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Autore: Oneechan    26/10/2010    4 recensioni
Esclusi gli occasionali omicidi, ero una persona abbastanza abitudinaria. Ed essendo single e non avendo rapporti interpersonali che andassero oltre una chiacchierata fra colleghi, non c'era proprio nessuno che potesse disturbare questa mia comoda routine. O almeno, così credevo.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Occhi-azzurri mi guardava sorridendo. Teneva gli occhi fissi su di me senza quasi mai sbattere le palpebre, con un sorriso rilassato a incurvargli appena le labbra. Lo trovai uno spettacolo strano: non mi era ancora mai capitato di vedere qualcuno sorridere mentre stavo in ginocchio sopra di lui con un coltello da cucina in mano.

Me lo rigirai fra le dita a pochi centimetri dalla sua faccia.

- Forza – mi incoraggiò – cosa aspetti?

Guardai il coltello. Solo per il gusto di avere ancora il suo sguardo impaziente addosso mi allungai fino al comodino per prendere una sigaretta, e la accesi con gesti irritantemente lenti. La fiammella dell’accendino si rifletté sulla lama.

- Come preferisci morire? – chiesi a occhi-azzurri. – Ti taglio la gola? O i polsi? Oppure ti pugnalo fino a consumare il coltello e resto a guardarti mentre ti dissangui? – mi chinai su di lui in modo da mettere l’orecchio vicino alle sue labbra. – Dimmi.

Rispose in un sussurro: - Stupiscimi.

Rialzandomi, gli soffiai una boccata di fumo sul viso.

- Sono indecisa. – dichiarai. E lo ero davvero.

Quel suo collo lungo e liscio, le braccia sottili tese verso la testiera del letto, a cui era ammanettato, il petto nudo che si alzava e abbassava al ritmo lento del suo respiro, tutto in lui era un invito. Ogni singola bruciatura e livido e cicatrice sulla sua pelle bianca sembrava una strada già tracciata da far seguire al coltello. Avrei potuto smembrarlo, un pezzetto minuscolo alla volta. Avrebbe urlato, si sarebbe dimenato? Avrei potuto incidergli gli avambracci fino all’osso e poi disegnargli addosso con il suo stesso sangue. Avrebbe pianto? Avrei potuto ucciderlo in decine di modi, e ognuno di questi mi eccitava al solo pensiero.

Tirai un’ultima boccata dalla sigaretta. – Sono davvero molto indecisa. – dissi, e gli premetti violentemente il mozzicone sulla fronte. Chiusi gli occhi e restai ad ascoltarlo gemere di piacere e di dolore mentre la sigaretta gli bruciava la pelle.

- Uccidimi! – mugolò.

Premetti il mozzicone ancora più a fondo. Ucciderlo…sì. Dio, quanta voglia avevo di farlo.

 

1.

Il giorno in cui incontrai occhi-azzurri era iniziato come uno qualsiasi: la fottuta sveglia del fottuto cellulare si era divertita ad avvisarmi con il suo scampanellino irritante che erano le 7.30, e prima di rendermi conto di essere sveglia ero sotto il getto della doccia a cercare di togliermi quel rosso incrostato sotto le unghie. Avrei dovuto essere più attenta la prossima volta, farlo andare via era un casino. Alla fine, decisi che l’avrei coperto con dello smalto.

Il sangue sulle dita non era l’unico ricordo che mi era rimasto di due notti prima: nuda davanti allo specchio mi resi conto di avere – oltre a un notevole numero di graffi sulle braccia – anche un livido su una coscia e uno a livello della clavicola. Ieri non si vedevano ma adesso erano lì, belli rotondi e violacei. Calcio e testata, quel bastardo era riuscito a colpirmi bene prima di morire. Mi riempii di fondotinta per coprirli, infilai i primi vestiti che mi capitarono, raccolsi la borsa e uscii.

Vivevo da un paio d’anni in un monolocale al terzo piano di un palazzo cadente nella periferia di Londra, e a pochi metri da lì c’era uno Starbucks, diventato parte integrante della mia vita: le mie mattine iniziavano sempre allo stesso modo, cioè con un caffè al caramello in una mano e una sigaretta nell’altra da fumare in fretta prima di saltare sulla metropolitana, litigare per un posto a sedere e fare colazione con cookies e barrette al cioccolato mentre il tube mi sballottava fino a Candem Town.

Ma quel giorno il rito venne interrotto alla seconda fase: vedendomi tirare fuori dalla tasca un pacchetto di Lucky Strike, un ragazzo sulla ventina o poco più venne a chiedermi se potevo offrirgliene una. Non avevo motivo di rifiutare.

- Tieni.

- Grazie. – s’infilò la sigaretta fra le labbra e l’avvicinò all’accendino che gli porgevo, e anche quando una debole voluta di fumo cominciò a levarsi dal cilindretto bianco che aveva in bocca restò lì fermo a pochi centimetri dalla fiamma, a guardarla con i grandi occhi azzurri che luccicavano. Dava l’impressione di essere seriamente tentato di avvicinarsi fino a scottarsi, o qualcosa di simile. Per quanto mi sarebbe davvero piaciuto scoprire se l’avrebbe fatto o no, tolsi il pollice dalla rotellina metallica prima che ne avesse il tempo.

- Grazie. – ripeté uscendo da quella specie di trance e raddrizzando la schiena.

- Niente. – buttai l’accendino nella borsa e me ne andai. Occhi-azzurri rimase a fumare appoggiato alla vetrina dello Starbucks mentre io mi avviavo alla stazione della metro.

Se solo avessi saputo che quei trenta secondi mi avrebbero rovinato la vita, non mi sarei comportata così. Se l’avessi saputo, avrei gentilmente annuito al ragazzo per poi prendere quella fottuta sigaretta, accendermela e sputargli in faccia tutto il fumo che la mia bocca poteva contenere, lasciandolo lì sul marciapiede a tossire, libero di rovinare la vita di qualcun altro.

 

Seduto accanto a me sulla metro c’era il classico impiegato in giacca e cravatta con un quotidiano in mano. Vedendomi gettare un’occhiata all’articolo in prima pagina lo girò perché potessi vedere meglio.

- Che roba! – commentò.

- Cos’è successo? – chiesi interessata.

- Ieri hanno ripescato un cadavere dal Tamigi.

- Suicidio?

- Il suo intestino annodato a un palo della luce lascia credere di no.

Sfoggiai la mia migliore espressione disgustata mentre lui iniziava a leggere. Lo vidi scuotere ripetutamente la testa e dovetti concentrarmi intensamente sul cioccolato che stavo mangiando per trattenermi dal sussurrargli all’orecchio “sono stata io!”.

Mi era già capitato di provare questi istinti di autodistruzione, un po’ come quando sei su un ponte e sporgendoti senti la voglia irrefrenabile di buttarti giù. Credo fossero dettati soprattutto dalla curiosità di sapere quale sarebbe stata la reazione dell’impiegato di turno: urla isteriche, telefonate alla polizia, oppure semplicemente non mi avrebbe creduto? Chissà.

Per un certo periodo – ma era stato mesi e mesi prima – avevo anche avuto voglia di un…ricordino, per così dire, una roba squallida da telefilm americano tipo cicatrici o un tatuaggi, uno per ogni vittima. Alla fine naturalmente avevo abbandonato entrambe le idee: le cicatrici perché sono sicuramente una sadica, ma non una masochista, e i tatuaggi perché per quanto potessero piacermi, 17 sarebbero stati decisamente troppi.

Quando l’impiegato scese lasciando il giornale sul sedile lo raccolsi io, infilandolo in fretta nella borsa.

La prossima fermata era la mia.

  
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