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Autore: Oneechan    02/11/2010    3 recensioni
Esclusi gli occasionali omicidi, ero una persona abbastanza abitudinaria. Ed essendo single e non avendo rapporti interpersonali che andassero oltre una chiacchierata fra colleghi, non c'era proprio nessuno che potesse disturbare questa mia comoda routine. O almeno, così credevo.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

Candem Town a quell’ora era ancora morta, soltanto un paio di bar avevano già alzato le saracinesche. Mi diressi con tutta calma verso l’immenso magazzino della Cyberdog, dove lavoravo da circa quattro mesi, un impiego di cui ero piuttosto soddisfatta, escluso solo il bisogno di arrivare con almeno mezz’ora di anticipo per adattarsi degnamente all’atmosfera del luogo.

Nei bagni una collega poco più vecchia di me diede un tiro di piastra ai miei capelli e ci attaccò a caso un paio di ciocche blu elettrico, poi mi lasciò a cambiarmi. Una decina di minuti e due bestemmie dopo (come sempre, la gonna che a casa mi andava perfettamente si era ritirata nel tragitto in modo da essere un centimetro esatto più stretta del mio girovita) tornai da lei per la sessione di trucco. A lavoro finito, con una minigonna a cerotto, scarpe con suole di quindici centimetri, le tette strizzate in un corsetto di latex e ombretto sgargiante con tanto di brillanti stelline applicate ai lati degli occhi, sembravo pronta per andare a dar via il culo. E dire che invece avrei solo passato la giornata a piegare magliette e impilarle sugli scaffali…

- Oggi fai anche il pomeriggio, vero? – chiese la mia collega.

- Sì, ma per favore non fatemi ballare. – implorai.  Al piano terra del negozio, tra scale mobili e una distesa di robot incassati alle pareti, delle scalette a pioli bianche portavano a dei minuscoli balconcini, su cui da metà pomeriggio due delle impiegate salivano a turno ad agitare il culo a ritmo di EBM.

- Come mai? Altre proposte oscene?

- Ma va, solo che ho la schiena a pezzi.

Lei mi squadrò da capo a piedi con aria indagatrice e non ci mise più di dieci secondi a notare il fondotinta spalmato sulla mia clavicola.

- Ah-ha! – esclamò dandomi una gomitata complice – Notte intensa?

- Abbastanza. – non specificai che il motivo per cui mi scricchiolava ogni singola vertebra era l’aver sollevato 85 chili di carne morta per gettarli oltre un parapetto.

- E lui come si chiama?

Mi strinsi nelle spalle. – Non ne ho la più pallida idea.

La musica che esplose di punto in bianco annunciò che il negozio stava aprendo e mi diede l’occasione di schizzare al piano inferiore senza dare a Laura il tempo di indagare oltre sulla mia nottata e cambiare l’idea che si era fatta di me.

 

Alle cinque e mezzo del pomeriggio ero in piedi accanto ai binari ad aspettare il treno della Picadilly Line che mi avrebbe riportata a casa: dopo sei ore passate vestita come una zoccola a vagare fra luci al neon e altoparlanti che vomitano elettronica, l’unica cosa che hai voglia di fare è metterti in pigiama e svenire sul primo letto a disposizione.

Esclusi gli occasionali omicidi, ero una persona abbastanza abitudinaria: sveglia, caffè, sigaretta, lavoro, pranzo, lavoro o eventuali commissioni, riposino, passeggiata serale, sigaretta, letto. E siccome ero single e non avevo rapporti sociali più profondi di qualche chiacchierata tra colleghi o con la barista (avevo capito ai tempi del liceo di non essere in grado – e soprattutto che non me ne fregava niente – di voler bene a chicchessia, figuriamoci di amarlo. C’è un nome per questa malattia, ma francamente mi sfugge) non c’era proprio nessuno che potesse disturbare questa mia comoda routine. O almeno, così credevo.

- Hai cambiato scarpe da stamattina. – mi sentii dire mentre passavo davanti allo Starbucks accanto a casa. Il primo pensiero che mi balenò per la mente fu che era vero, avevo dimenticato di cambiarmi. Il secondo, che occhi-azzurri sembrava non essersi mosso di un millimetro da quando l’avevo lasciato davanti a quella vetrina otto ore prima.

- Sei appoggiato lì da stamattina?

- No. – disse allungando la “o” – Sono andato a comprare da mangiare, ho portato i vestiti in lavanderia, ho persino lavorato un po’!

- Attento a non stancarti troppo.

Rise. Aveva una risata limpida e sincera, quel genere di risata troppo sincera per non nascondere qualcosa.

- Mi offriresti un’altra sigaretta?

 

Aprendo la porta dell’appartamento mi accolse il solito odore di chiuso e polvere. Un’altra delle cose, insieme alle macchie di sangue sulla moquette e ai vestiti sporchi in un angolo, di cui non avevo alcuna voglia di preoccuparmi. Il giornale del mattino giaceva ancora sul fondo della mia borsa: strappai l’articolo sull’omicidio per attaccarlo alla parete, accanto a decine di altri collezionati negli anni. Spogliandomi, rilessi qualcuno dei titoli: in fondo, avevo anch’io i miei squallidi souvenir da telefilm americano.

 *

Il giorno dopo, occhi-azzurri era ancora appoggiato alla vetrina.

Anche quello dopo.

E quello dopo.

Ogni volta mi chiedeva da fumare, e ogni volta gli offrivo una sigaretta: volevo vedere fino a quando avrebbe avuto tempo da perdere ad aspettarmi lì. Sono più che convinta che sarebbe andato avanti per mesi, se il pomeriggio del quinto giorno non gli avessi detto la fatidica frase: - Devi trovarti un altro accendino, il mio è scarico.

- Accidenti… - sospirò come se la strada non fosse piena di fumatori. Poi gli s’illuminò lo sguardo come se avesse avuto un’idea brillante. – Tu abiti da queste parti?

- Il motivo per cui me lo chiedi?

- Pensavo che magari a casa hai un accendino di riserva…

C’erano molte domande che avrei voluto fargli: perché ti stai auto invitando a casa mia? I tuoi occhi hanno davvero quel colore o sono lenti a contatto? Perché sono giorni che chiedi sigarette a me invece di fumare quelle del pacchetto che hai in tasca? Dettagli del genere.

Non gliele feci.

- Credo ce ne sia uno.

Percorremmo i duecento metri che ci separavano dal mio palazzo in silenzio. Mentre aprivo il portone in basso gli dissi di salire con me, perché non mi sarei fatta su e giù tre piani di scale per portargli un accendino. Non fece nemmeno finta che non fosse esattamente quello che voleva.

Quello che non voleva, però, era essere lasciato sul pianerottolo quando arrivammo al mio appartamento.

- Posso entrare? – chiese con tono falsamente disinteressato.

- No.

Gli chiusi la porta in faccia, cercai un accendino nel casino che c’era per terra, la riaprii e glielo porsi. Lo prese. Accese la sigaretta che mi aveva scroccato prima. Me lo restituì.

E restò a fissarmi.

- Bene, adesso che sei riuscito ad arrivare fin qui puoi anche dirmi cosa vuoi da me. – sbottai dopo un po’.

Silenzio. Il guardava il fumo nell’aria e poi me, sorridendo.

Cominciavo a pentirmi di averlo lasciato salire.

- Senti, ragazzino, dimmi quello che devi oppure sparisci, perché sono stanca e l’unica cosa che voglio è farmi una doccia e mettermi a letto.

Niente.

E va bene, per quel che mi riguardava poteva restare lì sul pianerottolo anche fino a domattina. Feci per richiudere la porta, ma la bloccò con un piede.

- Toglilo. – gli ordinai.

- Mi lasci entrare?

- No.

- So chi sei.

- Complimenti, non pensavo che i giovani d’oggi sapessero ancora leggere i nomi sui campanelli. Adesso togli quel piede o te lo rompo.

- Lo sai che c’è stato un omicidio l’altro giorno?

- Il mondo è crudele. Vattene.

- Lo sai chi è stato?

- No, e nemmeno m’interessa saperlo.

- Io lo so.

- Mi fa piacere. Allora perché non vai a dirlo alla polizia e mi lasci andare a dormire?

Rise. – Posso farlo, se vuoi. Ma sei così impaziente di essere denunciata?

Stavo per mettere in atto la mia minaccia di fracassargli il piede destro e l’All Star che lo conteneva, ma mi bloccai.

- Come, scusa?

- So che sei stata tu. – disse facendo un tiro, perfettamente rilassato – Ti ho vista.

 

Ora, poteva essere vero come no.

Ma se accusi una perfetta sconosciuta di omicidio e guarda caso la sconosciuta in questione ha davvero ammazzato qualcuno, c’è una buona percentuale di fottute possibilità che tu in effetti ne sappia qualcosa.

 

E ci sono anche buone probabilità che tu sia un idiota se poi vai solo e disarmato a dirlo all’assassino.

 

Potevo ammazzarlo lì, sul quel pianerottolo.

Potevo lasciarlo entrare, o trascinarlo dentro, e poi sarebbe stato un gioco da ragazzi. Potevo soffocarlo. Annegarlo nel lavandino. Impiccarlo al lampadario, sembrava abbastanza leggero da non farlo venire giù. O la classica pugnalata, ma solo dopo essermi tolta lo sfizio di distruggergli davvero quel piede con un martello o un paio di forbici.

E l’avrei fatto.

Ero già pronta ad afferrarlo per la gola, quando sentii dei passi lungo le scale.

La vicina del piano di sopra, sessant’anni e due borse della spesa, passò arrancando sotto il peso degli asparagi e delle scatolette di tonno. Prima di ricominciare a salire le scale, azzardò un “Buonasera!”, e occhi-azzurri, maledetto, si voltò e rispose cordialmente al saluto.

La vicina del piano di sopra sparì lentamente mentre il mio respiro si faceva sempre più irregolare.

Occhi-azzurri emise un verso simile a un sospiro.

- Ho come l’impressione che quella donna mi abbia appena salvato la vita. – disse tornando a guardarmi.

- Sì, l’ha fatto. – sibilai aprendo la porta – Entra, piccolo bastardo. Adesso abbiamo davvero qualcosa di cui parlare, noi due.

  
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