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Autore: Lady Snape    25/09/2010    2 recensioni
Preston A. Lodge III, il banchiere, il direttore dell'albergo di Colorado Springs, ricco, bello, raffinato... eppure qualcosa non quadra a dovere. Dopo la bancarotta del 1873, bisogna riprendere in mano la situazione, far ripartire gli affari e, possibilmente, liberarsi dai debiti. Ma come? A voi la possibilità di scoprirlo leggendo questa Fanfiction!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pubblico il terzo capitolo dopo molto. Lo so, ma sono piena di impegni e di guai vari. Inoltre, la storia non l’ho finita e cerco di prendere tempo. Spero che vi stia piacendo, anche se non ci sono commenti. Su, non siate timide!

 

Buona lettura!

 

 

3 capitolo – DIALOGO CON SE STESSO

 

 

Seduto nell’ufficio che aveva alla banca, Preston era perso nei propri pensieri. Non gli era piaciuto affatto sottostare nuovamente ai voleri di suo padre, ma si era sentito in dovere di farlo. Aveva ricevuto una lettera negli ultimi mesi, dove Preston A. Lodge II gli elencava i successi dei suoi fratelli in ambito affaristico e, quasi a farlo apposta, anche in ambito familiare.

La competizione era stata pane quotidiano in casa sua, da che ne aveva memoria. Ogni periodo di vacanza dal collegio nel quale erano stati educati era una gara a chi aveva ricevuto più medaglie, più premi, voti migliori in ambito accademico. E poi c’era lo scontro fisico: i fratelli Lodge si erano affrontati a suon di pugni, poco importava se Preston fosse il più piccolo e non avesse grandi possibilità di battere i fratelli più grandi. Con soddisfazione, però, c’erano stati momenti di gloria anche per lui. Si era rivelato un ottimo studente, forse più degli altri, ed era diventato eccelso nelle gare di retorica, capace di tirare fuori citazioni e locuzioni latine tali da mandare in confusione il suo avversario. C’erano stati momenti felici per lui. Era  sempre stato il preferito della zia Fanny, sorella di suo padre, e fino a quando era stata in vita, lei si era congratulata con lui, lo aveva coccolato come avrebbe fatto una madre, una madre che aveva, era viva e vegeta, ma non era mai stata molto attaccata al suo figlio più piccolo. Ricordava che la zia Fanny lo considerava il più gentile della famiglia, il più galante ed era stata lei a introdurlo in società, quando aveva compiuto vent’anni. Grazie al suo supporto si era sentito sicuro e capace. Alla sua morte le cose erano cambiate. Per la prima volta il vecchio Lodge aveva mostrato di non approvare il contributo educativo della sorella sul suo ultimogenito ed aveva acuito la competizione in casa sua. Gli ultimi dieci anni erano stati un vero incubo: uno alla volta i suoi fratelli avevano lasciato il nido, avevano messo su famiglia, affari, proprietà, costruzioni e soddisfatto le aspettative del vecchio leone. Non erano mancati i rimproveri sul suo non seguire le indicazioni che gli altri avevano tanto mirabilmente portato a termine. Quando però ci si trovava a confrontarsi con un numero così elevato di gente che aveva compiuto gli stessi studi accademici, che frequentava lo stesso ambiente, riuscire a competere nello stesso campo senza alcuna solidarietà era davvero difficile.

La svolta era giunta quando, in un caffè della città, un suo compagno di college aveva parlato di affari compiuti nel lontano West. In quelle terre era tutto da fare, non c’era niente, a parte qualche centro importante. Le città stavano nascendo ed era necessario che qualcuno andasse lì a portar loro la civiltà. Seguire la ferrovia e scegliere una stazione nella quale fermarsi gli era sembrata una buona idea. Lì si sarebbe impiantato, sarebbe stato lontano dalla diretta competizione con i suoi fratelli e avrebbe dimostrato come si poteva tirar fuori dalla terra selvaggia qualcosa di estremamente raffinato e redditizio.

Aveva pensato che sarebbe stato più facile. Eppure scontrarsi con la gente del luogo non era stato semplice. In molti casi era stato solo contro tutti, senza avere la possibilità di essere confortato da un amico, un confidente. Quando aveva costruito il resort si era trovato in una situazione davvero difficile: nemmeno gli operai di Colorado Springs avevano accettato di lavorare per lui. Poi ci si era messo anche suo padre che, ogni volta che era andato a verificare i suoi progressi, non era stato gentile, lo aveva sommerso di critiche e lui si era trovato a fare la figura del cretino davanti a tutti. Anche quello strambo di Horace sembrava averlo compatito. Aveva perso la corsa al ruolo di sindaco, aveva fallito l’unica volta che suo padre aveva visto lo Springs Chateau, grazie anche al clima inclemente che aveva rovinato ogni cosa.

Il fallimento che aveva dovuto sopportare in quell’ultimo mese era stato il colpo di grazia: non c’era modo di poter risollevarsi, doveva vendere necessariamente i suoi averi per saldare i debiti che aveva con i risparmiatori. Aveva temporeggiato, ma non era servito a nulla. Vendere era l’unica soluzione, eppure Horace Bing, l’uomo che gli provocava una strana invidia, forse l’invidia di una vita normale, aveva proposto di chiedere aiuto a suo padre. Già, si poteva fare, ma avrebbe perso la faccia completamente. Fatto sta che invece di chiederlo, gli fu imposto il suo aiuto. Si trovava davanti a un matrimonio per procura, come soluzione a tutti i suoi crucci. Evidentemente suo padre non lo considerava in grado di riprendersi con le proprie forze e forse anche di far la corte ad una donna, di conquistarla e di chiedere di sposarlo. Aveva deciso per lui, aveva trovato una soluzione ad un duplice problema. Assecondarlo gli era sembrato molto più semplice piuttosto che subire un’altra volta le sue critiche, solo perché aveva tentato di ribellarsi. Magari avrebbe fatto fortuna in modo più deciso un giorno e avrebbe restituito con sdegno il denaro che, in un certo senso, gli veniva prestato. Quanto al matrimonio, perché rifiutarlo? Magari avrebbe conquistato una donna un giorno, ma non sarebbe stata abbastanza bella, ricca, giovane, intelligente. Purtroppo non era esattamente il tipo di uomo capace di approfittare di una donna, anche se la legge gli dava la possibilità di pretendere da lei, di avere il pugno di ferro a priori, come suo padre consigliava di adottare con Eva Simmons.

                Eva. Eva aveva dimostrato di non gradire le costrizioni, non che lui volesse costringerla a fare qualcosa, ma sperava che almeno la situazione si fosse mossa in modo più tranquillo, si fossero parlati senza che anche lei iniziasse con aggressioni verbali. Guardò l’orologio: era ora di tornare a casa. Lentamente si alzò dalla scrivania, ripose nell’archivio le ultime carte che aveva visionato e calcò il suo cappello.

Decise di fare un salto da Dorothy, per lasciarle un annuncio su delle azioni che avrebbe venduto a partire dal lunedì successivo. La pubblicità gratis era sempre una buona cosa.

Dorothy stava scrivendo un articolo, controllando gli appunti presi sul suo taccuino nel corso della giornata. Vedere quella donna alla scrivania ricordò a Preston che quella città era stranamente una calamita per tante donne intraprendenti e con un caratterino per niente facile. Eva ingrossava quelle fila e avrebbe probabilmente fatto la sua parte per gettare scompiglio in quella che, forse, non era mai stata una cittadina tranquilla. Il dialogo tra Dorothy e Preston stazionò poco sulle questioni di lavoro; non ci volle molto affinché giungesse la domanda fatidica sulla nuova venuta.

< Qualcuno vocifera in paese che tu abbia regalato dei fiori ad una donna stamattina. > chiese la donna, continuando a guardare i fogli con i suoi appunti.

Preston non si stupì. Ci voleva poco a far parlare di sé. Il problema era un altro: come doveva presentarla esattamente? Doveva dire che si trattava di un’amica? Una conoscente? Un’ospite particolare del suo albergo? Entro tre settimane avrebbe dovuto sposarla.

< Si tratta della mia fidanzata. > disse d’un fiato, riuscendo a mantenere una parvenza di tranquillità. Cosa che non fece Dorothy: alzò lo sguardo di scatto e fissò Preston come se fosse un ragazzino che avesse detto una bugia.

< Davvero? Da quanto siete fidanzati? > meglio approfondire. Le sembrava strano: non sapeva di lei, il banchiere aveva corteggiato altre donne, non si era spostato da Colorado Springs tranne per andare a Denver ogni tanto. Forse era proprio di Denver.

< Non molto. > salutò e uscì. Non era il caso di darle altre informazioni.

                Eva si era sistemata nella sua nuova stanza. Non le dispiaceva, la trovava molto bella, arredata con gusto, ma sentiva una leggera nostalgia del suo appartamento a Boston. Aveva avuto modi di riflettere e si era resa conto di aver iniziato in modo sbagliato il suo rapporto con Preston. Doveva dargli il modo di farsi conoscere e di poter conoscere lei, perché, al momento, erano costretti al matrimonio e, forse, doveva anche ringraziarlo per aver accettato. Era vittima di un ricatto, era vero, ma questo le permetteva di evitare di mandare in carcere suo fratello, permetteva alle sue sorelle di vivere felici e salvaguardava la sua carriera. Doveva guardare il lato positivo della cosa e, tanto per aggiungere altro, poteva ritenersi fortunata, dato che l’uomo che doveva sposare non era un vecchio rimbambito. Seduta allo scrittoio che Preston aveva preparato per lei, notò le boccettine di inchiostro messe in ordine su uno dei ripiani, le risme di fogli ben impilati e i pennini sistemati in un portapenne: si trattava di dettagli importanti, che dimostravano che era stata posta attenzione nella preparazione di quella stanza. Forse Preston aveva letto uno dei suoi romanzi, qualche racconto o semplicemente era a conoscenza della sua attività. Si sentì più sicura di sé e decise che era giusto scusarsi con lui.

Erano le sette ormai, quando la donna sentì la porta accanto a quella della sua camera aprirsi. Preston era appena tornato; aveva voglia di cenare, di rilassarsi un attimo, bere qualcosa magari, prima di vedere i conti giornalieri del resort. Lavorare era diventato necessario, era l’unica cosa che riuscisse a fare bene, che non gli mancasse mai, che impegnava le sue giornate. Inoltre il percorso in calesse gli aveva dato modo di riflettere. Eva era una giovane donna, cresciuta in una parte degli Stati Uniti decisamente differente rispetto al Colorado. Probabilmente era vissuta nell’agiatezza, con tutti i confort che una grande città come Boston poteva offrire. Una donna di famiglia borghese di certo non si sarebbe mai aspettata un matrimonio per procura, ma conosceva la sua situazione familiare e ne aveva dedotto che non aveva avuto molta scelta: capiva esattamente come dovesse sentirsi, anzi, forse sottovalutava la sua sensibilità. Entrato nella sua stanza, lasciò cadere il cappello sulla cassettiera, quando sentì un leggero bussare alla porta. Vide la figura della donna, delicata e sinuosa, fare capolino dalla porta. Eva lo fissava con i suoi occhi profondi. Era bella, sì, di questo era certo. Si scusò con lui.

< Credo di aver iniziato male il rapporto con lei, mi dispiace, ma deve capire che non è facile per me trovarmi qui contro il mio volere, alla fine. > disse con sincerità. Preston capiva benissimo la situazione, sapeva cosa voleva dire dover obbedire a suo padre e compativa quella ragazza che, suo malgrado, si era trovata nelle sue grinfie.

< Non importa. Non è successo niente di irreparabile. Concorderà con me che dovremmo iniziare in modo diverso per una pacifica convivenza. > non gli importava delle indicazioni di suo padre. In quel momento il suo istinto gli aveva suggerito che, forse, quella poteva essere davvero una  compagna di vita. Magari non si sarebbero mai amati, ma per la prima volta  c’era in Colorado una persona apposta per lui, con la quale poteva instaurare un rapporto diverso rispetto a quelli che aveva con gli altri cittadini. Sperava di non doversi sentire più solo, di avere una confidente, qualcuno che lo ascoltasse e in quel periodo era decisamente più deprimente del solito.

Eva emanò un leggero sospiro, che non sfuggì a Preston, ma non se la sentì di biasimarla per questo. Erano entrambi in una situazione senza uscita, potevano solo adattarsi alla situazione e provare a renderla gradevole.

 

 

 

   
 
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