Capitolo 10
Tante, forse troppe
novità.
La signora Mitsui si
sentì decisamente meglio appena appoggiò i piedi per terra. Sapeva che il
figlio era sempre molto prudente in moto, soprattutto quando accompagnava
qualcuno con sé, ma quella bambolina
– come la chiamava lui amorevolmente – proprio non le piaceva; solo il rombo
del motore la metteva in soggezione, per non parlare del fatto che lei, così
piccola in confronto al figlio, figurarsi alla motocicletta, doveva stringersi
forte forte alla schiena del ragazzo, per non perdere l’equilibrio. Si tolse il
casco, così grande per una donnina minuta come lei, e sospirò sollevata.
«Non vedo l’ora che ti
prenda la patente, mi sento più sicura in una macchina piuttosto che su
quell’affare», disse lei, mentre Hisashi girava la chiave per spegnere il
motore.
«Prima di prendermi la
patente abbiamo altre spese da affrontare, mà. La
moto andrà benissimo per qualche altro anno». Corrugò la fronte appena sentì il
rumore di una sega elettrica al lavoro.
«Sembra provenire dalla
casa di Akira», disse la donna, stringendosi nel suo cappotto e osservando la
graziosa abitazione tradizionale della famiglia Sendoh. Faceva un fresco
piacevole, quel pomeriggio e il cielo non era dei migliori; nuvole scure e poco
promettenti arrivavano dal mare e probabilmente avrebbe piovuto tra qualche
ora.
«Sì, gli staranno
tagliando la testa. Non sarebbe male, no?».
«Hisashi!».
Lui sorrise, precedendo
la madre per aprirle il cancelletto che portava al piccolo viale d’ingresso
della casa. La signora Sendoh li accolse gioviale, riservando un abbraccio per
entrambi. «Prego, entrate! Gli uomini di casa si stanno dando alla
falegnameria, c’è un caos in giardino! Spero non vi dispiaccia».
«Figurati, Rinako, non è
un problema. Se disturbiamo, però, passeremo un’altra volta», disse Tamaki
Mitsui, togliendosi le scarpe all’ingresso.
«Ma no, ma no. Non
disturbate mai, cari! Ho preparato i dorayaki*, questa mattina, accomodatevi anche in giardino,
così potremo chiacchierare insieme, io porto i dolcetti!».
Hisashi salutò il signor
Sendoh, che si levò gli spessi guanti da lavoro per stringergli la mano. Era un
architetto affermato e competente, alla mano e sempre sorridente proprio come
il figlio. Per Akira il padre, Goro Sendoh, era l’esempio di uomo che avrebbe voluto
diventare un giorno; d’altronde non era un caso se aveva deciso da tempo che
carriera intraprendere all’università, la stessa del padre. Diceva sempre che
l’idea di progettare qualsiasi cosa, da un infisso a un edificio, lo
elettrizzava e lo terrorizzava al contempo, ma doveva essere una sensazione
incredibile poter vedere, poi, le sue idee diventare realtà.
«Ehi, perdente!», salutò
il suo amico Hisashi, ficcandosi le mani nelle tasche dei jeans e osservando il
piccolo cantiere che avevano messo su. «Che combinate?».
Akira sollevò gli
occhiali protettivi sulla fronte, sorridendo. «Abbiamo deciso di allargare la
casa con una piccola ala per gli ospiti», gli spiegò l’aspirante architetto,
indicando lo scheletro portante di legno che sbucava dietro il grande salice.
«L’ingresso sarà proprio lì, da quella parte del giardino; ci saranno due
piccole camere da letto, una stanza comune e un bagno».
Hisashi si grattò la
fronte, perplesso. «Ma casa vostra non ha già delle camere per gli ospiti?».
Il signor Sendoh annuì.
«Sì che le ha. Ma ci stiamo rendendo conto che non bastano per le nostre…
esigenze, ecco».
La guardia dello Shohoku
non capì l’occhiata che si scambiarono padre e figlio, ma non domandò altro.
«Avete bisogno di una mano?».
«Sarebbe una buona cosa,
sì!», ridacchiò Goro. «Ho giustappunto in mente un lavoretto che potresti fare».
E mentre le donne
chiacchieravano tranquillamente su qualsiasi cosa venisse in mente loro,
Hisashi si ritrovò a tagliare delle tavole, seguendo le misure che il signor
Sendoh aveva annotato su un foglio, spiegandogli che erano le assi per i
tramezzi.
«Allora, che mi dici di
quella ragazza… come si chiama? Kiyoko?».
«Kobayashi per te, maniaco».
Akira scoppiò a ridere,
alzando le braccia al cielo. «Tranquillo, non è il mio tipo!».
«E anche se lo fosse…»,
Hisashi lasciò la frase in sospeso, ma la conclusione era ovvia. Quello era il
suo terreno e neanche il suo miglior amico avrebbe potuto calpestarlo.
«Certo che potevi
trovare un’altra scusa per chiederle di uscire», commentò il Porcospino, consulente dell’ammmore,
come lo chiamava Hime.
«Vorrei vedere te, con
una come lei!», esclamò Hisashi. «Dire che devi dosare le parole è poco».
Akira ci pensò sopra
qualche secondo. «Vediamo un po’ di analizzare la situazione… o questa ragazza
ti piace sul serio o è diventata una questione personale in cui devi vincere
per non ferire il tuo smisurato orgoglio, per cui…».
«Oh, no, ti prego, tutto
ma non psicanalizzarmi, Freud!».
Goro Sendoh tirò un
buffetto al figlio. «Suvvia, Akira, non stressarmi Hisashi!».
«Ecco, ascolta le sagge
parole di tuo padre e non rompermi le scatole».
«Io non stresso nessuno,
papà», si difese il ragazzone del Ryonan, con un sorrisino furbetto. «È lui che
si presta, anche senza il lettino dello psicanalista».
Gli altri due scossero
il capo mestamente.
«Comunque, dov'è che la
porti? Hai già deciso?».
Hisashi si strinse nelle
spalle. «Forse. Ma non sono ancora sicuro».
«Come siamo misteriosi!».
«Non spiffero le mie
tecniche di seduzione a te, deficiente».
Akira scoppiò a ridere.
«Tanto prima o poi mi dovrai raccontare se ti ha piantato a metà serata o se è
arrivata fino alla fine».
«Stai pur certo che ci
arriverà, e anche soddisfatta», ghignò quello, ben consapevole delle sue
capacità.
Poco dopo cambiarono
discorso - vuoi perché Akira aveva iniziato a canticchiare qualcosa sul
prossimo scaricamento dell'amico, vuoi perché Goro temette che Hisashi usasse
la sega elettrica per troncargli il collo - e chiacchierarono per un po' della
partita del giorno prima, dei nuovi e dei vecchi giocatori e del vicino inizio
di Campionato.
«È stato un match interessante»,
disse Akira. «Le vostre nuove reclute sono in gamba, i gemelli in particolare.
Complimenti!».
«Sì, son bravi» Hisashi
lo guardò storto, non capendo bene il perché di quel sorrisino sornione che si
era stampato in viso. «Che hai da ghignare ora?».
Akira scosse il capo,
misterioso. «Vedrai, vedrai. Ci sarà da divertirsi».
«Quando hai detto che
inizia il torneo?», chiese Goro al figlio, interrompendo quella loro strana
discussione.
«Il primo dicembre»,
rispose quello. «Son curioso di conoscere il tabellone, ancora non è uscito. Tu
ne sai qualcosa?».
Hisashi fece spallucce.
«No, altrimenti avrei sentito Ayako sbraitare gli incontri e appendere
striscioni per tutta la palestra come fa sempre».
«Quella ragazza è
matta!», rise Akira.
«Perché non sai cosa
tutto non faccia con l’altra esagitata di Hime! Due manager più schizzate non
potevano capitarci».
«Beh, sempre meglio di
niente!», gli strizzò un occhio l’altro, schivando un pezzo di legno che
altrimenti lo avrebbe centrato in fronte. «Ohi, assassino!».
«Magari lo fossi davvero,
ti avrei già fatto fuori».
Goro scoppiò a ridere.
Adorava ascoltarli mentre litigavano - o facevano finta di farlo. Non poteva
immaginare due amici più diversi di loro… forse perché non conosceva Hanamichi
e Kaede, ecco.
«Comunque spero per voi
di non incontrarci subito… mi dispiacerebbe vedervi fuori dal primo turno».
Hisashi alzò un
sopracciglio. «Amico, vedi di svegliarti e torna sulla terra. Incontrarci
all’inizio potrebbe essere una bella cosa, per voi e per tutti gli altri: vi
levereste subito il dente e tornereste a casa senza ulteriore stress».
«Sembri convinto…
bene!», sorrise Akira. «È decisamente più divertente giocare contro un
avversario motivato, piuttosto che con uno che sa già di perdere».
«Allora tu e la tua
squadra farete bene ad allenarvi il triplo, perché non abbiamo alcuna
intenzione di andarcene, se non dopo aver vinto la finale».
*
«Sanako, c'è un ragazzo
al tavolino nell'angolo che ha una brutta faccia, vuoi che lo serva io?».
La barista fece capolino
da sotto il bancone, dove era chinata a raccogliere il contenuto del cestino,
su cui aveva sbattuto contro poco prima, e osservò il brutto ceffo che le aveva
indicato il signor Watanabe. «Oh, non si preoccupi, lo conosco, ci penso io!».
Si rinfrescò velocemente le mani e, asciugandosele contro il grembiule bianco,
si avvicinò. «Ciao! Sei venuto, quindi».
Kaede, che aveva la
testa ciondolante sul dorso della mano, accennò solo un gesto perplesso - mosse
unicamente un sopracciglio, come se gli costasse chissà quale sforzo disumano
muoversi di mezzo millimetro. «Mantengo la mia parola, Tsukiyama».
Lei sorrise, grattandosi
la tempia con la penna che aveva tolto fuori per l'ordinazione. «Cosa posso
offrirti?».
«Una coca, grazie».
Sana tornò due minuti
dopo, con un bicchiere di succo di frutta all'ananas per lei, oltre alla
bevanda per lui. Kaede bevve qualche sorso, attendendo che quella iniziasse a
parlare, ma gli parve che non ne avesse la minima intenzione. Che diavolo, si
era anche scomodato dal suo invitante antro sul divano perché lei gli aveva
chiesto gentilmente di parlargli di qualcosa di così importante e lei neanche
accennava a iniziare. Che poi, che diavolo aveva da dirgli? Se quella era
l'ennesima trovata di una ragazzina in delirio che gli avrebbe confessato tutto
il suo amore da lì ai successivi cinque minuti era più che deciso a farla
fuori, unicamente per il disturbo. Era carina, sì, e diversa dalle altre balde
donzelle che circolavano per quel liceo di teppisti - addirittura non lo
conosceva, fino a qualche settimana prima! - ma non aveva intenzione alcuna di
preoccuparsi di fare il fidanzato. Lui non era portato per certe cose, senza
contare il fatto che il suo cuore l'aveva già rubato il basket e non c'era
posto per nessun'altro. O forse sì, forse un posticino piccolo c'era. O anche
un po' più di piccolo, ecco. Ma non gliel'avrebbe mai detto, a quella svitata,
neanche dopo tutti quegli anni, altrimenti l'avrebbe persa definitivamente, ed
era l'ultima cosa che voleva: Hime Sakuragi in brodo di giuggiole non era mai
un bello spettacolo.
Sana abbassò lo sguardo
sul suo bicchiere, quasi del tutto vuoto. Aveva già prosciugato quel bicchierone?
Doveva darsi una calmata, accidenti! «Dunque, tu... ecco, tu non sai perché ho
voluto parlarti faccia a faccia, vero?».
«Dovrei?».
«Non so... insomma,
vorrei chiederti una cosa, tra tante... ecco... com'è tuo padre?».
Kaede fu preso in
contropiede. Non si aspettava certo una domanda come quella! «Pazzo». Notò
l'espressione perplessa di lei e sospirò. «Una brava persona».
La barista giochicchiò
con il bicchiere, non del tutto soddisfatta. Non che si aspettasse una
biografia completa e dettagliata su vita e miracoli del signor Rukawa, ma
almeno una parolina in più, accidenti... così le rendeva la cosa anche più
imbarazzante di quanto già non fosse. «Beh, tutto qui?».
Il Volpino si poggiò
contro lo schienale, scrutandola in silenzio. Che razza di domande gli faceva?
Voleva sapere com'era un padre, dato che lei non ne aveva mai avuto uno? Perché
non voleva essere impreparata quando quell'uomo che aveva abbandonato sia lei
che la madre sarebbe tornato a casa? O c'era dell'altro? Proprio non capiva.
Sana prese un bel
respiro, decidendo di smuovere un po' la discussione - se di discussione si
poteva parlare, visti i proverbiali monosillabi di lui. «Dovrei darti delle
spiegazioni, quindi... vediamo se riesco a mettere in ordine le cose».
«Sarebbe il caso, sì», disse
Kaede, incrociando le braccia e osservando lo zio di Sendoh che rideva come una
Iena, proprio come il nipote.
«Ecco, ricordi che ti
avevo parlato di mio padre, no? Beh, l'altro pomeriggio abbiamo trascorso
un'oretta insieme e, cavolo, devo dire che dopo un po' di timidezza è stato
come parlare con un vecchio amico. Ma non è questo che voglio dirti». Ridacchiò
nervosamente appena Kaede sollevò un sopracciglio, attendendo impaziente che
arrivasse al punto. «Dunque, il fatto è che ho scoperto come si chiama, il che
è assurdo che non conoscessi il suo nome fino a pochi giorni fa».
«E che c'entro io?».
La barista si mordicchiò
il labbro. «Si chiama Kiichi...».
Lui corrugò
impercettibilmente la fronte. Che devo
dirle? Complimenti per il bel nome?!
«Kiichi Rukawa. È il
fratello di tuo padre... per quello ti ho chiesto com'era lui, per sapere se ci
sono somiglianze o no. Ti ho sconvolto?».
Direi di sì. «Hn». Kaede si passò
una mano tra la frangetta nera, socchiudendo gli occhi e pensando a quella
nuova scoperta. Ricordava che suo padre gli avesse raccontato, un giorno, di
avere un fratello, ma non gli aveva mai detto cosa facesse nella vita o che
fine avesse fatto. Kaede era cresciuto senza conoscerlo e aveva vissuto
tranquillamente senza ulteriori domande; non gli importava poi molto di un
parente che, se non era ancora morto, neanche passava a trovare suo nipote.
Tornò a guardare il signor Watanabe e per un momento pensò a quell'idiota di
Sendoh: lo aveva visto poche volte in compagnia di suo zio, ma ogni volta sembrava
che fosse con suo padre. Chissà se anche suo zio era un uomo socievole e
simpatico come il suo chihi**?
«...Rukawa? Mi hai
sentita?», disse Sana, chinandosi per osservarlo meglio e attirare la sua
attenzione. «Ho detto che, se due più due fa quattro, allora siamo cugini».
«Ma no?». Kaede si
morsicò la lingua per la risposta eccessivamente sarcastica, ma lei non sembrò
prendersela. Anzi, rise. «E ora che hai?».
«Niente, niente», agitò
le mani, con un sorriso delizioso sulle labbra. Finalmente qualcosa di sincero!
«È che ti ho dato una notizia che chiunque avrebbe preso con stupore, ma tu non
hai fatto una piega!».
«E che devo fare?».
Sanako scoppiò a ridere
ancora una volta e lui pensò seriamente che quella ragazzina dovesse avere
qualche rotella fuori posto.
«Non sei stranito?
Voglio dire, siamo parenti!».
Aspetta, eh, ora mi concentro e faccio l'espressione stupita. «Com’è piccolo il
mondo».
«Sì, lo è davvero»,
annuì lei. «Comunque son contenta di avere un cugino come te. Voglio dire, chi
l'avrebbe mai detto? Il ragazzo della terrazza è mio cugino! È eccitante, non
trovi?».
Kaede si strinse nelle spalle.
«È strano, più che altro». Un po' come te.
Voltò lo sguardo distrattamente, appena si accorse di tre persone che fecero il
loro colossale ingresso al bar. Vide prima la testa rossa di Hanamichi che
sbraitava qualcosa alla volta di Yoehi Mito, l'unico ragazzo dell'Armata che
potesse ritenersi normale - almeno, nella norma, ecco - e poi lei, che richiuse
la porta, mentre rideva come un'esaltata.
«Quando si è messo a
strillare come un pescivendolo che la sua lezione non era l'ora dello spuntino
ho temuto gli scoppiasse qualche vena», stava dicendo Yoehi.
«Ohi, io stavo morendo
dalla fame!», si difese subito Hanamichi. «L'hai sentito anche tu il mio stomaco
brontolare, no?».
«Hana, credo che l'abbia
sentito tutta la classe», disse ridendo Hime, dandogli un bacino. Fu
l'esclamazione del fratello a farla saltare dallo spavento.
«E tu che cosa ci fai
qui?!», gridò infatti il rossino, indicando Kaede. «E in compagnia di Nacchan, tra l'altro!».
Hime rimase inebetita
davanti a quella vista. Kaede insieme a una ragazza che non fosse lei o Ayako?
Per di più soli? Dunque non si sbagliava quando pensava che fosse interessato a
Sana... ed era ricambiato, per giunta. Indi per cui Ayako aveva totalmente
cannato le sue supposizioni. Oh, insomma!
Dovresti essere felice per loro, stupida! «Ede, Sana! Che sorpresa!».
«Vi ricordo che lei ci
lavora, qui», fece saggiamente notare Mito, afferrando per il polso Hanamichi,
già partito in quarta con l'intenzione di sedersi con loro e non schiodarsi più
finché non avesse scoperto di che parlavano. «Mi sembra di capire che vogliano
rimanere soli, no?».
«Soli?! Io non la lascio
Nacchan in balia di un Volpino surgelato!», esclamò
Hanamichi, mentre Kaede lanciava un l'ennesimo vaffa nell'aria.
«Ma no, tranquilli!
Potete unirvi a noi, nessun problema!», fece Sana, sorridendo ed alzandosi per
prendere le ordinazioni.
Kaede lanciò un'occhiata
all'amica, che si era stranamente ammutolita. Ultimamente, aveva notato, si
stava comportando in modo bizzarro. Evidentemente era l'influenza della Scimmia
che frequentava a guastarla - non bastava, infatti, suo fratello! Ma non poteva
negare, almeno a sé stesso, che quei suoi strani modi lo insospettivano e lo
preoccupavano.
Hime gli sorrise,
sedendosi accanto a lui. «Allora, abbiamo interrotto qualcosa?», gli chiese,
con tono malizioso ma, se ne accorse anche lei, non troppo convinto.
«Un'interessantissima
discussione sulla dicotomia tra bene e male».
Dopo qualche secondo di
silenzio, le due ragazze scoppiarono a ridere; Hanamichi, più che altro, sembrò
perplesso. «Dì un po', Kit, ultimamente stai leggendo il dizionario per
imparare una nuova parola al giorno?».
«Do'aho, si chiama "cultura".
Cercalo sul dizionario».
Sana sorrise al
battibecco dei due e riuscì a prendere le ordinazioni solo dopo che ebbero
finito di scannarsi - nel frattempo aveva intavolato una piacevole discussione
con Mito sulla musica, dicendole che le avrebbe prestato dei dischi che le
sarebbero piaciuti - poco importava se questi dischi erano di Kiyota, che li
aveva prestati al suo amico... al massimo avrebbe assistito all'ennesimo
delirio tra scimmie, ormai ci stava facendo l'abitudine.
«Ehi, Hicchan, tutto
bene?», chiese preoccupato Hanamichi, vedendola con lo sguardo perso in chissà
cosa.
No, non va bene per niente, Hana, ma mica posso dirtelo ora.
«Certo,
perché? Stavo pensando che stanotte potremmo chiedere a Nobu e Arimi di venire
a cena, che dici?».
Bugiarda, pensò Kaede, osservando i tre parlottare sull'eventualità.
La conosceva troppo bene per capire quando mentiva o meno. E Hime, per quanto
brava fosse, quella volta non era riuscita nella recitazione.
«A proposito della
Scimmia, dov'è finito?».
Hime poggiò il viso sul
dorso delle mani. «Agli allenamenti».
«Certo che potevi
trovartelo più vicino, il ragazzo, Hime», disse Yoehi. «Vi vedete poco e niente
tra gli impegni tuoi e suoi».
Lei fece una smorfia,
rattristandosi. «Non girare il coltello nella piaga, disgraziato!».
«Ecco, perché non lo
molli? Così non mi ritrovo la casa infestata di pulci!».
«Tu non devi parlare, ho
visto come ti guarda Arimi e come guardi lei!».
Hanamichi cadde dalle
nuvole, e fece anche un bel capitombolo, data l'espressione completamente
rincretinita. «E come ci guardiamo?!».
Yoehi scosse il capo
mestamente. «Amico mio, tu sei troppo addormentato per certe cose».
«O troppo preso a pensare
ad altro per accorgersene», commentò Hime, chiaramente riferita alla Babbuina,
come chiamava lei la Akagi.
Hanamichi, rosso come i
suoi capelli, s'inalberò subito. «Qualcuno mi spiega perché ora stiamo parlando
di come ci guardiamo io e Ari-chan, quando prima
stavamo parlando di Hicchan e la Nobu-scimmia?!».
«Argomento esaltante»,
frecciò Kaede, sbuffando. Ricambiò l'occhiata di Hime, ma non riuscì a
decifrarla. Accidenti a lei, che diavolo le stava prendendo? Era e rimaneva
sempre il solito narcolettico Rukawa che non vedeva altro davanti al suo naso
se non il cuscino e il canestro, non poteva capirla sempre al volo, eccheccavolo!
Sanako tornò con le loro
ordinazioni e Hanamichi le chiese di rimanere con loro per due chiacchiere in
compagnia.
«Piaciuta la partita?»,
chiese Hime, bevendo il suo beneamato the verde.
«Oh sì, all'inizio non
capivo tanto, ma Yoehi è stato così gentile da farmi il corso accelerato di
basket», rispose la barista, sorridendo imbarazzata alla volta del ragazzo.
«È un'ottima allieva»,
disse lui, scherzoso. «Fa anche domande intelligenti!».
«Ohi!», esclamò Sana,
tirandogli una lieve spinta che lo fece ridere.
«Magari, se ti capitasse
di venire agli allenamenti, potrei insegnarti qualche tiro», disse pensieroso Hanamichi,
accarezzandosi il mento con fare distratto. «Yoehi saprà anche la teoria, ma in
quanto a pratica sono un genio! Ahaha!».
Il diretto interessato
alzò gli occhi al cielo, tra le risate delle due ragazze e il "Che esaltato" di Rukawa. Era
inutile, se il rossino non riusciva a proclamare la sua genialità almeno una
ventina di volte al giorno stava male, era l'unica spiegazione plausibile. Un
po' come quando Takamiya non faceva la scorta di schifezze e porcherie varie a
tutte le ore, piagnucolando che sarebbe morto di fame se non avesse mangiato
quello squisito panino stra-imbottito.
«Non saprei se nella
pratica sarei così brillante come nella teoria, Hana-kun!»,
disse la ragazza, scostandosi la frangetta dagli occhi. «Sono parecchio negata
negli sport».
«Anche lui», disse
subito Kaede, indicando con un cenno del capo il suo miglior nemico che,
giustamente, iniziò a fumare come una pentola a pressione.
Rimasero al bar per
un'altra mezzora buona, tra le sole chiacchiere di Hanamichi, Yoehi e Sana, e
lo strano mutismo dei due migliori amici - o meglio, di Hime, dato che non era
una novità per Kaede non spiccicar verbo. Per non parlare delle strane occhiate
che, si accorse Sana, quei due si stavano lanciando. Non seppe dire se fossero
di irritazione o di due ragazzi troppo timidi per dire o fare qualcosa; se non
avesse saputo che Hime era fidanzata con quel Kiyota, avrebbe detto che fosse
segretamente innamorata di Kaede. Che i due avessero litigato? No, non era
possibile... poco prima la ragazza sembrava tranquilla, e anche lui; o almeno
così le era parso. Allora cosa poteva essere accaduto? Non che fossero fatti
suoi, lo sapeva bene, ma quei due l'avevano sempre incuriosita dal primo
momento che li aveva visti insieme.
«Ehi, Nacchan, dì un po': ho visto che eri insieme alla bionda
che deve uscire con Mitchi, ieri», disse Hanamichi, avido d'informazioni. «Che
mi sai dire?».
«Hanamichi, sembri una pettegola.»,
lo ammonì Yoehi, sorridendo.
«Che c'è? Devo sapere
tutto se voglio vendicarmi delle volte che mi ha sfottuto, quel maledetto!»,
esclamò il rossino. «Pensa tu se lo scaricasse! Ahaha!».
«Devo ricordarti il tuo
mirabile record?».
Hanamichi s'avvolse
delle fiamme dell'inferno e il suo amico rischiò seriamente di essere colpito
da una delle sue micidiali testate che gli avrebbero fatto passare tutta la voglia
di prenderlo per i fondelli; fortuna sua che Sana s'intromise provvidenzialmente
tra i due, ridacchiando nervosamente e temendo di dover ripulire il pavimento
dal sangue - cosa che avrebbe fatto fare a qualcun altro, data la sua tremenda
fobia.
Il gruppo di amici levò
le tende poco dopo e, insieme, presero la via di casa.
«Ehi Kit, ci degnerai
della tua presenza, stanotte?», chiese Hanamichi, guardando sbiecamente il suo
compagno di squadra.
«E stare con te e
l'altro buffone? Scordatelo».
«Bene, perfetto!»,
sbraitò il rossino, offeso. «Perfetto!».
«Do'aho, guarda che ho
sentito».
Hime sbuffò, stringendosi
nella giacca a vento dallo strambo colore verde acceso, che faceva risaltare
tantissimo i suoi capelli rossi come il fuoco. Forse era meglio così, che Kaede
se ne stesse a casa sua, per quella sera. Voleva pensare solo a Nobunaga e non
dover rischiare di perdersi in pensieri che non la riguardavano. Sì, forse era
meglio così.
«Ehi, Rossa, non me la
racconti giusta», le disse Yoehi, avvicinandosi, mentre alle loro spalle
scoppiava l'Inferno. «Ti vedo strana da un po' di tempo a questa parte».
Lei alzò gli occhi al
cielo, che ormai stava scurendo, e sbuffò ancora. «Non lo so, Yoehi, non lo so
davvero. Non sono fatta per pensare».
«Oh, questo lo sapevo da
tempo!». Schivò all'ultimo momento un calcio che l'avrebbe preso sul suo bel
fondoschiena e ridacchiò. «Fammi tirare ad indovinare».
«Non mi pare di avertelo
chiesto!», protestò lei, ben conscia che quel ragazzo avrebbe azzeccato cosa le
passava per la mente.
«Tu sei gelosa di Rukawa»,
sussurrò lui, per non farsi sentire dagli altri due, che comunque non davano
segni d'interesse, troppo occupati a battibeccare come vecchie bisbetiche.
Se avesse avuto la
possibilità di specchiarsi, Hime avrebbe potuto notare tutte le tonalità dal
rosso al viola che colorarono il suo viso. Accidenti,
accidenti! «Io? Gelosa di lui?! Ah! Ma non farmi ridere!».
«Neghi l'evidenza?»
Yoehi sorrise quando la vide voltare lo sguardo. «Avanti, Hime, non prendiamoci
in giro».
«Non sono gelosa», disse
lei, stringendo le labbra. «Voglio dire... ho solo paura che si allontani
troppo. Ho paura che... che mi rimpiazzi, che trovi una ragazza più importante
di me e che si dimentichi di me, di noi».
«Quindi sei gelosa!».
Hime lo spintonò via, le
guance che le andavano letteralmente in fiamme. Era veramente gelosa e si
sentiva un'egoista, una stupidissima egoista. Come poteva solo sperare che
Kaede non trovasse una ragazza che avrebbe riempito il suo cuore, prima o poi?
Come poteva sperare che potesse rimanere sempre lei l'unica nella sua vita?
Cos'era lei se non solo un'amica? «Un'amica dovrebbe essere felice per lui, che
razza di persona sono?», mormorò, sentendo gli occhi pizzicarle. «Oh, quanto
sono stupida!».
Yoehi le circondò le
spalle con un braccio, stringendosela contro. «Non sei stupida. Tu... gli vuoi
bene, è normale». Cambiò totalmente rotta all'ultimo momento, Yoehi. Stava per
dire qualcosa di estremamente sbagliato e Hime era già abbastanza confusa di
suo per rischiare di darle il colpo di grazia. Aveva visto nascere e crescere
la loro amicizia, sapeva bene quale tipo di legame unisse i due, e sapeva
riconoscere i comportamenti di due amici... e quelli di due che si amavano.
Quando aveva saputo che Hime aveva iniziato a frequentare Kiyota era rimasto
parecchio perplesso, ma non aveva osato ribattere; tutto sommato era ben felice
che la sua amica avesse trovato qualcuno che sembrasse fare per lei,
soprattutto uno che non parlava a monosillabi e che avrebbe potuto dimostrarle
dell'affetto senza che si vergognasse di farlo davanti al mondo. Ma conosceva
la ragazza e conosceva anche Kaede per sapere che presto o tardi le cose
sarebbero cambiate. «Su, tranquilla.», le disse, sorridendo. «E poi, se vuoi
saperla tutta, Sanako non mi è sembrata molto interessata a lui».
Lei si asciugò le
lacrime, ridendo poi per il suo comportamento. «Dici?». Al cenno affermativo
dell'amico lei fece una smorfia divertita. «Sei un bugiardo. Ma ti ringrazio».
Yoehi le diede un
leggero bacio tra i capelli e pensò che Sana non fosse veramente interessata a
Kaede. Durante la partita non aveva tolto gli occhi di dosso a Sendoh, tra una
chiacchiera e l'altra, cosa che, per altro, gli aveva dato parecchio fastidio.
Kaede li lasciò
all'incrocio successivo e Hanamichi gli lanciò tanti di quegli improperi che li
sentì finché non tornò a casa sua. Il Volpino, nonostante tutto, sarebbe
rimasto a cena dai gemelli, ma aveva ricevuto troppe novità quel giorno per
rilassarsi con le idiozie di quelle due scimmie; non che la scoperta di avere
una cugina, per di più quella Sanako, lo avesse steso, ma era pur sempre una
sorpresa per lui. Per non parlare di quella scema di Hime, che non faceva altro
se non preoccuparlo ancora di più. Aveva altro a cui pensare, il Campionato
Invernale prima di tutto, non poteva permettersi distrazioni di alcun genere;
eppure non riusciva a smettere di vedere quegli occhi castani che lo
osservavano tristemente... forse feriti?
Si richiuse la porta
alle spalle, togliendosi le scarpe e buttando il giubbotto sulla prima poltrona
disponibile. Il padre era ancora in ospedale per il suo turno e avrebbe passato
l'ennesima serata in solitudine. Sbuffò quando aprì il frigorifero e notò che
c'era ben poco da mangiare. Non aveva assolutamente voglia di andare a fare la
spesa come una casalinga. Richiuse l'elettrodomestico con un colpo secco e
decise bene di coricarsi sul divano, davanti alla tv, sperando di trovare
qualche partita interessante. Chissà cosa stavano facendo quelli lì senza di
lui?
*
«Ehi, Scimmia Rossa! Giù
le mani da mia sorella, pedofilo!».
«Cosa dovrei dire io,
maledetto?!».
«Io non ho un anno più
di Hicchan!».
«E che diavolo c'entra?
E poi Ari-chan è ben felice di farsi truccare da me!».
«Ben felice? Ma se
sembra un panda!».
«Ah beh, parla quello
che sa truccarsi, travestito!».
«Ho perso una
maledettissima scommessa, idiota!».
Arimi e Hime si guardarono
mestamente, non sapendo bene se ridere per come si stavano conciando o
preoccuparsi per l'incolumità dei loro fratelli. La geniale idea era nata dalla
mente contorta di Yoehi, che zitto zitto, se ne stava
in un angolo a ridere come un deficiente; avevano iniziato a parlare di
Halloween, che sarebbe stato il giorno dopo, ed era partita la sfida della
maschera migliore tra i due deficienti di turno.
No, forse Kaede non si
stava perdendo niente. Decisamente.
Continua...
* * *
*dorayaki, è un dolce formato da
due pankake simili al nostro pan di spagna (kasutera) e riempito con l'anko,
una salsa di fagioli di azuki.
**chihi, in giapponese "padre", quando ci si riferisce al
proprio parente.
E dopo neanche troppo tempo di attesa ecco il nuovo
capitolo! Ho messo un altro po' di carne al fuoco, le cose iniziano a
delinearsi meglio... spero di non aver deluso nessuna delle vostre aspettative.
:)
Sono reduce da una settimana distruttiva passata a stare
dietro ad una comitiva di tedeschi con altri colleghi e non ho la testa per
rispondere con dettaglio a tutte come faccio sempre. Risponderò a grandi linee
alle domande più interessanti ;) Prima di tutto voglio ringraziarvi per i
vostri splendidi commenti - Umbriel, The White
Lotus23 e Liricchan -, è sempre una gioia sapere
che vi diverto e soprattutto che i personaggi siano IC! *O*
Per la possibilità di vedere Sana e Kaede insieme è vero,
legalmente è possibile, e li vedrei anche come coppia... Insomma, lei è
veramente un'imbranata mentre lui è impeccabile in tutto! Lo scopriremo
vivendo, però; ho un piano da quando ho iniziato a scrivere Wild Boys e credo che continuerò a seguirlo! Anche
perché ho in programma di scrivere anche l'ultimo capitolo di questa
"saga", quindi le sorprese non finiranno qui. ;)
Comunque adoro il basket e scrivere alcuni passaggi delle
partite o degli allenamenti è veramente divertente, per niente noioso: l'unico
problema è che il basket è uno sport entusiasmante da vedere e ho sempre paura
di non rendergli giustizia con le parole, quindi cerco di non esagerare troppo.
:D
Perdono ancora se non ho risposto a tutte, ma son veramente
troppo stanca. Dal prossimo capitolo torno carica come prima! *O*
Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questo
delirio tra preferiti, seguite e ricordate! Vi adoro!
Un abbraccio enorme!
Marta.
PS: ho aperto un account
di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti
e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. J