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Autore: Cara_Sconosciuta    25/10/2010    0 recensioni
I morti di Spoon River tornano a parlare con la voce del più famoso di loro, il violinista Jones, e le parole magiche e poetiche di Fabrizio De André, portate su carta dalle penne di due (reali) innamorati.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccoci con la seconda parte del primo capitolo!!!

Saranno quattro in totale,sì sì. E lo so che questo è più un libro, che un primo capitolo, ma amen, ce ne faremo tutti una ragione... tranne forse Jones, che ne avrà anche pieni i cosiddetti di girare tra le tombe J

Ma passiamo ai grazie, che il caro Dr.Bailey si è categoricamente rifiutato di fare, dichiarandosi un totale incapace nelle relazioni pubbliche.

 

Aya Lawlieth

Beh, credo che la figura di Jones abbia un po’colpito tutti, e non solo al primo ascolto. La equiparo, come fascino, solamente alla prostituta e alla bambina di “Via del campo”, altre due figure senza dubbio altrettanto immortali. Jones è meraviglioso. Ha la frivolezza di una Bocca di Rosa e la consapevolezza di avere una vita piena e bellissima. Lo adoro, semplicemente. Spero che i personaggi femminili ti abbiano soddisfatto altrettanto e ci tengo molto a conoscere il tuo parere anche su questo capitolo, soprattutto perché la prima volta che scrivo su un cantante diverso dai miei superfavolosissimi Pooh.

 

Maggie

Ciao bellissima! Quanto tempo!!!

Beh, intanto sono felice che le mie storie ti commuovano e ti ringrazio per il complimento anche a nome di quello là *indica Bailey*.

La bellezza nei testi di De Andrè è innegabile... è la bellezza delle cose semplici, quella che colpisce al cuore. Ti consiglio, se non ce l’hai, di acquistare la vera “Antologia di Spoon River”, di Edgar Lee Masters. Le poesie dei defunti regalano una vita che nemmeno si può immaginare.

 

E ora vi lasciamo alle donnine della collina!!!

A presto!

Temperance

 

-La Collina-

 

Dove solo Ella e Kate

Morte entrambe per errore,

una di aborto, l’altra d’amore...

 

La neve scendeva copiosa nella notte che, placida, calava su Spoon River, portando con sé il dolce sonno che cullava i bambini della piccola città, sussurrando loro sogni che nemmeno il più grande scrittore sarebbe stato in grado di partorire.

Quella notte, però, solo gli infanti dormivano.

I due angeli vestiti di bianco bussarono alla porta e l’uomo aprì in fretta e furia.

Di corsa li condusse poi al piano di sopra, nella stanza della donna.

Dolore.

Dolore immenso.

E le urla ruppero il silenzio.

Kate aveva conosciuto Elmer molti anni prima, ormai, quando lei studiava il college e lui assisteva suo padre nella bottega di calzolaio poco lontano dalla scuola.

Si videro, quella lontana mattina di settembre, e da allora non si lasciarono più.

Lui amava il suo sguardo dolce, la sua pelle chiara, i capelli castani e i suoi grandi occhi azzurri come quel mare che lui, Elm, come lei amava chiamarlo, non aveva mai visto.

Mai, fino a quel giorno, quando il mare prese ad essere sempre sotto il suo sguardo, negli occhi brillanti di Kate.

Si amavano, dunque, l’uno era il bisogno dell’altra e la sua felicità.

La bianca chiesa fu addobbata in una tiepida mattina di marzo, pronta ad accogliere tra le sue mura la gioia di una neonata famiglia e tutto l’amore di quel due giovani tanto impazienti che neppure erano in grado di aspettare che il prete terminasse la formula di rito.

Lo interruppero, infatti, prima Elmer e poi Kate, con un euforico “lo voglio”, tanto vivace da essere quasi urlato.

Il loro piccolo mondo, Spoon River, ben conosceva il loro amore e tante furono le congratulazioni degli abitanti.

Vennero le calde giornate d’estate e gli autunni che colorarono le giornate di tinte meravigliose e poi ancora le sere d’inverno, sulle labbra l’ultimo baffo della cioccolata, preparata dalle piccole, sapienti mani di Kate.

E poi le primavere e di nuovo le estati...

Passarono così gli anni e la coppia si ritrovò all’improvviso troppo sola, senza un figlio, un erede sempre desiderato ma mai avuto.

Il grande amore lasciò così il posto ad un’altrettanto immensa tristezza, fino a che...

Nausea.

Stanchezza.

La visita annuale dal dottore del villaggio non era mai stata così bella per Kate.

Lui o lei c’era, era lì!

Mese dopo mese contrazioni e nausea crescevano, così come cresceva l’amore di Kate per la sua creatura che, sentiva, sarebbe stata femmina e avrebbe avuto nome Ella.

Era un cognome breve che ben si abbinava con le tre lettere che Elmer aveva, suo malgrado, per cognome.

E poi venne quella notte.

Erano le undici e solo le urla di Kate rompevano il silenzio che l’inverno

portato su Spoon River, illuminata da una sola, piccola luce.

La stanza, preparata per il parto, accoglieva una piccola donna dalla testa mora che, negli otto mesi precedenti aveva avuto in sé tutto l’amore e le attenzioni di una novella madre e che ora era lacerata da null’altro che un dolore terribilmente intenso.

Il medico e l’infermiera la incitarono a spingere.

Grida.

Il piccolo corpo uscì, viola.

Non un accenno di pianto.

Non un respiro, nonostante la lunga e delicata rianimazione operata dalle grandi mani del medico, mentre la povera infermiera si affaccendava a tamponare il sangue, che sembrava non voler smettere di traboccare dal ventre materno.

Il pianto di Elmer svegliò, straziandole, tutte le anime di Spoon River e poi fu solo il silenzio, gravido della morte di Ella e di Kate, a ricoprire come una cappa la piccola città.

 

Quella notte, pensò Jones, forse anche il buon Dio aveva avuto troppo freddo per infondere un alito di vita nei corpi di una madre e di una figlia, morte per un tragico errore.

Non sapeva cosa lo avesse richiamato vicino alle tombe della famiglia Lee... forse era stato quel pianto, quella voce bambina che la Terra mai aveva potuto udire.

“Riposa in pace, piccola Ella. Non sempre questo mondo vale la pena d’esser vissuto.”

E piano, in rispettoso silenzio, l’uomo prese il violino tra le braccia, cullandolo come un neonato, e si avviò verso il settore di cimitero riservato alle donne, angeli più fragili e belli di quel piccolo e stravagante aldilà.

 

E Maggie uccisa in un bordello

Dalle carezze di un animale

Edith consumata da uno strano male

 

Le croci erano bianche e grigie, tutte in fila, una foto alla base di ognuna.

Volti di donne, vecchie e bambine o nel fiore degli anni, tutte accomunate dal bianco e nero che, nella morte, si era sostituito al rosa delle loro guance e all’oro dei lunghi capelli.

Due tombe sole, tra tutte le altre, erano prive di fotografia.

Due tombe che urlavano più delle altre, per far sentire la loro anonima presenza in quel mare di occhi troppo vivi per un cimitero.

Gridavano, con due voci limpide e cristalline, storie di sesso e paura, così come d’amore e speranza, ma soprattutto urlavano al mondo il loro profondo, insanabile odio per il sesso maschile, accozzaglia di senza cervello che le aveva condotte alla morte.

 

Il bordello era un alto palazzo dalle pareti di un giallo troppo sporco per essere ancora riconosciuto come tale.

Edith ci era nata, nel bordello e ci aveva passato tutta la vita, ringraziando il cielo in ogni momento di non essere una di quelle sventurate, costrette a fare il suo stesso mestiere nel freddo grigiore delle strade di città più grandi.

Aveva passato lì tutta la sua vita, Edith, e c’era anche quando Maggie era morta.

Che poi, a ben pensarci, la morte di Maggie era stato proprio l’inizio della fine, per lei.

Non erano mai state amiche, lei e Maggie, e nemmeno si erano mai odiate.

Vivevano, come tutte le colleghe, in una sorta di benevola reciproca ignoranza, eppure Edith in cuor suo odiava la compagna.

La odiava perché Maggie era amata e lo sapeva bene.

Amata dal giovane postino Tom, uno degli uomini in assoluto più avvenenti dell’intera Spoon River.

E che faceva, la disgraziata? Fingeva deliberatamente di non essere interessata a lui, quando invece i suoi occhi lo divoravano ogni volta che passava di lì.

Avrebbe voluto prenderla per le spalle e gridarle in faccia che era una stupida, che non era vero che una prostituta non poteva amare.

Lei lo avrebbe fatto.

Lei sarebbe saltata su quella bicicletta, pronta a farsi una nuova vita, una vita degna di tale nome.

Ogni tanto la seguiva, quando alla sera usciva sulla strada ad aspettare che Tom passasse, ad aspettare che lui la guardasse per poi giare gli occhi dall’altra parte, in ostentazione di una fintissima indifferenza.

Lui, dalla bicicletta, non poteva vedere il rossore delle sue guance.

L’aveva seguita anche quella sera e aveva visto tutto.

Aveva visto Bert, quel rozzo ubriacone, chiederle una prestazione gratuita, aveva visto lei rifiutare e aveva visto le sue pupille ruotare velocemente alla ricerca di Tom.

Tom che non arrivava.

Aveva visto le mani di Bert lasciar cadere la bottiglia e stringersi saldamente intorno al suo collo latteo, reso rosato dalla luce del sole al tramonto.

Avrebbe voluto aiutarla, ma sapeva fin troppo bene che sarebbe morta anche lei.

E poi Tom arrivò.

Arrivò quando la vita già era defluita dalle sue guance e tutto ciò che riuscì a fare fu levarla anche a Bert, la vita, per poi consegnarsi, inerme, ai poliziotti.

Edith aveva scosso la testa ed era tornata al piano di sopra, certa più che mai che il mondo sarebbe stato un posto migliore, senza uomini.

La morte di Maggie le era parsa una terribile crudeltà, certo, ma non aveva pensato alle conseguenze.

Una ragazza in meno significava, infatti, più lavoro per le altre e lei non poteva sopportare più lavoro del normale.

Già da tempo, infatti, era colta sempre più spesso da una singolare stanchezza e il pallore della sua pelle era aumentato all’inverosimile, rendendola quasi trasparente.

Una pelle estremamente chiara, però, era vista molto di buon occhio dai rozzi coloni di Spoon River, che avevano iniziato a richiedere sovente la piccola bambola di porcellana.

Le dicevano che sembravano una principessa, si diceva fosse figlia di nobili europei caduti in rovina.

E lei... lei avrebbe voluto gridare a tutti quanti che sua madre era una prostituta venuta da New Amsterdam e di suo padre nemmeno conosceva il nome.

Voleva solo dormire, Edith dal volto candido, dormire e svegliarsi in un altro luogo e in un altro tempo, lontana da quel piccolo mondo infame.

Pian piano iniziò ad invidiare la sorte di Maggie, morta in modo così rapido e così indolore, vegliata dagli occhi tristi di un uomo che l’amava.

Le sarebbe piaciuto essere amata, anche solo una volta, anche solo un minuto.

Ma l’unico suo amante sembrava essere quel morbo inspiegabile che le attanagliava le membra e l’anima.

Si sentì mancare all’improvviso, tra le braccia di un cliente più gentile degli altri, un giovane con la camicia bianca e i capelli pettinati di lato che la trattava come una donna e non come un oggetto.

Le piaceva, quel giovane, e si era aggrappata a lui con tutte le sue misere forze, ma la morte era più potente anche delle braccia di un ragazzo in salute.

La strappò via da quel letto piano piano, lasciandole il tempo di posare una volta sola le labbra su quelle di lui.

In lontananza, suonava un violino.

 

Jones si allontanò con un gesto brusco.

Non era d’accordo con quegli spettri, non tutti gli uomini erano così, non tutti.

Non lui.

Lui si divertiva con le donne, ma non le aveva mai toccate con troppa violenza o insistenza. Lui era... era un brav’uomo, dopotutto.

Con quella certezza in cuore, per lui tanto stravagante, il violinista si avvicinò all’unica altra tomba che, da lontano, lo chiamava con voce adirata, ansiosa di raccontare la sua storia.

 

E Lizzie che inseguì la vita

Lontano e dall’Inghilterra

Fu riportata in questo palmo di terrra.

 

Mentre si appropinquava alla lapide di lussuoso, pallido marmo, a Jones parve di udire, in lontananza, il suono aggraziato e costante delle onde che si adagiano sul bagnasciuga.

 

Solo il fischio del piroscafo la destò, quella cupa mattina d’autunno.

Nemmeno il mare in burrasca aveva impedito al sonno di impossessarsi di lei, una ragazza troppo giovane per trovarsi in una striminzita cuccetta piena di uomini che, malvolentieri, facevano ritorno alla terra che aveva, anni prima, dato loro i natali e che, odiosa, pareva divertirsi a ripudiare i suoi figli, cacciandoli senza pietà verso luoghi lontani.

Per Lizzie, invece, non era così.

Su quella nave lei era salita per scappare da un altro mondo, un mondo creato, per ironia della sorte, proprio da coloro grazie ai quali aveva visto la luce e che le stava troppo, troppo stretto.

Era un universo, il suo, fatto quasi unicamente di oppressione e traboccante delle rigide regole familiari che il padre, primo cittadino di Spoon River, aveva imposto a tutti gli abitanti della casa ancor prima che lei nascesse.

Ma ora lei era lì, nel grande porto che segnava l’inizio della sua nuova vita nella grande e gloriosa Inghilterra.

Non fu certo il fumo delle fabbriche, unito a freddo e grigiore del cielo, a spegnere l’entusiasmo della giovane, che si affrettò a scendere dalla Glorious Lily, trascinandosi appresso l’unica, insignificante valigia di cuoio scuro, contenente pochi vestiti segnati dal tempo.

Il porto, però, non si rivelò essere l’amico tanto cercato e non l’Inghilterra una madre ritrovata, bensì una perfida aguzzina che si dilettò a far sprofondare la poverina e tutti i suoi sogni nella gelida umidità di un marciapiede e nell’altrettanto glaciale indifferenza dei passanti.

Neve.

I glauchi occhi di bambina si chiusero.

E poi più nulla.

Morì così, dolcemente, tra i suoni della città ovattati dal candido manto di neve che, discreto, prese a posarsi su quel gracile corpo ormai irrimediabilmente segnato da impietosi giorni di stenti.

Forse nemmeno si rese conto che i suoi occhi, chiusisi su quella bianca sera londinese, non si sarebbero aperti mai più.

Piccola e innocente, si addormentò e per la prima volta sognò la sua terra.

Sognò Spoon River e la sua famiglia.

Sognò suo padre.

Non aveva il suo tipico sguardo di austera nobiltà, no... questa volta il suo volto era trafitto da lame di dolore e le lacrime avevano persino bagnato l’abito a lutto di preziosa seta nera.

Sentì la madre singhiozzare.

Singhiozzi rotti solo da un Requiem Eternae, intonato dal coro di quella chiesa che non si era resa conto le mancasse tanto.

Vide una bara di legno chiaro e, fissata ad essa, una piccola targa di ottone dorato.

Era troppo lontana per leggere le parole che vi erano incise, ma vi scorse il proprio nome e comprese.

Si sentì cullare, con amore.

 E infine il buio le prese fraternamente la mano e, insieme, andarono via, verso un luogo, forse, un poco migliore.

 

Dormono dormono sulla collina

Dormono dormono sulla collina

 

 

   
 
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