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Autore: Furiarossa    10/11/2010    0 recensioni
Una storia fantastica in un mondo celato ai nostri occhi...
Una ragazza, un drago ... non i soliti eroi ...
Benvenuti nell'era dei dragonieri che non sono solo sorpresi, ma che per fortuna, hanno un cervello. Benvenuti nel magico regno di Horn Blu Island ... ma prima fate un salto in Calabria!
Nota: avevo undici anni quando ho scritto questa fanfiction. Pietà per alcune reazioni infantili dei protagonisti!
Genere: Comico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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UN VISITATORE INASPETTATO

Era una serata come tante altre, per molti aspetti, eppure il vento del Sud-Ovest stava portando una nuova aria esotica, aria di un’attesa vibrante, di cambiamento grande e imminente entrò in un paesino che vedeva solo molto raramente dei veri cambiamenti.  Lo scirocco sferzò i tronchi, cantò le sue più belle canzoni, mentre frusciava caloroso fra le fronde verdi ed estesissime.

Strani rumori si udirono nell’ombra crepuscolare di un vecchio uliveto di piante secolari, rumori bassi e talvolta instabili, come di piccoli vortici succhianti nel terreno, tonfi e schiocchi irregolari. Sembrava che la terra e le rocce avessero vita propria.

Gli uccelletti che dormivano sugli alberi entrarono immediatamente in agitazione e iniziarono a pigolare lamentosi, i grandi corvi gracchiarono arrabbiati per l’intrusione notturna: quelle erano creature che potremmo definire autentici animali di campagna e non erano affatto abituati a essere disturbati mentre dormivano, così accolsero a malavoglia quel visitatore.

Ed il visitatore era appena uscito da una buca nel terreno, e questo era già di per se una cosa anomala.

Un barbagianni, che se ne stava appollaiato con la solita espressione per metà rapace e per metà annoiata, fischiò cupo spalancando il piccolo becco adunco e rialzò il testone bordato di bianco per vedere meglio cosa stava succedendo sotto di lui. Il suo primo pensiero fu che le creature terrestri erano davvero strane.

Poi nel suo piccolo cervello sopravvenne un ricordo antico come il mondo, un ricordo che ogni creatura libera e selvaggia ancora serbava. Era quello del barbagianni, come quello dello scuro corvo, della rana, o della biscia nerastra dal collare, un riemergere di pensieri sepolti, la loro animalesca memoria ancestrale che gli permise di quietarsi ed accogliere il nuovo arrivato senza proteste, anzi con gioia.

L’essere che era uscito dalla buca, con passo felino e sicuro, spostò il suo poderoso corpo in un punto illuminato dalla luce di luna piena e iniziò a guardarsi intorno con circospezione ed una sorta di curiosità selvatica ed eccitata. Emanava un’aura di potere ma nello stesso tempo tranquillizzante.

E nessuno all’inizio lo avrebbe creduto, ma quello era un uomo.

Un uomo che poteva avere al massimo trentacinque o quarant’anni portati al meglio, con i lineamenti esotici di un indiano e gli occhi della stessa forma di quelli di un cinese, stretti e allungati, con le iridi dello stesso colore di quelli d’un norvegese molto chiaro.

Chi lo avesse guardato non avrebbe saputo definire da quale regione potesse provenire.

Era alto ma non troppo, non superava il metro e novanta, muscoloso, ma non gonfio come un culturista, con spalle larghe e dritte, il busto poderoso e gli arti perfettamente proporzionati, agile come una pantera furtiva, elastico come pochi altri esseri umani ed evidentemente abituato a una vita frenetica, fatta d’azione.

Non era affatto uno di quegli umani che di solito si potevano vedere in quei posti, nei paesini sperduti della Calabria, ed evidentemente era partito da un luogo lontanissimo e poco conosciuto dagli umani comuni, un’isola nascosta.

E la sua strana provenienza era testimoniata da ogni particolare di lui: gli occhi azzurri e chiarissimi ma simili nella forma a quelli degli orientali, i capelli colorati di nero cupo e spettinati, le cicatrici che portava sulle braccia scoperte e su una parte del viso, i baffetti cortissimi che terminavano in una piccola punta arricciata verso l’alto, i vestiti pregiati ma comodi e lo spadone gigantesco che pendeva a tracolla. E proprio lo spadone era una delle cose di lui incuriosiva di più, forse per l’elsa in cui era incastonato un grande topazio tondo o forse per il colore del suo enorme fodero verde acido, cosparso di rossi simboli cinesi e di un alfabeto dimenticato e spigoloso.

L’uomo si girò tranquillamente, mosse una grande mano nervosa, dalle dita forti, verso la tasca e ne estrasse un foglietto giallastro e consunto, guardandolo di traverso come se qualcosa in quegli scarabocchi che vi erano tracciati sopra non andasse bene, poi lo ripose di nuovo nella sua ampia tasca decorata da fili d’oro e portò entrambe le mani verso l’impugnatura della spada, estraendola dal fodero con un rumore felpato, appena percepibile dall’orecchio umano.

L’arma aveva una lama lunga e pulita, lucidissima quanto di sicuro mortale, marchiata al centro con una forma strana, un simbolo verde che sembrava un drago stilizzato, con le ali sproporzionate.

L’uomo si portò la lama davanti al petto con un gesto che a molti sarebbe sembrato piuttosto teatrale, sollevo la testa con insolita cautela e fiutò l’aria come spesso fanno anche gli animali selvaggi,  poi si avviò verso la buca dalla quale era uscito, fermandosi davanti ad essa, in tacito e nervoso ascolto. Sembrava cercare le tracce dell’agguato di un qualche nemico. Ringuainò lo spadone, finalmente un pò rassicurato, fece un gesto rapido e indistinguibile con le mani, poi si abbassò e con nervosismo si tolse i guanti di strana pelle nera che le proteggevano. Sembrava pelle di coccodrillo ma era più spessa,molto più spessa e lucida,come legno morbido.

Un verso lugubre riecheggiò tutt’intorno, l’ululato potente e lungo di un lupo.

L’uomo si mise un attimo in ascolto, per una volta soddisfatto, poi ritornò alla sua insolita occupazione. Fece altri ampi gesti con le grandi mani segnate dal lavoro, pronunciando antiche parole di potere che parevano avere uno strano influsso sulla natura circostante: tutto era fermo, gli uccelli silenti nei loro nidi, i lupi zitti in ascolto, i topi nelle loro tane, mentre un’eccitazione febbrile ma non comunicata si impadroniva degli animi di tutto ciò che era vivo e pulsante.

Il misterioso visitatore sorrise nel sentire quella vibrante, taciturna attesa. Ed aveva uno strano e toccante sorriso, vivace e sicuro, propagato ad ogni parte del suo meraviglioso corpo, in particolare ai penetranti e esotici occhi azzurri, che parevano ridere, e ai lineamenti giovani che si distendevano ogni volta che era felice di qualcosa.

Senza smettere di sorridere, l’uomo, toccò il terreno ai suoi piedi con entrambe le mani, delicatamente ma con estrema sicurezza. Una delle sue mani, quella destra, splendeva di luce bianca e potente, che si rifletteva placida simile a neve sul topazio gigante incastonato sull’elsa della spada e sulle ricche rifiniture d’oro e argento del suo vestito principesco.

Una vibrazione potente scosse il terreno e lui si sollevò, allontanandosi lentamente dalla buca.

Mentre la luce che illuminava il palmo dell’uomo si esauriva lentamente, il terreno fu scosso da una sorta di vortice e dove prima c’era la piccola buca rettangolare ora c’era una costruzione ottagonale dall’aspetto incredibilmente vecchio e consunto, ma proprio per questo ancora più affascinante.

Il misterioso visitatore si rimise i guanti di pelle, poi si allontanò ancora un pò per contemplare la sua opera e sorrise di nuovo, mettendo in mostra due file di denti regolari e quattro canini bianchissimi che avrebbero fatto invidia a un vero vampiro. Rimase lì fermo, come un monumento, quasi tutta la notte, per godere dell’atmosfera magica che, una notte ogni trecento anni, riempie una piccola radura del mondo.

L’aria quasi immobile era piena di un profumo indescrivibile, un profumo di selvaggi fiori ed olivi mezzi addomesticati che tentavano di dominare l’uomo e che talvolta venivano dominati, un profumo portato dalla luna e dal lupo, uno strano sentore di Calabria e di un’isola ai confini della terra.

 
La malinconia del sorgere del sole in una terra antica del Mediterraneo.
La vita che sale e si desta,il profumo delle orchidee.
 

Poi, alle prime luci dell’alba, il visitatore salutò il sole sorgente con un inchino di riconoscenza, un inchino profondo e ricco di significato. Con quell’inchino si congedava dal mondo che noi conosciamo.

Diede le spalle all’astro diurno, quasi dispiaciuto di quel gesto, ed entrò nella costruzione che aveva fatto sorgere dal terreno, scomparendo come per magia da quel luogo, senza esitare un solo attimo mentre la terra vibrava un’ultima volta sotto i suoi piedi.

Il suo compito in quelle terre era concluso.

 

  
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