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Autore: VaniaMajor    26/09/2010    2 recensioni
Raistlin è morto nell'Abisso, ma echi della sua impresa continuano a riverberare su Krynn. Il Portale non si è chiuso perfettamente e gli Dei temono un futuro oscuro. Solo lo Scettro dei Tre potrà scongiurare il pericolo. All'anima di Raistlin viene affidata una missione che cambierà il corso della Storia...
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ritorno dei Gemelli'
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CAPITOLO 1

RISVEGLI

Il sole caldo della primavera faceva a gara col vento leggero che veniva da est per baciare il viso del giovane mago, il quale osservava con un sorriso per metà di scherno le buffe acrobazie del kender, che coglievano immancabilmente in fallo i due combattenti, tanto grandi quanto goffi in confronto a quella creaturina ridente e agile.
Il giovane si guardò attorno, mentre il nano rampognava Caramon e Sturm, i due provetti guerrieri, tanto abili, testuali parole, da farsi mettere sotto da una mezza calzetta col codino e la lingua troppo lunga.
Spazzò con lo sguardo il folto bosco di vallenwood che nascondeva tra le fronde il suo paese natale, e respirò a fondo, sentendo l’aria tiepida scendergli come un’onda corroborante nei polmoni.
«Raistlin!- lo chiamò il fratello gemello, distraendolo- Raist, dì a Flint che non sono una femminuccia! Mi ha detto che sono inferiore a Tas, ti rendi conto?!»
«Ma certo, fratello mio.- disse Raistlin, scuotendo il capo, tentando senza troppo successo di mantenere un’espressione seria- Ti avverto però che il kender in questione se la sta filando con il tuo borsello.»
Raistlin soffocò una risata nel vedere lo scatto felino di Caramon nel riacciuffare Tasslehoff, mentre Flint continuava a sottolineare quanto fosse umiliante prenderle da un kender.
Chiunque avesse visto il sorriso del giovane mago, in quel momento, avrebbe forse faticato a riconoscerlo. Era un sorriso sereno, felice. Le linee del suo volto erano distese, nessuna malizia brillava nei suoi occhi, così come nessuna durezza.
Era un momento di pace e l’anima martoriata e pensierosa dell’introverso giovane stava cercando di goderselo appieno.
“Solace è bella.- pensò, forse per la prima volta, e se ne stupì- Casa mia…i miei amici…mio fratello...”
Guardò di nuovo il gruppetto chiassoso, a cui si stavano ora aggregando anche il mezzelfo e Kitiara, col suo solito sorrisetto in tralice.
“Non vorrei essere in nessun altro luogo che questo.” pensò, sentendosi sopraffare da una commovente ondata di serenità.
“Sbrigati. Abbiamo poco tempo.”
La voce, imperiosa, si fece strada nei suoi pensieri, cogliendolo di sorpresa. Il giovane si mise a sedere diritto, guardandosi attorno.
«Caramon…hai detto qualcosa?» chiese Raistlin, perplesso.
Il gemello non diede l’impressione di averlo sentito, in quanto era occupato a cercare di rimettere il borsello al suo posto, recuperando allo stesso tempo il pugnale di cui  Tasslehoff aveva già preso possesso. Certo che come pugnale era piuttosto strano…sembrava più un congegno pieno di pulsanti e catenelle…
“L’hai indotto tu a questo sonno. Fai in fretta.” disse ancora la voce.
Raistlin corrugò la fronte. La sentiva echeggiare nella propria mente e pareva evidente che nessuno dei suoi amici la stesse sentendo.
“Non avere fretta. Non posso rischiare che si svegli anche il suo corpo.- disse una voce più calma e posata- Lei non se lo lascerebbe scappare un’altra volta.”
Raistlin si toccò le tempie, incredulo. Di chi erano quelle voci? Perché lui poteva sentirle, mentre i suoi amici continuavano ignari a scherzare?
“Gli dei della Magia.- pensò d’un tratto, con un tuffo al cuore- Gli dei della Magia sono venuti a chiedermi di pagare il mio debito.”
Era dalla sua prova del talento, la prova svolta nella cantina della scuola del maestro Theobald, in cui aveva dovuto scrivere la parola Magus su un pezzo di pergamena ed aveva ricevuto la benedizione dei tre dei della magia, che Raistlin si aspettava una loro richiesta. Che fosse giunto il momento? Rifletté per un istante su quella possibilità, poi scosse il capo.
Le voci non erano le stesse. Poteva dirlo con estrema certezza. D’altronde, anche queste voci possedevano un’autorità che aveva il potere di inaridirgli la bocca. Si alzò in piedi e scoprì di essere malfermo sulle gambe. Un peso iniziava ad opprimergli il petto, che prima era pieno di aria pura e tiepida.
“Sono vittima di un incantesimo?- si chiese Raistlin, tentando di soffocare sul nascere il panico che lo stava attanagliando- Che sta succedendo?”
Fece un passo malfermo, ma nessuno si voltò verso di lui. Nemmeno Caramon, che di norma notava con occhio di falco ogni suo malore o cedimento.
“Ci sono quasi.” disse la seconda voce, e questa volta fu abbastanza possente da soffocare il chiacchiericcio del gruppo.
Raistlin impallidì ed allungò una mano, pronto a chiedere il sostegno del fratello, in quanto d’improvviso si sentiva mancare. Le cose avevano iniziato a perdere luminosità e contorni ai suoi occhi.
«Caramon…- disse, e la sua voce suonò rauca e debole, malata, distante alle sue stesse orecchie- Caramon aiutami!»
Protese ancora la mano verso il fratello. Provò un istante di subitaneo orrore quando si accorse che la sua pelle aveva assunto una tonalità dorata, poi la sua mente si schiuse come il guscio di un uovo e la consapevolezza lo colpì con la potenza di uno schiaffo.
Lui non si trovava a Solace…non poteva.
Solace era stata distrutta e ricostruita, ed ora i vallenwood erano solo un ricordo. La sua dimora, ora, era un’antica e maledetta torre nel centro della città di Palanthas.
Lui non aveva più diciannove anni. Ne aveva ventinove ed era un arcimago delle Vesti Nere che aveva venduto la sua anima e il suo corpo per il potere.
Flint, il nano, era morto.
Sturm, il cavaliere di Solamnia, era morto.
Kitiara, ne era certo come dell’aria che respirava, era morta.
E lui…anche lui era morto. Era morto nell’Abisso, nel tentativo fallito di diventare un Dio. Si era sacrificato per salvare le persone che amava.
«Per gli dei…- mormorò, tra le labbra intorpidite- Io sono morto.”»
“Ce l’ho fatta.” disse la voce.
Solace e tutte le persone che amava si dissolsero nelle tenebre e Raistlin cadde in un vortice oscuro.



«Sappiamo che sei sveglio. Apri gli occhi.» disse la voce, pacata.
Raistlin, reduce da un sonno di cui non avrebbe saputo calcolare la lunghezza, tanto era stato simile alla morte, aprì gli occhi in risposta all’esortazione. Quantomeno, tentò di aprirli. In realtà, il passaggio dall’oscurità alla luce fu talmente rapido e inaspettato che non gli sembrò affatto di avere aperto le palpebre.
«E’ passato del tempo, Raistlin Majere.» disse uno dei due uomini presenti, impaludato in consunte e macchiate vesti color grigio topo. Raistlin fece una smorfia amara. Fizban…o Paladine, come era conosciuto dai più.
Era inutile che quel maledetto gli si fosse presentato col vecchio aspetto da stregone malandato e svanito. Qualunque traccia d’affetto per quel vecchio pazzo che li aveva gettati nella Guerra delle Lance era morta da tempo. Il suo passato gli era ripiombato addosso con effetti simili a quelli prodotti dalla montagna di fuoco sulla città di Istar e la serenità dei suoi sogni era stata spezzata e calpestata fino a ridurla in polvere. Sapeva chi era e sapeva che era morto. Non aveva nessuna voglia di stare a sentire i convenevoli delle due divinità che l'avevano appena risvegliato.
«Paladine.- disse a mo’ di saluto, amaro- Gilean. A cosa devo questa visita, di certo a voi sgradita, nell’Abisso?»
«Non siamo nell’Abisso, Majere.- disse Gilean, impassibile- E non vi sei nemmeno tu, in caso contrario questa conversazione non avrebbe luogo.»
Raistlin corrugò appena le sopracciglia, poi si guardò attorno. Si trovava in una costruzione circolare a gradoni, circondata da colonne. Fuori da lì, l’ambiente non aveva caratteristiche di molto differenti dal Regno di Takhisis, ma non stava a lui questionare.
«Dove ci troviamo, dunque?» chiese, riflettendo.
«Questo è un luogo particolare che utilizziamo quando abbiamo necessità di riunirci.- spiegò Paladine- Non viene utilizzato molto spesso e Takhisis non guarderà da questa parte.»
Raistlin annuì, prendendosi tutto il tempo per scrutare ogni dettaglio. Si rese conto di non avvertire il dolore costante che affliggeva il suo corpo ormai da anni e si incupì in volto. Guardò se stesso e si rese conto che, sotto la sua veste di nero velluto, era quasi trasparente, incorporeo. Fece una smorfia amara. Inutile sorprendersi di quel particolare, visto che era morto.
«Non lo sei, Majere. Non proprio.- disse Gilean, leggendo i suoi pensieri e ottenendo l’effetto immediato di accentrare su di sé tutta l’attenzione dell’arcimago- Non per questo potremmo definirti vivo.»
Raistlin guardò i due Dei con aria buia.
«Rammento bene di essere stato dilaniato da Takhisis.- disse, secco, omettendo volontariamente le circostanze in cui questo era avvenuto- Rammento di essere caduto nell’oscurità. Se voi Dei non chiamate questo ‘morte’, non vedo cosa…»
«In realtà, sei caduto in un sonno molto profondo, Raistlin Majere. E sì, il tuo corpo è ancora nell’Abisso.- disse Gilean, scoccando un’occhiata a Paladine, che non proferì verbo- Qualcuno ha deciso che non meritavi una fine tanto terribile e ti ha salvato dagli artigli di nostra sorella. I piani originari prevedevano che tu non ti svegliassi più fino alla morte del tuo corpo, per poi decidere cosa fare della tua anima, ma è accaduto qualcosa che ci ha costretti a risvegliare perlomeno il tuo spirito.»
Raistlin annuì, pensieroso.
Era vivo. I suoi pensieri si incentravano su questo. Se avesse avuto un cuore, in quel momento avrebbe battuto all’impazzata.
Da qualche parte nell’Abisso, il suo corpo viveva, caduto in un sonno profondo in attesa della morte. Credeva di aver perduto tutto, ma ora il suo spirito indomito già gli suggeriva di trovare un sistema per risvegliare il proprio corpo e fuggire dall’Abisso. Sentiva di essere forte abbastanza, anche senza il sostegno del bastone di Magius. Avrebbe potuto riprendere la propria vita, tornare alla Torre…riavere la magia…e rivedere…Raistlin strinse le labbra in una linea sottile e celò i propri pensieri, non desiderando che gli Dei che gli stavano di fronte capissero la sua bramosia e il suo profondo dilemma.
Raistlin desiderava vivere, avere una seconda possibilità. D’altro canto, però, si conosceva troppo bene per non sapere che nulla sarebbe cambiato. La sua anima sarebbe rimasta sempre oscura, imprigionata in un corpo spezzato, e finché avesse vissuto avrebbe continuato a provocare dolore a se stesso e a coloro che gli stavano accanto. L’immagine di Krynn distrutta e spopolata sotto il suo dominio non voleva cancellarglisi dalla mente.
Forse la morte era esattamente ciò che meritava. Aveva perso il diritto di vivere molto tempo prima.
Provò un intenso furore al pensiero di essere stato strappato ai sogni meravigliosi della sua giovinezza per essere rigettato nell’orrore della verità da quegli stessi Dei che l’avevano usato come una pedina su una scacchiera per tutta la vita, gli Dei che lui era stato tanto deciso a rovesciare dai loro troni. L’idea di ringraziare Paladine per avergli offerto quel sonno al posto di una morte orrenda e senza fine non lo sfiorò nemmeno.
«Ebbene, avrete un motivo per aver risvegliato l’anima nefanda di Raistlin Majere.- disse, sarcastico, sedendosi con cautela su uno dei gradini benché non avvertisse alcuna stanchezza- Vi pregherei di essere veloci. Per quanto distanti dall’Abisso, sono certo che Takhisis non distolga molto spesso lo sguardo dal mio corpo addormentato.»
Paladine sospirò e Gilean corrugò appena le sopracciglia di fronte al suo cinismo, ma Raistlin non cambiò espressione di un millimetro.
«In realtà, hai ragione, Raistlin Majere.- disse Paladine, appuntando sul viso del mago uno sguardo tutt’altro che svanito- Lei non distoglie lo sguardo da te. Spera ancora di averti tra le mani e risvegliare la tua anima è stato un gesto rischioso. Un gesto che, però, siamo costretti a fare.»
«A cosa vi servo, stavolta?» chiese Raistlin, pratico e sbrigativo. Desiderava solo tornare a dormire…non avrebbe voluto sapere più nulla della sua vita passata. Voleva di nuovo affogare tutte le sue brame e le sue tentazioni nell’oblio.
«Il Portale.» disse Paladine. Raistlin sollevò appena un sopracciglio.
«Prego?» chiese.
«Il problema è il Portale, Majere. E Takhisis con esso, naturalmente.» spiegò Gilean.
Raistlin fece un verso sprezzante.
«Il Portale esiste da tanto di quel tempo. Il fatto che io sia riuscito ad attraversarlo vi ha allarmati così tanto?- disse, gelido- Ebbene, se ciò vi disturbava, avreste potuto intervenire prima. Il Portale esiste da secoli e i miei rapporti con esso, e col mondo dei vivi, sono ormai radicalmente conclusi. Cosa avete in mente?»
«Il Portale che tu hai lasciato aperto, Majere, non si è chiuso.» disse Gilean, secco. Raistlin corrugò la fronte.
«Ho lasciato il bastone di Magius a Caramon.- disse- L’ho visto usarlo, mentre cadevo. Il Portale dev’essersi chiuso.»
«Si è chiuso.- specificò Paladine- Ma non perfettamente.»
«Non capisco dove volete arrivare.» disse Raistlin.
«Takhisis è arrivata troppo vicina, stavolta. Nelle mani di Caramon, la magia del bastone non è stata sufficiente a chiudere ogni spiraglio e l’influsso oscuro di Takhisis sta ora serpeggiando liberamente nel mondo.» spiegò Gilean, contrariato.
«Non è un problema mio.» asserì Raistlin, con una smorfia.
«Lo sarà, se non interveniamo.- disse Paladine, scuotendo il capo- Abbiamo abbastanza lungimiranza da vedere che le azioni di Takhisis un giorno ci costringeranno ad abbandonare davvero Krynn al suo destino, che non vedo fausto. Questa volta Takhisis sarà troppo forte e i danni che provocherà saranno insanabili. Lo vedo con chiarezza.»
«Questa volta sarà diverso dalla Guerra delle Lance. Stavolta Takhisis si organizzerà.- disse Gilean, cupo- Potrebbe vincere, e fin qui io continuerei a non intervenire. Sento però che questo non sarà tutto.»
«E io cosa c’entro in tutto questo?» chiese Raistlin, ponderando le parole del Dio. Takhisis aveva già messo il mondo in ginocchio durante la Guerra delle Lance. Cos’avrebbe potuto fare di peggio? Raistlin aveva il timore di potersene fare un’idea.
«Di norma, io non prendo parte a queste battaglie. Preferisco stare a guardare.- continuò Gilean, d’un tratto pensieroso- Ora, però, rischio di perdere il mondo che osservo dalla Creazione. Questo mi ha spinto ad agire.» Alzò lo sguardo su Raistlin. «Chi credi che sarà coinvolto nelle battaglie che seguiranno, Majere?- disse, duro- Le anime segnate dal Destino non possono mai abbandonare la corrente del suo fiume.»
Raistlin strinse i pugni e i suoi occhi balenarono d’ira. Aveva compreso dove il dio volesse andare a parare. Lui, suo fratello e i suoi vecchi amici erano rimasti invischiati nella ragnatela del Destino e liberarsene era impossibile. Gilean gli stava garantendo che qualunque cosa Takhisis avesse scatenato sul mondo, le persone che avevano un posto in quel nocciolo duro e secco che era diventato il suo cuore sarebbero state coinvolte, con chissà quali risultati. In maniera indiretta, gli stavano chiedendo di collaborare, ottenendo la tranquillità per i suoi cari, o di tirarsi indietro con un nuovo peso di colpa sulle spalle.
«Cosa dovrei fare io?» chiese, tra i denti.
Paladine e Gilean si scambiarono un’occhiata.
«Crediamo che il modo più veloce di indebolire il potere di Takhisis, e quindi di scongiurare il peggio, sia distruggere il Portale.» disse Paladine.
«Non si può distruggere il Portale.» obiettò immediatamente Raistlin, con un gesto secco.
«Si può.» lo contraddisse Paladine. Raistlin fece una smorfia sprezzante.
«Credete che sia uno sciocco?- chiese, cinico- Ho studiato ogni riga sia mai stata scritta sul Portale, prima di gettarmi nell’impresa che ha visto la mia triste fine e so per certo che non esiste un modo di disfarsi di quel passaggio, a meno di scatenare un altro Cataclisma.»
«Esiste un modo meno catastrofico, Majere, ma non per questo meno complicato.- disse Gilean- E nessuno qui mette in discussione le tue conoscenze. Ciò di cui parliamo non è mai stato associato al Portale e quindi non puoi averne letto gli effetti su di esso.»
Raistlin corrugò la fronte.
«Spiegatemi cosa avete in mente.» disse, infilando le mani nelle maniche capaci della veste.
Gilean e Paladine si guardarono di nuovo prima di iniziare a parlare e Raistlin strinse impercettibilmente gli occhi dorati. Non gli piacevano quegli scambi di sguardi. Aveva la sensazione che i due avessero intenzione di nascondergli qualcosa di grosso.
“Non sarebbe la prima volta.” si trovò a pensare, amaro.
«Esiste un oggetto, creato molto tempo fa, che potrebbe servire allo scopo.- disse Paladine, serio- Luce, Tenebra e Neutralità sono insite in questo manufatto magico, che racchiude grandi poteri. Quando iniziammo a…spartirci il mondo di Krynn, per dirla con le parole di Takhisis, le nostre discordie portarono alla frammentazione di quell'oggetto, che cadde sulla terra in tre parti distinte.»
«Che oggetto è?» chiese Raistlin, cupo.
«Somiglia a uno scettro, una volta riunitosi, ma da quell'epoca antica esso è sempre rimasto scisso.- disse Gilean- Il suo potere è enorme e nessuno di noi vedeva la necessità di riutilizzarlo. Ora che due poteri divini su tre hanno stipulato nuova alleanza, crediamo possa essere ricostruito e utilizzato.»
«Contro il Portale, se non ho frainteso i vostri scopi.» finì Raistlin, ottenendo dei cenni d’assenso dai due Dei. «Ancora non vedo il mio coinvolgimento in tutto questo.»
«Gli esseri mortali non possono utilizzare lo Scettro dei Tre, a meno che tre anime distinte votate ai tre Dei maggiori non lo usino in contemporanea. Capirai anche tu che è una cosa piuttosto rara e di difficile attuazione.» continuò Gilean.
«Lo comprendo.» disse Raistlin, inarcando un sopracciglio.
«Noi crediamo di aver trovato coloro che potranno usarlo.» disse Paladine.
«Sarebbe a dire?» chiese Raistlin. Non credeva plausibile che i tre avessero deciso di farlo tornare in vita, ma tutto era possibile. Non era forse la Veste Nera più potente mai vissuta?
«La Tenebra sarà usata da Dalamar, l’Elfo Oscuro tuo discepolo.- disse Gilean, dissipando immediatamente le vaghe illusioni di Raistlin- Abbiamo intenzione di chiedere il suo aiuto. E’ potente e ha già dimostrato di non gradire un’eccessiva vicinanza della sua Dea.»
Raistlin annuì, secco, celando la sua irritazione e facendogli cenno di continuare.
«La Veste Rossa che ci pare più appropriata è Justarius, anche se permane qualche dubbio.- disse Paladine, lanciando un’occhiata di scuse a Gilean, che non mostrò di essersela presa- E per quanto riguarda la Luce…»
“Crysania.- pensò Raistlin, avvertendo una fitta al cuore- Ci metterei la mano sul fuoco.”
«Qui entri in scena tu, Majere.» disse Gilean, e le sue parole gli fecero l’effetto di una doccia fredda.
«Cosa?» chiese, senza fiato. Corrugò la fronte. «Siete impazziti tutto ad un tratto?»
«No, affatto.- disse Gilean, seccato per quel tono impudente- Il tuo aiuto ci sarà necessario per istruire la Veste Bianca che ci serve.»
«Non dite sciocchezze!- esclamò Raistlin, stanco di girare intorno al tema principale- Vecchio, puoi vantarti di avere dalla tua il capo del Conclave e un’Eletta Figlia di Paladine. Che altro vuoi?!»
«Par-Salian è troppo vecchio.- disse Paladine, scuotendo il capo con una luce triste negli occhi- E Crysania, benché più forte di tanti, non è adatta. Ci serve un mago, per quest’impresa.»
«E vorreste che io, una Veste Nera, istruisca un’imberbe Veste Bianca?!- disse Raistlin, sprezzante- A meno che non sia un dannato genio, finiremo l’istruzione quando Justarius avrà la barba lunga fino a terra! Dovete esservi bevuti il cervello.»
«Modera i toni, Majere!» sbottò Gilean, irato. La sua voce avrebbe fatto tremare chiunque, ma non Raistlin, che rimase impassibile, con un’espressione disgustata sul volto.
«Non ci vorrà tanto, Majere. Riteniamo che un mese o due saranno sufficienti.- disse Paladine, d’un tratto pensieroso- La ragazza sa già ciò che le serve. Devi solo aiutarla a metterlo in pratica.»
«Una donna?- chiese Raistlin, sospettoso- Chi?»
«Il suo nome è Katlin, e non vive su Krynn, ma su Yolta, un piccolo mondo creato da uno degli Dei minori.» spiegò Paladine.
«E’ abitato da umani, ma sembra un paese di gnomi.- aggiunse Gilean, rivelando un certo interesse per l’argomento- E’ meccanizzato e la magia non viene praticata. E’ fuori dal controllo di Solinari, Nuitari e Lunitari.»
«Noi la porteremo qui, magari conducendola da tuo fratello Caramon, e tu la istruirai nell’utilizzo della magia.» disse Paladine, in fretta.
Raistlin rifletté a lungo, quindi chiese: «Tornerò in vita?»
«No. Agirai in quanto spirito.- fu lesto a rispondere Gilean, strappandogli una smorfia- Ma in questo modo avrai fatto il possibile perché Takhisis non l’abbia vinta.»
Raistlin appoggiò le labbra alle dita incrociate, riflettendo. Aveva qualche scelta? Non molte, a parte obbedire o rimettersi a dormire, cosa che gli era sempre più invitante. D’altro canto, però, la seppur lieve possibilità di riguadagnare col tempo il proprio corpo e la propria libertà lo spingevano ad accettare quella proposta assurda. Raistlin era sicuro che le due divinità avessero messo in conto anche questi suoi desideri, prima di formulare la loro richiesta, ma Raistlin era stato più furbo di loro una volta…poteva esserlo di nuovo. Soprattutto se l’allieva si fosse rivelata un’altra anima malleabile come quella di Crysania.
“Vergognati. Sei nefando.” si disse, ma ignorò quella voce. Alzò gli occhi dorati sui due Dei in attesa.
«Ci proverò.- disse, cupo- Se l’allieva risponderà ai miei insegnamenti, ovviamente, altrimenti me ne laverò le mani e continuerò a dormire.»
«Non ti deluderà.» disse Paladine, ma la nota di tristezza nella sua voce mise Raistlin in allarme. I due gli stavano davvero nascondendo qualcosa.
«Toglietemi una curiosità.- disse Raistlin, incrociando le braccia sul petto- Come potrebbe una donna di un mondo estraneo alla magia, cosa che trovo deprimente e disgustosa, fare ciò che voi chiedete?»
«Sarà in grado di farcela, perché Katlin è la Donna con Tre Anime.- disse Paladine, sorprendendo Raistlin- E una di esse, Raistlin Majere, è la tua.»


 

Non si rese conto di stare gridando con quanto fiato aveva in gola, come del resto non udì i passi frenetici e la voce calma e rassicurante che li accompagnava. Solo la sensazione di dita forti che affondavano nella sua carne già provata da mille ferite e che scuotevano il suo corpo martoriato, insieme alla luce cruda che d’un tratto passò attraverso le sue palpebre chiuse, riuscirono a farsi strada attraverso la nebbia sanguinosa del dolore.
«Calmati, amore, sono qui.- disse la voce, mentre le sue grida si trasformavano in rauchi versi sfiatati- Sono qui, tesoro. Apri gli occhi.»
Lo fece, con una luce di follia nelle pupille, respirando in rantoli, tirando aria nei polmoni in fiamme con estrema difficoltà. Ogni respiro era una tortura.
Una donna sulla quarantina, vestita solo di una tunica di lana grezza, col viso stanco e segnato e i capelli chiari raccolti in una disordinata crocchia, continuava a mormorare parole gentili, mentre con una mano accarezzava il suo viso stravolto. Le sue dita continuavano a stringere con forza le coltri, mentre da qualche parte una voce sgradevole ripeteva parole che alle sue orecchie non avevano alcun senso.
«Chi è stato, questa volta?- chiese la donna- Chi, tesoro?»
Non sapeva di cosa stesse parlando. Sapeva solo ciò che aveva visto…vissuto. Fece per liberarsi dalla stretta della donna, che però non mollò la presa. La guardò ancora e le afferrò a sua volta le braccia, per capire se fosse reale o dovuta a un delirio. La conosceva…eppure non la conosceva affatto.
«Dimmi il tuo nome, amore.- disse la donna, ormai prossima alle lacrime- Fai uno sforzo. So che ne sei in grado, coraggio!»
Fu allora che poté per la prima volta discernere le parole, fredde e monotone, della voce metallica che riempiva la stanza.
«…Katlin. Io sono Katlin. Io sono Katlin. Io sono…» ripeteva, senza sosta, con quell'irritante tono impersonale e inumano.
«Io…- disse, attraverso le labbra aride- io…»
Il suo nome? Il suo nome non era certo Katlin! Il suo nome era…era…
«Katlin.- disse infine, e nel pronunciare quel nome ogni cosa recuperò il suo posto- Io…sono Katlin. Sono Katlin ‘Ym Adoonan.»
La donna davanti a lei la lasciò finalmente andare e sospirò, tremula, asciugandosi una lacrima.
«Meno male che abbiamo lasciato il riproduttore attivo, tesoro.» mormorò. La ragazza annuì, togliendosi con mano tremante i capelli scuri dal volto, poi si accasciò nuovamente sul letto, con un braccio sopra gli occhi.
«Vuoi spegnere quel coso, mamma?- chiese, umettandosi le labbra- Sai che una volta tornata in me non lo sopporto più.»
La donna annuì e si alzò, avvicinandosi a una delle pareti metalliche della stanza. Battè le mani tre volte e la voce meccanica si fermò, amputando a metà la monotona frase. La donna tornò al capezzale della figlia e si sedette sul bordo del letto.
«Cos’è successo, Katlin?- chiese, accarezzando una mano della figlia- Era molto tempo ormai che non avevi crisi del genere.»
«Un anno, mamma.- ammise Katlin, riaprendo gli occhi- Più o meno un anno.» Sospirò, con una smorfia. «Per Ulhan…stavolta ha avuto un’intensità inaudita. Era da un pezzo che non sopportavo un’esperienza del genere.»
«Ma chi è stato, amore?- chiese la madre- E’ successo qualcosa…di là?»
Katlin annuì, incupendosi.
«Qualcosa è successo, anche se non mi è dato sapere nulla di preciso.- ammise Katlin- Credo…credo che Raistlin sia stato risvegliato.»
La madre di Katlin spalancò gli occhi per lo sgomento, portandosi le mani alla bocca.
«Ra…Raistlin?!- disse, con voce tremante- Ma era morto!»
«Solo addormentato, mamma, come mi pareva di averti accennato.- sospirò Katlin, alzandosi a sedere e scostando le coperte- Questa notte ho rivissuto ventinove anni di vita. L’unico significato che trovo in tutto ciò, è che la stessa cosa sia successa a Raistlin. Ne consegue che è stato risvegliato.»
«Raistlin…- mormorò la povera donna, terrorizzata- Che Ulhan ci protegga…Raistlin, vivo!»
Katlin lanciò alla madre un’occhiata di pietosa comprensione, quindi si alzò dal letto e si diresse alla finestra. Fuori, era ancora notte inoltrata.
Sospirò, appoggiando la fronte al vetro freddo.
Non poteva certo dire alla madre quanto la morte di Raistlin le avesse portato dolore e avesse devastato la sua esistenza. La povera donna era stata lieta di sapere che la seconda anima di Katlin, la più turbolenta, la più malvagia, era ormai scomparsa, e pensava che anche la figlia fosse felice di vivere una vita finalmente serena. Con la morte di Raistlin, erano finite le crisi di Katlin, che si era ritrovata d’un tratto a vivere in modo quasi normale. Anche la sua terza anima aveva raggiunto la pace e non disturbava più la donna a cui era, inspiegabilmente, collegato.
Ma Katlin, perdendo Raistlin, aveva perso una parte di se stessa…anzi, due, in fin dei conti. Abituata a vivere tre vite distinte, non riusciva ad accontentarsi di quella, piatta e grigia, che le era rimasta. Vivere divisa in tre le portava dolore, ma mai quanto la solitudine che l’aveva attanagliata da un anno a quella parte.
“E così, ora Raistlin è tornato.- si disse, seguendo col dito il profilo degli edifici illuminati, su cui svettava il Kag’teme- Cosa starà succedendo su Krynn? E cosa…cosa ci attenderà, ora?”



Era quasi la decima ora e Katlin saliva lentamente insieme a una fiumana infinita di gente sulla scala mobile del Kag’teme, il favoloso edificio conico che era simbolo e vanto della città di Gerud-Hur.
Distratta e ancora scossa per l’esperienza notturna, Katlin si guardò attorno con aria rassegnata, cercando senza molto successo di evitare il contatto fisico con la calca che la circondava. Attorno a lei, su tutte le piattaforme dei centoventisette piani dell’edificio, brulicava un’attività frenetica che era il vanto e l’obiettivo primo di tutta la civiltà yoltiana.
Per quanto Gerud-Hur fosse la capitale di una piccola nazione, il Supremo Comandamento di Ulhan era rispettato alla lettera. La percentuale produttiva delle scketcheck, le grandi fabbriche che producevano qualsiasi tipo di oggetto materiale esistente su Yolta, sfiorava il cento per cento. Per ottenere questo risultato, ovviamente, andavano impiegati gruppi di cervelli almeno pari al numero delle industrie in attività.
Il Kag’teme era l’alveare, o meglio il formicaio, in cui le menti logiche e meccaniche di tutta la nazione di Aldina si riunivano ogni giorno, donando la loro intelligenza a favore del progresso.
Katlin sospirò, quindi si tirò indietro quando qualcuno la toccò nello scendere su una delle passerelle del Buco. Come sempre, il suo mondo le suscitava sentimenti contraddittori. Se da un lato provava rassegnazione e una blanda pietà per quelle vite grigie che le passavano a fianco, dall’altra si sentiva triste e disgustata. Katlin sapeva come poteva essere una vita differente e questo la poneva nella terribile condizione di non poter accettare il proprio mondo.
Su Yolta vivevano solo esseri umani e macchine, che ormai avevano quasi raggiunto un livello di senzienza sufficiente a essere considerate degli esseri viventi. L’ultimo animale, un gatto, era morto senza eredi un paio di secoli prima, mentre l’ultima pianta, una delicata primula conservata sottovetro, era spirata un’ottantina di anni prima della nascita di Katlin.
Yolta, il pianeta governato dal dio Ulhan, era un mondo di metallo, abitato da uomini dalla mente fatta di numeri e figure geometriche. Per questo, e non solo per questo, Katlin era una rarità che gli yoltiani in toto non esitavano a definire pericolosa.
«Permesso…permesso…» borbottò qualcuno, passandole accanto e colpendola con una certa forza. Infastidita, Katlin si preparò a mandare il malcapitato a quel paese, ma vide solo una sagoma goffa, con un lungo cappello fuori moda, salire le scale senza attendere di giungere a destinazione facendosi trasportare come tutti. Katlin osservò il cappello sparire tra la calca, certa che le ricordasse qualcosa, ma dovette abbandonare le sue vaghe riflessioni quando si accorse di essere arrivata.
«Passerella novanta…prepararsi a scendere.» disse una voce meccanica.
Katlin si fece largo, quindi saltò con grazia su una passerella sospesa nel vuoto, abbandonando la scala mobile. Subito fu portata lontano dal chiasso del Buco da un tappeto scorrevole, che la introdusse nel corridoio grigio e buio che portava la dicitura ‘Sezione Arti Perdute’.
Katlin si sistemò meglio la cartellina sottobraccio, mentre si faceva trasportare dal tappeto. Quello era il luogo in cui lavorava ormai da sette mesi, una dei sei artisti della capitale di Aldina. In un mondo ormai rigido come Yolta, arte e colore erano stati abbandonati e dimenticati. Fino a un paio di generazioni prima della nascita di Katlin, il compito di portare avanti e insegnare a nuovi adepti tutte le arti era stato delle Figlie di Ulhan, un ordine sacerdotale ormai scomparso. Con loro, anche le arti erano scomparse, nell’indifferenza generale.
Ultimamente, però, Ulhan aveva fatto sapere ai pochi intermediari ancora esistenti che il grigio lo stava stancando. Si era pensato di riempire la città di ologrammi, ma gli ideatori avevano presto scoperto che nelle loro menti non era rimasta un oncia di fantasia. In ogni dove si erano quindi cercati ‘artisti’ che potessero ravvivare le grigie città di Yolta. La ricerca era stata ben poco fruttuosa e i pochi depositari delle antiche arti venivano considerati preziosi ed erano ben pagati.
Katlin aveva imparato le arti da sua madre, la quale aveva avuto come precettrice una vecchia zia, dell’ultima guardia delle Figlie di Ulhan. Questo le stava permettendo di mantenere se stessa e sua madre, che, Ulhan lo sapeva, aveva sacrificato tutto quello che aveva a causa della figlia…
Resasi conto di essere ormai davanti alla porta della sua sezione, Katlin battè i tacchi sul tappeto, che si fermò, quindi scese e aprì la porta.
Il corridoio interno era occupato da tre dei suoi colleghi, occupati a bere il primo ghogh della mattinata.
«Buongiorno, Katlin!» la salutò una rossa tutta pepe, con un cenno e un sorriso che non si riflettè negli occhi chiari.
«’Giorno, Ella. Buongiorno a tutti.- salutò Katlin, rispondendo al sorriso- Novità?»
«Qui? Non sia mai!”» esclamò la ragazza, con una risatina. Gli altri non mostrarono di voler attaccare discorso e Katlin, con un ultimo cenno di saluto, si diresse al suo studio privato e vi si chiuse dentro.
Con un sospiro, si sedette alla grande scrivania, che subito si attivò, facendo scorrere sulla sua superficie tutto il materiale fino a creare l’ambiente di lavoro che Katlin preferiva. La giovane posò la cartellina sulla superficie lucida, ne estrasse un foglio e aprì la scatola degli acquerelli.
Poi, rimase dov’era, con il pennello sopra il foglio, incapace di iniziare. Si tolse i capelli dalla spalla con un gesto seccato, appoggiandosi allo schienale della poltrona.
Il piccolo scambio di battute all’ingresso le aveva rammentato quanto, presenza di Raistlin o meno, la sua vita fosse ancora ben lontana dal normale. Nonostante fossero sette mesi che lavorava nel Kag’teme, i suoi rapporti sociali erano pressocchè inesistenti. Non aveva bisogno di essere in grado di vedere oltre i muri per sapere che in quel momento i suoi colleghi stavano bisbigliando alle sue spalle, lanciando occhiate furtive alla porta del suo ufficio.
Eppure, Katlin non riteneva di essere antipatica. Sapeva essere cordiale ed educata, e aveva un buon senso dell’umorismo. Nemmeno il suo aspetto poteva dare adito a dileggiamenti, in quanto era, se non bella, almeno molto carina.
Guardò il proprio riflesso sulla superficie lucida della scrivania. Una donna di ventiquattro anni le ricambiò lo sguardo. Il suo viso era regolare, gli occhi blu profondo. I capelli di un castano scuro appena ramato le si inanellavano sulle spalle, trattenuti da un cerchietto.
No, non erano né il carattere né l’aspetto i motivi per cui nessuno l’avvicinava. Era la fama che la precedeva ovunque andasse, ciò che non le permetteva di condurre una vita normale.
Nonostante i continui trasferimenti da una nazione all’altra, tutta Yolta conosceva la Donna dalle Tre Anime. Era un Caso senza precedenti, la prova certa che la magia, massima eresia della religione ulhiana, da qualche parte nel cosmo esisteva e veniva praticata. Katlin doveva al Daichtune Genesio sia l’aver evitato la scomunica, che aver conservato intatta la propria vita. Se non fosse diventata un vero e proprio Caso, ma fosse rimasta un semplice Problema, a quell'ora non avrebbe avuto nemmeno una delle sue tre vite da vivere.
Tutto perché Ulhan aveva abbandonato Krynn in seguito a una litigata colossale con i tre dDei della magia…
“Forse la scomunica me la meriterei davvero.- pensò, sorridendo con commiserazione e decidendo infine di mettersi al lavoro- Che io sia Katlin o meno, la mia vita è comunque un completo disastro.”



Quando, nel pomeriggio, Katlin salì sulla Bolla pubblica per tornare a casa, il suo umore era nero.
Si sedette in uno dei posti liberi in fondo, mentre la Bolla si immetteva nel traffico, e non degnò di uno sguardo il paesaggio artificiale che scorreva oltre le pareti trasparenti del mezzo di trasporto.
Seduta diritta, con le mani strette a pugno sopra la cartellina appoggiata alle ginocchia, era una mosca bianca nel mezzo degli indaffarati passeggeri che, pur tornando a casa dal lavoro, approfittavano anche del viaggio sulla Bolla per compilare grafici e scambiarsi opinioni sul prodotto della giornata.
Il pensiero di Katlin era rimasto fisso su Krynn per tutto il giorno e non se ne era distolto per un solo istante. Seccata con se stessa, Katlin aprì la cartellina con gesti accorti, osservando con oscuro cipiglio il risultato del lavoro dell’intera giornata.
Invece del paesaggio che le era stato commissionato, sul foglio faceva bella mostra di sé il ritratto di un uomo dai capelli candidi, la pelle dorata tirata sull’ossatura fine del volto, gli occhi inquietanti puntati con credibile sarcasmo sullo spettatore.
Raistlin. Proprio non riusciva a toglierselo dalla testa.
Corrugò le sopracciglia, seguendo il profilo dell’uomo con un dito. Katlin non sapeva cosa stesse succedendo su Krynn, ma il risveglio di Raistlin non poteva preludere a niente di buono. Solo una causa di forza maggiore avrebbe costretto Takhisis dal distrarsi abbastanza da permettere a Raistlin di tornare in vita e abbandonare l’Abisso. E Raistlin DOVEVA essere tornato in vita, altrimenti non si spiegava quel flusso ininterrotto di ricordi che l’aveva terrorizzata durante la notte.
Eppure, qualcosa stonava. Se Raistlin era davvero tornato in vita, perché lei non aveva visto nulla attraverso i suoi occhi? Perché da quando si era svegliata non aveva ricevuto più alcuna visione di lui? Questo non rientrava nei normali parametri.
Katlin si incupì ulteriormente. Forse qualcuno aveva volutamente oscurato la sua visione…ma chi? Chi poteva sapere di lei? E poi, se Raistlin fosse davvero tornato in vita, la sua terza anima non l’avrebbe forse saputo? Di certo, lo shock a una tale notizia avrebbe avuto ripercussioni che sarebbero giunte fino a lei. Invece niente, niente per tutto il giorno. La cosa la insospettiva e la spaventava.
Era anche possibile che la sua visione fosse preclusa a causa del tempo che era passato dall’ultimo contatto. Forse i fili che li legavano si erano allentati talmente da non influire più sulla sua vita. Certo, se fosse entrata in trance, avrebbe potuto vedere cosa stava accadendo, ma la prospettiva la spaventava. Era fin troppo facile, per lei, vivere vite non sue. Il problema era sempre tornare indietro.
Voleva davvero dare un nuovo dolore a sua madre, che, Ulhan lo sapeva, non se lo meritava? Voleva davvero rischiare di ricadere nel gorgo oscuro che l’aveva quasi lacerata? Il rischio c’era e non era trascurabile. Forse avrebbe dovuto rassegnarsi e far capire a quella testaccia dura che si ritrovava che doveva accontentarsi della vita normale che ora stava vivendo…finchè fosse durata.
«Raistlin.- mormorò, guardando con terribile malinconia il ritratto- Caramon…vorrei che qualcuno di voi mi dicesse cosa devo fare.»
In quell'istante, la Bolla frenò bruscamente, facendo caracollare gli stupefatti passeggeri. Katlin afferrò la cartellina per un pelo e la chiuse con ogni precauzione, prima di alzarsi in piedi come tutti gli altri per cercare di capire cosa stesse succedendo.
La Bolla non si fermava mai in mezzo alla strada, in quanto si faceva semplicemente trasportare dal magnetismo del manto stradale fino ai luoghi di sosta preposti, ma pareva che il conducente avesse un buon motivo per costringere tutti a una fermata imprevista, in quanto stava scendendo dal mezzo inveendo come un matto contro qualcuno che, a quanto pareva, si era accampato nel bel mezzo della strada.
«Ma che ci fa qui, dannato vecchio pazzo?!- gridava, parandosi davanti al colpevole e nascondendolo agli occhi dei curiosi passeggeri- Che Ulhan la renda povero, potevo ammazzarla, lo sa?! Si sposti, che diamine!»
La risposta del vecchio venne completamente coperta dal suono delle trombe proveniente dai veicoli che si stavano accodando dietro la Bolla.
«E chi se ne frega del suo cappello?!- sbraitò il conducente, alzando le braccia al cielo- Me lo mangio, il suo cappello!»
“E’ la giornata dei cappelli.” pensò incongruamente Katlin, prima che l’estremità di un grosso bastone nodoso si abbattesse sulla testa del malcapitato conducente, facendole spalancare la bocca per la sorpresa.
«Come osa, giovanotto!- urlò il vecchio barbuto, ora ben visibile a tutti, mentre cercava di sistemarsi in testa un lungo cappello fuori moda che cadeva invariabilmente in avanti o indietro e stuzzicava il dolorante conducente con la punta del bastone- Un po’ di rispetto! Lei non sa chi sono io!» Si bloccò, incerto, grattandosi la barba. «Già, in effetti…chi sono io?- borbottò, sordo alle proteste dei passeggeri e degli altri autisti, che erano scesi dai loro mezzi e stavano convergendo minacciosamente contro il motivo di tanto caos- Quel matto di un kender me lo ripeteva sempre…Furball? No…Fus…Fib…»
Il cuore di Katlin batteva all’impazzata. Quel vecchio…ora era certa di averlo visto anche al Kag’teme, quella mattina. Non poteva non riconoscere quell'aria svanita, quella veste macchiata…ma soprattutto quel cappello che pareva avere una vita propria. Benchè fosse impossibile che si trovasse lì, in mezzo a una delle strade principali di Gerud-Hur, Katlin lo conosceva troppo bene per potersi sbagliare sulla sua identità.
«Fizban…» mormorò, tra le labbra insensibili. Il vecchio si voltò verso di lei con uno scatto, puntandole contro il bastone.
«Esatto!- esclamò, con un sorriso trionfante- Proprio quello!»
Katlin non perse nemmeno tempo a chiedersi come avesse fatto il vecchio mago a sentire il suo sussurro in mezzo a tutta quella bolgia. Fizban, ignorando completamente il subbuglio attorno a lui, salì sulla Bolla e si diresse con decisione verso la ragazza.
«Katlin?» chiese subito, spiccio. Katlin annuì, ancora a bocca aperta, poi Fizban la afferrò per un polso e cominciò a tirarsela dietro.
«Bene, fanciulla! Questa è la tua fermata!- disse, allegro, cieco alle occhiate attonite dei presenti- Si scende! Si scende!»
«Ma…che…- balbettò Katlin, ritrovando finalmente la parola e cercando di fare resistenza- Ehi! Ehi, aspetta! Io non devo scendere qui! Cosa…»
Fizban le diede uno strattone e Katlin cadde dai gradini della Bolla con un piccolo grido, atterrando malamente…in un luogo silenzioso che non ricordava affatto le strade di Gerud-Hur.
Katlin si alzò in piedi con cautela, osservando con sospetto i dintorni e la figura vestita di rosso accanto cui Fizban stava andando a sedersi. Le sue incertezze furono  immediatamente rimpiazzate dalle conoscenze delle sue altre vite.
Si trovava in un luogo circondato da gradoni, attorno a cui si sviluppavano alte colonne che finivano nel nulla. Cielo e terra avevano lo stesso colore…e questo le portò subito alla mente l’Abisso.
«No, non sei nell’Abisso.» disse l’uomo vestito di rosso, in tono piuttosto annoiato. Katlin fece una smorfia, tenendo stretta al petto la sua cartellina come fosse un’ancora di salvezza.
«Gilean.- disse, amara- Fizban.» Si guardò di nuovo attorno. «Allora dove siamo, se non nell’Abisso?»
«Un luogo in cui potremo parlare e che questo ti basti.» tagliò corto il Dio della Neutralità. Un’ira repressa da anni iniziò a montare dentro Katlin.
«Parlare? Volete parlare?- disse, sibilando- Dopo avermi dimenticata su quel dannato pianeta per ventiquattro anni e avermi fatto passare l’inferno, volete parlare?! Di colpo, mi strappate dalla mia casa solo perché vi fa comodo?!»
«Modera i termini.» disse Gilean, con una smorfia.
«Cerca di calmarti, Katlin.- disse Paladine, pacato- La tua ira non è ingiustificata, ma noi non possiamo porvi rimedio.»
«No, certo che no…non sia mai!- disse la ragazza, amara- Vi ho aspettati per una vita intera! Ho atteso che mi liberaste da quell'inferno, ed ora…» D’un tratto, l’ira scomparve e fu sostituita da una calma gelida. Osservò le due divinità con infinito sospetto. «Perché ora?- chiese- Perché siete venuti a cercarmi proprio ora?»
«Finalmente una domanda che dimostra la presenza di un certo intelletto.» disse una voce, fredda e sarcastica, alle spalle di Katlin. Il sangue nelle vene della ragazza si gelò. Si voltò lentamente.
Dietro di lei, seduto su uno dei gradoni con le mani affondate nelle lunghe maniche della sua veste nera, un uomo dai capelli candidi e gli occhi dorati la guardava con ironia e velato disprezzo.

 

   
 
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