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Finalmente
furono le tre e mezza. Billie uscì da scuola, si unì ad Allen e Holly e insieme
aspettarono Anna, David e Marcy. Di solito ognuno andava a casa per conto suo,
mettendoci anche tre quarti d’ora, ma non quel giorno.
Arrivarono
a casa tutti insieme e salirono in auto con la Mamma.
Durante
il viaggio parlarono tutti pochissimo. Billie canticchiava una melodia che
aveva in mente dalla mattina ma che ancora non aveva trovato il tempo di
scrivere. Provò a metterci su le parole, ma senza averla scritta davanti era
difficile.
“Summer
has come and pass, the…” ci pensò su, si scrisse virtualmente le note sulla
mano “The innocent can… can never last…”
“E
finiscila!” esclamò David, tirandogli un pugno sulla spalla “Stai un po’
zitto?”
“Ahia!
Mamma, David mi ha picchiato!”
La
Mamma scoccò uno sguardo gelido a David, prima di girarsi di nuovo verso la
strada: “David, per cortesia! Forza, chiedi subito scusa a Billie! Non stava
facendo niente di male…”
David
l’interruppe, furioso: “Ma è possibile che devi sempre difenderlo? Non è più un
bambino, Mamma! Non potrai proteggerlo all’infinito, lo capisci? Deve smetterla
con questa stupidata di cantare! Lo dici anche tu che la musica non compra da
mangiare e non paga l’affitto! Quando lo capirà?”
“Cosa
dovrei fare, David? Dovrei impedirgli di ascoltare musica quando sono io la
prima ad accendere la radio? Quando si ascolta musica è naturale prima o poi
provare a scriverne, non credere che non l’abbia fatto anch’io, a mio tempo!
Mio Dio, non è che un bambino, David!”
“No,
non lo è più, Mamma! Non è più un bambino! Ha dieci anni, Cristo santo, dieci
anni! Io a dieci anni già mi alzavo alle cinque per fare il giro dei giornali!
Noi è da quando siamo riusciti a tenerci in piedi che sgobbiamo per portare due
soldi a casa, e lui? Lui canta! Sai cosa, Mamma? Hai ragione: è un bambino! È
solo un bambino immaturo! Perché lo devi trattare come se fosse diverso da noi?
Perché fai così? Perché lo tratti come se gli volessi più bene?”
Cadde
un pesante silenzio nell’auto.
La
Mamma guidava senza parlare; Marcy, Allen e Holly erano atterriti e anche un
po’ impauriti dall’esplosione di David; Anna guardava fuori dal finestrino con
lo sguardo annebbiato e Billie… Già, Billie.
Mentre
David parlava, lui si era ritratto contro il finestrino, ascoltando ogni
sillaba che il fratello gli aveva sputato in faccia.
‘È
vero’ pensò. Due lacrime salirono ad allagargli gli occhioni verdi ‘È vero, ha
ragione lui… Sono un bambino… Sono solo un bambino…’ Stoicamente, ma con molti
sforzi, ricacciò indietro le lacrime e rimase a fissarsi la punta delle
consunte scarpe verdi fino a quando arrivarono all’Ospedale.
“La
signora Armstrong, giusto? Salve, io sono il Dottor McCormack”. Una mano tesa e
un ampio sorriso, annegati in un camice bianco.
“Salve,
Dottore. Mio marito…?”
“Sta
bene, non si preoccupi. Come le ho detto la scorsa settimana dopo l’operazione,
ha superato bene l’intervento, non dovrebbero esserci complicazioni. Ora
purtroppo è sotto l’effetto dell’anestesia dopo il controllo di questa mattina
e non si è ancora svegliato del tutto. Se vuole può entrare lei, ma i bambini
sarebbe meglio lasciarli fuori, non è nelle condizioni di riconoscerli, ora.
Tra una mezz’ora l’anestetico dovrebbe aver finito il suo effetto, a quel punto
potranno entrare anche loro, le va bene?”
“Ma
certo, nessun problema. Anna, guarda i ragazzi per una mezz’ora, per favore. E
tu, David… ti prego…” lo supplicò la Mamma, senza aggiungere niente.
Lui,
per tutta risposta annuì e lei si allontanò, seguendo il Dottore.
“Bene,
ragazzi, non fate chiasso, ok? Billie, Holly, perché non andate a prendervi una
bibita? Ho visto un distributore nell’ingresso. Fate attenzione, però, e non
ciondolate troppo in giro, chiaro?”
“Tranquilla,
Anna!” rispose Holly. Poi entrambi afferrarono le due monete che la sorella
porgeva loro e schizzarono via.
Trovarono
il distributore, presero le loro bibite e girarono per un po’, finché
arrivarono al reparto di riabilitazione. Si soffermarono a guardare i poster
colorati con i disegni esplicativi delle primarie condizioni igieniche e
Billie, quasi inconsapevolmente, si mise a canticchiare la stessa melodia di
prima: “Summer has come and pass… The innocent can never last…” ma non trovava
un seguito decente.
Nel
reparto c’erano una decina di pazienti, per lo più anziani, con fasciature più
o meno ingombranti alle braccia o alle gambe. Un vecchietto con una lunga barba
bianca salutò Billie: “Ciao, giovanotto! Cosa ci fa un ragazzino sano come te
in mezzo a questi vecchi bacucchi malandati?”
Billie
sorrise: “Sto aspettando di poter vedere il mio Papà. Sono quasi due settimane
che è in Ospedale, ma ora sta meglio!
“Davvero?
Beh, spero proprio che stia bene, ragazzo! Dimmi un po’, cos’è che stavi
cantando? Non sarà mica una di quelle canzonacce del giorno d’oggi, vero?”
“Oh,
no, signore! È una canzone che ho scritto io! Cioè, devo ancora scriverla, ma…”
“Sai,
figliolo, che non era niente male? Cantamela di nuovo un po’…”
Così
Billie cantò un’altra volta quelle due strofe, poi si bloccò: “Ecco, vede? Non
riesco a trovare un seguito…”
Il
vecchietto sorrise: “Non ti preoccupare. Tu fa’ una cosa: appena arrivi a casa,
scrivi le note per non dimenticartele e metti via lo spartito. Se non ti
vengono in mente ora, le parole, ti verranno poi, sta’ sicuro! Se non le trovi
adesso, vuol solo dire che non è il momento giusto, tutto qui.”
Billie
rispose al sorriso: “Va bene, farò così!”
In
quel momento arrivò di corsa Marcy: “Dove vi eravate cacciati, voi due? Forza,
andiamo, possiamo entrare da Papà, adesso! Muovetevi!”
Billie
fece ancora un cenno al signore e si girò per andarsene. “Ancora una cosa,
giovanotto:” lo bloccò l’uomo “come ti chiami?”
“Billie,
signore. Billie Joe” rispose, prima di correre via.