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Autore: bloodingeyes    15/11/2010    1 recensioni
Monaldo desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva che un re a cui manca questo non è un re: è un tiranno. E lui non voleva essere come suo padre, non voleva affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri regnati. Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva le guerre. Ma suo fratello Argo continuava a comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servirlo, come se fosse diventato il suo cameriere. Non lo aveva più chiamato fratello da giorno dell’incoronazione e non si era più comportato come tale da allora. E da quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore aveva preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato donato un regno, un popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i genitori e suo fratello non era più suo fratello.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Re e fratello

                Il giovane re guardava la città fuori dalla finestra con un accenno di sorriso sulle labbra. Presto sarebbe iniziato il palio e lui lo adorava, gli piacevano soprattutto le gare di bandiere e non vedeva l’ora di potersi confrontare anche quest’anno con i principi dei regni vicini. Ma soprattutto non vedeva l’ora di stare in mezzo al suo popolo di vedere le loro espressioni felici, di sapere che lo amavano e che stavano bene. Per lui quella era l’unica cosa importante. Non desiderava l’oro, le ricchezze, il potere, o altre cose di quel genere. Lui desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva che un re a cui manca questo non è un re: è un tiranno. E lui non voleva essere come suo padre, non voleva affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri regnati. Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva le guerre. Per ora la Dea lo aveva graziato, dando inverni miti alle sue terre e estati tiepide, Monaldo ogni sera la pregava perché i raccolti fossero buoni e gli animali non si ammalassero. Molti altri regnanti lo prendevano in giro perché le casse del suo castello non straripavano d’oro ma a lui non importava, vedeva i loro popoli, la fame che pativano, la miseria in cui vivevano e vedeva l’odio nei loro occhi. Non avrebbe mai potuto accettare di vedere quell’odio negli occhi della sua gente, mai

                -Mio re, cosa fate alla finestra?- Monaldo sobbalzò spaventato e si voltò verso chi l’aveva chiamato

                -Guardavo i preparativi per il palio- rispose il giovane re sorridendo al nuovo arrivato –quest’anno sarà ancora più grande, hai visto quante bancarelle che ci sono, fratello?- l’altro rimase serissimo mentre il giovane gli saltellava incontro felice

                -Mio re, non dovreste stare davanti alla finestra, non va bene-

                -Perché?- chiese ingenuamente il re

                -Ve l’ho già spiegato mio re… - sospirò l’altro

                -E perché continui a chiamarmi “mio re”?- lo interruppe -Siamo fratelli, perché non mi chiami con il mio nome?-

                -Perché siete il mio re e sono tenuto al rispetto- gli rispose l’altro

                -Ma sei mio fratello!- si imbronciò il ragazzo e l’altro sospirò di nuovo inginocchiandosi davanti a lui

                -Voi siete prima di tutto il re e il fatto che siamo fratelli non conta- gli spiegò per la milionesima volta e prima che il giovane potesse ribattere si rimise in piedi –ora dovete prepararvi mio re, c’è un banchetto al quale dovete presenziare fra meno di mezz’ora e siete ancora in camicia da notte-

                -Va bene… - borbottò il ragazzo mettendo però il broncio. Si tolse con un solo gesto la camicia da notte e la buttò per terra –vado a farmi il bagno-

                -Vi chiamo le vostre ancelle- disse il fratello mentre usciva dalla stanza e Monaldo riuscì appena a trattenersi dal fare strani versi, non gli piaceva avere delle ancelle, non gli piaceva che delle ragazze lo toccassero, e poi delle volte il suo corpo reagiva in modi strani, che non capiva e che non gli piacevano. Ma non poteva rifiutarsi, era normale per un re essere servito in ogni cosa e suo fratello si sarebbe molto arrabbiato se avesse mandato via le ragazze. Argo teneva molto alle tradizioni e il ragazzo non voleva farlo arrabbiare, quindi spesso anche se una cosa non gli piaceva la faceva lo stesso per non vedere il fratello arrabbiato con lui. Questo non valeva sulle faccende che riguardavano il popolo e il regno, lì suo fratello poteva anche arrabbiarsi e non parlargli per settimane ma la cosa importante era che il regno prosperasse.

                Monaldo si lasciò lavare dalle ancelle e per una volta tanto il suo corpo non gli giocò strani scherzi, una volta finito le ragazze lo asciugarono e lo vestirono con gli abiti che Argo aveva scelto per lui e poi lo pettinarono. Una volta che fu pronto ordinò alle ragazze di lasciarlo solo e rimase ad osservare la propria immagine riflessa allo specchio. Alle volte, quando si guardava di sfuggita, quasi non si riconosceva. Non era mai stato abituato a indossare abiti così eleganti, a tenere i capelli così lunghi e a portare la corona in testa. Essendo il secondogenito non sarebbe dovuto diventare lui re, quello era il posto di Argo. Per questo, sin da piccolo, era sempre stato un po’ trascurato, a lui venivano dati i vestiti meno belli, quelli meno vistosi, era lui quello che veniva messo da parte alle feste e ai banchetti, quello che nessuno notava. Perché era piccolo e gracile e alle volte l’avevano persino scambiato per una ragazza. Aveva i tratti del viso dolci e gli occhi limpidi e innocenti come quelli di ogni ragazzino e di un color azzurro luminoso come i cieli di primavera, lo stesso azzurro degli occhi della regina. E poi c’erano i capelli, quelli che aveva preso da suo padre, i capelli che prima gli arrivavano solo alle spalle e che ora scendevano sinuosi fino alle reni, altro segno della sua regalità. Quando ancora era solo il principino nessuno si sarebbe mai immaginato di vedere il diadema che ora era sulla sua fronte: la corona che era stata di suo padre, di suo nonno e di tutti i suoi avi. La stessa corona che tutti immaginavano si sarebbe posata sulla testa di Argo. Era sempre stato suo fratello l’immagine perfetta del re. Era alto e con spalle ampie e un corpo possente, bravo in battaglia, un ottimo stratega, vinceva ogni competizione a cui partecipava, cacciava con il falco e tirava d’arco senza mai sbagliare, era bravo con i soldi e si vestiva sempre in maniera impeccabile. Tanto bello da sembrare un dio, non veniva mai scambiato per una ragazza lui. E i suoi capelli sono sempre scesi fino alla schiena, brillando dei mille riflessi dell’oro più puro. E gli occhi! Quegli occhi che Monaldo aveva sempre ammirato, così pieni di forza, così fieri e impavidi. Aveva visto il fratello combattere e soffrire, lo aveva visto ridere e parlare con persone molto più grandi di lui. Eppure nessuno sembrava poter neppure sfiorare la sua magnificenza, nessuno sembrava in grado di poter arrivare a guardare quegli occhi senza dover alzare lo sguardo. Perché nessuno era tanto perfetto e regale quanto Argo.

                Eppure era Monaldo che portava la corona e ora Argo era quello che si vestiva anonimamente, era lui quello con i capelli corti, non era più il grande principe che sarebbe presto diventato re. Era solo Argo, il fratello del re. Monaldo l’aveva pregato di non tagliarsi i capelli durante la sua incoronazione ma il fratello non l’aveva ascoltato, aveva tagliato quegli splendidi capelli che il fratellino gli aveva sempre invidiato, e per quando gli regalasse splendidi vestiti Argo andava sempre in giro vestito ai limiti della povertà. Ormai tutti si permettevano di guardarlo dall’alto in basso perché nei suoi occhi era sparita la fierezza e la forza che lo aveva sempre contraddistinto. E ogni volta a Monaldo si stringeva il cuore, non voleva questo per il fratello, voleva che fosse felice, che tornasse ad essere quello di prima. Eppure Argo continuava a comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servire il Re, come se ne fosse diventato il cameriere. Non lo aveva più chiamato fratello da giorno dell’incoronazione e non si era più comportato come tale da allora. E da quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore aveva preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato donato un regno, un popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i genitori e suo fratello non era più suo fratello.

   
 
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