Anime & Manga > Soul Eater
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Autore: Mushroom    01/10/2010    6 recensioni
"Poi guardò la figura davanti a sé, rivolgendole un ringhio sommesso << Almeno hai avuto la decenza di fermarti >> sbottò, mettendo il segnalibro. Lo conosceva, a lui, e non voleva averci niente a che fare.
Il ragazzo ghignò, con aria quasi innocente << Mi assicuravo che non fossi morta… se no sai che casini >>
Gli lanciò il libro in testa << Sai che è proibito venire a scuola in moto? >>
<< Sai che non si dovrebbero lanciare dei tomi così grossi in testa alle persone? >> borbottò, massaggiandosi il capo.
<< E sai che non si dovrebbe cercare di investire la gente? >> ribatté saccente.
Si guardarono in cagnesco per pochi secondi.
A volte Soul Eater si chiedeva perché, uno cool come lui, venisse zittito troppo spesso da una secchiona come lei.
"
Maka Albarn, studentessa modello. Capace di dare forma a qualsiasi materia e di stupire sempre ogni docente, viene spesso chiamata "Shokunin" - l'artigiana
Soul Eater Evans, tutto meno uno studente provetto. Affilato come una falce, popolare e dotato di un forte senso cinico, è conosciuto anche come "Buki" - l'arma.
Lui e Lei. Loro.
Cosa accomuna i due?
[ Alternative Universe; A Tratti OOC ][Titolo provvisorio]
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You Can't Always Get What You Want ~ Rolling Stones
Second ChapterYou can't always get what you want
{Non puoi avere sempre ciò che vuoi

Era lui. Non c’erano altre soluzioni.
Occhi rossi, come un fuoco insanguinato. Occhi cinici e spietati, strafottenti. Forse un po’ confusi?
Capelli argentei. Argentei, di quel colore-non-colore che odiava tanto. Spettinati, terribilmente spettinati, forse più del solito.
Si, proprio lui.
O era lui, o doveva comprarsi un paio di occhiali. Se non avesse avuto problemi oculistici allora avrebbe dovuto richiedere immediatamente una tac al cervello: aveva le allucinazioni.
Chiuse la porta dietro di sé, stordita.
Che cosa aveva appena visto, esattamente?
Si appiattì contro la porta, il respiro un po’ corto, in preda allo stupore. Si guardò intorno, ricomponendo mentalmente la stanza. La cucina iniziava a dare i primi segni di vita, sfuggiti a una precedente analisi poco approfondita. Il piatto sporco nel lavello, quella chitarra, messa lì alla ben’e meglio, quel tavolino un po’ troppo sovraffollato; l’odore di cibo, quel calzino vicino allo schienale del divano, la radio con il lettore cd aperto.
Non se ne era accorta?
Si passò una mano tra i capelli, indifferente alla situazione. Era agitata, questo l’avrebbe capito anche un ermellino impagliato. Aveva scelto quel dormitorio per stare da sola. Era una cosa che le piaceva, la solitudine. Quel senso di pace e beatitudine che si prova a colloquio con il proprio individuo la gratificava, liberandola da pensieri molesti e altre forme di distrazione.
La solitudine era un bene.
I piani erano diversi.
Se anche si fosse ritrovata una compagna di stanza, avrebbe saputo come gestire la cosa.
Ma Soul Eater Evans nella stanza comunicante alla sua?
Anzi, non proprio alla sua: nella stanza comunicante all’ambiente comune?
No, questo sconfinava ogni limite. Era una sorte che giocava con i suoi principi, riempiendoli di candida aspettativa prima di buttarli allegramente nel cassonetto.
Uno specchio di vetro che si frantumava più e più volte, senza mai esigere giustificazione tentando di tener sempre un po’ di quei pezzetti per sé.
Scosse la testa, si riconciliò con se stessa.
Lasciò che la sua schiena si staccasse dalla parete.
Maledizione!
Per prima cosa, avrebbe sporto reclamo: chi era l’architetto di quella costruzione? Pure un bambino con dei pastelli colorati avrebbe saputo progettare una casa – un ambiente – organizzato meglio.
Era proprio vero che le lauree – ormai – le davano a cani e porci. Cani e porci con soldi, abbastanza per comprarsi i professori. O direttamente il pezzo di carta.
Riaprì la porta di scatto, riproponendo la scena precedente.
Ancora una volta essa gli era davanti, portando con sé una sommessa sfida non verbale, palpabile solo da chi sapeva leggere quelle note invisibili prodotte dall’aria.
Soul le rivolse uno sguardo si sufficienza, totalmente indifferente alla situazione.
Beh, questo era tipico suo.
Lasciò cadere le braccia lungo il corpo. No, non voleva attaccarlo, ma non poteva neanche ignorarlo come stava facendo lui << Tu… cosa… insomma! >> si ritrovò quasi a balbettare. Non che le mancassero le parole – anzi - e non che avesse timore ma, più semplicemente, non riusciva a trovare qualcosa da dire.
<< Hai intenzione di parlare o ti vuoi limitare a stare lì? >> Soul alzò gli occhi, con quel fare un po’ burbero e indaffarato << Ti posso assicurare di non essere un alieno e di non voler mangiare il tuo cervello, per cui non guardarmi così >>
Strinse i denti: non voleva picchiarlo, voleva parlarci.
Non voleva picchiarlo.
Non voleva picchiarlo.
Non voleva picchiarlo.
Non voleva.
Non vol... diamine, gli avrebbe tirato in faccia un dizionario seduta stante. E l’avrebbe tirato forte, in modo da fargli molto male.
<< Buona sera, Evans >> sorrise dolcemente, sorprendendo il ragazzo. In questo modo, per lo meno, aveva attirato la sua attenzione << Nel caso ti stessi chiedendo cosa ci faccia qui, la risposta è molto semplice: no, non sono venuta a farti una amichevole visita… >> il tono si voce si increspò << … Mi stavo semplicemente trasferendo nella stanza qui affianco e, così per caso, ho deciso di controllare il resto di quel che può sembrare – a occhio esterno – un appartamento >>.
Soul Eater le rivolse uno sguardo vacuo, disinteressato. Non gli importava perché fosse lì, in fondo, tanto perché avesse deciso di rovinargli il resto della giornata dopo aver ammaccato la sua amata moto. Sottolineiamo l’ultimo dettaglio: ammaccato la sua amata moto.
L’affronto subito l’aveva portato a voler rendere la vita impossibile a quella ragazzetta del tutto mediocre; quella sua vocetta petulante e quei suoi sbalzi d’umore e d’espressione, degni di una doppia personalità, stavano rinnovando il lui le sue antipatie, provocandogli un serio bisogno di renderle davvero la vita impossibile.
<< Sei nevrotica >> borbottò << Credo che sia la sindrome da secchiona >>
<< Leggi le righe, teppista: tu cosa ci fai qui? >>
Ah, Maka Albarn – la famosa artigiana – era davvero perspicace. Fece un segno con la mano, indicando tutto ciò che aveva intorno. La irritò ulteriormente, ne era consapevole, ma quel piccolo dettaglio lo divertì quasi quanto vedere i suoi occhi usciere dalle orbite udendo la sua risposta << Campeggio, no? – sogghignò - Qui ci abito, idiota >>
Forse lo divertì meno ricevere un libro in testa.
Sì, quello lo divertì decisamente meno.

La signora della segreteria sorrise sommessamente, ripiegando le labbra in un ghigno soddisfatto. Quel che amava di più era saper di aver vinto. In quel caso, aveva vinto l’oro e, con esso, una sfuriata da parte di una studentessa dalla cresta troppo alta.
Maka Albarn, in tutto il suo splendore, agitava pugni in aria << Io te l’avevo detto >> gracchiò << Non ti puoi lamentare, è l’unico posto libero che abbiamo >>
<< Ma non è possibile >> ribatté, lanciando uno sguardo supplichevole alla donna << Il dormitorio è mezzo vuoto: non può semplicemente spostarmi? >>
<< Ma certo >> la donna sorrise << Se il problema è solo questo, puoi benissimo spostarti a casa di tuo padre, non credi? >>
Maka alzò un sopracciglio, inibita dal comportamento del tutto contro produttivo della segretaria. Quello che doveva essere uno dei giorni più belli della sua vita stava decisamente diventando uno dei più stancanti, sia a livello psicologico che fisico.
Zittì immediatamente lo squillo inopportuno del cellulare, per poi rivolgerle un’altra occhiata furente.

Non capiva, proprio non capiva.
Quella donna la portava quasi alla disperazione.
<< Senti, secchiona >> dall’altro lato, il celeberrimo ragazzo la chiamava in appello, apostrofando quel suo nomignolo con un sorrisino << Perché non lasci perdere? >>
<< Oh, buonasera Soul >> Maka spalancò gli occhi, mentre la donna – sì, la stessa che le stava impedendo di riuscire nei suoi intenti – riservava tanti ossequi a quel suo compagno degenere.
<< Buonasera >> rispose quasi con garbo, lanciandole un grande sorriso << La vedo molto in forma, oggi. È dimagrita? >> questa ridacchiò, emettendo un suono più simile al gracchiare di un’anatra stozzata. Poi batté le ciglia, senza ottenere nessun effetto troppo teatrale.
A Maka venne il voltastomaco.
Che lecchino.
Sospirò.
Era proprio quell’ipocrisia che confermava le sue convinzioni: gli uomini erano tutti dei bugiardi e dei bastardi della peggior specie.
Nessuno escluso.
Così come suo padre, anche Evans stava facendo gli occhi dolci a quella donna, in modo da poter ottenere un’immediata separazione.
Spregevole.
Quante altre volte si era comportato così? Con altrettante ragazze e donne, prendendole in giro alle spalle di qualcuno che amava?
Odiava quel genere di comportamento.
<< Dimmi, Soul. Come posso esserti utile? >>
<< Vede… c’è stato un piccolo problema con le camere >>

---

Maka deglutì, frenando l’impeto di violenza.
Proseguiva a passo spedito e marziale, portando fuoco e fiamme dietro di sé.
A bruciare con loro, a una certa distanza di sicurezza, Soul rideva sotto i baffi.
Era veramente una ragazza strana, anche se quello già lo sapeva. Prendersela così tanto per uno stupido rifiuto.
Dannatamente infantile.
Si portò le mani in tasca, seguendola imperterrito.
Vedeva qualcosa di ilare, in tutto quello.
Qualcosa di così divertente da impedirgli di disperarsi. Per una cosa del genere non sarebbe caduto il cielo, né le terre si sarebbero mosse o il mare avrebbe inondato l’America: certo, cercare di mantenere un rigore di vita comodo avendo sotto lo stesso tetto quella perfettina lì sarebbe stata una vera e propria epopea.
Ghignò nuovamente: voleva davvero renderle la vita impossibile?
Ripensò a quello che era successo poche ore prima, a quel libro e alla moto. La sua moto. Ammaccata.
Voleva vendicarsi? Ovvio.
La vera domanda era: come?
A quanto ne sapeva, tutto di lui la irritava: partendo dalle punte dei capelli, finendo ai piedi, non c’era un solo centimetro che l’artigiana non detestasse.
Non vi era un motivo vero e proprio, ma quella forma di rancore era apertamente reciproca.
Quando avevano iniziato a litigare? Il giorno stesso in cui avevano fatto conoscenza?
Quello era senza alcun dubbio un punto a suo favore: vivere con lui l’avrebbe fatta uscire di testa, e questo gli era ben chiaro.
Ma aveva la sensazione che Maka fosse una tipa fin troppo solitaria.
Gli sarebbe stato difficile indispettirla mentre stava tappata in camera a studiarsi manuali di dubbia lunghezza e entità.
Si passò una mano tra i capelli, interrompendo la linea di pensiero: trovava le sue concezioni estremamente folli. Rigirava intorno a un problema inesistente, quasi come quella secchiona là.
<< Mettiamo le cose ben in chiaro >> Maka si voltò di scatto, fulminando il ragazzo quasi fosse un assassino. In fondo era abituato a quel genere di sguardi. << Io sono io, tu sei tu: non voglio nessun tipo di problema, chiaro? >>
Soul inclinò leggermente il capo, muovendosi verso di lei. Le labbra si arricciarono nuovamente, procurando un nuovo spasmo – non proprio di bell’aspetto – a quella piccola vena sulla fronte della ragazza << Miss acciaio – la ragazza più fiera e impenetrabile di tutta la Shibusen - ha paura di condividere la stanza? >>
Maka ghignò. Paura? Lei? Figurarsi!
Maka Albarn non temeva – né poteva temere – niente e nessuno.
Incrociò le braccia al petto << Mi sento come tornata all’asilo, Mr arroganza: queste provocazioni di poco conto non attaccano >> e ci tenne a sottolineare il non, mettendo una certa enfasi in quella frase.
La realtà era che avevano entrambi captato una sfida che nessuno dei due era intenzionato a perdere.
<< Eppure mi sembri alterata >> constatò, fissando quel vaso sanguigno che pulsava ininterrottamente.
La cosa gli dava soddisfazione.
<< Le ingiustizie mi alterano sempre >> ribatté << La Shibusen non è di certo una scuola povera, né priva di prestigio: allora perché hanno personale come quello? >>
<< Quanto la fai lunga! Quella bidella è così simpatica, gentile e disponibile >>
<< Con te che fai il lecchino >> borbottò, mentre i suoi nervi, già di per sé instabili, iniziavano a poco a poco a spezzarsi. Si sfilavano lentamente, con l’andare quieto, provocandole una sensazione di estremo fastidio.
Sì, quello era un fastidio abnorme e assolutamente inutile.
<< Non è che sei tu, quella fredda? >>
Maka alzò le spalle, non sapendo se mostrarsi offesa o inibita da quella risposta << Posso essere anche fredda, ma almeno ho buoni principi >>
<< Ah, certo: è per questo che ti credi tanto superiore a noi poveri mortali >> lo fulminò con un sguardo che non ammetteva repliche. Al momento non aveva nessun libro appresso, ma – tornata a “casa” – avrebbe rimediato lanciandogli in testa una copia della divina commedia. << È una cosa che detesto >> completò la Buki, lasciando un retrogusto amaro a quelle parole.
La ragazza rimase un attimo sulle sue, analizzando quelle parole: che grande faccia tosta. Le fece salire i nervi a fior di pelle. Lui si permetteva di dire una cosa simile?
Lui?
Il mondo si era appena capovolto.
<< Almeno io non sono un’ipocrita >>.
Un’altra eterna occhiata.
Benché non riuscisse a digerire l’accaduto, l’orgoglio di Maka era così sviluppato da impedirle di tornare nel suo vecchio appartamento: non gliel’avrebbe mai data vinta.
Né a suo padre, né a quella specie di idiota che aveva davanti.
<< Hai fatto tanto il lecchino con quella donna, ma alla fine non hai ottenuto niente >> specificò, mantenendo il contatto visivo << Voi uomini siete tutti uguali >>.
<< Sei senza pregiudizi, vedo >>
<< Ho solo imparato dai miei errori >> ribatté << Per questo non intendo condividere la stanza – se vogliamo chiamarla così – con un essere come te >>
<< La cosa è reciproca >> constatò << Ma, allo stesso tempo, potrei sfruttare la situazione a mio favore >>
Maka grugnì << Certo, come ho detto prima, voi uomini siete tutti uguali >>
<< Sai, io – invece – spero che le donne non siano tutte uguali: un esercito di tante te sarebbe un vero e proprio inferno >>
<< Perché, tanti piccoli Evans sarebbero meglio? Odio già abbastanza il genere maschile, non farmelo detestare ancor di più >>
Per qualche assurda ragione, quell’affermazione fu come un fulmine in mezzo a una tempesta: uno stralcio di luce che permise ai poveri malcapitati di distinguere – anche se per pochi secondi – contorni di figure in un mare di caos.
Ecco.
Maka indietreggiò, mentre – con gli occhi da dannato – sfoderava quel suo sorrisetto da figlio di puttana. Lo stesso dal quale non si sarebbe mai lasciata abbindolare.
<< Mi deludi >> commentò, muovendosi verso di lei. Il tono acido, dalle note pacate ma ironiche << Tu – che sei così forte e logica – vieni a dirmi di odiare gli uomini? >>
Rimase impietrita, come un serpente che danzava davanti al suo incantatore.
Se una parte di lei – probabilmente quella razionale e pensante – le urlava di scappare, di rispondergli male, l’altra l’intimava a rimare lì, per vedere i risvolti della situazione. Era quel suo lato incantato dalla figura che aveva davanti.
I capelli argentei e gli occhi rossi, la penombra accesa da quell’ultimo raggio di sole e l’ambiente press’poco deserto, non facevano che dare al ragazzo una vera e propria figura celestiale, avvolgendolo di un’aria affascinante ma terrorizzante.
Se prima aveva avuto modo di assaggiare l’ilarità e la giocosità del ragazzo, ora leggeva nelle sue iridi qualcosa di estremamente sadico e abominevole: vi vedeva quello che trovavano le persone che osavano sfidare la falce.
L’origine di quel soprannome non era ben chiara neanche a lei: semplicemente veniva chiamato arma oppure falce; lo temevano e lo rispettavano, ma non per questo si tenevano alla larga da lui: avevano semplicemente capito che era meglio averlo come amico che come nemico.
Se lui era l’arma, lei era considerata l’artigiana.
Riusciva a piegare, con tanta buona volontà, ogni cosa, dalle materie più ostiche ai bulletti come lui.
<< Ricordi cosa ti ho detto solo qualche ora fa? >> la stava provocando e non cercava di nasconderlo.
Aveva appena trovato un nuovo gioco, e questo era più difficile di quel che appariva.
Mosse un paio di passi in avanti, ma questa volta non l’intimorì: rimase ferma lì, impiantata, con gli occhi carichi di nuova luce e i pugni serrati, pronti a esser sfoderati alla prima occasione.
Sì, perché l’avrebbe volentieri preso a pugni.
<< Hai detto che mi avresti reso la vita impossibile >> rispose tranquillamente, come se stesse verbalizzando la lista della spesa << Ma dubito fortemente che riuscirai in un intento così infantile >>
Altro sorriso.
Il suo interlocutore pareva immune alle sue parole, come se niente potesse più toccarlo in quella specie di gabbia che si era minuziosamente costruito.
In fin dei conti, se non vuoi sentire una cosa non la ascolti. Fai finta che i suoni siano solo quello: mutamenti acustici prodotti dalle corde vocali. Così, ogni cosa appare come un ronzio indistinto e incolore, incapace di nuocere, ma anche di lodare.
<< Sai… >> avanzò ancora, parlando nuovamente con quel tono calmo e accondiscendete << … credo che la stia facendo troppo lunga, Albarn >>.
Qualcosa la fece rabbrividire: probabilmente, era il suo senso di sopravvivenza che l’intimava a reagire o, ancor più probabile, il suo raziocinio che bussava nuovamente all’interno della sua calotta cranica.
<< Io non esagero >> alzò il muso, provocandolo a sua volta.
Mosse un passo anch’essa, vittima di una strana danza.
Soul sapeva che avrebbe avuto quella ragione. Aveva capito fin da subito che lei avrebbe sempre colto ogni ingiuria.
Così le si avvicinò, annullando le distanze tra loro.
Se si fosse chinato, sarebbe riuscito a baciarla senza troppi sforzi. Ovviamente non l’avrebbe mai fatto.
Oltre al pessimo carattere, Maka era anche piatta – decisamente troppo per i suoi standard cool – e priva di attrattiva.
Eppure…
Maka lo vide chinarsi verso di lei. Ancora quel sorrisino, come se avesse vinto; ancora quell’aria da diavolo.
Sussultò, eppure non arrossì, quando sentì il suo fiato vicino all’orecchio << La stai facendo decisamente troppo lunga >> il tono dosato, liscio e abominevole, quasi lascivo, come se lasciasse con sé mille allusioni, la colpì dritta allo stomaco.
Questo era Soul Eater Evans?
<< Vedrai, sarà divertente >> si allontanò in pochi secondi, precedendola nella strada verso il dormitorio.
In quel momento, fu certa di non poter perdere contro un individuo simile.

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About the Fanfict:

Dopo mesi di assenza, eccomi a aggiornare *musica di repertorio*
Che dite? C’è ancora nessuno?
Me lo lasciate un commentino?
Di certo, so una cosa: questo capitolo fa schifo. Detesto ogni singola riga di quello che ho scritto.
Dovete sapere una cosa: io mi metto un milionetrecentomilamiliardi di problemi (oh, word mi segna il numero in rosso ò.ò <-- e anche questa faccina ) riguardo la lunghezza del capitolo. So bene di non essere un terminator della velocità, ma so anche di non poter scrivere capitoli striminziti tanto per scriverli. Va contro la mia politica: per cui mi scuso per la lunghezza breve di questo “capitolo”; ultimamente fatico a scrivere roba più lunga: il lato positivo è che, con senno di poi, potrei decidere di aggiornare prima.
Perché questo capitolo, proprio di questo genere? Non ne ho idea. Non comando la mia ispirazione T_T peccato, è un super-potere che vorrei avere. Poi, con questo dannato blocco dello scrittore itinerante, che fa un po’ quello che vuole =_= lo odio.
Allora, come ho detto sopra: odio questo capitolo. Non mi piace per niente. Spero solo di riuscire a rimediare con il prossimo. Lo sento molto piatto e poco divertente, anche meno degli altri =__=
Mi scuso immensamente con tutti i lettori e, ovviamente, vengo anche a ringraziarvi per tutto il supporto che mi date.
Grazie mille a tutti i lettori;
Grazie mille a tutte le persone che mi lasciano una recensione, facendomi brillare gli occhi;
Grazie mille a tutte le persone che hanno la pazienza di seguirmi;
Grazie mille a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra le seguite/preferite/ricordate.

Recensioni: *inizia con a inchinarsi a raffica* scusate, scusate, scusate.
Prima di tutto, grazie a tutti voi che avete recensito: ho adorato ogni singola parola. Mi avete rallegrato, consolato e fatto divertire, per cui grazie a tutti.
So di essere un’autrice degenere, però scusatemi comunque: oggi non riesco a rispondere.
Ho l’influenza, una scarsa voglia di fare e studio da recuperare =_= scusate ancora.
Al prossimo capitolo *si inchina, disperata*

Spoiler capitolo tre:

“Maka gli riservò un personale sguardo d’ira, studiando nei più infimi dettagli la figura davanti a sé: sapeva di essere quasi monotematica, a ripeterselo ancora, ma il solo concetto di avere Soul Eater Evans in casa, mentre stipulavano i turni per la cucina, era a dir poco disarmante.” […]

“ << Ah, questa è la settimana peggiore della mia vita >> borbottò, allungando la mano verso l’armadietto << E ora mi tocca anche il corso di lettere. Se facciamo Romeo e Giulietta, giuro che mi suicido >>
<< Mah – non ti hanno mai detto che il suicidio è controproduttivo? >>”



   
 
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