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Autore: Looney    02/10/2010    3 recensioni
La sorpresa di Michael finalmente si è mostrata agli occhi increduli di Fiordaliso: è sua nipote, la piccola Michael, che dovrà proteggere ed istruire come un angelo. Perché proprio di questo si tratta.
Attraverso le sue parole ed i suoi occhi noi riusciremo a cogliere la sua difficile esistenza, segnata da avvenimenti dolorosi (ma anche felici), accompagnata dal suo fedele amico, un certo Michael Jackson ridotto a riflesso di un'epoca di splendore.
E' lui che la guiderà verso il ricongiungimento con i suoi simili, e le farà comprendere quanto sia importante la sua presenza sulla Terra, devastata dall'odio e dalla miseria.
Ma non sempre il destino scritto per noi si realizza...
E rieccomi qui con la mia seconda parte!XD Spero davvero che vi piaccia! L'ho pubblicata solo ora perché non volevo fare lo stesso errore di un anno fa, e perciò mi sono portata avanti col lavoro. Allora, aspetto solo vostre recensioni, di qualunque tipologia siano!XD Buona lettura, cara Jacksoniane!
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Will You Be There '
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                       Mickey in the sky with diamonds

                                     (You got to be free!)

 

 

“Avanti, nonna, prova a prendermi, se ci riesci!”

“Sono troppo lenta per te, Mike, non ho più vent’anni!”

“Ma io ne ho soltanto sei, nonna!”

“Appunto!”

Correvo veloce come una bicicletta nuova e bellissima, impossibile da raggiungere, e mi sembrava che stessi correndo solo io in quella distesa di erba, ma non ero sola: la nonna mi rincorreva ridendo, e nonostante la sua età mi raggiunse, afferrandomi le caviglie e facendomi cadere come un sacco di patate.

Questo sacco di patate, però, cominciò a rotolare sul prato, seguita dalla sua compagna, che però si era dimenticata di un piccolissimo particolare, e questo piccolissimo particolare, di nome Fernando, stava innaffiando le piante e gli alberi del nostro giardino, e non voleva essere disturbato da nessuno.

Infatti poco dopo le nostre risate furono interrotte da un grido che sembrava molto simile ad un ruggito.

“Ma non avete nulla di meglio da fare durante il giorno? Fiordaliso, mi vergogno di te!”

“Sei un rompipalle assurdo, Fernando! Sto semplicemente giocando con Mike, non mi pare che ti stiamo dando tanto fastidio!

“Devi sapere che io ho bisogno di quiete quando svolgo il mio lavoro…

Certamente, allora a quest’ora te ne saresti già andato!”

“Non è questo il punto!”

Rimasi a fissare la nonna e Fernando mentre litigavano: era uno spettacolo unico, ed uno dei miei passatempi preferiti!

Litigavano per qualunque cosa, e potevo godermi la loro rappresentazione ad ogni ora della giornata, ogni giorno ed in qualsiasi luogo.

Ma dopo le loro sfuriate ritornavano i sinceri amici di sempre, e la mamma tirava un sospiro di sollievo, seguito dai miei applausi e dalle mie grida.

Purtroppo quel giorno il divertimento durò pochissimo, poiché la nonna e Fernando riuscirono a trovare un compromesso ragionevole: noi saremmo rientrate in casa, e lui sarebbe rimasto solo soletto insieme alle sue amate piantine.

Io non volevo assolutamente allontanarmi dal nostro bel giardino, ma la nonna mi prese per mano e mi trascinò al portone di legno, ignorando il mio disappunto; anche se la finta durezza dei suoi occhi mi diceva che era molto dispiaciuta di vedermi così triste e sola.

Poveri adulti, soffrono così tanto nell’assolvere i loro doveri!

Anche io, però, non ero molto contenta di svolgere i miei: appena misi piede sul tappeto dell’atrio ed osservai l’attaccapanni in un angolo traboccante di abiti ed il minuscolo e buio corridoio che conduceva in soggiorno, mi sentii inghiottire dalle pareti fameliche della casa e scoppiai a piangere, in preda al terrore di morire divorata dalla mia stessa casa.

Mia nonna addolcì la stretta per consolarmi, anche se le sue parole non mi aiutarono in alcun modo, anzi, le lacrime continuavano a bagnare copiosamente le mie guance ed il vestitino bianco, impedendomi addirittura di muovermi dalla mia scomoda posizione.

Fu in quel momento che la nonna, stanca di vedermi piangere, mi prese in braccio e mi fece sedere sul vecchio divano, chiedendomi di aspettarla.

Mi voltai, e vidi le sue gambe salire velocemente le scale: mi chiesi cosa avesse in serbo per una bambina triste che aveva bisogno di essere consolata.

Lo seppi qualche minuto dopo, quando la vidi comparire nel soggiorno con una pila di polverosi LP tra le braccia, che posò subito sulla coda del pianoforte, creando piccoli sbuffi di polvere che mi fecero starnutire anche da una certa distanza.

“Avanti, questi dischi così vecchi nascondono delle canzoni che farebbero impallidire i compact disc di oggi! Scommetto che dopo aver ascoltato una bella canzone ti sentirai subito meglio

Con una forza incredibile per una signora di quarant’anni suonati come lei, si accinse a spingere il giradischi in un punto nel quale l’acustica della stanza era migliore, spulciò con cura i 45 giri, e ne scelse uno dalla copertina disegnata, che non avevo mai visto rovistando tra i suoi dischi.

Però, non appena la puntina cominciò a danzare tra i solchi del vinile, riconobbi la canzone, che penetrò in me con una folata di vento gelido, rigenerandomi fino alle ossa.

Come tutte le volte che la musica si insinuava nel mio corpo, i miei piedi iniziarono a muoversi da soli, arrivando a staccarsi da terra: volavo nel cielo come Lucy, circondata da una miriade di diamanti e bambini sorridenti, mentre mia nonna cantava nel coro, ondeggiando come un budino all’amarena.

Mi lasciai scappare un sorriso, vedendola: sembrava una mamma che voleva somigliare alla figlia, e la figlia la sgridava per il suo comportamento infantile, con una aria da saputella impareggiabile, dicendole che il suo comportamento non era consono a quello di una donna grande e grossa come lei.

Ma la mamma non la ascoltava, e pensava a prendere in prestito i suoi dischi, ignorando gli urli ed i lamenti della povera figlia.

Somigliava molto alla storia che mia nonna mi raccontava spesso per tenermi buona, insieme ad altre di sua invenzione, oppure ai vari ricordi della mamma, quando era ancora una bambina spensierata e imprudente, che amava far impazzire la povera nonna.

Quante ne aveva combinate la mamma prima che io nascessi!

Le mie risate si allontanarono con le ultime note della canzone, lasciandomi stranamente felice: aveva ragione, quella canzone, non si doveva essere pessimisti, bensì rendere le situazioni tristi migliori di quel che sono.

“Allora, ti senti meglio, tesoro?”

“Benissimo, nonna! Ma che ne dici se ascoltiamo uno dei dischi della mamma?

“Non possiamo tesoro, se la prenderà con me e con la mia incorreggibile immaturità! E poi, ci sono altri album molto più belli di quelli della mamma, che ne so… Ti andrebbe bene Elvis?

“Io voglio Michael, non Elvis!”

“Uffa, e va bene, ma solo per cinque minuti!” sbuffò, mia nonna, che esaudiva tutti i miei desideri per il solo piacere di vedermi sorridere.

“Evvai!”

La nonna salì le scale ancora una volta, stavolta decisamente più imbronciata, mentre io saltavo avanti e indietro per la stanza, arrivando addirittura sul divano e dietro le tende delle finestre, e fingendomi un ladruncolo che non voleva farsi scovare dai padroni di casa.

Quando ritornò, stavolta trasportando pochissimi vinili rispetto al primo viaggio, mi catapultai davanti al pianoforte con un sorrisone disegnato in viso e le mani dietro la schiena, dondolandomi sui talloni.

Finalmente, dopo tante ore di noia, potevo divertirmi ballando al ritmo delle mie canzoni preferite!

“Hai preso Bad, vero?” chiesi eccitata alla nonna.

“Sì, l’ho preso, tesoro, non preoccuparti” rispose stancamente lei.

“Lo mettiamo?”

“È quello che sto facendo, un po’ di pazienza

“Va bene”

Continuai a sorridere fin quando la musica attaccò, e lì mi lanciai in pista assieme a Michael ed alla sua banda di delinquenti, cantando a squarciagola Bad, che ormai sapevo a memoria, mentre mia nonna mi guardava con le lacrime agli occhi, accennando a malapena dei complimenti.

Ogni volta che mi vedeva ballare per lei era un’emozione grandissima, ed a stento riusciva a controllarla, sciogliendosi fino a creare una montagnola di fazzoletti di fronte a sé, rigonfi di tutte quelle lacrime che le procuravo: era strano, il suo comportamento, ma la sua gioia mi faceva sentire importante.

Cercavo perciò di dare il meglio di me stessa per renderla ancora più orgogliosa della sua unica nipotina, e come compito era abbastanza facile, visto che si emozionava per un fiore sbocciato tra l’asfalto od un tramonto sull’oceano.

Stavo giusto completando una giravolta, quando sentii la porta sbattere violentemente e dei passi inconfondibili che si avvicinavano al soggiorno.

Bastò un attimo, un’occhiata fulminante e delle sopracciglia pericolosamente aggrottate a scatenare l’inferno: mia madre si diresse velocemente verso mia nonna, lanciando la cartella piena di libroni sul pavimento, facendomi sobbalzare, e la aggredì guardandola dritta negli occhi.

“Mamma, ti ho detto di non toccare i miei dischi centinaia di volte! E tu cosa fai? Li tocchi! E li ascolti!”

“Ma era solo per far contenta Mike, non scaldarti così, tesoro…

“Io non mi sto scaldando! Ora, rimetti subito a posto Bad, ed esci da questa stanza!

“Su - subito, cara…”

La nonna obbedì ai voleri della mamma come se fosse stata sua schiava, raccogliendo tutti i dischi e riportandoli al piano superiore, sbuffando e mormorando insulti contro destinatari sconosciuti.

Faceva davvero una brutta impressione, la mamma che obbediva alla figlia…

Per fortuna nel mio caso non era così: non mi piace comandare, soprattutto chi ha molta più esperienza di me, e potrebbe aiutarmi

molto.

Mia mamma ne approfittò per coccolarmi, e per domandarmi come era andata la giornata: le raccontai le solite cose, rimanere tutto il giorno in casa con qualche minuto di gioco all’aperto a disposizione non riservava molte sorprese.

Lei invece, al college, aveva sempre tante cose da fare, e non si annoiava mai!

Per fare un esempio, era la miglior giocatrice di baseball della scuola, e tutti i suoi compagni maschi la ammiravano in modo smisurato: volevano addirittura che si candidasse come presidente del consiglio studentesco o come capitano della squadra di baseball dell’istituto, ma mia madre aveva cose più importanti a cui pensare, tra le quali io.

Terminare il liceo per lei era stata un impresa immane, e solo ora che ero cresciuta poteva sorridere come una volta, stringendomi forte al petto, e dimenticando tutto quello che aveva passato per rendermi felice.

Il college era una scusa per mantenere tutta la famiglia una volta laureatasi, e per lasciare, un giorno, quella vecchia casa di Beverly Hills.

Come era bello andare a scuola. Se solo avessi potuto anche io…

 

Quelle poche volte che uscivo di casa, accompagnata da qualche famigliare, naturalmente, chiedevo di andare al parco affinché potessi vedere i bambini divertirsi e giocare insieme, con tutte le libertà concesse alla loro età, ed anche per sentirmi meno sola.

Io non potevo avvicinarmi, poiché secondo mia madre o mia nonna era pericoloso: non sapevo bene cosa ci vedessero di pericoloso, fatto sta che morivo dalla voglia di lasciare le loro mani, e correre verso quei bambini sconosciuti, ma non di certo pericolosi.

I bambini possono essere qualunque cosa, ma non cattivi.

Cattivi è una parola troppo grande per loro, poiché non sanno ancora cosa sia la cattiveria, né, nel migliore dei casi, l’hanno ancora sperimentata.

La cattiveria verso un bambino è terribile, se facessero qualcosa di simile a me non so come reagirei: probabilmente diventerei pazza, e dovrei andare in giro con uno psicologo, diventando via via un vegetale, costretta a vivere senza pensare.

E questa non è vita.

Farei meglio a non pensare a queste cose, ma la sofferenza del mondo è tanta, e pochi uomini di buona fede non bastano per cancellarla.

Forse sono troppo altruista, e mi preoccupo troppo per gli abitanti di questo pianeta, ma la mia natura me lo impone.

Non posso farci nulla.

Soltanto trovare una via di uscita dalla mia prigione dorata, e fuggire verso il mondo, in modo da placare la mia sofferenza, e poter finalmente aiutare qualcuno.

 

L’occasione giusta mi si presentò verso gli inizi di giugno, quando mia madre era molto impegnata con gli ultimi compiti in classe, mia nonna rimaneva tutto il giorno a mollo nella vasca per colpa del caldo straziante, e Fernando si occupava ancor di più del suo adorato giardino, che in estate si riduceva ad un deserto, cercando di salvarne il più possibile.

Gli unici ingressi della casa erano quello principale ed una porta sul retro della cucina, che però non veniva mai usata, e che purtroppo dava sul giardino, ma per mia fortuna ero molto agile, e riuscii ad arrampicarmi sul tetto dalla finestra della mia cameretta, atterrando infine sull’erba spinosa del retro, evitando il pericolo di essere scorta da qualche guardone e da mia nonna, che sguazzava nella vasca al piano superiore, con la finestra aperta.

Ero caduta come un sacco di patate, rovinandomi le mani e le ginocchia, e sporcandomi il vestito di polvere e fango, ma non mi importava molto della mia salute: ero libera.

Mi pulii il vestito con cura ed in punta di piedi raggiunsi la spaventosa staccionata in ferro battuto, che riuscii a scavalcare dopo vari tentativi, visto che le mie gambe erano molto corte e la trama piuttosto rada e scivolosa.

Dovetti sbilanciarmi pericolosamente per arrivare dall’altra parte, e rischiai quasi di cadere un paio di volte, ma quando toccai terra ero sana e salva, pronta per continuare la mia avventura.

Sbucai probabilmente nella proprietà di qualche altro riccone, ma non mi importava molto: non ero assolutamente spaventata da ciò che avrei potuto incontrare nelle vie di Los Angeles, né tanto meno ero preoccupata di farmi scoprire da qualche essere umano ciarlone.

Il vento dell’avventura soffiava in me ad una velocità costante e potente, e finché non si fosse esaurito non avrei avuto paura di nulla.

Fu così che mi ritrovai a camminare per il viale parallelo a quello nel quale si trovava la mia casa, e man mano che il mio cammino proseguiva, aumentavo il passo, fino a correre verso il centro della città in aperta discesa, schivando le macchine come un’antilope rincorsa dai leoni.

Non mi accorsi, però, di dove stavo andando, e mi ritrovai in un posto alquanto particolare per me: qui le case erano molto più sobrie che a Beverly Hills, e la gente decisamente meno bizzarra.

Era tutto così strano: non sapevo neanche che esistessero luoghi così spogli ed ordinari in una città ricca di stravaganze come quella in cui vivevo io.

La curiosità, tuttavia, era molto forte, e decisi di andare oltre quelle case, per scoprire se ce n’erano altre e dove finivano.

Man mano che proseguivo il mio cammino, stando sempre all’erta come può farlo una bambina di quasi sette anni, l’ambiente si fece meno silenzioso, e le case meno grigie, mostrandomi ciò che contenevano, ovvero un luminoso tripudio di persone dalla pelle ambrata e dagli abiti variopinti, che si affaccendavano negli impegni più disparati: c’era chi faceva il bucato in una tinozza piena d’acqua, chi chiacchierava senza posa mentre tagliavano delle verdure in una bacinella, chi cuciva con grande impegno, e chi si limitava a leggere il giornale o a fumare una bella sigaretta.

Tra tutto questo putiferio, mi attirarono le voci e le risate dei bambini che giocavano lungo la strada, provvisti soltanto di un pallone di cuoio e di tanta allegria.

Avvertii una strana sensazione all’altezza del petto: quei bambini dai capelli scuri non erano gli stessi che incontravo passeggiando mano nella mano con mia nonna, e che si lagnavano per un ginocchio sbucciato o per un’unghia rotta, richiamando all’attenzione i loro fedeli babysitter che si apprestavano a soccorrerli.

Erano bambini veri, bambini vivi e palpitanti di gioia, ai quali non importava cadere o scivolare, ma rialzarsi e continuare a giocare, spensierati e puri come agnellini al pascolo.

Ma a quanto pare non tutti erano così.

Poco lontano dal gruppo di piccoli giocatori, scorsi una sagoma seduta sul ciglio del marciapiede, intenta a guardarsi i piedi, ed incuriosita, mi avvicinai.

Scoprii che era una bambina, all’incirca della mia età, ed anche lei aveva la pelle ambrata ed i capelli neri come gli altri abitanti della via, ma possedeva qualcosa di strano che non riuscivo a comprendere.

Forse era una falsa impressione, ma era così evidente la sua particolarità…

“Ciao” le dissi, dopo svariati ripensamenti e dopo una lotta contro la mia temibile curiosità.

“Ciao” mi rispose lei dopo qualche minuto, alzando il viso magro per poter vedere il suo interlocutore.

Ma dopo neanche cinque secondi ritornò al suo compito di ammirare i sandali di pelle ai suoi piedi, e si dimenticò di me.

Piuttosto offesa, decisi di far ragionare quella bambina tanto strana che si stava prendendo gioco di me.

“Che cosa stai facendo?”

“Sto contando quanti granelli di terra ci sono in questo punto

“E come ci riesci?”

“Non lo so. Ci riesco e basta”

Rimasi piuttosto interdetta dall’affermazione della bambina: come faceva a contare dei granelli di terra osservando semplicemente il terreno sotto di sé, oltretutto non sapendo neanche da dove provenissero i suoi poteri?

La situazione si stava facendo veramente interessante, ed ero curiosissima di saperne di più sul conto della piccola maga.

“Riesci a contare soltanto quanti granelli ha questa parte di strada?”

“No. Riesco anche a contare le stelle nel cielo, e le formiche in un formicaio. Riesco a far muovere gli oggetti semplicemente ordinando loro di spostarsi, e riesco a chiamare la mamma da una stanza all’altra senza alzare la voce

“Fantastico” dissi, senza alcuna intonazione particolare: ero talmente sbigottita dalle rivelazioni di quella ragazzina che non sapevo come risponderle.

Io non avevo mai avuto talenti particolari, anche se andavo molto fiera di ciò che sapevo fare: ero una brava ballerina, suonavo il pianoforte e cantavo a squarciagola tutte le canzoni che ascoltavo, senza sbagliare una nota al primo tentativo; ma non avevo mai provato a spostare degli oggetti con la forza del pensiero, né riuscivo a comunicare con mia mamma telepaticamente.

Erano, per me, delle facoltà inarrivabili.

Ed ora incontro una bambina che possiede una forza psichica incredibile!

“Ah, che stupida, non mi sono presentata! Sono Michael Diana Josefina, ma tu puoi chiamarmi solo Mike!

Porgo la mano alla mia interlocutrice, che alza la testa solo per guardarmi profondamente con le sue iridi nocciola, ma non ricambia il saluto.

Accenna soltanto una caustica risposta.

“Io mi chiamo Isabel, ma mia mamma mi chiama Manasvi, che nella sua lingua significa intelligente”

“Fico! Di che nazionalità è, tua madre?”

“È indiana”

“E tuo padre?”

“Lui viene dal Messico, e prima di venire qui abitavamo nella Penisola della California”

“Davvero? Il mio maggiordomo è californiano, si chiama Fernando! Cucina benissimo, le sue tortillas sono deliziose!”

Sentendo le mie ultime parole, Isabel si scosse dal suo etereo torpore, ed il suo naso arrivò a toccare il mio nel giro di neanche due secondi: era bastato il ricordo del cibo a svegliarla dal suo impegnativo lavoro, e mi stupiva che una bambina così speciale e provvista di una mente eccezionale potesse essere attaccata ai beni materiali in modo così maniacale!

“Come hai detto che si chiama il tuo maggiordomo?”

“Fe-fernando…”

“Oh…Okay”

Isabel si allontanò lentamente da me, senza distogliere i propri occhi dai miei, ritornando alla sua silenziosa occupazione.

Io arricciai il naso stupita: quella bambina era davvero strana!

Ma c’era qualcosa in lei che mi attraeva: non era una semplice simpatia, e neanche un fatto mentale.

La mia anima e la sua erano molto simili, quasi gemelle.

Anche lei era diversa dalle altre, possedeva abilità innate ed una voce molto matura per una bambina, così tanto da far paura.

Cominciavo ad affezionarmi a lei, nonostante la conoscessi da qualche minuto.

“Ehi, se vuoi assaggiare le tortillas di Fernando posso anche accompagnarti a casa mia…Solo che non so come ritornarci…

“Ti aiuto io a ritrovare la strada, seguimi

Isabel si alzò finalmente dal bordo del marciapiede e mi prese per mano: quel gesto così semplice trasformò il mio corpo, rendendolo incandescente come lava viva, e facendomi mancare il respiro per la grande forza che si stava addentrando in me, fino al centro esatto del cuore, facendone accelerare i battiti.

Quando mi ripresi, faticosamente, il visino di Isabel mi fissava perplesso, stringendo ancora la mia mano.

“La tua pelle è molto fresca: sembra la carezza di un vento di montagna

Sembrava non essersi accorta del mio mancamento, anche se nel suo sguardo si leggeva il suo turbamento, mentre la voce era profonda e dolce come sempre.

Non seppi come rispondere: le sue poche parole mi lasciavano muta, con un grande punto interrogativo al posto del cervello.

Sapevo soltanto che dovevo fidarmi di lei, che mi avrebbe condotta fino a casa, e che avremmo mangiato tante tortillas da far scoppiare i nostri pancini.

Fu così che ci incamminammo per le vie della città, mano nella mano, in assoluto silenzio: i passanti ci osservavano curiosi, alcuni si fermavano addirittura ad ammirare lo spettacolo, altri rimanevano immobili, a bocca aperta, altri inciampavano sui propri passi, altri ancora andavano a sbattere contro un lampione, ma io e la mia nuova amica (perché di questo si trattava) non badavamo molto a loro, e continuavamo imperterrite il nostro cammino.

Arrivammo davanti al cancello della mia villa in pochissimo tempo: il tempo in compagnia di Isabel era volato.

Ed il tempo con mia nonna e mia madre che mi sgridavano per essere fuggita di casa sarebbe stato simile ad un macigno sulla mia piccola testa… Se un fattore estraneo non sarebbe incorso a salvarmi la vita.

Quando spinsi il cancello per entrare, nessuno di mia conoscenza mi assalì, anzi! Fernando sfoggiava un sorrisone degno di Louis Armstrong, e mi salutò calorosamente, chiedendomi chi fosse la bambina di fianco a me.

“Si chiama Isabel” gli risposi “L’ho incontrata poco distante da qui, e quando ha saputo che cucini delle tortillas formidabili non ha perso tempo e mi ha chiesto di accompagnarla a casa mia!”

“Hai fatto proprio bene, cara! Ora finisco di potare le aiuole e sono da voi. Intanto potete accomodarvi in cucina”

Non mi sembrava vero che Fernando, un tipo scostante e sempre imbronciato, potesse essere così gentile con una sconosciuta, oltretutto con una mia amica!

Era qualcosa di incredibilmente meraviglioso, anche se non sapevo spiegarmi il perché del suo strano comportamento: magari non si era accorto veramente della mia scomparsa, e pensava che avessi fatto il giro della casa, entrando così dal cancello principale…

Purtroppo le mie ipotesi erano deboli, e ben presto mi arresi all’idea che i miei erano così stupidi da non essersi accorti dalla mia fuga (meglio così, in fondo!) e che potevo presentare Isabel alla mamma ed alla nonna senza troppi intoppi.

In effetti erano molto felici di conoscerla, e la ritenevano “davvero una bambina brava e carina!”, e si offrirono anche di riportarla a casa dopo la nostra merenda, ma lei declinò l’invito con gentilezza, e dopo avermi indirizzato un altro sguardo indagatore, spinse il pesante portone principale della nostra casa e si incamminò verso il cancello, con una calma a dir poco innaturale.

L’ultima cosa che vidi di lei fu la sua treccia scura dondolare sul vestito variopinto, muovendosi al ritmo dei passi della padrona.

 

Da quello strano giorno Isabel venne spesso a trovarmi: talvolta mi aspettava seduta sul marciapiede intenta a contare i suoi innumerevoli capelli intrecciati e profumati, altre volte suonava direttamente il campanello e chiedeva di me.

Quante sere mi sono addormentata con il desiderio di risvegliarmi la mattina successiva con la voce di Fernando che annunciava il suo arrivo! Non ero mai stata così felice in tutta la mia vita: finalmente avevo un’amica, una vera amica, e con lei il mondo non mi sembrava più così ingiusto come una volta.

Con lei potevo parlare di qualsiasi cosa: aveva un’intelligenza sconfinata.

Aveva imparato a leggere a quattro anni, ed ora che ne aveva sei, le sue letture preferite erano antichi scritti in sanscrito o in farsi, che traduceva e comprendeva molto velocemente, grazie anche all’aiuto della mamma, originaria di un paesino sperduto tra il verde vicino Mumbay, oppure poesie e testi di filosofia orientale, alcuni dei quali mi leggeva spesso ad alta voce, facendomi emozionare moltissimo per la toccante interpretazione.

Isabel aveva una voce meravigliosa, ma nonostante ciò non amava cantare, e neanche ballare.

Si riteneva piuttosto goffa, e preferiva leggere sdraiata sul divano che giocare con i suoi coetanei, i quali la ritenevano piuttosto strana: lei però, non dava molto peso alle loro chiacchiere, e riusciva quasi sempre a vendicarsi di chi la prendeva in giro.

Mi raccontò che, una volta, quando era ancora molto piccola ed abitava nella California, un bambino più grande l’aveva insultata per via dei suoi lunghi capelli ondulati, che teneva sempre sciolti lungo la schiena, dicendole che era troppo piccola per poter sopportare il peso dei capelli sulla testa.

Lei all’inizio non mostrò alcun interesse per le parole del ragazzino, rimanendo immobile e zitta a fissare l’orizzonte del mare primaverile, ma dopo qualche minuto lo stesso si sentì sollevare in aria per i capelli, per poi essere trascinato per tutto il paese, urlando e lamentandosi, senza tuttavia capire da dove provenisse la misteriosa forza che lo stava sfottendo.

Non si era infatti accorto che la piccola Isabel lo seguiva a debita distanza, mantenendo lo sguardo fisso su di lui, una selvaggia gioia che brillava nei suoi occhi sinceri.

Grazie ai suoi poteri poteva vendicarsi senza far del male a nessuno, e ne era molto soddisfatta: odiava la violenza, soprattutto se per puro divertimento.

Non capiva cosa gli uomini ci vedessero di così bello nelle armi e nelle uniformi militari, pomposo sfoggio di macabre azioni compiute per il bene della patria e per la gioia delle famiglie.

Io appoggiavo appieno le sue idee, ritenevo la guerra un crimine dell’intera umanità: gli uomini erano molto stupidi se non riuscivano a risolvere i propri problemi con altri Stati utilizzando la diplomazia.

Mi pare che non abbia fatto male a nessuno…

La guerra, invece, provoca solo dolore, ed è ingiusto combattere se si ha davanti un nemico più debole ed impreparato, ma la maggior parte delle volte è stato così.

Non posso far altro che vergognarmi per i soprusi che il mio Paese ha compiuto in passato verso chi non era capace di difendersi, oltretutto idolatrando gli artefici di certi scempi.

Sono avvenimenti orribili, sui quali molti onesti cittadini americani dovrebbero riflettere.

E se non riuscivano a riflettere da soli, c’era Isabel che li aiutava: era capace di controllare i pensieri e perciò le azioni degli altri, ma usava questo potere solo nei casi di emergenza, e quando riteneva fosse opportuno non creare ulteriori impicci da parte di persone cocciute o imprudenti al danno di individui ragionevoli e dotati di un ottimo cervello.

Era la stessa tecnica che aveva adottato con la mia famiglia, e quando me lo disse ci rimasi di stucco! Non avevo minimamente pensato che i suoi poteri psichici potessero essere così potenti, e neanche che li avesse usati per non farmi sgridare da mia mamma o da Fernando; ma dopo lo sconcerto iniziale, capii che l’aveva fatto solamente perché mi voleva bene, e naturalmente per permettermi di incontrarla altre volte.

Era molto gentile e generosa, nonostante il suo apparente mutismo, e sapeva riempirti la giornata in pochi minuti.

Riuscivamo a capirci anche senza parlare, sia oralmente che mentalmente, anche perché la mia mente non era così sviluppata da permettermi di comunicare con Isabel senza alzare la voce.

Lei, invece, poteva vedere cosa passava per la mia testa, e me ne accorgevo avvertendo una sgradevole sensazione ai lati della testa: come se mi stessero aprendo il cervello e vi frugassero con le mani senza alcuna pietà.

Infatti, dopo neanche due volte, Isabel smise di osservare i miei pensieri, e si concentrò di più sul mio aspetto: mi riteneva una bambina molto fortunata, e soprattutto ricca.

Io le rispondevo che non era così, ma lei insisteva, e mi invitava a guardarmi allo specchio, poiché molte volte chi ha delle grandi qualità o una montagna di soldi tende a nasconderli, negando sempre la verità.

Eppure ogni volta che mi specchiavo, non vedevo una bambina fortunata e ricca: vedevo Mike, punto e basta.

O al massimo, una bambina felice.

Nulla più.

Un’altra curiosa caratteristica di Isabel era il suo insaziabile appetito: adorava mangiare, soprattutto i dolci, e non disdegnava nessun piatto, neanche il più apparentemente disgustoso.

Ed il bello era che non ingrassava di un chilo, rimaneva sempre magra e leggera come un fuscello.

Forse il cibo era l’unico appiglio al mondo terreno, che le impediva di volar via con la mente, poiché ogni volta che si trovava a tavola si trasformava in una bambina normale, senza alcun potere sovrannaturale, e perdeva quella bella voce profonda che tanto mi piaceva.

Ma non appena si alzava dalla sedia e non vi era più traccia di cibo nel suo piatto, ritornava la Isabel silenziosa e sincera di sempre, quell’amica di cui potevo sempre fidarmi.

Quell’amica che non mi avrebbe mai tradito.

Piccola e magra, ma con una grande mente, un grande stomaco, e soprattutto un grande cuore.

 

 

 

Rieccomi, signorineeeeeeeeeeeeeeeeee *___*

Allora, vi sono mancata?=D Spero di sì, perché voi vi siete mancate tantissimo!

Non vedevo l’ora di pubblicare questa seconda parte per leggere i vostri commenti e scoprire cosa ne pensiate!XD Purtroppo non aggiornerò con cadenza regolare, la scuola non mi permette certi svaghi -.-“ Ma sappiate che ora mi sono ingegnata!ù__ù Ho già scritto tre capitoli (di cui l’ultimo è da finire) e pubblicherò il secondo non appena avrò iniziato il quarto.

Perciò non manca molto, abbiate un po’ di pazienza!XD Vi chiedo anche di pazientare in questi mesi, per i motivi che già vi ho esposto.

Per favore, non prendetevela con me e con la mia pigrizia, perché tanto non servirà a nulla! Prendetevela con la mia maledetta scuola!ù__ù

Vabbè, ora è arrivato il momento di spiegarvi un po’ di cosette: innanzitutto la narratrice sarà Mike, la nipote di Fiorellino, come lei lo fu a suo tempo, ma alcune volte userò la terza persona per descrivere luoghi e situazioni diversi dalla prospettiva di Mike. Inoltre, non parlerò propriamente di Michael, ma anche di altri artisti molto importanti, e tutto ciò per un motivo preciso, che vi spiegherò successivamente XD

Ah, un’altra cosa: proprio perché compariranno artisti differenti da Michael, non sarà propriamente una storia su di lui… Perciò, starà a voi decidere se inserirla o meno nelle crossover =D Naturalmente i primi capitoli non sono così importanti da questo punto di vista, ma col tempo potrete inviarmi delle proposte!

Okay, ho detto tutto!XD Ringrazio tutti coloro che hanno seguito la prima parte di Will You Be There (e spero seguano anche la seconda XD) e tutti i nuovi fan che mi farò ù__ù (che modestia!)

Ringrazio inoltre le care Rò (GioTanner) ed Ale (_Ticket) per avermi aiutato a scegliere titolo e sottotitolo di questo capitolo: grazie infinite, ragazze! Senza di voi non so come farei!*__*

Ancora tantissimi abbracci pelosi e ricciolosi =D

 

                                                           La vostra Looney resuscitata!**

   
 
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