Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Marselyn    11/10/2010    4 recensioni
"Dentro di sé lo aveva sempre pensato, aveva sempre avuto il rimorso mordente di non averlo scoperto prima, di non averglielo detto, e non sapeva mai chi incolpare per quel tremendo errore del tempo. Se se stesso, se Silente per non avergli parlato del suo sospetto sull'esistenza degli Horcrux prima, se Lumacorno per non aver rivelato molto prima, di sua spontanea volontà, il segreto che teneva nascosto da anni. Sentiva solo un tremendo senso di colpa che gli attanagliava lo stomaco ogni volta che pensava a Sirius, e alla solitudine e al senso di inappartenenza ad alcuna famiglia con cui era stato costretto a convivere per tutta la vita.
In fondo, cosa era Harry per Sirius in confronto a quella che sarebbe stata la consapevolezza che Regulus non era quello che pensava, e che in realtà era in fratello che avrebbe sempre voluto avere?
Il solo sapere che Regulus era coraggioso e fondamentalmente buono quanto lui gli avrebbe sicuramente garantito la convinzione di aver avuto una vera famiglia, non la stupida caricatura di amore che gli offriva Harry."
Di nuovo Harry si trova di fronte il Velo che gli ha rubato Sirius.
Il titolo è ispirato al capitolo 35 del quinto libro.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Coriandoli Neri.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Oltre il velo



La risata non gli si era ancora spenta sul viso, ma il colpo gli fece sgranare gli occhi.

[...] Sirius parve impiegare un'eternità a toccare terra: il suo corpo si piegò con grazia e cadde all'indietro oltre il velo logoro appeso all'arco.
Harry colse un misto di paura e stupore sul volto sciupato, un tempo così attraente, mentre varcava l'antica soglia e spariva dietro il velo, che per un momento ondeggiò come scosso da un forte vento, poi ricadde immobile.
Udì l'urlo di trionfo di Bellatrix Lestrange, ma sapeva che non significava niente... Sirius era solo caduto al di là dell'arco, da un momento all'altro sarebbe ricomparso...
Ma Sirius non ricomparve.



*



“Buongiorno Signor Potter” La sagoma di una donna in completo rosso si stagliò oltre la grata dell’ascensore, che andò bruscamente a lanciarsi di lato per lasciare libero il passaggio. Gli mandò un sorriso che suggeriva chiaramente l’evidente vanto di aver incrociato tra i corridoi del Ministero il famoso Harry Potter.
“Buongiorno” rispose semplicemente Harry, visto che non riusciva a ricordare il nome della donna.
Quella parve comunque soddisfatta e, come se il saluto fosse stato il suo lasciapassare, gli fece spazio nell’ascensore.
Seppur ormai fossero passati tre anni dalla sconfitta di Voldemort, Harry stentava ad abituarsi alla gratificazione che maghi e streghe continuavano a mostrargli, anche solo con un semplice saluto. Non aveva mai completamente metabolizzato l’appellativo di ‘Salvatore’ del mondo magico, e sapeva per certo che mai ci sarebbe riuscito, per il semplice fatto che era lungi da lui, in primis, il solo sospetto che potesse davvero esserlo stato. Avrebbe di gran lunga preferito che gli serbassero la più totale ignoranza, piuttosto che quella perenne e spropositata riconoscenza. E tutto ciò lo metteva puntualmente e profondamente a disagio.
Era uno di questi i motivi per cui evitava il più possibile di recarsi al Ministero, incaricando chiunque altro di farlo al posto suo.
Ma questa volta, in qualità di Auror, aveva necessariamente dovuto affrontare la questione da solo, senza peraltro possibilità di proroghe.
“Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche, anche questa volta?” ridacchiò la donna tozza, in un tentativo discutibilmente riuscito di risultare simpatica, alludendo al piccolo incidente di cui Harry era stato protagonista, durante il suo quinto anno di carriera scolastica.
“No” rispose Harry, abbozzando alla meglio un sorriso tirato. “Non questa volta.”
La donna, divertita, ridacchiò ancora, puntandogli gli occhi vispi addosso, in evidente avida attesa che le rivelasse la sua reale direzione. Harry fece finta di niente, sperando ardentemente di chiudere lì la questione.
“E questa volta, invece?” domandò lei, fingendo malamente di rendere la domanda innocua e a scopo puramente d’intrattenimento. Harry sospirò impercettibilmente, appena prima di parlare: “Nono piano,” rispose. Il sorriso sgargiante della donna si affievolì, lasciando in viso un’espressione che suggeriva una sorpresa e spudorata curiosità. “In qualità di Auror” aggiunse Harry, che cominciava a stizzirsi.
“Oh, certo, certo” disse quella, annuendo sovrappensiero, mentre schiacciava il pulsante numero tre. “Le dispiace se…?”
“No” rispose troppo in fretta Harry. “Vada pure.”
Quella annuì nuovamente, scostandosi un po’ più da Harry e lanciandogli fugaci occhiate durante tutto il tragitto.
Quando la grata si aprì, la donna si fiondò fuori dall’ascensore, e prima che qualcun altro potesse addentrarcisi, Harry premette il pulsante numero nove. L’ascensore partì, con suo sommo sollievo.
La questione non era piacevole tanto per la donna, quanto per lui, e l’Ufficio Misteri del Ministero non aveva nulla di positivo da riportargli alla mente, ma doveva necessariamente sbrigare delle faccende che, per quanto di poco conto, erano ormai diventate improrogabili a forza di rimandare il giorno di quell’appuntamento.
Il Ministero aveva informato gli Auror di un sospetto gruppo di malviventi non sottovalutabile che attaccava i Babbani da qualche giorno, e, malgrado Harry avesse regolarmente preso parte al loro arresto, un paio di giorni prima, la sua partecipazione alla cattura doveva essere regolarmente registrata. Ne avrebbe volentieri fatto a meno, non gli serviva un resoconto mensile del lavoro svolto, ma il Ministero era tremendamente suscettibile su queste cose dopo la brutta figura durante il secondo avvento di Voldemort, e adesso, quasi nel tentativo di riparare il riparabile, il Ministro in carica Kingsley teneva in maniera quasi puntigliosa a far mantenere costante e tecnicamente in regola lo stretto rapporto di collaborazione tra il Ministero e gli Auror, e Harry non era da meno, malgrado l’amicizia che li legava.
Ma d’altronde Harry si era tanto indignato sul fatto che il Ministero, in tempi non molto remoti, avesse completamente perso la bussola riguardo la protezione del mondo Magico e non-, che adesso era un sollievo riscontrare tanto puntiglio, sebbene gli creasse non pochi disagi, e non si sarebbe mai sognato di trascurare dettagli che, anche se per lui erano di poco conto, per la comunità magica valevano una buona dose di fiducia e tranquillità.
Notoriamente l’Ufficio Misteri era inaccessibile a chiunque, ma Kingsley gli aveva dato il permesso di recarvisi, soltanto per quell’occasione. Harry sapeva che, dall’ultima volta che vi aveva messo piede, era stato introdotto al nono piano un’ulteriore piccolo studio tutto del Ministro – Kingsley lo aveva fatto introdurre, per prevenire attività sospette -, al quale solo pochi potevano accedere.
La grata si aprì.
Malgrado la mattinata soleggiata, gli occhi ci misero un po’ ad abituarsi all’oscurità di quel piano, che sembrava l’unico sommerso nel buio delle più basse profondità della terra.
Le fiammelle fluttuanti ai lati del corridoio presero a formicolare, ondeggiate dallo spiraglio d’aria mossa dall’arrivo dell’ascensore.
Non era cambiato nulla, o quasi, dall’ultima volta in cui si era addentrato in quel luogo, ben cinque anni prima.
Lo stesso brivido percosse la sua schiena alla vista della porta nera e lucida all’estremità opposta del corridoio.
Nonostante lo sforzo, non riuscì a non guardarla.
Ma non era lì che era diretto, non questa volta.
Non avrebbe avuto più niente a che fare con quella stanza, non più.
Uscì dall’ascensore, cercando di portare gli occhi altrove, e si diresse a passi svelti verso la penultima porta a sinistra, dove avrebbe sbrigato le faccende burocratiche che lo avevano condotto fin lì, e poi tutto sarebbe ritornato come prima, lontano il più possibile da quell’Ufficio, accanto alla sua famiglia.

*

“Grazie Harry, sai bene quanto ci tenga al fatto che la gente si ricreda sull’affidabilità del Ministero, dopo tutto quello che è successo, e questo ci serve, piano piano, a raggiungere l’obbiettivo.”
“Figurati, Kingsley, lo faccio con piacere” mentì prontamente Harry, anche se una parte relativamente grande di lui sapeva di dire la verità. “Ci vediamo, buon lavoro.”
“Ciao Harry, porta un saluto a Ginny” Kingsley accennò un sorriso troppo professionale per essere quello di un amico, e si riaccomodò sulla poltrona.
“Grazie Kingsley” Harry si inoltrò oltre la soglia della porta, e si richiuse il legno nero alle spalle.
In quel momento un uomo robusto, sulla cinquantina, sbucò correndo dalla porta pece a pochi metri alla sua sinistra, in fondo al corridoio. Lo salutò repentinamente con sincera gentilezza, e si fiondò dentro l’ascensore, chiudendosi la grata.
“Scusami” esclamò col fiatone. Per un attimo Harry pensò che parlasse con lui, e fu pronto per rispondergli, ma quello continuò, senza la minima intenzione di sentire da lui alcuna risposta. “Dovevo sbrigare una cosa, adesso sarò subito da te tutto il tempo che vorrai” continuò in un tentativo concitato di scusa, conducendosi uno specchio davanti lo sguardo, dove probabilmente si specchiava l’immagine del suo interlocutore. Dopo qualche secondo sparì verso l’alto, inghiottito dal tubo quadrato dell’ascensore.
Harry rimase immobile.
Si guardò intorno, scoprendo che quello era stato, fino a pochi secondi prima, l’unico ascensore presente e libero. Neanche l’ombra di un essere vivente in giro.
Lo sguardo si mosse autonomamente verso la porta dalla quale l’uomo era sbucato, e qualcosa di pesante gli si appollaiò scomodamente nello stomaco.
Era aperta.
Un intenso e disordinato flusso di pensieri gli invase la mente, e una forza sconosciuta cercava di spingere le sue gambe verso di essa.
Intravide dall’interno uno sprazzo di fievolissima luce, lugubre e spettrale, che sembrava invitarlo a completare un appuntamento interrotto bruscamente qualche anno prima.
Cercò di fare mente locale, sbattendo le palpebre nel tenue tentativo di rischiarare la mente.
Ma solo un unico e prepotente desiderio era percettibile tra le tante voci che vorticavano nella sua testa. Una richiesta disperata di chiarezza, travestita da desiderio.
Ma non poteva farlo.
Qualcosa di razionale gli diceva che era sbagliato, che non doveva, non poteva entrare, che qualcuno avrebbe potuto trovarlo, fraintendendo il suo comportamento.
Non poteva farlo.
Ma una persona dentro di lui chiedeva prepotentemente una risposta, una punto di domanda grande quanto lo spazio pulsava nella sua testa, quello stesso che aveva, nel vano tentativo di trovare un minimo di pace, messo a tacere ormai da cinque anni.
Ma lì non poteva frenare più quel desiderio, era l’occasione perfetta, per quanto sbagliata, di trovare una risposta che nessuno aveva saputo dargli, compreso se stesso.
Era sbagliato.
Ma era anche l’unica, disperata occasione.
Un solo nome lo convinse a farlo, perché anche ciò che restava di lui, nella sua anima, chiedeva una risposta.
Perché sempre, quando una persona ci lascia, una parte di essa permane dentro il cuore di chi l’ha conosciuta.
Lui stesso gliel’aveva insegnato, e adesso quella parte gli domandava per un’ultima volta chiarezza, verità, e Harry non poteva più ignorarlo.
Prese un respiro, incamerando quanta più aria poteva nei polmoni e si incamminò verso la porta.

La stanza era circolare, esattamente come la ricordava, nera, lucida e spettrale.
Le fiammelle tra una porta e l’altra emanavano un bagliore quasi inquietante, riflettendosi sul nero pavimento placcato, specchiando il loro movimento lento e ondulatorio.
Harry si accostò la porta alle spalle, accertandosi che da fuori sembrasse chiusa, e si diresse al centro della stanza. Ma, inaspettatamente, la porta si chiuse. Come sospettava, le mura che ospitavano le porte presero a girare velocemente, per poi fermarsi, inermi.
“Dov’è la Stanza del Velo?” domandò.
Dell’Ufficio Misteri non aveva mai voluto sapere niente, e dopo la scomparsa di Sirius, qualcosa in lui si era categoricamente rifiutata di sapere cosa fosse realmente successo, quel giorno. Harry non sapeva perciò se anche questa volta la stanza l’avrebbe ascoltato e assecondato la sua richiesta. Ricordava però come, cinque anni prima, rincorrendo Bellatrix Lestrange, avesse domandato con rabbia dove fosse l’uscita, e la stanza, come se lo avesse ascoltato, avevo spalancato la porta dalla quale era, ora, appena entrato.
Sentì alla sua sinistra un profondo sbuffo, come di aria mossa, e un cigolio. Si voltò e vide, infatti, che una delle dodici porte si era appena spalancata.
Riusciva a intravedere dal centro dell’atrio circolare le prime grigie gradinate di pietra che correvano tutto intorno alla cavità della stanza.
Deglutì, incamminandosi lentamente verso la porta.

Più della stanza circolare, più del corridoio del nono piano, più di ogni altra cosa al Ministero, quella stanza rispecchiava perfettamente ogni singolo ricordo ne avesse.
Era rettangolare, illuminata solo da un fioco bagliore dalla provenienza inesistenze, sembrava sospeso nell’aria, senza alcuna fonte. Gli anelli di pietra, come in un anfiteatro, si susseguivano verticalmente, uno sopra l’altro, concentrici verso la piccola piattaforma di roccia che si spaziava in fondo, al centro della cavità. L’arco di pietra, vecchio e corrotto, si reggeva al centro, trasmettendo la stessa, identica sensazione di precarietà di quando lo aveva visto la prima volta. Il velo, contro ogni legge fisica, si muoveva con una leggerezza estrema, costantemente, ignorando i reclami di stabilità della piatta e ferma aria che lo circondava.
Harry, quasi alla cieca, prese a scendere gli alti gradini, lo sguardo fisso sul velo.
Fermo appena prima di salire sulla piattaforma, i pensieri si arrestarono miracolosamente, immobili, come incantati e sospesi nell’aria tutt’attorno, fingendo una chiarezza in realtà inesistente.
Sembrava così semplice, così tremendamente innocente. Tutto sembrava acquisire un senso, davanti quell’arco, come in un incanto di eterna precarietà.
Salì sulla piattaforma, avvicinandosi a passi lenti al velo.
Come poteva Sirius essere scomparso lì dietro? Sembrava così ingenuo, così puro. Liscio e fluido come acqua, però smosso come materia da sussurri e mormorii. E adesso Harry riusciva a sentirli, come quella volta, pochi anni prima.
Erano gentili, placidi, delicati, come sussurri materni, senza voce, e lui li sentiva dentro di sé, semplicemente sapeva che esistevano.
Harry.
Riusciva a percepire il suo nome, ora, o forse era solo un’impressione, un imbroglio del velo.
Harry.
Riuscivano ad infiltrarsi tenui e miti, come morbide piume della più delicata forma di pensiero.
Harry.
Forse bastava solo allungare la mano e l’avrebbe preso di nuovo, forse Sirius lo aveva aspettato per cinque lunghi anni, al di là di quella infinita sostanza sospesa tra sogno e realtà.
Harry.
E forse sarebbe stato come se non fosse mai successo niente, come se il tempo si fosse solo fermato a respirare, come una breve e fugace pausa.
Harry.
Forse bastava davvero soltanto allungare la mano, e qualcuno lì dietro l’avrebbe presa, forse lui l’avrebbe presa.
Harry.
“Sirius, ti prendo.”

Harry!” Si sentì bruscamente tirare indietro il braccio e sobbalzò, il cuore dentro che sembrava tamburellare impazzito, come protestando. Si voltò, sbattendo le palpebre per riprendere lucidità, e accanto a lui vide il volto terrorizzato di Hermione. “Che cosa volevi fare?!” disse lei con voce acuta, mentre gli si lanciava addosso, cingendolo in un abbraccio disperato.
“Io… Sirius” non riuscì a dire altro, si aggrappò solo a lei, stringendola forte, mentre un infinito senso di gratitudine gli inondava il cuore. “Grazie” mormorò. “Hermione, grazie”.
Hermione sciolse l’abbraccio e si fece un po’ indietro per guardarlo. Harry vide che aveva il volto rosso, rigato da lacrime.
“Non farlo mai più, giuramelo, non farlo mai più!” biascicò, asciugandosi con il polsino dell’elegante giacca blu le gote. Harry annuì.
“Come hai fatto a trovarmi?”
“Oh” sbottò lei. “Che importa! Se proprio vuoi saperlo avevo bisogno di chiederti una cosa e ho aspettato che spuntassi dall’ascensore nell’atrio principale, ma tu non sei mai arrivato! Ho chiesto a Kingsley dove diavolo eri finito e mi ha detto che eri già uscito dal suo Ufficio da un pezzo, e poi…” la voce le vibrò ancora di terrore. “E poi ho visto la porta che dava alla stanza circolare aperta, e… oh, insomma, andiamocene da qui!”
Hermione lo guidò fuori dalla piattaforma, e poi fin sopra tutti i gradini di pietra. Sulla soglia della porta, però, Harry si fermò e si voltò a guardare l’arco che per poco non l’aveva ospitato.
“Harry” lo chiamò gentilmente Hermione, strattonandogli la manica della giacca.
“Hermione” disse lui, ignorando l’evidente desiderio di lei di uscire al più presto da lì. “Hai mai scoperto cosa è? Quel velo nell’arco, dico” Harry vide Hermione fissarlo con un’espressione triste in volto.
Si guardarono per qualche secondo, poi entrambi voltarono lo sguardo sul velo.
“No” mormorò lei, dopo un po’.
Harry sospirò.
“Speravo che... speravo che potesse ritornare… che stupido”
“No, Harry” lo corresse lei, con un sorriso tenue in volto. “Gli volevi solo bene.”
Harry non replicò, tenne solo lo sguardo fisso sull'arco.
“Sarei dovuto… sarei dovuto cadere io lì, al posto suo” disse poi, stringendo i pugni.
“Harry” Hermione gli tirò la manica di nuovo, per farsi guardare negli occhi. “Harry” ripetè con voce ferma, incatenandolo con lo sguardo, determinata a fargli una volta per tutte entrare nella testa quelle parole che gli aveva così tante volte ripetuto. “Sirius non è morto invano, Sirius era felice di morire in battaglia.” Harry sentì di non poter più resistere, doveva liberarsi, doveva parlarne con qualcuno.
“Hermione, come poteva essere felice di morire? No, non lo era! Non sarebbe dovuto morire! E’ morto per colpa mia!”
“Harry…”
“Doveva vivere, lo meritava più di me! Meritava una famiglia, meritava qualcuno che gli volesse bene!”
“Harry, lui sapeva che c’era qualcuno che gli voleva bene, ed è morto per quella persona! Tu, Harry, eri la sua famiglia, e lui lo sapeva!”
“No, Hermione!” disse accalorandosi. “Io non ero la sua famiglia! Lui c’è sempre stato per me, ma io mai per lui!”
“Solo... solo perché non potevi, solo perché eri ad Hogwarts!”
“No, Hermione, lui meritava una famiglia presente, vera! Quella che non ha mai avuto! A chi serve una famiglia per cui morire?! Lui meritava una famiglia per cui vivere!”
Hermione tacque serrando le labbra nel tentativo di frenare un ignoto sentimento. Harry tornò a fissare il velo.
Era ancora in tempo.
Avrebbe ancora potuto gettarsi giù per i gradini e lanciarsi oltre l’arco, lasciarsi trapassare dall’ignoto, morire anche lui.
Avvertì la mano calda di Hermione agganciarsi alla sua e la sentì sospirare.
“Avrei dovuto scoprirlo prima…” esalò piano Harry, dopo che ebbe riacquisito lucidità.
“Cosa?” sussurrò Hermione.
“Che Regulus si è sacrificato per il bene… che Regulus è morto come lui, da eroe…”
“Come potevi, Harry?” disse lei, gentilmente.
Harry tacque.
Dentro di sé lo aveva sempre pensato, aveva sempre avuto il rimorso mordente di non averlo scoperto prima, di non averglielo detto, e non sapeva mai chi incolpare per quel tremendo errore del tempo. Se se stesso, se Silente per non avergli parlato del suo sospetto sull'esistenza degli Horcrux prima, se Lumacorno per non aver rivelato molto prima, di sua spontanea volontà, il segreto che teneva nascosto da anni. Sentiva solo un tremendo senso di colpa che gli attanagliava lo stomaco ogni volta che pensava a Sirius, e alla solitudine e al senso di inappartenenza ad alcuna famiglia con cui era stato costretto a convivere per tutta la vita.
In fondo, cosa era Harry per Sirius in confronto a quella che sarebbe stata la consapevolezza che Regulus non era quello che pensava, e che in realtà era in fratello che avrebbe sempre voluto avere?
Il solo sapere che Regulus era coraggioso e fondamentalmente buono quanto lui gli avrebbe sicuramente garantito la convinzione di aver avuto una vera famiglia, non la stupida caricatura di amore che gli offriva Harry.
“Harry, ascoltami” Hermione attirò nuovamente il suo sguardo su di sé. “Sirius lo sa, ti ricordi quando ti è apparso insieme ai tuoi genitori, nella foresta?” Harry annuì debolmente. “Perché pensi che non esista una vita al di là della morte? Quella è stata la dimostrazione che la vita è così forte da non lasciarti mai! Non li vediamo, ma ci sono, e sanno. Harry, Sirius sa quanto tu gli abbia voluto bene, e conosce la vera persona che Regulus era. Sono qui accanto a noi, sempre.” Harry cercò di annuire.
Voleva crederci.
Voleva credere che Sirius non se ne fosse andato per sempre, e che sapesse che non era solo e che non lo era mai stato.

“Ci pensi mai che Sirius e Regulus sono gli unici due di cui non abbiamo i corpi?” le chiese Harry, dopo un po'. “Voglio dire, Sirius è caduto al di là del velo e Regulus è stato preso dagli Inferi. Secondo te… significa qualcosa?”

Hermione rise.
“Bè, se ti piace pensare che questo li abbia in un certo senso ‘riuniti’ nella morte, pensalo. Perché no?” disse, sorridendo.
“Comincio a blaterare, lo so” ammise Harry, azzardando un sorriso. “Solo che ho bisogno di pensarlo, ho bisogno di credere che siano uniti, se non nella vita, almeno nella morte”. Hermione annuì, sorridendo.
“Andiamo?” disse poi, cercando lo sguardo di Harry.
Harry gettò un’ultima occhiata alla gradinata, all’arco precario e al velo che continuava a fluttuare. Adesso, però, gli dava una sensazione diversa; era come se si agitasse presuntuosamente, come se cercasse ancora di reclamare Sirius, corpo e anima, come se desse sfoggio del fatto che gli apparteneva.
Ma Harry ora sapeva, ora aveva capito.
Aveva compreso finalmente che Sirius non era lì, sotto quel velo, nascosto nel fondo inesistente di quell’arco, Sirius era lì con lui, dentro di lui, e il velo ancora, stolto e presuntuoso com’era, non se ne era neanche accorto.
“Sì, andiamo.” disse, e si avviarono insieme fuori dall’Ufficio Misteri, chiudendosi per l’ultima, decisiva volta quella porta alle spalle.

*

“Oh, signor Potter!” un uomo grassoccio, davanti all’ascensore adiacente, circondato da un gruppo di colleghi dei quali sembrava essere il boss, richiamò l’attenzione di Harry, prima che questi potesse allontanarsi lungo l’atrio, verso l'uscita del Ministero, camuffata in cabina. Harry lo riconobbe come il direttore dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, e tra le facce che lo attorniavano con rispetto rivide quella della signora tozza dell’ascensore che gli lanciava occhiate sospette.
“Buongiorno signor Blomb” rispose Harry. Hermione accennò un saluto gentile col capo.
“Di nuovo diretto verso l’Ufficio dell’Uso Improprio delle Arti Magiche?” disse, ridacchiando, tutto fiero della battuta, convinto che fosse originale. Gli altri forzarono delle risate.
“Oh, no” disse Harry, sorridendo. “Sono in uscita”
“Oh, bene, e… da dove, se non sono indiscreto?”
Decisamente lo era, ma perché sopprimere così ingiustamente il tentativo di un vecchio uomo in cerca di assensi, di fronte al suo fidato gruppo di adulatori? No, di certo Harry non lo avrebbe deluso.
“Nono piano, Ufficio Misteri, Stanza del Velo” disse tranquillamente, sorridendo affabile.
Avvertì Hermione agitarsi silenziosamente accanto e strattonargli impercettibilmente la manica.
L’uomo rimase interdetto qualche secondo, così come anche il resto dell'allegra comitiva e la signora dell’ascensore. Poi fu proprio quest’ultima, come se avesse colto il senso di qualcosa interrotto poco prima, a liberare un’allegra risata. L’uomo, forse per paura di apparire di poco acume, prese a ridere rumorosamente, seguito naturalmente dal resto del personale.
“Oh, Potter, lei sì che è una persona divertente!” gracchiò, tenendosi la pancia. “Buona giornata, e buona giornata anche a lei, signorina!” E, insieme al resto del gruppo si allontanò, verso l’ascensore. Prima che Harry potesse riprendere a camminare, la signora dell’ascensore si voltò e gli strizzò un occhio.
“Sei impazzito?! E… chi era quella?” domandò Hermione, stupita, dopo ch’ebbero ripreso a camminare.
“Oh, niente” rispose Harry, con un sorriso in volto che non si decideva a nascondersi. “Solo un’amica.”
E uscirono dal Ministero, accolti dai tiepidi e caldi raggi solari.





---








Note
Cos'è? Boh, non lo neanche io cos'è, so solo che mi sono messa davanti la pagina di word - al posto di fare i compiti - e mi è uscita questa 'cosa'. Forse era meglio se non l'aprivo proprio la pagina di word, vi avrei risparmiato questa cosa e domani non rischierei due di ben cinque materie XD
Insomma, fa schifo, lo so.

Approfitto per ringraziare cihi ha commentato la scorsa flashfic 'Orgoglioso': Malandrina_97, gianno11, Leuviah_Utopia, Lu_Pin, Niki_Black (doppio grazie a voi per aver recensito e aggiunto tra le preferite), Miss Rainbow, pazzarella_dispettosa, ArinMiriamKane (doppio grazie a te per averla inserita tra le ricordate) e Nashira91 (doppio grazie per averla inserita tra le preferite). Grazie a chi ha inserito tra le preferite: Baby_; e a chi l'ha inserita tra le ricordate: Jayne, lovegio92 e _Ink_. E grazie anche a chi legge soltanto!
Non mi sarei mai aspettata tanto calore, vi ringrazio con tutto il cuore, davvero!
GRAZIE!

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Marselyn