3. Nel bar
Alzo
il volto dal tavolo. Sterile plexiglass sotto le mie mani in un altrettanto
poco asettico fast food. Impersonale.
Quasi
quanto lo potevamo essere noi due. Impersonali.
Alzo
lo sguardo per cercare il suo. O forse solo perché sono stanco di osservare le
mie dita troppo ossute tormentare quel pezzo di pane chimico che è il mio
pranzo.
Sì,
è solo per noia che la guardo.
È
così bella.
I
capelli rossi racchiusi in una coda morbida che le finisce mollemente sulla
spalla, alcuni ciuffi ribelli che s'attorcigliano sul collo bianco, tonico.
Otto
anni fa le prendevo quelle piccole ciocche tra le dita e giravo i suoi riccioli
in modo che la luce del sole riflessa ne infuocasse i contorni.
Era
bella, al mare. Incedeva così sinuosa tra le file di ombrelloni piantati senza
criterio alcuno, lei così sicura sulla sabbia come sul cemento. Si voltava
appena verso di me se m'attardavo a raggiungerla, un lieve sorriso a scoprirne
i denti bianchi e a nasconderle un paio di lentiggini. Il sole irradiava il suo
splendore, il mare spariva tra le onde dei suoi capelli fulvi. Non c'era
null'altro che i suoi fianchi stretti e l'aureola del suo sorriso.
«Hai
intenzione di continuare a fissarmi ancora a lungo?»
A
essere sinceri non la sto proprio fissando. Non la guardo da molto tempo ormai.
Non c'è più niente da vedere.
Ma
sono solo un ballista che mente persino a se stesso.
Sposto
lo sguardo fuori, verso la strada, verso la città. Piove.
Ne
sono felice.
Lei
odia la pioggia e questo è un motivo più che sufficiente per farmela
apprezzare.
I
suoi capelli lei amava poggiarli sul mio petto, metteva la testa proprio
sull'addome e con una mano si prendeva la chioma e l'adagiava fin sotto il mio
mento, una coperta rossa e riccia che io scorrevo e arricciavo tra le mani con
finta distrazione. In realtà percepivo ogni particolare, compreso il contrasto
tra la mia pelle olivastra e il pallore di quella di lei.
Le
sue mani ora sono tutte unte, brillano sotto la luce dei neon con quel brillio
tipico dell'olio fritto. Se le mette in bocca, leccandosi attentamente la punta
delle dita. Così invece di essere unte ora sono sbavate.
Ottima
mossa.
I
ciuffi crespi dei capelli la irritano, ne sono ben consapevole: continua a
tormentarsi nel tentativo di appiattire i propri ricci. Che razza di idiota.
In
effetti non capisco proprio che cosa faccio qui.
Oggi.
Dopo
otto anni di cui cinque che posso ascrivere sotto il segno della perfezione,
due sotto la casella incubo e l’ultimo sotto indifferenza totale.
Quel
giorno alzò lo sguardo verso di me, così intenso, nocciola scurito dalle ombre
della colonna cui era poggiata con grazia indolente. Appena emerse nel sole
della sera, quello sguardo bruno divenne ambra liquida. Bastò quello a farmi
andare verso di lei, a chiederle una sigaretta, nemmeno fossi un adolescente in
pieno boom ormonale incapace di rapportarsi con una donna, incapace di essere
completamente sincero.
«Hai
per caso una sigaretta?» quando quel che avresti voluto dirle era: «Sei così
bella che non so quale santo m’impedisca di strapparti i pantaloni qui ora e di
scoparti contro il marmo.»
E
ancora:
«Vedo
che t’interessa la letteratura classica. Non ho potuto non notare il titolo del
libro che hai in mano.» quando quello che stavi guardando in realtà era il suo
seno ben valorizzato dal maglioncino leggero, primaverile e tutto quello che
desideravi sapere non erano affatto i suoi interessi, i suoi studi, nemmeno il
suo nome poteva in qualche modo influire sull’unico obiettivo che t’eri
prefissato: portartela a letto, vedere in quali e quanti modi potevi
sconvolgere il bel volto sereno e perfettamente a suo agio! Tutto quello che
desideravi era annullarne la postura aggraziata, come di una donna adagiata sul
mondo, sempre perfetta. Tutto quello che desideravo, mentre mi fumavo con calma
la sua sigaretta, era averla mia.
Nella
sua perfetta follia, lei aveva capito tutto. Subito.
In
un momento di pausa, mentre cercavo di riempirlo aspirando avidamente dalla
sigaretta nel tentativo di trovare un’altra domanda, un qualsiasi pretesto che
giustificasse la mia presenza lì, lei disse:
«Comunque
la risposta alla tua domanda è sì.» e sorrise.
Così,
semplicemente. Non le dissi più niente, il suo sguardo non era fraintendibile.
Con un unico, dannatamente fluido movimento, si scostò dalla colonna cui era
appoggiata e si diresse a passo lento verso la biblioteca universitaria e da lì
nel piccolo bagno nascosto, quello riservato al personale. La seguii. Non era
un’alternativa. Era l’unica possibilità.
Facemmo
sesso. Fu come non aver mai fatto del sesso prima, come se mi avessero sempre
ingannato, svendendomi una cosa falsa.
Fu
un’illusione pensare anche solo per un istante che quella storia sarebbe finita
così. Lo capii subito dopo, lo capii quando la vidi chinarsi con grazia per
rivestirsi, i capelli rossi, scompigliati, le nascondevano il viso. Piccole
ombre scure ai lati delle guance, la linea così perfetta della mandibola.
Quando mi ripropose il suo sguardo la bacai.
Erano
secoli forse che non baciavo una donna dopo esserci andato a letto. Di solito
mi alzavo, mi rivestivo, me ne andavo. Alla più fortunata concedevo di
ammirarmi la schiena mentre dormivo. Con lei fu naturale baciarla.
E
così per cinque anni.
«La
lavatrice si è rotta...di nuovo. Non credi sia il caso di cambiarlo o
preferisci ancora insistere che puoi aggiustarla in qualche modo?»
La
sua voce atona mi riporta alla realtà. Una lieve incrinatura di sarcasmo, un
pizzico di crudeltà per svilire le mie doti da idraulico mancato, un accenno,
lieve come sempre, di superiorità per aver capito sin da subito quale fosse la
soluzione ideale! Lei aveva sempre quella dannata, fottutissima soluzione
ideale pronta sulla lingua. Aveva sempre dannatamente ragione! È frustrante
sapere che qualsiasi cosa farai lei avrà SEMPRE ragione! Qualche volta, mentre
mangiavamo assieme, anche senza una frase particolare, anche senza parlare, io
glielo vedevo nella curva della spalla, nel modo in cui sporgeva la sua bianca,
perfetta clavicola, che lei sapeva di aver ragione. E m’immaginavo, me lo
figuravo proprio limpidamente cosa sarebbe successo se così, improvvisamente,
io avesso afferrato il coltello e gliel’avessi premuto contro la giugulare, se
l’avessi costretta a inginocchiarsi per terra, tenendola ferma per i capelli.
M’immaginavo quel suo bel viso altezzoso sfigurato, la smorfia, le lacrime.
Sapevo che anche così lei sarebbe stata bellissima, il mio quadro di dolore
perfettamente adagiato nella situazione. La guardavo mentre lavava i piatti,
osservavo la linea dritta della spina dorsale e il lieve movimento delle spalle
e dei fianchi. E pensavo a quanto sarebbe stato perfetto agguantare lo
strofinaccio che avevo proprio davanti a me e passarglielo rapidamente attorno al
collo. E stringere. Forte.
Non
avrebbe nemmeno gridato, la sua lingua sarebbe uscita dalla bocca aperta, i
suoi occhi scuri si sarebbero allargati fino quasi a ingoiare l’intera faccia.
E io...io allora...
«Sei
distratto! Ti stai sporcando tutto!» mi sgrida lei.
La
guardo con indolenza e faccio come mi dice, più per forza d’inerzia che perché
le sto prestando reale attenzione.
La
mia mente ha vagato anche troppo a lungo. Sento il mio cazzo premere contro la
cerniera lampo dei pantaloni. La cosa assurda è che non è lei ad eccitarmi, non
più. È qualcos’altro, ma anche ammettendolo, non cambierebbe nulla!
È
successo così con tutte le donne con cui sono stato. Passavo un po’ di tempo,
anche un bel po’ di tempo con loro, sfogando la mia voglia insaziabie e sentendomi
appagato sempre. E poi basta.
Poi
più nulla.
Sia
ben chiaro, da quelle parti tutto funzionava come al solito, ha sempre
funzionato bene e persino adesso, a cinquant’anni, io posso dirmi più che
sessualmente attivo! È solo che...diventava vuoto, mera meccanica, puramente
sangue pompato, carburante messo in moto per un bisogno fisiologico che alzava
la mia leva e faceva il suo lavoro. Basta.
Certo,
io l’aiutavo con fantasie che non intendo certo andare in giro a raccontare a
qualcuno, ma il senso di vuoto che mi pervadeva subito dopo
era...agghiacciante!
Con
lei è stata la stessa cosa.
Dopo
cinque anni.
Sono
stati anche troppi!
Perché
sono ancora qui a guardare questo panino unto e a fingere che mi piaccia?
Perché in un modo strano, inquietante anche, lei mi sta tenendo ancorato qui.
Anche senza saperlo forse è riuscita a tenermi avvinto! Lei riesce senza
volerlo a suscitare in me delle immagini così forti, così vere che a volte ho
paura di non essere più in grado di farle smettere.
Sarà
stato in quel momento...
Insomma!
Non sono certo uno stupido, anche se mia madre me l’ha sempre detto che tendo a
lasciar correre le cose e a soppesarle solo troppo tardi. Forse dovevo capirlo
che lei era pazza quando una notte, sette anni fa, tornando verso l’albergo ubriachi
marci, lei si è spinta verso il bordo dell’argine, guardando giù come
incantata.
«Sei
io, diciamo, scivolassi qui, ora. Tu correresti giù con me?» aveva detto, senza
guardarmi.
«Se
io cadessi con gli occhi chiusi all’indietro verso quelle rocce sotto
di noi, quelle rocce piene di pezzi di vetro rotti, di bottiglie taglienti, tu
cosa faresti? Mi salveresti? Ti butteresti con me?» aveva detto, guardando
dritto nei miei occhi.
Io
non so cosa vide. Ma qualcosa vide. E rise, rise così forte buttando la testa
all’indietro, i capelli vestiti di neri per la notte. E io vidi il suo bel
collo trafitto da una lama di vetro, e il sangue intrecciarsi come un filo di
perle tra i boccoli scuri. E mi eccitai.
Sono
certo che lei vide questo. Sono certo che di questo rise, godendone. E si
sbilanciò apposta verso il baratro sotto di lei. Qualcosa in me scattò,
qualcosa mi permise di correre e sostenerla, prima di vederla volteggiare
nell’aria verso il mare sottostante.
«Hai
esitato.» disse raggiante, dopo che fu tra le mie braccia in salvo.
«Sapevo
avresti esistato. Sapevo che saresti venuto a prendermi. Sapevo che non hai
ancora abbastanza palle per questo.» disse.
E
io non la capii.
Poi
l’eccitazione nei suoi confronti calò di colpo. Solitamente le donne arrivavano
a un punto di intolleranza nei miei confronti così forte che mi lasciavano
sempre, lei invece non voleva andarsene. Avevo persino smesso di andare a letto
con lei.
Oh
ero stato bravissimo. Avevo iniziato ad avere rapporti sempre più brevi, tutti
incentrati sul raggiungimento del mio piacere personale. Poi li avevo
lentamente dilazionati nel tempo fino a non fare più sesso con lei per due mesi
interi. Ma niente! Rimaneva lì, pronta, sempre sorridente.
Lei
lo sapeva, cazzo. Sapeva perfettamente cosa fare, aveva capito tutto persino
prima di me! Lei lo sapeva già da quella dannata volta in cui le chiesi una
sigaretta.
Così,
quando fui io ad andare da lei, schifato ormai dalla sua presenza nella mia
vita, pronto a lasciarla per andare a cercare altrove il mio personale piacere,
lei era pronta.
Aprii
la porta di casa, silenzioso.
«Ti
stavo aspettando.» mi aveva detto, nella penombra della sala.
Non
avevo bisogno di accendere la luce per vederlo. Brillava sinistro, acciaio
perfettamente lucidato e limato nella sua mano. Tagliente. Lei ci affettava la
carne di solito. Anche in quel momento aveva intenzione di affettare della
carne, la sua.
Se
lo puntava alla gola, la testa ben alzata, lo sguardo fiero fisso su di me, il
brillio dei suoi occhi scuri, i capelli pronti a raccogliere il sangue.
Aveva
scelto il coltello, avrebbe potuto scegliere qualsiasi altra cosa, più efficace
magari. Una pistola sarebbe stata l’ideale. Il coltello glielo potevo togliere
facilmente ma con la pistola sarebbe stata un’altra storia! No, lei sapeva
benissimo cosa voleva e come ottenerlo.
«Avanti,
fallo.» mi disse. «Prova a lasciarmi, ora.» disse.
Il
coltello premette lievemente contro il collo, un rivolo di sangue cominciò a
scendere verso la sua generosa scollatura.
Puttana!
Si
era messa una sottoveste bianca con delle semplici spalline. In pratica era
nuda. E il sangue le arrivò fino all’incavo del collo, tra le clavicole e scese
lento verso i seni, posandosi come una goccia di rubino tra di loro.
Bastarda!
«Avanti
ora. Dimmi che vuoi lasciarmi. Dimmelo e io mi ucciderò qui e tutto questo tu
non lo vedrai mai più.»
«Sei
una...»
«Coraggio,
dillo!» disse, la voce più alta ora, il coltello che le apriva di più la ferita
sul collo, la mia erezione più che visibile nei pantaloni.
«Non
ne troverai mai più un’altra disposta come me.» disse.
Puttana!
Troia, incredibile troia!
Mi
sentivo in trappola. Una parte di me voleva fuggire, scappare, lasciarla lì.
Una parte di me voleva ancora credere che non era così pazza da lasciarsi
morire per questo. Ma l’altra parte, l’altra sapeva perfettamente che si
sarebbe uccisa di sicuro, che lo avrebbe fatto e che non si sarebbe limitata a
lasciarmi sulla coscienza la sua morte, ma che aveva preparato qualsiasi altra
diavoleria per rovinarmi. Lei poteva farlo, aveva tutte le prove, tutti i mezzi
per buttarmi sul lastrico. E di certo non si trattava solo della mia piccola
passione per certe fantasie! Ed era pazza, completamente pazza.
«Non
permetterò a nessuno di portarti via da me, lo fermerò con tutti i mezzi e dopo
averlo fermato lo distruggerò. Sappi che non lo permetterò nemmeno a te.» mi
aveva detto una volta, ma nemmeno allora io avevo dato peso alle sue parole
perché era ubriaca.
Era
doppiamente troia. Perché avrei fatto qualsiasi cosa, in quel momento, per prenderle
di mano il coltello, puntarglielo in mezzo ai seni, premere dolcemente fino a
far stillare una piccola goccia di sangue, una perla in più sulla collana che
lei si era creata. E lei lo sapeva, era esattamente quello che voleva! Oh sì,
le avrei preso il coltello e sul suo corpo le avrei disegnato arabeschi. E
poi...poi...
«Coraggio.»
disse, ridendo, incurante del sangue su di sè. «Fammi vedere cosa puoi fare.
Fammi vedere quante poche palle hai, quanto potere ho io su di te!» disse,
inginocchiandosi davanti a me, porgendomi la lama, aprendo le gambe.
Maledetta
danna stronza.
Lasciai
scorrere la mia pazzia in lei, inondandola. E fu come la prima volta. E la feci
piangere. E mentre piangeva lei ripeteva “sei mio, mio solo mio”.
E
la puttana filmò tutto.
***
Eccoci al terzo personaggio.
Il nostro uomo di cinquant’anni,
sadico frustrato, ha iniziato a vivere la sua “passione”. Spero che v’incuriosisca
scoprire di lui altre verità che tiene ben celate, sempre sperando che non
vengano alla luce.
Arrivederci nel prossimo capitolo!
@brin: spero aver soddisfatto anche
con lui le tue aspettative ^_^