stavate facendo voi.”

Jasper mormora un flebile “scusate” e si allontana, lasciando me ed Alice sole.

“Lo sai com'è fatto... ha sempre paura di farti del male. E poi devi considerare che Carlisle gli ha detto di essere molto cauto, con te, per non scatenare, sai, estreme reazioni emotive, e...”

“Può stare tranquillo. Estreme reazioni emotive...” e lascio morire la frase in un sorriso sarcastico. Almeno, credo sia un sorriso. “Alla fine ho ricordato tutto, no? Tutto è tornato come prima...

“Bella, va tutto bene?” Alice si avvicina rapidamente, la sua mano raggiunge il mio ginocchio. Ripete la domanda.

“Sì, sì, va tutto bene. E' che...” mi blocco. Pronunciare quelle parole significa costringermi a riconoscerle per vere, ed il mio inconscio non sembra volerlo. Ma mi faccio forza, e continuo la frase. “Non ricordo più com'era stare con lui. Questa mattina pensavo alle prime volte che ci siamo conosciuti... e non sono riuscita a ricordare. Ho come la sensazione, come dire, la sensazione che ci sia qualcosa che è stato cancellato. Edward mi ha portato in un posto, credo, non so quando sia successo, è solo una sensazione... ma non mi ricordo più.”

“Credo che dovresti parlarne con Carlisle.”

“No.” Ribatto, secca. “Carlisle non farebbe altro che dirmi che la mia memoria ha bisogno di tempo per mettersi a posto, ma non è questo il punto!” Senza nemmeno accorgermene salto in piedi, alzando anche il tono della voce. “Non è questo il punto, Alice!” quasi urlo. “Non è la memoria, non c'entra niente la memoria! E' questo il problema, è questo!” dico mettendomi una mano sul petto all'altezza del cuore. “E' questo che non va più!”

“Bella, io...”

“Come posso aver dimenticato come mi sono innamorata di Edward?!”

“Dovresti calmarti, Bella, non ti fa bene...”

Resisto, urlo ancora, ma poi Alice mi stringe e allora mi lascio sprofondare nel suo abbraccio, cercando di cancellare tutti i miei pensieri.

 

Più tardi giaccio a letto, stanca, spossata, ma senza alcuna voglia di dormire. La tazza sul comodino è ancora piena di tisana non più fumante. Rimango ferma, seduta sul letto, le ginocchia raccolte tra le braccia, mentre immobilizzo la mia mente in pensieri vuoti ed inutili.

La porta della camera si apre, la testa di Edward fa capolino.

“Posso entrare?” mi chiede, il sorriso caldo.

Senza guardarlo gli rispondo, la voce neutra, accogliendolo nella mia camera.

“Sapevo non avresti bevuto quella tisana. Così, ho pensato bene di prepararti qualcosa di più appetibile...” volgo lo sguardo nella sua direzione, vedo che mi porge un'altra tazza. “Cioccolata calda.” Senza pensarci, e senza nemmeno dire qualcosa, l'afferro e la porto alle labbra. Mi basta un sorso per sentirmi già meglio.

Edward si allontana dal letto, si muove verso la finestra. Guarda fuori. Mi parla, dandomi le spalle.

“Alice mi ha detto di 'stasera.”

Non rispondo. Bevo la mia cioccolata.

“Ho parlato con Carlisle. Abbiamo discusso un po'. E così eccomi qua.”

Non voglio che rimanga lì, lo sguardo fisso sulla finestra, a parlare di lui ed Alice e Carlisle e delle loro discussioni. Voglio che venga qui, sul mio letto, che mi stringa, come una volta, che mi faccia ricordare tutto, cosa significa essere amata da uno come lui, tutto quanto.

E poiché continuo a stare zitta, finalmente Edward si volta e si avvicina.

“Cos'è che non va?”

“Cos'è che va!” rispondo, stizzita.

“E' vero. Perdonami. Domanda stupida. Posso?” mi chiede, prima di sedersi sul bordo del letto. Vorrei che la smettesse di chiedermi e che semplicemente agisse.

Vuoto la tazza e la poso sul comodino.

“Voglio sapere tutto, Edward.”

Edward mi guarda, perplesso, preoccupato.

“Voglio sapere tutto.” Ripeto. “Voglio sapere come hai fatto ad entrare nella mia testa. Che cosa hai visto, che cosa hai fatto, cosa ti ho detto. Cos'è successo qua dentro?” gli dico, indicandomi la testa. “Che cosa è successo?!”

“Carlisle te l'ha già spiegato, no? Il tuo scudo...”

“Lascia perdere il mio scudo!” lo interrompo, il tono della voce che cresce sempre di più. “Perché, a questo punto mi chiedo, perché farmi svegliare? Perché non farmi morire, piuttosto?! Ho impiegato così tanto tempo a ricordarmi di Jacob, e cos'è cambiato?! Niente!”

“Bella, stai straparlando, lascia che ti spieghi...”

“Io non sento niente, Edward!” comincio a sbraitare, la voce spezzata. “Non sento più niente!” Mi stringo il petto, il cuore. “Qui, qui dentro, non c'è più niente! Io sono morta dentro, Edward! Che cosa mi hai fatto?!”

“Ti prego, Bella, non fare così...”

“Spiegamelo, Edward, spiegamelo!” continuo ad urlare, tendendo la voce fino ai suoi limiti. “Perché mi hai fatto dimenticare cosa significa amarti?! Perché io non riesco più a ricordarmi il nostro primo bacio?!”

“Davvero, tu, non...”

Per un attimo, lo sguardo di Edward, ora triste, si posa su di me, e lo sento scavare dentro il mio animo trasfigurato, e allora cedo, mi lascio al silenzio.

Rimaniamo in silenzio.

Edward mi prende una mano, è così fredda.

“Vieni con me.” Mi dice, ed io mi alzo e lo seguo, in silenzio. Lo seguo giù per le scale. Lo seguo fino al salotto, fino al pianoforte. Mi fa accomodare sul divano, mentre lui si mette al piano. Non capisco, ma lo lascio fare.

Edward comincia a suonare. Una melodia dolce, vagamente triste. La suona, le note mi attraversano, ed io sento appena il gusto dolceamaro della nostalgia.

“L'ho scritta per te.”

Mi dice, quando finisce di suonare. Si alza, si sposta dal piano e mi raggiunge.

“Perché non sento quello che dovrei sentire, Edward? Perché questa musica non mi fa impazzire il cuore, come penso che abbia fatto in passato?”

Edward mi prende una mano, mi fa alzare. Si avvicina, mi sfiora il mento con due dita gelide.

“Ho dovuto farlo. Quel qualcosa che tu ancora non riesci a ricordare... ti ha sfregiato l'anima. Ed io ho scoperto che dentro di te portavi già un dolore immenso e mai digerito. Io l'ho sempre saputo, ho sempre saputo di averti procurato un dolore immenso, abbandonandoti, ma...”

“Sì... ricordo... tu mi hai abbandonato, una volta. Ma poi sei tornato.” Mormoro, mentre lui continua a parlare.

“Ma non credevo davvero ti avesse distrutto così in profondità. E quel che è successo, dopo, ti ha dato il colpo di grazia... Ho dovuto farlo, Bella.” Avvicina il suo viso al mio, le sue labbra al mio orecchio. “Ho dovuto. Mi dispiace. Mi dispiace tanto.” Mi sussurra all'orecchio. “Ho cancellato tutto. Con i ricordi brutti sono andati via anche i ricordi belli...”

Rimaniamo in silenzio, abbracciati, in un istante infinito. Finché finalmente le lacrime tornano a bagnare i miei occhi, e allora affondo il viso sul suo petto.

“Vieni con me.” Ad un tratto mi dice, staccandosi con me. Mi porge la sua mano ed io l'afferro senza pensarci. Mi porta fuori, nella notte chiara dell'Alaska.

“Aggrappati alla mia schiena.”

“Edward, cosa vuoi fare?”

“Fallo e basta. Niente domande.”

Un istante dopo essere salita, mi ricordo che questa cosa mi terrorizzava. Ma ormai è tardi per protestare: Edward comincia a correre ad alta velocità. Chiudo gli occhi ed urlo di paura, stringendo la presa.

“Ricordi quanto ti ha spaventato la prima volta?”

Apro gli occhi, e non riesco a credere che siamo davvero in cima ad un albero, come forse è successo una volta.

“Mi manca l'aria.” Dico, stringendomi a lui.

“Bella!”

“Mi manca... l'aria...” comincio a respirare rapidamente, troppo rapidamente, la paura per l'altezza mi assale, insieme a tutto, tutto il resto, tutti i ricordi dimenticati, le emozioni sopite, tutto quanto.

“Ce la... ce la faccio.” Dico ancora, lasciando la sua presa, ansimando pesantemente. Mi stringo al grosso tronco dell'albero, attenta a non cadere dal ramo.

“Vieni qui.” Edward mi offre la sua mano. L'accetto, e mi lascio stringere nel suo abbraccio.

“Aggiusterò tutto, Bella. Lascia fare a me. Rifaremo tutto da capo, vedrai. Ti farò innamorare di nuovo di me, e questa volta non sbaglierò più nulla.”

E voglio crederci, voglio crederci davvero, e finalmente avvicino le mie labbra a quelle di Edward, ricordandomi in quell'istante quanto sono glaciali.

  
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