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Autore: yesterday    07/11/2010    63 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PART ONE.





« Non… Non è detto che sia- »
« Può essere quel che vuole » mi strinsi nelle spalle, fuggendo gli sguardi apprensivi dei miei amici.
Mi pulsava una vena sulla tempia destra, e sperai con tutto il cuore che, se proprio doveva trattarsi di qualche genere di sintomo, preannunciasse una morte imminente ed indolore. Meglio quella che un’orribile fine in gattabuia per aver assassinato Akito Hayama. E probabilmente anche la sua amica Keiko, sempre che amicizia fosse, la loro.
« Kurata, primo indizio »
Chiusi gli occhi. « Alt, alt, alt. Ho fatto un certo pensierino sul togliere di mezzo qualcuno, quindi non parlarmi di indizi o li assocerò veramente ad un omicidio. »
Cercai di sorridere « Mi ci vedete nei panni della pluriomicida? »
Non ero divertente, e soprattutto non mi stavo divertendo per niente. Scoccai un’occhiata che, ne ero certa, avrebbe infiammato la schiena di Hayama fuori dalla porta, sul pianerottolo. E magari anche certi airbag.
« Oh, Kami. Sono patetica » mormorai infine, abbandonandomi sulla prima sedia vuota.
E valutai se aggiungere alla black-list anche Den, la cui espressione ilare mi dava assolutamente sui nervi.
Sollevai entrambe le sopracciglia.
« Scusa, scusa » pose le mani avanti a sé « è che sei incredibile. Ci sei dentro fino al collo, Sana, ma ti è mai passata questa… Questa cosa che provi per lui? Comunque l’assassinio è il delitto passionale per antonomasia. »
Sota rise. « Non so se sperare che rientri in fretta o meno. Ora come ora potresti veramente fargli del male, Sana, quindi non è consigliabile. Ma aspettare fuori potrebbe persino farti infuriare di più. Non è una situazione carina. »
« Ma dai, Sota? Non l’avrei mai detto. » sbuffai.
Viva il sarcasmo.
Notai con la coda dell’occhio Tsu riempire un bicchiere d’acqua; me lo porse. « Cerca di stare calma e valutali tutti, gli indizi, prima di far danni. »
Accettai di buon grado l’offerta ed ingurgitai qualche sorso, prima di incrociare le braccia, pronta ad ascoltarlo. « Sono tutta orecchi. »
« Partiamo dall’inizio: non so se hai notato la sua espressione, ma era sorpreso come tutti noi di vedere Keiko alla porta. Quindi di certo non sapeva nulla del suo arrivo. »
Oh, almeno questo.
« E poi dubito fortemente » calcò volutamente la parola « che metterebbe a rischio ciò che sta ricostruendo con te per… Lei. »
Mi sentivo un’idiota - un passo avanti e dieci indietro.
« Il tuo amico avvocato ha ragione. » Den annuì.
Osservai l’ingresso. « Molto spesso è l’avvocato del diavolo, nel vero senso della parola. »
« Sana » mi sentii afferrare dolcemente una spalla.
Mi voltai. « Di certo non ne so quanto Tsuyoshi ed Aya, in fondo ci conosciamo da molto poco. Ma cerca di essere meno insicura. Si vede lontano un miglio che ha occhi solo per te, anche se cerca in tutti i modi di camuffarlo. Rilassati. »
Sayuki mi guardava dall’alto, gli occhioni sgranati e il sorriso tranquillo. Notai solo in quel momento quanto la sua natura, infondo, fosse simile a quella di Aya.
Espirai.
« Io vado a fare una doccia. Voi… Parlate, ecco. » mi grattai la testa « ma niente discorsi imbarazzanti.»
« Veramente è meglio se andiamo. Siamo tutti stanchissimi, guarda Sota che faccia si ritrova. » Sayu’ si sistemò la borsa sulla spalla.
« Ma non sono stanco, e la faccia è la stessa di ieri! »
« Ecco, appunto. »
« E nessuno che pensa alle mie, di esigenze! » Den lo urlò quasi, in faccia il finto sdegno per essere appena stato escluso dai discorsi, con l’unico risultato di far scoppiare tutti a ridere.
Riuscii solo a sollevare gli angoli della bocca.
Rimasi sulla porta che dava al corridoio ovest quando, dopo saluti e ringraziamenti, aprirono il portone d’ingresso per uscire.
Sota mimò un “ti telefono per raccontarti cosa vedo”, Sayuki gli tirò uno scappellotto.
« Parleranno tra poco, non ti intromettere » lo apostrofò.
Ecco, se non altro avrei parlato con lui. Volente o nolente.


***


Nemmeno la doccia calda e lo shampoo alla pesca riuscirono a farmi rilassare - lo constatai quando, abbassando la maniglia per entrare in camera, avvertii la totale tensione di ogni singolo muscolo.
La luce era accesa - Akito era rientrato.
Mi sistemai sul letto - il mio letto, ovviamente, dandogli le spalle, ovviamente - ed iniziai a frizionare i capelli gocciolanti con un asciugamano; il silenzio o forse il gesto stesso mi irritarono, così lasciai perdere.
Sentii sospirare dietro la mia schiena.
« Arrabbiata. »
Deglutii.
« Molto acuto, mi congratulo. »
« Ammetterai che anche tu da incazzata spari certe frase frasi ad effetto che- »
« Sta’ zitto » lo interruppi « e non azzardarti a ridere. »
« Ai suoi ordini. Quando ti passa avverti. »
Annuii tra me e me, piegai maniacalmente l’asciugamano e borbottai qualche insulto - non erano mai abbastanza -, il tutto contemporaneamente.
« Sana? »
Non risposi.
« Kurata. » e da domanda si era trasformata in affermazione.
Fantastico.
« C’è qualcosa nel mio mutismo che ti giustifichi a pensare che io abbia voglia di parlarne? »
Seguì il silenzio. « Adesso ammetterai che parli strano. »
Strinsi spasmodicamente i pugni per trattenermi dal picchiarlo, o almeno provarci.
Mi voltai al rallentatore e mi limitai a fulminarlo con lo sguardo. « Buonanotte a te ed alla tua ironia fuori luogo. »
L’intenzione, senza dubbio, era di alzare le coperte e nascondermici sotto, ponendo fine a battute varie non richieste, ma all’ultimo non riuscii a resistere: gli scoccai una nuova occhiataccia.
E lo ritrovai lì, nella stessa posa che nella mia mente ero sicura avrebbe assunto, con stampata in faccia la medesima espressione che gli avevo immaginato addosso.
La realtà mi colpì come uno schiaffo in pieno viso - un meritatissimo schiaffo in pieno viso, tra l’altro. Non serviva a niente scappare, tanto di lui non mi sarei liberata mai.
Probabilmente la sua funzione altro non era che restarsene per tutto l’arco della mia vita a fissarmi e, soprattutto, a farmi saltare i nervi.
Nessuno c’era mai riuscito tanto bene quanto lui.
Valutai se dirglielo o meno, ma decisi di lasciar correre. O di posticipare.
…E forse era una questione di presenza - di centimetri, mai abbastanza da permettermi di voltare pagina.
Lui restava sempre e comunque nella mia orbita, l’avevo ampiamente appurato.
Come se non bastasse, magari nella mia vita non ce n’erano nemmeno, di pagine da scrivere, voltare e strappare in mille pezzi. Ce n’era una, unica ed infinita, e sopra - ci avrei scommesso tutto - qualche gran genio ci aveva scritto il suo nome. In rosso, a caratteri cubitali.
Ogni sforzo sarebbe stato vano.
Oh, perfetto.
« Mi stai ascoltando? »
Merda. Oltretutto stava pure parlando.
Cercai di darmi un tono, nella speranza di sembrare anche solo in minima parte presente. « A-ha. »
« Sempre la solita. »
Ripresi coscienza e lo guardai, interrogativa. Hayama voleva parlare?
Lui era il tipo di persona che lasciava che si creassero i malintesi, che faceva cadere i discorsi e si rintanava nel suo mutismo.
Sgranai gli occhi e lui annuì, come se fosse arrivato alla mia stessa conclusione.
« Sì, stasera sembra che la Terra giri al contrario: io sto parlando e tu te ne resti zitta. »
Seppur d’accordo con lui, inarcai un sopracciglio. « Sarà che io ho i miei buoni motivi per non volerti parlare e tu sei sommerso dai sensi di colpa perché, ed è evidente ormai, hai qualcosa da nascondere? »
« Io non ho nulla da nascondere! »
« E Keiko è venuta a chiederti il sale, immagino. » bofonchiai.
« Kurata, non è che se- »
« Non devi spiegarmi nulla. Non m’intere- »
« Adesso basta interrompermi. Non hai fatto altro da quando sei entrata qui. »
« Ti interrompo perché non mi va di ascoltarti. Voglio dormire, Hayama, cosa c’è di tanto difficile da capire? » urlai, sbattendo i pugni sulle ginocchia.
Non mi andava. Era di certo un comportamento infantile ed abbastanza sciocco, ma non c’era altro da dire: per quanto mi ronzassero in testa le rassicurazioni di Sayuki, Tsuyoshi e gli altri, la sensazione di essere soltanto un’illusa si ostinava a restarmi appiccicata alla pelle.
« Ti stai comportando come una bambina! » e le danze iniziarono esattamente in quel momento, quando anche Akito prese ad urlare.
Ridussi gli occhi a due fessure. « Sarà perché forse il mondo gira al contrario, quindi per stasera mi comporto come di solito fai tu? Spero tu riesca finalmente a capire quant’è irritante il tuo mutismo. »
Invece di rispondermi per le rime si strinse nelle spalle: « Va bene, te lo concedo: sono irritante, e per di più mi diverto ad irritarti. » …e mi spiazzò.
Forse per merito della sua sfacciata sincerità o del tono tranquillo con cui aveva proferito parola, allentai la stretta dei pugni e cercai di recuperare la calma.
Comportarsi da idioti non serviva a nulla - tanto non me ne sarei liberata mai in nessun caso. Troppo tardi, ormai.
« Lo so bene. » e, se non altro, sperai che trovasse presto un sostituto a “gallina”, che ormai aveva raggiunto un certo livello di anzianità.
Si grattò la testa, alla ricerca delle parole adatte. Tornando un po’ più lui e un po’ meno me.
« Sana… Te la sei presa per nulla. »
« Oh, immagino. »
« Vedi di essere collaborativa, per piacere. Non sono bravo a dare spiegazioni, e non dire “lo so”. Potrebbe infastidirmi a morte. » ammonì.
« Ma io lo so, Hayama. »
« E sai anche di essere terribilmente gelosa, di aver frainteso tutto e, che so, altre sedici cose poco carine sul tuo modo di fare? »
Lasciai a mezz’aria il lembo di coperta che avevo afferrato solo qualche istante prima, interdetta: « Quali altre sedici cose? »
Si strinse nuovamente nelle spalle, si alzò e mi raggiunse sul letto. A debita distanza.
Fissò il pavimento per mezzo minuto buono, poi espirò.
« Primo, sei disordinata. Ne ho abbastanza di trovare le tue magliette sotto al mio letto o i tuoi reggiseni nei miei cassetti. »
Non potevo sentirmi offesa da una semplice constatazione: io ero disordinata, poco da aggiungere.
« Uh, forse ricordo qualcosa. » mi finsi pensierosa.
Gli occhi dorati entrarono nella mia visuale. « Io ricordo le formiche. » (*)
« Ecco cos’erano. Se permetti mi metto comoda, mancano altre quindici… Come le avevi chiamate? Sì, cose poco carine. » e incrociai le gambe sul materasso, schiacciando la schiena sul poggiatesta.
Eravamo praticamente una di fronte all’altro, e non avevo nemmeno un misero cuscino a difendermi: li avevamo distrutti entrambi la sera precedente.
« Numero due: sei una ficcanaso. »
« Non è assolutamente vero, sono solo curiosa! » obiettai.
« Ficcanaso rende meglio. Sei testarda, smemorata, logorroica, inaffidabile, combini un sacco di casini, e soprattutto non sei in grado di sistemarli. »
Che cafone. Più la lista si allungava, più mi sentivo vibrare di rabbia. O era forse umiliazione? L’unica cosa poco carina era servire su un piatto d’argento tutti i miei difetti. Non potevo di certo negarli, ma questo non gli permetteva di elencarli come se stesse stilando una lista della spesa.
Abbassai lo sguardo.
« Nove: sei insicura. Hai anche paure infantili, già. »
L’umiliazione spodestò del tutto la rabbia, e le mie guance s’infiammarono prima e bagnarono subito dopo.
« Piangi? » il suo tono era tranquillo, assolutamente calmo.
Come se stessimo intrattenendo una conversazione qualsiasi.
« Al diavolo, Hayama! » mi alzai di scatto, nascondendo il viso. Oltre al danno la beffa? « Non starò qui a far- »
« Ferma! Lasciami finire. » mi bloccò il polso sinistro, un gesto che mi riportò indietro di parecchi anni.
« Vivi nell’illusione che della gente ci si possa fidare, sei una gran credulona, nel novantanove percento dei casi parli senza riflettere e non riesci a fare un discorso lineare perché divaghi un sacco. Nello stesso novantanove percento dei casi poi fai divagare anche me. »
Cercai con tutte le forze di fermare il flusso di lacrime, per non dargli anche quella soddisfazione. Senza riuscirci.
« Se-Sei a quindici. Dato che ci siamo, perché non umiliarmi un altro po’, svelando questo sedicesimo difetto? », tirai su col naso « ..Visto che ci siamo. »
« Sei paranoica. Bé, deriva dal fatto che sei insicura - anche se non lo ammetterai mai. Potrei metterci la mano sul fuoco, Sana, un secondo dopo aver visto Keiko alla porta il tuo cervello aveva già tratto tutte le conclusioni possibili, e forse ha stilato pure una serie di discorsi ipotetici che non avverranno mai. »
Liberai il polso, stringendo nuovamente i pugni e dandogli definitivamente le spalle. « An-Anche se fosse? »
« Hai sbagliato tutto! » mi sentii scuotere per le spalle, ma non mi mossi di un millimetro.
« Non lo capisci? Ti fai solo male. Sei entrata qui e non volevi nemmeno parlare perché convinta di sapere già tutto. In realtà non ne hai capito niente, Sana! E non perché tu non mi conosca come le tue tasche, solo perché sei dannatamente paranoica ed insicura! »
« Allora cercatene una che sia sicura di sé! » mi voltai.
E del trucco sfatto e dei capelli appiccicati dalle lacrime e di cosa mi avrebbe visto degli occhi non m’importava niente.
« Ma non la voglio! » Akito parlava solo urlando.
Se avesse avuto mezze misure - se fosse riuscito a parlare con calma - le parole gli si sarebbero appiccicate in gola prima di trovare l’aria. Forse l’avevo sempre saputo.
Perché, pur essendo paranoica ed insicura, lo conoscevo come le mie tasche.
Se non meglio.
« Non… Non la voglio. Mi va bene trovare un giorno sì e l’altro pure i tuoi calzini spaiati nel cassetto delle mie magliette, mi va benissimo doverti accompagnare al supermercato perché hai il senso dell’orientamento di una confezione di sushi, doverti spiegare che non è oro tutto quello che luccica e cercare di tirare le conclusioni di un discorso prima che tu inizi a parlare di criceti. Sono disposto anche a ripulire la cucina dopo uno dei tuoi disastri culinari, ma non… Non lascerò che i tuoi filmini mentali rovinino tutto di nuovo. »
Respira, e non tremare così.
« Perché è successo anche quando ci siamo lasciati, no? Tu sapevi già tutto. Tu ne eri già convinta, che quel punto morto fosse insuperabile, eri sicura che fossimo sulla stessa lunghezza d’onda. E ho fatto anche io la mia parte, da bravo stupido me ne sono rimasto zitto, pensando che la convinzione che ti leggevo in faccia fosse abbastanza da convincere anche me. Perché siamo due idioti, Kurata, perché io l’ho capito dopo che non ne eri sicura nemmeno tu, che dietro a quella bella facciata che ti sei montata per fare l’attrice c’è ancora la bambina che ha perso le espressioni dal terrore di essere abbandonata. Io. L’ho capito dopo. »
L’ultima cosa che sentii, prima di chiudere gli occhi e ricominciare a piangere, fu il suo abbraccio.
Come quando eravamo bambini.
Come quando eravamo scappati, credendo di poter diventare adulti comportandoci come loro.
Come se il mondo stesse davvero girando al contrario.
« Non voglio ripetere lo stesso errore. E scusa per averti fatta piangere. » anche la sua voce era rotta.






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(*) ripresa da 1.21. Una seconda color crema con stampa a formiche.


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