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Autore: bloodingeyes    15/11/2010    1 recensioni
Monaldo desiderava l’amore del suo popolo, perché sapeva che un re a cui manca questo non è un re: è un tiranno. E lui non voleva essere come suo padre, non voleva affamare la propria gente per farsi bello agli occhi degli altri regnati. Voleva la felicità e la tranquillità, non voleva le guerre. Ma suo fratello Argo continuava a comportarsi come se la sua unica ragione di vita ora fosse servirlo, come se fosse diventato il suo cameriere. Non lo aveva più chiamato fratello da giorno dell’incoronazione e non si era più comportato come tale da allora. E da quando quella corona si era posata sulla testa di Monaldo il suo cuore aveva preso a sanguinare incessantemente, perché gli era stato donato un regno, un popolo che lo amava e tante altre cose splendide ma aveva perso i genitori e suo fratello non era più suo fratello.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Notizie indesiderate

                Al giovane re piacevano le feste, piacevano i banchetti, gli piaceva mangiare e divertirsi come ad ogni ragazzo, però molto spesso non sopportava i commensali con cui si trovava a contatto. Spesso erano nobili più vecchi di lui, che venivano al suo castello solo per farsi belli e per scroccare un pasto. Altre volte erano ambasciatori stranieri che non parlavano la sua lingua e che non riuscivano a rispondere alle sue domande sui paesi da dove venivano, oppure gli raccontavano di cose per lui inutili e noiose. Ma i ricevimenti peggiori erano quelli dove i nobili portavano le loro famiglie. Per Monaldo quei banchetti non sembravano finire mai, vedeva padri tenere la mano delle loro mogli di nascosto, scambiarsi con loro dolci sguardi credendo di non essere notati. E vedeva come i genitori si comportavano con i figli, sgridandoli sommessamente, ridendo con loro, e parlando con gli altri nobili della loro famiglia con uno sguardo carico di orgoglio. Ma soprattutto vedeva parlare fratelli e sorelle fra di loro, litigare e ridere, come lui e Argo non facevano più ormai da tempo. E questo gli faceva male, si voltava spesso verso il fratello ma lui non lo guardava mai, parlava con ambasciatori e nobili assicurandosi che tutto fosse in ordine e parlava con lui solo in rarissimi casi. Alle volte pensava che Argo si vergognasse del fatto di essere suo fratello. Spesso Monaldo era triste durante i banchetti ma ostentava un sorriso raggiante che ogni tanto era pure vero e genuino, soprattutto quando arrivava il dolce, ma più spesso era solo una maschera.

                -Mio re- lo chiamò Argo ad un certo punto del pranzo, inginocchiandosi affianco alla sua sedia. Si sentiva così spesso chiamare “mio re”, “sire”, “maestà” in queste occasioni che non faceva neppure più caso al fatto che anche suo fratello lo chiamasse così

                -Dimmi Argo- gli rispose Monaldo appoggiando le posate e intrecciando le mani sullo stomaco per concentrarsi completamente sulle parole dell’altro

                -C’è una persona che desidera ardentemente parlarvi- lo informò il fratello

                -Lascia che venga, non ho mai negato a nessuno di parlarmi, se ne avevo il tempo… - Argo annuì e si rialzò ma Monaldo lo fermò prendendogli una mano –Cos’hai?- gli chiese, aveva visto uno strano sguardo su di lui, uno sguardo preoccupato e teso come non gli capitava da tempo di vedere

                -Nulla, mio re, vado a dire che avete accettato di parlare al vostro ospite- Monaldo gli lasciò la mano e si mosse agitatamente sulla sedia, non capiva il perché di quello sguardo sul viso del fratello. Forse non era nulla, oppure era una di quelle cose di cui si doveva seriamente preoccupare. Argo tornò presto accompagnando un uomo basso e tozzo, ma non grasso, con i capelli bianchi e lunghi, una barba curata e lunga, vestito elegantemente. Era quasi un nobile, lo capiva dai begli anelli che portava alle dita, le pietre che vi erano incastonate brillavano così intensamente da non poter essere dei falsi, e le vesti erano lavorate con maestria. Era un nobile e l’aveva anche già conosciuto in passato, anche se non ricordava il suo nome, ma non capiva che cosa ci fosse di così importante da discutere e da preoccupare Argo

                -Sire- lo salutò il nobile inginocchiandosi a lui

                -Salute a voi, nobile signore- gli rispose Monaldo voltando la sedia per poterlo guardare e allo stesso tempo rimanere seduto comodamente –di cosa desideravate parlarmi?-

                -Una cosa molto importante, sire- gli rispose quello con un sorriso appena accennato sulle labbra –però temo che vostro fratello potrebbe volerci interrompere- Monaldo guardò il fratello che stava dritto e impassibile a guardarli

                -Argo non ci interromperà- sentenziò il giovane re –quindi parla, ora!- il nobile si mosse agitatamente guardando di sottecchi il fratello del re che continuava ad essere impassibile quanto una statua di granito

                -Sire, temo che quello che ho da dirvi non vi piacerà…  - gli disse il nobile

                -Ci sono molte cose che non mi piacciono ma le ascolto lo stesso, quindi parla!- iniziava a spazientirsi, il nobile annuì e iniziò a spiegare molto cautamente, soppesando attentamente ogni parola che usciva dalla sua bocca

                -Sire, sono settimane ormai che le mie spie mi portano notizia che molti nobili tramano alle vostre spalle per spodestarvi, compresi molti dei vostri cugini e molti degli invitati a questa festa… -

                -Ne sono a conoscenza- gli rispose pacatamente il re –anche le mie spie me ne hanno riferito e ho preso i miei provvedimenti, non dovete preoccuparvi della mia sicurezza, sono ben protetto, le avete notate quelle guardie nascoste dietro le colonne? E quelle a tutte le entrate e le uscite? E dovete sapere che i miei camerieri sono stati addestrati a proteggermi e nelle cucine ci sono guardie in borghese che controllano la preparazione di ogni mio cibo… non sono uno sprovveduto, mio nobile signore, so come proteggermi da quelle serpi che vogliono la mia corona!- il nobile annuì e si morse le labbra, come per decidere se parlare o meno –C’è qualcos’altro?- gli chiese Monaldo. E ora temeva quello che avrebbe potuto dirgli quel nobile perché non sembrava avergli detto ancora quello di cui voleva metterlo al corrente, e temeva che sarebbe stata una cosa molto brutta

                -Mio signore, so che voi siete intelligente e sapete come difendervi ma spesso le minacce più grandi arrivano da dove meno ce lo aspettiamo… - si morse le labbra nervosamente e continuò –mio re, voglio solo farvi capire che non è dei vostri cugini o degli altri nobili che dovreste davvero preoccuparvi, ci sono serpi ben più infide da cui dovreste guardarvi in questo momento, serpi che aspirano ad indossare la vostra corona e che vi pugnaleranno alle spalle per strapparvela, e la ferita che vi infliggeranno sarà molto più dolorosa di quella che una qualsiasi arma vi potrebbe procurare, sarà una ferita al vostro orgoglio ma soprattutto spezzerà la completa fiducia che riponete nella persona che vi farà del male… -

                -Voi parlate per enigmi- gli rispose Monaldo –ditemi di chi mi devo preoccupare perché possa prendere provvedimenti-

                -Non posso mio re- gli rispose il nobile con un espressione tormentata in volto

                -Perché?- gli chiese l’altro stupito

                -Perché non vi piacerà sapere di chi sto parlando e perché temo che una volta che avrò detto quel nome mi ucciderete-

                -Cosa?- perplesso e sorpreso, il giovane re guardò senza capire il nobile. Non aveva mai ucciso una persona alla leggera, per Monaldo ogni vita era preziosa e spesso non si sentiva in diritto di toglierla. Ed era risaputo in tutto il regno e in quelli vicini che non aveva mai fatto del male a nessuno che non lo meritasse. Quindi non capiva lo sguardo preoccupato, spaventato, che gli stava rivolgendo quel nobiluomo

                -Mio re- si intromise Argo inginocchiandosi di fronte a lui, al fianco del nobile che sobbalzò di sorpresa –è di me che sta palando il vostro ospite- gli disse senza alzare lo sguardo da terra

                -Di te?- chiese il re confuso –ma… - la testa gli girava, aveva il vomito e non riusciva a capire perché Argo gli stesse dicendo quelle cose. Erano fratelli, lui non gli avrebbe mai fatto del male. Si voltò verso il nobile e lo costrinse a guardarlo negli occhi –è da Argo che mi volevate mettere in guardia?- gli chiese e l’altro tremò sotto il suo sguardo

                -Si, mio signore- ammise il nobile tremando. Il giovane re li guardò entrambi: il nobile che tremava nell’incertezza della sua fine e Argo che aspettava ad occhi chiusi la propria condanna. Monaldo respirò lentamente per liberare la mente da sentimenti e cattivi pensieri, per ragionare freddamente, per capire qual’era la verità. Chiuse gli occhi e sfoderò il pugnale che teneva sempre alla cintola e se lo rigirò per un attimo fra le mani. Guardò entrambi gli uomini davanti a sé, guardò i loro occhi, quelli impauriti del nobile e quelli seri di Argo e si alzò in piedi tenendo saldamente il coltello in mano. SI guardò attorno e si accorse che gli occhi di tutta la sala erano puntati su di lui

                -Che prove avete?- chiese il giovane al nobile che lo guardò sorpreso

                -Prove?- chiese come se quella parola non rientrasse nel suo vocabolario

                -Si, prove! Fatti o azioni che vi hanno spinto a pensare che mio fratello mi possa voler tradire-

                -Non… - cercò di dire il nobile, tremava e sudava vistosamente

                -Allora?- lo incitò il giovane

                -Non ci sono prove, mio re, semplicemente è quello che mi hanno riferito le mie spie-

                -E le vostre spie dove hanno preso questa notizia?-

                -Non… non lo so, mio re- il nobile tremò ancora più forte –mio signore, vi prego, credete alle mie parole! Io vi sono fedele, perché avrei dovuto dirvi queste cose anche se sapevo di poterne morire? Io vi amo, mio signore, e voglio solo che sappiate e siate pronto in caso… -

-In quale caso?- gli chiese Monaldo appoggiando la lama del pugnale sulla guancia del nobile –ditemelo!- ordinò e l’uomo tremò ancora più forte nel vedere lo sguardo duro che il ragazzo gli rivolgeva –voglio sentirvelo dire, ditemi a cosa devo stare attento!-

-A che  vostro fratello vi tradisca- balbettò il nobile. Monaldo spostò il coltello dalla sua guancia e si voltò verso Argo. Il pavimento della sala si tinse in un istante del rosso scarlatto del sangue. Il coltello di Monaldo si macchiò per la prima volta di quella linfa calda e i suoi abiti se ne sporcarono quasi completamente, persino sul suo viso me arrivarono alcune gocce. Aveva trapassato la giugulare con un unico colpo, e il pugnale era entrato e uscito dalla carne tenera del collo senza sforzi o strattoni. Argo era restato ad occhi aperti senza capire quello che era successo e il suo viso si era irreparabilmente macchiato di sangue, come i suoi vestiti e i suo capelli dorati. Era la prima volta dopo molto tempo che Monaldo lo vedeva esprimere qualcosa di diverso dalla solita maschera seria e imperturbabile e pensò che era davvero assurdo che servisse la morte per smuoverlo ma ora non aveva più importanza. Rinfoderò il pugnale e si guardò le mani sporche di sangue

-Devo andarmi a lavare- disse in un sussurro, scavalcò il cadavere e aggiunse –Argo occupati tu di dire ai servi di rimettere in ordine, io torno fra poco- e mentre Monaldo usciva dalla stanza suo fratello si rimetteva in piedi, fissando stupito quello che l’altro aveva fatto al nobile, il modo perfetto e letale con cui aveva ucciso anche se era la sua prima volta. Si toccò la guancia e le sue dita si tinsero di rosso, le fissò solo per un istante, prima di ritornare finalmente padrone di sé stesso e ordinare ai servi di ripulire il tavolo del re e di portare via il cadavere del nobile. Poi si voltò verso i commensali e li esortò a ritornare a mangiare. Sarebbe stato suo dovere rimanere a controllare gli ospiti ma invece andò a cercare Monaldo e lo trovò nella sua camera a litigare con i laccetti della camicia e con gli occhi pieni di lacrime

-Non riesco a slacciarli- piagnucolò e Argo gli scostò gentilmente le mani per aiutarlo. Lo svestì, gli ripulì il viso con un panno bagnato e lo rivestì. Tutto in completo silenzio. Monaldo di tanto in tanto si lasciava sfuggire un singhiozzo ma per il resto rimase completamente silenzioso e quando fu pronto per tornare al ricevimento anche le lacrime avevano smesso di scendere dalle sue guance –Devi cambiarti anche tu Argo- disse al fratello mentre lasciavano la stanza da letto

-Si mio re- gli rispose l’altro e Monaldo non ebbe neppure la forza di arrabbiarsi o rattristarsi per il fatto che per l’ennesima volta l’aveva chiamato “mio re”.

   
 
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