Notizie
indesiderate
Al
giovane re piacevano le feste, piacevano i banchetti, gli piaceva
mangiare e
divertirsi come ad ogni ragazzo, però molto spesso non
sopportava i commensali
con cui si trovava a contatto. Spesso erano nobili più
vecchi di lui, che
venivano al suo castello solo per farsi belli e per scroccare un pasto.
Altre
volte erano ambasciatori stranieri che non parlavano la sua lingua e
che non
riuscivano a rispondere alle sue domande sui paesi da dove venivano,
oppure gli
raccontavano di cose per lui inutili e noiose. Ma i ricevimenti
peggiori erano
quelli dove i nobili portavano le loro famiglie. Per Monaldo quei
banchetti non
sembravano finire mai, vedeva padri tenere la mano delle loro mogli di
nascosto, scambiarsi con loro dolci sguardi credendo di non essere
notati. E
vedeva come i genitori si comportavano con i figli, sgridandoli
sommessamente,
ridendo con loro, e parlando con gli altri nobili della loro famiglia
con uno
sguardo carico di orgoglio. Ma soprattutto vedeva parlare fratelli e
sorelle
fra di loro, litigare e ridere, come lui e Argo non facevano
più ormai da
tempo. E questo gli faceva male, si voltava spesso verso il fratello ma
lui non
lo guardava mai, parlava con ambasciatori e nobili assicurandosi che
tutto
fosse in ordine e parlava con lui solo in rarissimi casi. Alle volte
pensava
che Argo si vergognasse del fatto di essere suo fratello. Spesso
Monaldo era
triste durante i banchetti ma ostentava un sorriso raggiante che ogni
tanto era
pure vero e genuino, soprattutto quando arrivava il dolce, ma
più spesso era
solo una maschera.
-Mio
re- lo chiamò Argo ad un certo punto del pranzo,
inginocchiandosi affianco alla
sua sedia. Si sentiva così spesso chiamare “mio
re”, “sire”,
“maestà” in queste
occasioni che non faceva neppure più caso al fatto che anche
suo fratello lo
chiamasse così
-Dimmi
Argo- gli rispose Monaldo appoggiando le posate e intrecciando le mani
sullo
stomaco per concentrarsi completamente sulle parole dell’altro
-C’è
una persona che desidera ardentemente parlarvi- lo informò
il fratello
-Lascia
che venga, non ho mai negato a nessuno di parlarmi, se ne avevo il
tempo… -
Argo annuì e si rialzò ma Monaldo lo
fermò prendendogli una mano –Cos’hai?-
gli
chiese, aveva visto uno strano sguardo su di lui, uno sguardo
preoccupato e
teso come non gli capitava da tempo di vedere
-Nulla,
mio re, vado a dire che avete accettato di parlare al vostro ospite-
Monaldo
gli lasciò la mano e si mosse agitatamente sulla sedia, non
capiva il perché di
quello sguardo sul viso del fratello. Forse non era nulla, oppure era
una di
quelle cose di cui si doveva seriamente preoccupare. Argo
tornò presto
accompagnando un uomo basso e tozzo, ma non grasso, con i capelli
bianchi e
lunghi, una barba curata e lunga, vestito elegantemente. Era quasi un
nobile,
lo capiva dai begli anelli che portava alle dita, le pietre che vi
erano
incastonate brillavano così intensamente da non poter essere
dei falsi, e le
vesti erano lavorate con maestria. Era un nobile e l’aveva
anche già conosciuto
in passato, anche se non ricordava il suo nome, ma non capiva che cosa
ci fosse
di così importante da discutere e da preoccupare Argo
-Sire-
lo salutò il nobile inginocchiandosi a lui
-Salute
a voi, nobile signore- gli rispose Monaldo voltando la sedia per
poterlo
guardare e allo stesso tempo rimanere seduto comodamente –di
cosa desideravate
parlarmi?-
-Una
cosa molto importante, sire- gli rispose quello con un sorriso appena
accennato
sulle labbra –però temo che vostro fratello
potrebbe volerci interrompere- Monaldo
guardò il fratello che stava dritto e impassibile a guardarli
-Argo
non ci interromperà- sentenziò il giovane re
–quindi parla, ora!- il nobile si
mosse agitatamente guardando di sottecchi il fratello del re che
continuava ad
essere impassibile quanto una statua di granito
-Sire,
temo che quello che ho da dirvi non vi piacerà…
- gli disse il nobile
-Ci
sono molte cose che non mi piacciono ma le ascolto lo stesso, quindi
parla!-
iniziava a spazientirsi, il nobile annuì e iniziò
a spiegare molto cautamente,
soppesando attentamente ogni parola che usciva dalla sua bocca
-Sire,
sono settimane ormai che le mie spie mi portano notizia che molti
nobili
tramano alle vostre spalle per spodestarvi, compresi molti dei vostri
cugini e
molti degli invitati a questa festa… -
-Ne
sono a conoscenza- gli rispose pacatamente il re –anche le
mie spie me ne hanno
riferito e ho preso i miei provvedimenti, non dovete preoccuparvi della
mia
sicurezza, sono ben protetto, le avete notate quelle guardie nascoste
dietro le
colonne? E quelle a tutte le entrate e le uscite? E dovete sapere che i
miei
camerieri sono stati addestrati a proteggermi e nelle cucine ci sono
guardie in
borghese che controllano la preparazione di ogni mio cibo…
non sono uno
sprovveduto, mio nobile signore, so come proteggermi da quelle serpi
che
vogliono la mia corona!- il nobile annuì e si morse le
labbra, come per
decidere se parlare o meno –C’è
qualcos’altro?- gli chiese Monaldo. E ora
temeva quello che avrebbe potuto dirgli quel nobile perché
non sembrava avergli
detto ancora quello di cui voleva metterlo al corrente, e temeva che
sarebbe
stata una cosa molto brutta
-Mio
signore, so che voi siete intelligente e sapete come difendervi ma
spesso le
minacce più grandi arrivano da dove meno ce lo
aspettiamo… - si morse le labbra
nervosamente e continuò –mio re, voglio solo farvi
capire che non è dei vostri
cugini o degli altri nobili che dovreste davvero preoccuparvi, ci sono
serpi
ben più infide da cui dovreste guardarvi in questo momento,
serpi che aspirano
ad indossare la vostra corona e che vi pugnaleranno alle spalle per
strapparvela, e la ferita che vi infliggeranno sarà molto
più dolorosa di
quella che una qualsiasi arma vi potrebbe procurare, sarà
una ferita al vostro
orgoglio ma soprattutto spezzerà la completa fiducia che
riponete nella persona
che vi farà del male… -
-Voi
parlate per enigmi- gli rispose Monaldo –ditemi di chi mi
devo preoccupare
perché possa prendere provvedimenti-
-Non
posso mio re- gli rispose il nobile con un espressione tormentata in
volto
-Perché?-
gli chiese l’altro stupito
-Perché
non vi piacerà sapere di chi sto parlando e
perché temo che una volta che avrò
detto quel nome mi ucciderete-
-Cosa?-
perplesso e sorpreso, il giovane re guardò senza capire il
nobile. Non aveva
mai ucciso una persona alla leggera, per Monaldo ogni vita era preziosa
e
spesso non si sentiva in diritto di toglierla. Ed era risaputo in tutto
il
regno e in quelli vicini che non aveva mai fatto del male a nessuno che
non lo
meritasse. Quindi non capiva lo sguardo preoccupato, spaventato, che
gli stava
rivolgendo quel nobiluomo
-Mio
re- si intromise Argo inginocchiandosi di fronte a lui, al fianco del
nobile
che sobbalzò di sorpresa –è di me che
sta palando il vostro ospite- gli disse
senza alzare lo sguardo da terra
-Di
te?- chiese il re confuso –ma… - la testa gli
girava, aveva il vomito e non
riusciva a capire perché Argo gli stesse dicendo quelle
cose. Erano fratelli,
lui non gli avrebbe mai fatto del male. Si voltò verso il
nobile e lo costrinse
a guardarlo negli occhi –è da Argo che mi volevate
mettere in guardia?- gli
chiese e l’altro tremò sotto il suo sguardo
-Si,
mio signore- ammise il nobile tremando. Il giovane re li
guardò entrambi: il
nobile che tremava nell’incertezza della sua fine e Argo che
aspettava ad occhi
chiusi la propria condanna. Monaldo respirò lentamente per
liberare la mente da
sentimenti e cattivi pensieri, per ragionare freddamente, per capire
qual’era
la verità. Chiuse gli occhi e sfoderò il pugnale
che teneva sempre alla cintola
e se lo rigirò per un attimo fra le mani. Guardò
entrambi gli uomini davanti a
sé, guardò i loro occhi, quelli impauriti del
nobile e quelli seri di Argo e si
alzò in piedi tenendo saldamente il coltello in mano. SI
guardò attorno e si
accorse che gli occhi di tutta la sala erano puntati su di lui
-Che
prove avete?- chiese il giovane al nobile che lo guardò
sorpreso
-Prove?-
chiese come se quella parola non rientrasse nel suo vocabolario
-Si,
prove! Fatti o azioni che vi hanno spinto a pensare che mio fratello mi
possa
voler tradire-
-Non…
- cercò di dire il nobile, tremava e sudava vistosamente
-Allora?-
lo incitò il giovane
-Non
ci sono prove, mio re, semplicemente è quello che mi hanno
riferito le mie
spie-
-E
le vostre spie dove hanno preso questa notizia?-
-Non…
non lo so, mio re- il nobile tremò ancora più
forte –mio signore, vi prego,
credete alle mie parole! Io vi sono fedele, perché avrei
dovuto dirvi queste
cose anche se sapevo di poterne morire? Io vi amo, mio signore, e
voglio solo
che sappiate e siate pronto in caso… -
-In quale caso?-
gli chiese Monaldo appoggiando la lama del pugnale sulla guancia del
nobile
–ditemelo!- ordinò e l’uomo
tremò ancora più forte nel vedere lo sguardo duro
che il ragazzo gli rivolgeva –voglio sentirvelo dire, ditemi
a cosa devo stare
attento!-
-A che vostro
fratello vi tradisca- balbettò il
nobile. Monaldo spostò il coltello dalla sua guancia e si
voltò verso Argo. Il
pavimento della sala si tinse in un istante del rosso scarlatto del
sangue. Il
coltello di Monaldo si macchiò per la prima volta di quella
linfa calda e i
suoi abiti se ne sporcarono quasi completamente, persino sul suo viso
me
arrivarono alcune gocce. Aveva trapassato la giugulare con un unico
colpo, e il
pugnale era entrato e uscito dalla carne tenera del collo senza sforzi
o
strattoni. Argo era restato ad occhi aperti senza capire quello che era
successo e il suo viso si era irreparabilmente macchiato di sangue,
come i suoi
vestiti e i suo capelli dorati. Era la prima volta dopo molto tempo che
Monaldo
lo vedeva esprimere qualcosa di diverso dalla solita maschera seria e
imperturbabile e pensò che era davvero assurdo che servisse
la morte per
smuoverlo ma ora non aveva più importanza.
Rinfoderò il pugnale e si guardò le
mani sporche di sangue
-Devo andarmi a
lavare- disse in un sussurro, scavalcò il cadavere e
aggiunse –Argo occupati tu
di dire ai servi di rimettere in ordine, io torno fra poco- e mentre
Monaldo
usciva dalla stanza suo fratello si rimetteva in piedi, fissando
stupito quello
che l’altro aveva fatto al nobile, il modo perfetto e letale
con cui aveva
ucciso anche se era la sua prima volta. Si toccò la guancia
e le sue dita si
tinsero di rosso, le fissò solo per un istante, prima di
ritornare finalmente
padrone di sé stesso e ordinare ai servi di ripulire il
tavolo del re e di
portare via il cadavere del nobile. Poi si voltò verso i
commensali e li esortò
a ritornare a mangiare. Sarebbe stato suo dovere rimanere a controllare
gli
ospiti ma invece andò a cercare Monaldo e lo
trovò nella sua camera a litigare
con i laccetti della camicia e con gli occhi pieni di lacrime
-Non riesco a
slacciarli- piagnucolò e Argo gli scostò
gentilmente le mani per aiutarlo. Lo
svestì, gli ripulì il viso con un panno bagnato e
lo rivestì. Tutto in completo
silenzio. Monaldo di tanto in tanto si lasciava sfuggire un singhiozzo
ma per
il resto rimase completamente silenzioso e quando fu pronto per tornare
al
ricevimento anche le lacrime avevano smesso di scendere dalle sue
guance –Devi
cambiarti anche tu Argo- disse al fratello mentre lasciavano la stanza
da letto
-Si mio re- gli
rispose l’altro e Monaldo non ebbe neppure la forza di
arrabbiarsi o
rattristarsi per il fatto che per l’ennesima volta
l’aveva chiamato “mio re”.