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Autore: Silvre Musgrave    26/10/2010    4 recensioni
Il XIX e il XXI secolo si incontrano quando una donna fugge dal passato, portando malvolentieri con sè il suo inseguitore. La sua sola speranza è nel più geniale detective della storia: Sherlock Holmes. Ho tenuto il titolo originale, tradotto non mi piaceva. Ad un certo punto Holmes potrà sembrare un po' OOC, ma è talmente moderato che non credo sia il caso di metterlo come avvertimento. Un ringraziamento a Silvre Musgrave per aver autorizzato la traduzione ^_^.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 21

Capitolo Ventuno: Un nuovo inizio

 

Era il marzo del 1896. Faceva freddo e i temporali erano frequenti. Quello era uno di quei giorni piovosi; gli acquazzoni erano discontinui e il cielo era scuro fin dall’alba.

Dopo il tè Holmes sedeva fumando la sua pipa e leggendo una delle sue monografie. Watson era uscito subito dopo il tè per vedere un paziente e non sarebbe tornato prima di un’ora o più.

Tanto meglio, rifletteva Holmes. Il mese di marzo aveva portato alla mente abbastanza pensieri malinconici e il tempo non stava facendo niente per migliorare il suo umore. Sentì la porta principale chiudersi sotto di lui e la voce della signora Hudson.

Holmes diede un’occhiata all’orologio – Watson era tornato prima del previsto. Forse avrebbero potuto vedere se c’era qualcosa d’interessante a teatro e andare a cena. Forse. Ritornò alla sua monografia, vagamente pensando a cos’altro aggiungere.

Sentì la porta della stanza delle consulenze aprirsi pochi minuti dopo. “Già di ritorno? Non era poi una cosa così seria come lei…” Fu a quel punto che guardò verso la porta e la voce gli si bloccò in gola.

Era lei.

Holmes poteva a malapena credere ai suoi occhi. Era un sogno? Uno scherzo, sicuramente!

Si alzò lentamente dalla sua sedia. “Signorina Andrews?” Chiese in modo sommesso.

Lei sorrise, malgrado le sue labbra tremassero. “Signor Holmes.”

Il sentire di nuovo la sua voce – non il fantasma della sua voce, ma proprio lei – fece accelerare i battiti del suo cuore. “Prego.” Disse Holmes improvvisamente, indicando il divano.

“Grazie.” Si mosse velocemente nella luce del camino. Camminava con grazie come sempre, sembrando persino più bella di quello che ricordava. Indossava un vestito blu con delle sottili righe; non lo ricordava. Si sedette stringendo in grembo una pochette mai vista prima.

Holmes tornò lentamente sulla sua sedia, non staccando mai gli occhi da lei per timore di vederla svanire. “Cosa la porta qui? Va tutto bene?”

Lei annuì vigorosamente. “Oh, si. Va tutto bene.”

“Nessun problema con Lanaghan?”

Lei scosse la testa. “No. Starà in prigione per un bel po’di tempo.”

“Ah.” Lui annuì e rimasero silenziosi per qualche momento finché la sua estrema curiosità lo spinse a ripetere piano. “Cosa l’ha portata qui?”

“Io..uhm…” Lei abbassò gli occhi e si mosse a disagio. “Sono venuta per vederla.” Si morse per un momento il labbro. “Come sta?” Chiese all’improvviso, osservando il suo viso. “E’… stato malato? Se mi scusa dirglielo, non mi sembra sia stato bene.”

Holmes non rispose subito. Lui? Era tornata per vedere lui? Perché? “…Si, ero ammalato. Ma ora mi sento meglio.” Ora che ci pensava, neanche lei sembrava particolarmente in salute. Sembrava avesse perso peso.

“Bene.” Lei sorrise annuendo.

“E’ venuta per vedere me?” Ripeté. La guardò attentamente in viso. “Dov’è la macchina del tempo?”

Fece un gesto verso il pavimento. “Di sotto con le mie cose.” Si bloccò all’improvviso.

“Le sue cose?” Quali cose? Intende il suo bagaglio?

“Si.” Deglutì e iniziò a gingillarsi con la pochette, quindi la posò per alzarsi in piedi.

Anche Holmes si alzò in piedi e guardò verso di lei che intrecciava le dita. “Signor Holmes.” Iniziò, ma non sembrava in grado di guardarlo in viso, così si voltò leggermente.

Non posso guardarlo negli occhi o non sarò in grado di dirlo senza piangere. “Sono tornata per vederla.” Ripeté. “Ho portato tutte le mie cose e la macchina del tempo, ma la distruggerò se -” Si bloccò e si morse le labbra. Non era quello che aveva pianificato di dire. Le sue parole erano uscite da sole; il suo discorso preparato sembrava essere svanito senza traccia nella sua mente.

Holmes assorbì ogni sua parola. Il discorso vorticava nel suo cervello: ‘ma la distruggerò se…’ Se cosa? Avrebbe distrutto la macchina se cosa? Se l’avesse distrutta sarebbe dovuta rimanere lì nel-

Ogni cosa intorno a lui sembrò fermarsi. Persino il suo cuore sembrò bloccarsi per un momento. Se la macchina del tempo fosse distrutta, lei sarebbe dovuta rimanere lì.

Con lui.

Era ciò che voleva? Provava dei sentimenti verso di lui? Doveva! Quale altra ragione aveva per rimanere?

“Lei…intende distruggere la macchina perché…prova dell’affetto per me?” Chiese lentamente.

Affetto? Pensò Christine. Questo è parlar chiaro. “Si.” Rispose tranquillamente.

“Ma solo se io ricambio il suo affetto.”

Le sue labbra sembravano impossibilitate a muoversi, quindi annuì soltanto.

Dopo quello che sembrava un’eternità, ma erano passati pochi secondi, sentì la sua mano sfiorarle la spalla. “Allora dovrebbe distruggerla.” La sua voce arrivò tranquilla, vicino al suo orecchio.

Lei sollevò una mano tremante verso la bocca, girandosi per guardarlo. “Signor Holmes…” Disse dolcemente, con le lacrime che si formavano negli occhi.

“Signorina Andrews…” Le sussurrò di rimando e gentilmente la prese per le spalle. Lentamente si chinò finché le loro labbra non si toccarono. La sua bocca era proprio dolce e calda come la ricordava. L’abbracciò timidamente, ma quando lei iniziò a rispondere al suo bacio, le si avvicinò, stringendola forte contro di lui. Lei timidamente portò le braccia intorno al collo, con l’unico risultato di rendere il bacio più appassionato da parte di lui.

I suoi sensi erano storditi da lei. Il suo profumo, la sensazione del suo corpo, le sue mani… Immerse le dita nei suoi capelli, facendo scivolare l’altra mano intorno alla vita, tenendola ancora stretta. Poteva sentire il suo cuore battere contro il suo. Batteva così rapidamente che era sicuro avrebbe abbandonato il suo petto.

Improvvisamente la porta di spalancò. “Oh! Chiedo perdono!” L’imbarazzata voce di scusa di Watson raggiunse le loro orecchie e si separarono velocemente.

Tutto ciò che Christine vide fu la sua mano mentre prontamente lasciava la stanza. “Dottor Watson!” Lo chiamò lei.

Ci furono dei passi veloci e la porta si aprì di nuovo. “Signorina Andrews?” Esclamò con gli occhi spalancati. Il suo viso era ancora di un rosso acceso per la sua entrata inopportuna, ma il colore iniziò a svanire in fretta.

Lei rise annuendo.

Rise anche lui, facendosi avanti e esclamando. “Buon Dio! Che cosa fa qui?”

“Io…uhm, beh…” Guardò verso il signor Holmes e arrossì leggermente.

Watson lo notò e guardò verso Holmes, ma lo sguardo del detective era altrove. Lui annuì con l’aria di chi la sa lunga. “Bene, sono molto contento di vederla!” Disse, cercando di attenuare l’atmosfera imbarazzata. Si avvicinò e le prese le mani. “Intende rimanere?”

“Si.” Disse Christine, guardando verso il signor Holmes che intercettò il suo sguardo. “Intendo rimanere.”

 

Il 6 agosto del 2008, Walter Birmingham ricevette un pacco con la posta. Era piccolo, rettangolare e leggero. Lo aprì per trovare una videocassetta.

Gli piacevano i film come chiunque altro, ma ciò che lo spinse di corsa verso il videoregistratore fu il fatto che riconobbe la scrittura come quella della figlioccia, sparita da marzo.

Spinse dentro la cassetta e velocemente si sedette sul bordo del poggiapiedi.

Ci fu un’immagine fissa e poi il viso di Christine che lo salutava.

“Ciao Walter.” Disse sorridendo. “Spero che tu sia seduto.” Parlava lentamente, con attenzione e in modo chiaro, come se volesse porre in evidenza ogni parola. “Nel momento in cui riceverai questo, la notizia della mia scomparsa dovrebbe essersi calmata in modo considerevole.” Unì le mani. “Ora, non voglio farti preoccupare. Sto bene – non sono stata rapita o cose di questo tipo – ti ho detto le stesse cose nel video con le mie disposizioni che sono sicura hai visto. Ora. Il fatto che hai visto le mie disposizioni e stia vedendo questo video conferma il fatto che sono andata via. E”, aggiunse, fermandosi. “Temo che non tornerò indietro.” Strinse le sue mani. “Non pensare neanche per un momento che è per qualcosa che hai fatto o qualcosa di relativo alla compagnia. Non è neanche per la morte di papà, come ti dicevo nell’altro video. Era una falsa dichiarazione.

Jason Lanaghan ha qualcosa a che fare con tutto questo. La notte in cui è entrato in casa è accaduto qualcosa che non ho detto a nessuno…”

Un’ora dopo, Walter sedeva fissando il viso di Christine, messo in pausa nello schermo del televisore. Sherlock Holmes e il dottor Watson? Londra vittoriana? La macchina funzionava? Erano troppe cose a cui pensare, ma fece ripartire il video e continuò a guardare.

“Quando sono tornata a lavoro, i miei sentimenti verso il signor Holmes sono diventati solo più forti. Così ho fatto in modo di fare delle ricerche sull’era vittoriana per poter tornare indietro. Ho seguito dei corsi ad Oxford, parlato con degli storici; ho ricreato bauli e valige, per non parlare dei vestiti. Ho alcune fotografie vecchie di mamma e papà che posso portare con me…” Si interruppe e strinse le mani sul grembo di nuovo. “Per favore, non pensare sia una decisione affrettata. Ci ho pensato molto a lungo e profondamente.” Guardò verso di lui tristemente. “Mi mancherai tanto Walter. Sei stato come un secondo padre per me.” Iniziò a dire qualcos’altro, ma la voce le si spezzò e sollevò un dito come a dire ‘un attimo’ e sparì dal video.

Ritornò qualche momento dopo stringendo un fazzoletto. “Questa…non è una decisione facile da prendere.” Tirò su col naso e guardò verso le sue mani. “Ma se non tornassi indietro da lui per dirgli cosa provo, non sarò più in grado di essere felice. E se stai guardando questo video, significa che anche lui mi ama e ha voluto che rimanessi.” Sorrise tra le lacrime, stringendo il fazzoletto fra le mani. “Mi piacerebbe poter parlare con te per sempre. Ma il video probabilmente finirebbe in fretta.” Rise con tono incerto. “Mi mancherai Walter.” Ripeté. “Spero tu sappia che ti voglio bene. Te ne vorrò sempre.” Si fermò per asciugarsi gli occhi, quindi fece un profondo respiro per guardarlo apertamente.

“Al museo di Sherlock Holmes c’è un’asse del pavimento allentata. E’ la quinta davanti alla porta. Metterò una chiave sotto quell’asse; so che il pavimento non è mai stato cambiato, solo rinforzato.”

Walter mise in pausa il video e rovistò nella ventiquattrore in cerca di una penna e di un pezzo di carta, quindi fece ripartire di nuovo il video.

“A Charing Cross,” Continuò Christine, “c’è un vecchio edificio che era una banca della Cox & Company. La compagnia ora è conosciuta come la Cox & Kings ed è al 30 di Millbank Street. Ho parlato con il personale e mi hanno informata che hanno salvato tutto quello che hanno potuto nel caveau durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La chiave sotto all’asse del museo appartiene ad una cassa presso la Cox & Kings. Vi metterò dentro molte cose da farti trovare.” Si fermò di nuovo e stropicciò il fazzoletto tra le mani.

Walter avrebbe detto che stava combattendo per non piangere e si ritrovò con la gola stretta.

“Ti voglio bene Walter.” Sussurrò. Quando le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance, lei si fece avanti per interrompere la registrazione.

“Ti voglio bene anch’io Christine.”

 

“Bene.” Disse Watson, guardando verso l’orologio della mensola che indicava le 22:00. “E’ tardi, è stata una lunga giornata.” Sbadigliò.

Watson sapeva mentire meravigliosamente quando voleva, rifletté Holmes. Quella non era una di quelle volte. Quello sbadiglio era uno dei più falsi che avesse mai visto. Sollevò un sopracciglio e inclinò la testa leggermente verso Watson.

Il dottore sembrò avvertire i suoi dubbi in proposito e si alzò prendendo la mano della signorina Andrews. “Buonanotte, signorina Andrews.”

“Buonanotte dottore.”

“Buonanotte Holmes.”

“Watson.”

Il dottore si avviò, chiudendo la porta dietro di lui.

Christine si voltò verso il signor Holmes che dopo averla osservata per un momento, le prese le mani e le strinse fra le sue. Lei lo tirò verso di lei, costringendolo ad alzarsi per sederle affianco.

Era finalmente riuscito ad assorbire il fatto che lei intendeva veramente restare e ora si chiedeva perché. Prova dei sentimenti per me, ma tanto da rinunciare alla sua vita? “Cosa ne sarà del futuro?” Chiese tranquillamente. “Ha abbandonato tutto per tornare qui?”

Lei abbassò lo sguardo e annuì. “Ho approntato tutte le disposizioni necessarie. Walter è il presidente della compagnia ed è circondato da uomini e donne in gamba che lavorano per lui. Ho lasciato la mia casa a Walter e a mio cugino e diviso i soldi tra la compagnia, la mia famiglia e la beneficenza. Ho tenuto alcune cose con me – sono nelle valige – ma ho lasciato il resto alla mia famiglia.”

“Cos’hai detto loro?”

“Nelle mie video-disposizioni – è qualcosa che si può registrare in una pellicola – ho detto loro di essermene andata per la morte di mio padre, e che l’esperienza di Lanaghan mi ha spinta ad un punto dove sentivo di dover iniziare da capo.”

“Loro non sanno niente della macchina del tempo?”

“No…ma ho fatto in modo che un pacco venga recapitato a Walter in agosto. A quel punto tutto il trambusto della mia sparizione si sarà calmato. Il contenuto del pacco gli dirà la verità.”

“Ha proprio pensato a tutto.”

“Si. Molte, molte volte.” Si fermò e lo fissò in viso in un modo che fece battere più forte il cuore di lui. “Dovevo tornare. Non potevo sopportare di rimanere lontana da lei troppo a lungo.”

Holmes improvvisamente di alzò dal suo posto e andò verso la scrivania.

Christine lo guardò incuriosita, sforzandosi di vedere cosa stesse facendo davanti al cassetto della scrivania. Chiuse in fretta il cassetto e ritornò stringendo con cura un fazzoletto piegato che porse a lei.

“Cos’è questo?”

“E’ suo.” Rispose lui.

Lui lo guardò con sguardo interrogativo, ma iniziò ad aprire il fazzoletto. Un lieve luccichio colpì i suoi occhi e spalancò la bocca per la sorpresa. “Il mio ciondolo! Dove l’ha-”

“L’ho trovato la sera che è andata via, sotto al divano.”

“E lo ha tenuto.”

“Ovvio.”

Gli sorrise e allacciò il ciondolo intorno al collo, contenta di sentire il familiare peso contro la sua gola ancora una volta. “Grazie.” Disse, mettendo una mano sulla sua.

All’improvviso lui la strinse con di sé, stringendola fra le braccia. “Non ha idea di quanto mi sia mancata.” Le sussurrò nell’orecchio.

“Si, ce l’ho.” Sussurrò di rimando e inclinò la testa per baciarlo.

 

Il giorno dopo, Walter andò nella city, dritto verso Baker Street. Il museo quel giorno non era aperto, ma le famiglie Andrews e Birmingham davano un importante supporto monetario ai siti storici di Londra, così il custode fece un’eccezione.

Il custode, il cui nome era Doyle (un discendente dell’editore del dottor  Watson) si ritirò nel suo ufficio e lasciò che Walter vagasse liberamente per il posto.

Il più silenziosamente possibile, Walter prese un cacciavite a testa piatta dalla tasca del cappotto e contò cinque assi davanti alla porta e lo infilò in mezzo.

Non vide niente. Ma si chinò e cercò dentro. Proprio mentre stava per rialzarsi, le sue dita toccarono qualcosa che sembrava essere di tessuto. Chiuse la mano intorno ad esso e lo sollevò in vista. Era un fazzoletto di pizzo molto vecchio e sporco. Dentro c’era qualcosa di piccolo e duro. Una chiave.

Dopo aver riposte l’asse a posto e con un veloce ringraziamento al custode, Walter corse alla macchina diretto verso il 30 di Millbank.

Era una edificio molto nuovo e di lusso. Entrò dentro e chiese assistenza per un impiegato della Cox & Kings.

“Salve signore, posso esserle d’aiuto?”

“Si. Sto cercando una cassa da cui proviene questa chiave.” Porse la chiave all’uomo che la osservò.

“Lasci che chiami il vicepresidente.” Disse. “Si occupa di tutto quello che ha a che fare con queste vecchie casse.”

Dopo aver aspettato per quello che sembrava uno spiacevole periodo di tempo, il vicepresidente arrivò per incontrarlo. “Salve signor Birmingham, sono il signor Kay.”

“Piacere di conoscerla.”

“Altrettanto. Allora, qual è la questione che ho sentito a proposito di una chiave?”

Walter la porse verso di lui.

Dopo un momento guardò verso Walter in modo strano.

“Dove l’ha trovata?”Chiese.

“L’ho trovata in casa mia.” Mentì Walter. “In un vecchio baule.”

“Infatti è una chiave molto vecchia. Antica, oserei dire. Ma credo che ci sia ancora la cassetta. Da questa parte.”

Walter fu condotto lungo alcune scale, in una serie di corridoi e attraverso molte stanze la cui unica funzione sembrava quella di deposito. L’uomo sembrava sapere dove stava andando e Walter seguiva fiducioso. Alla fine, terminato un corridoio scarsamente illuminato, l’uomo aprì un armadio e, dopo aver rovistato dentro, tirò fuori una cassa di stagno ammaccata e consumata. Sembrava che un tempo ci fosse scritto un nome, ma ora era irriconoscibile.

“Può portarla con sé.” Disse il signor Kay, guardando la scatola con curiosità. “Dal momento che ha la chiave, credo le appartenga. Stiamo cercando comunque di liberarci di queste cose.”

“Grazie.”

Quando Walter raggiunse casa sua, aspettò a malapena di portare la cassa all’interno. Prese la chiave e l’aprì, contento e stupito che il lucchetto non fosse arrugginito.

La scatola era stipata di carte ingiallite e arrotolate, molte tenute insieme con dello spago. Ne tirò fuori alcune; non riconobbe la scrittura, ma individuò le parole “Dr. John Watson” in molte di esse.

In fondo alla scatola c’era un fascio di carte, impilate accuratamente e unite con un nastro rosa. La prima aveva la scritta Walter Birmingham.

Riconobbe la scrittura di Christine, anche se raramente scriveva in corsivo. La carta era vecchia e puzzava di muffa e sembrava fosse stata scritta con una stilografica, o qualcosa di simile.

Aprì il nastro e scoprì che il fascio di carte erano una serie di brevi lettere che illustravano la vita di Christine. Erano tutte datate, dal 1895 fino ai primi anni del 1900. Cautamente prese la prima lettera, ma qualcosa volteggiò dalla pila sul pavimento e si fermò per recuperarlo.

Era una fotografia.

Il respiro di Walter si fermò e gli occhi si riempirono di lacrime quando riconobbe Christine. Aveva qualche anno in più, malgrado non fossero tanti, i capelli erano acconciati in vecchio stile, con un vestito dal collo alto. Un leggero sorriso le illuminava i lineamenti mentre era appoggiata ad una poltrona. Su di essa vi era seduto un uomo alto con i capelli neri e il naso aquilino che Walter poté assumere fosse Sherlock Holmes.

Esistevano poche preziose foto del detective, ma in quella foto Walter capì che doveva essere un uomo con una volontà di ferro. Ma sotto quella forte volontà, nel modo in cui era inclinato in direzione di Christine, capì che era stato buono con lei.

L’aveva amata ed era tutto ciò che contava.

 

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Finita. Spero proprio vi sia piaciuta :). Nel caso qualcuno di voi volesse scrivere all'autrice, posso girarle io i vostri commenti. Mi ha chiesto se potevo tradurle alcuni commenti lasciati, ma per me è una cosa un po' lunga (soprattutto vista la mia difficoltà nella traduzione in quel senso). Comunque ci proverò. Volevo anche dirvi che esiste un seguito, nel caso foste interessati, per ora fermo solo al 4 capitolo. Avevo il timore che la storia girasse intorno a Christine e Holmes, magari approfondendo la loro relazione, invece Silvre Musgrave ha fatto una cosa che ho apprezzato molto: la relazione va avanti con molta calma, visto il background e l'età diversi, con la signora Hudson che fa da chaperone e li controlla assiduamente. Anche l'indagine sembra interessante e spero non lasci la storia a metà. Questo per dirvi che vorrei pubblicare anche quello, se non mi dite che questa vi ha fatto schifo,  ma tendenzialmente aspetterei a vederla conclusa. Ringrazio tutti quelli che l'hanno seguita, magari ci rivedremo presto con una storia originale ^_^. 

Un saluto a tutti, 

Anne London.

 

  
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