La
seguente storia è stata ispirata dal video dei My Chemical
Romance “SING” seguito di “Na Na Na”. È
da premettere che il nuovo album dei My Chemical Romance - “Danger
Days: The True Lives Of Fabulous Killjoys” - è un
concept album. L’idea di fondo è quella che forma anche
il fumetto che Gerard Way, il cantante dei My Chemical Romance, sta
preparando e che sarà pubblicato con la Dark Horse. Ancora non
è ben chiaro di cosa parli il fumetto o l’album. Parte
della storia “Grace” è tratto dalle congetture che
è possibile fare dai vari video che sono stati postati in
merito, altro è frutto della mia fantasia.
Aggiungo,
infine, che i personaggi citati nei video dei My Chem non mi
appartengono, né i My Chemical Romance; i fatti per lo più
sono di mia invenzione, e lo slash che viene inserito non è
necessariamente reale. Non scrivo a scopo di lucro – e bla bla.
Parte dei personaggi sono di mia invenzione. Ecco tutto. Spero
soltanto che qualcuno legga.
Grace
Introduzione.
È
soltanto una questione di principio. C’è sempre qualcosa
per cui valga la pena comportarsi in modo stupido e incosciente, che
non si può abbandonare. I Killjoys non desideravano affidarsi
nelle mani della Better Living. Ma era un prezzo che erano disposti a
pagare per …
… era
di Girl che si parlava. Non un bambino qualsasi – che comunque
avrebbero fatto in modo di salvare – Girl.
Il
primo a risollevare gli umori fu Fun Ghoul. Aveva appena chiuso una
comunicazione via radio trasmittente – non era chiaro con chi
avesse parlato – e aveva tutta l’aria del “mi
sembra abbastanza chiaro, non ho voglia di spiegare adesso”.
Ma
ovviamente i Killjoys non avevano neanche idea di quale fosse
l’argomento in questione; Party Poison era impegnato a
digrignare i denti con le mani alle tempie e i gomiti sul tavolo, una
bottiglia di vetro rotta di fronte a lui, Jet Star lucidava la
pistola laser, corrucciato e preoccupato, Kobra Kid aspettava –
e
basta
– guardando l’orologio di tanto in tanto e sgranchendo le
dita delle mani. “L’abbiamo abbandonata!” Sbuffò,
per l’ennesima volta.
Lo sapevano tutti che la Better Living
li voleva nella sede di Battery City tutti, al completo. E soltanto
quella domanda tormentava le loro teste: “quando
ci muoviamo?”.
“Allora,
vi sbrigate?”. Ordinò Fun Ghoul; alzarono lo sguardo
verso di lui.
Girl non c’entrava niente, era un’esca.
Ma non potevano sacrificarla.
Un bicchiere tremò al pugno
sulla superficie lignea: Party Poison si sentiva un verme. Più
del solito.
“Andiamo
a riprenderci Girl, Poison; alza il culo da quella sedia e smettila
di tormentarti”.
I tre seguirono Fun Ghoul: sarebbero
entrati nella Better Living, l’effetto sorpresa, per quanto
potessero usufruirne, li avrebbe aiutati in qualche modo. O quella
dose di fortuna che non poteva proprio abbandonarli in quel momento,
non dopo che avevano combattuto infinite volte nel deserto perdendo
soltanto un paio di compagni del fronte di ribellione, non quando
c’era di mezzo la vita di Girl, o di qualsiasi altro bambino
educato tra i ribelli.
Girl sembrava che sarebbe stata scelta per
guidare quei bambini. Per qualche strano fenomeno che l’organizzatore
delle azioni di Battery City – quando sarebbero tornati al
quartiere li avrebbe quantomeno linciati e urlato contro di loro
pubblicamente, umiliandoli: non ci si poteva muovere senza la sua
autorizzazione, perché lui aveva combattuto, prima, quando le
guerre erano all’ordine del giorno e le persone non avevano
perso le speranze, che ora si limitavano a plastica e metallo –
teneva segreto riguardo la sua nascita misteriosa.
Sapevano
soltanto che era comparsa una bambina di pochi giorni al quartiere,
che era stata affidata ai Killjoys e che soltanto l’Organizzatore
conosceva le sue origini.
Almeno li avrebbe ringraziati, quando la
pressione sarebbe scesa e si fosse calmato un po’.
“Un
furgone partirà dieci minuti dopo di noi dalla base …”.
Non c’era bisogno di domandare “Perché?”. Lo
sapevano che avrebbero rischiato la vita là dentro; c’era
un numero sproporzionato di nemici, era la loro “base”,
il luogo che conoscevano meglio, sarebbero stati in vantaggio –
anche se i Killjoys potevano essere orgogliosi di non aver quasi mai
perso durante le battaglie contro la Better Living – le loro
risorse d’armi e braccia sembravano infinite. I Killjoys erano
quattro e insostituibili.
Dalla base alla Better Living erano
circa cinque miglia, in auto sarebbero arrivati in dieci minuti;
avevano deciso di allertare una base di cui conoscevano qualche
componente che si trovava nelle vicinanze dell’Azienda.
Alla
Better Living si producevano vite perfette. Era nata nel 2010, poco
prima della “fine” del mondo. Non era ben chiaro cosa
fosse accaduto nel Dicembre 2012, si supponeva un incidente
premeditato che aveva a che fare con i governi, affari internazionali
iper-segreti e fascicoli bruciati da qualsiasi cosa avesse distrutto
l’Italia e la Spagna, la Grecia, il Bangladesh, New Orleans,
Afghanistan, Nepal, e molti altri paesi e città considerate
sottosviluppate. Nel febbraio del 2013 si scoprì che l’unica
azienda rimasta era la Better Living che, da quel momento, con i fili
della sua ragnatela estesi in ogni continente, senza che nessuno se
ne fosse accorto, avrebbe curato gli interessi dell’intero
pianeta con le sue diverse basi. Ogni essere umano dall’Ottobre
di quell’anno fu incuriosito dalla pubblicità della
Better Living: prometteva una vita migliore, senza dolore, soltanto
sorrisi, una promessa di lavoro nella compagnia, e la sicurezza di
uno stipendio, di vitto e di alloggio. I trattamenti erano gratuiti.
In moltissimi vi si recarono. Quando i parenti si accorsero delle
ripercussioni – perdita d’ogni ricordo ed emozione,
nessuna necessità di viveri e insensibilità al dolore o
ai cambiamenti atmosferici – un gruppo di uomini e donne in
Germania si recarono all’Azienda di Berlino per domandare
spiegazioni. Furono massacrati, così testimoniarono quelli che
li attesero all’esterno, fuggendo. Da quel giorno, diffusasi la
notizia del motivo a cui servivano nuovi adepti della setta della
Better Living, i Tedeschi si spostarono negli Stati Uniti dove la
presenza della BL – come in Italia, che nonostante fosse stata
rasa al suolo, era ancora popolata da gruppi di uomini che si
ostinavano a non abbandonarsi alle cure dell’Azienda –
era minormente diffusa. Tra questi giunse l’Organizzatore, un
omaccione che aveva partecipato a guerre in Iraq e in Afghanistan e
aveva visto qualsiasi scempio potesse l’uomo concepire; eppure,
nel fondo dei suoi occhi, si scorgeva il dolore della perdita, il
dolore di aver vissuto quel male che soltanto l’essere umano,
da sempre, è in grado di procurare ai suoi simili. Avrebbe
desiderato la pace, diceva sempre, una volta nella sua esistenza.
Quando finalmente era stato congedato dall’esercito, all’età
di quarant’anni, aveva sperato che sarebbe riuscito a vivere,
finalmente. E invece esattamente tre mesi dopo il mondo aveva deciso
di finire, semplicemente, così come era iniziato.
Tutto era
stato stravolto.
Poi uno dei suoi amici era stato coinvolto nella
strage in Germania, e lui era scappato nel vecchio New Jersey, a
Battery City, dove aveva fondato uno dei fronti più attivi
degli Stati Uniti poiché l’oppressione della BL era
maggiormente presente, come invece non accadeva a New York –
luogo di contrabbando e informazioni top-secret, completamente sotto
il controllo dei ribelli – facendosi chiamare Erko. Per i primi
tempi fu lui a istruire i “cadetti” di Battery City, fin
quando non brillarono i Killjoys.
Si trovarono, come previsto, di
fronte il tunnel che li avrebbe condotti ai posti di blocco; Party
Poison, alla guida, accelerò: “Tenetevi forte”.
Jet
Star mormorò qualcosa come “Manie di protagonismo anche
nei momenti più critici”, scuotendo la testa, mentre Fun
Ghoul ghignava spudoratamente. Era di gran lunga preferibile vederlo
in azione Party Poison, che mezzo morto su una sedia.
Lui e Girl
avevano sempre avuto un rapporto molto particolare: continuava a
ripetere che quando sarebbe diventata abbastanza grande, l’avrebbe
sposato perché era la persona più speciale, anche se
“Poison
voleva bene solo a Fun Ghoul”.
Poison non aveva occhi che per lei, da quando gli avevano raccontato
che c’era un nuovo arrivo tra i bambini – lui era un
ventenne con poca autostima, impaurito e rabbioso per la scomparsa
dei suoi genitori – ed era una neonata. Quando l’aveva
vista nella culla aveva capito che non l’avrebbe più
abbandonata. Si fiondò subito nell’ufficio di Erko, e lo
supplicò per circa tre quarti d’ora di affidargli la
bimba.
“Non
se ne parla nemmeno! Sei uno dei Killjoys, devi migliorare, non puoi
prenderti cura di lei”.
“Io
devo!”.
“No,
Party Poison, è un ordine, non ti devi avvicinare a
lei”.
“Allora
me ne andrò da qui!”.
Erko aveva già
abbastanza problemi senza doversi occupare delle lagne di un
marmocchio depresso – di certo lui non doveva assicurarsi che
la cena fosse in abbondanza per le centinaia di uomini, donne e
bambini che abitavano la base. “La concentrazione deve essere
dedicata tutta all’adde-”.
“LO
SO QUESTO! Per me è importante combattere contro di loro!
Contro la BL! Hanno ucciso i miei genitori, e quelli di tutti i miei
amici e le persone che sono diventate la mia nuova famiglia: mentre
noi parliamo rischiano il culo fuori da questo ufficio per
sopravvivere e per creare un mondo nuovo! Lo so quali sono le
priorità! Ma io voglio che lei abbia una famiglia, sin da
subito, e che non ci si debba mai separare. Se davvero sono il
migliore assieme ai KJs, allora non morirò e non ci dovremo
mai dire ‘addio’ …”.
Tanto stupido e
immaturo non era Party Poison, che aveva affrontato le difficoltà
di qualsiasi ragazzo dell’epoca ed era uno dei numerosi orfani
che avevano dovuto vivere settimane – o nei casi più
sfortunati mesi – in solitudine, da animali in cattività,
prima di trovare una base che li accogliesse. In molti tra i ribelli
non osavano accudire nuovi bambini, poiché non ce n’era
il tempo né bastavano le risorse per sfamarli. Party Poison
era stato trovato in stato confusionale, affamato e disidratato, nel
deserto di Battery City assieme a suo fratello (accovacciato accanto
a lui, stordito e in lacrime) dall’uomo che poi si sarebbe
preso cura di loro: Erko.
“E
sia”.
Come aveva assicurato, Party Poison riusciva a badare
a Girl nella casetta dei Killjoys e di Erko, dove la governante che
aveva cresciuto anche i quattro si assicurava che la piccola avesse
tutto ciò di cui necessitava; anche se per lo più era
Party Poison a obbligare chiunque a designarlo come tutore di Girl.
All’inizio Fun Ghoul era stato geloso delle attenzioni che gli
erano state negate, ma poi si rese conto che Party Poison desiderava
semplicemente che avesse quello che a loro era stato negato, e si
adoperò insieme a lui e gli altri per donarle una vera e
propria famiglia. Un po’ numerosa, rumorosa e spesso assente
per via delle missioni, ma una famiglia su cui poteva contare e in
cui credere e affidare ogni desiderio celato, ogni segreto.
Era
comprensibile che si abbattesse, ma non era il modo giusto Killjoys
di affrontare la situazione: dovevano prendere quell’auto e
guidarla come degli incoscienti fino alla Better Living, spaccare i
culi di quelle merde, e ritornare trionfanti alla base, con una Girl
felice.
C’era inquietudine e tensione nei corpi di tutti e
quattro; certo, una volta avevano assalito la BL, ma un gruppo aveva
creato un diversivo a trenta chilometri da lì, metà del
personale era assente, poterono salvare un centinaio di persone –
quelle che trovarono vive – e uccidere uomini sul loro
cammino.
Al posto di blocco i guardiani alzarono lo sguardo giusto
un attimo prima che raggi laser li colpissero; la Killjoys-mobile, un
ragno nero disegnato sul cofano, infranse in mille pezzi la barra di
legno e si avviarono verso il portone.
Uno dei due, allo stremo
delle forze, premette un pulsante. Ma i Killjoys non avevano il tempo
di fermarlo o di chiedersi cosa avesse azionato.
Dall’alto
del suo studio il Dirigente della Better Living di Battery City, Aiko
Sabouro osservava attraverso gli schermi collegati alle videocamere
dell’intero quartiere generale l’avanzare dei Killjoys.
Erano conosciuti nella regione – e nell’intero
ex-continente Americano – come dei valorosi ribelli. Eppure,
dall’alto di donna di mondo qual era Aiko, si accorgeva di come
si stessero avvicinando alla morte e ancora non avessero compreso,
come tutti gli esseri umani, quale fosse il vero lavoro della Better
Living, cosa producesse realmente.
Il Capo, colui che aveva
fondato la prima azienda a Tokyo, aveva scoperto le proprietà
della pietra che aveva denominato “Grace” in onore della
defunta moglie, aveva deciso che fosse arrivato il momento per un
Pianeta migliore, per una vita felice e priva di sofferenze o
emozioni e sensazioni violente, che distraessero dai reali intenti
umani. Eppure aveva scelto alla direzione delle varie basi donne e
uomini non tramutati in robot, più capaci di ragionare al di
fuori degli schemi che imponeva la Better Living – a volte era
necessario ignorare delle regole, quando proprio si doveva agire in
fretta.
L’America e l’Italia erano sempre state le più
difficili da combattere. Quegli stolti dei Killjoys erano cascati
nella trappola: avevano guidato fino all’Azienda, ma non
sarebbero riusciti a salvare la bambina, e né sarebbero
ritornati alla loro tanto amata base-casa.
Proprio non
comprendevano quei ribelli che avrebbero perso la guerra. Aiko era
una donna di successo, una delle migliori, una dei pochi prescelti a
governare la difficile situazione negli Stati Uniti, ma non riusciva
a capire per quale motivo il capo si ostinasse a non ignorare quegli
insulsi e arretrati uomini.
Lo ricordava perfettamente cos’era
successo: anche lei aveva perso i suoi genitori. Il Capo l’aveva
trovata tra le strade di Tokyo prima che iniziasse a piovere quel
liquido acido – il Metallo, il ricchissimo metallo Grace –
salvandola da morte certa, inserendola tra gli allievi dei corsi
dell’Accademia per esseri umani della Better Living e
scoprendo, con piacere, di aver trovato un ottimo elemento. Aveva
cominciato a usufruire dei benefici delle pillole di Grace impoverito
che aiutavano a isolare cervello e cuore, e permettevano di evitare
le emozioni.
Quella melodrammaticità che si ostinavano ad
adottare, il loro farsi trascinare dalle passioni …
anticipavano la loro morte. Insetti schiacciati. E la piccola Girl,
così diceva di chiamarsi, non appariva del tutto inutile.
Avrebbe potuto studiare all’Accademia. Mentre giocherellava con
un pallone blu, Aiko le strappò un capello dalla testa e lo
infilò in una bustina da laboratorio: lo avrebbero esaminato e
si sarebbero assicurati che fosse stata sana, prima di deportarla a
Tokyo, dove sarebbe stata sottoposta a ulteriori analisi. Se le
avesse superate, sarebbe stata ammessa.
“Stanno
per entrare, signorina Sabouro”.
“Fate
che non trovino troppi ostacoli, Korse sarà la ciliegina sulla
torta”.
Le
porte erano spalancate. Quattro uomini armati comparvero, due
nascosti dietro bassi muretti bianchi – tutto era bianco lì
dentro – i Killjoys spararono senza timore: immaginavano che vi
fosse qualche trucco, si sarebbero aspettati di trovare come primo
avversario Korse. Ma di lui non c’era traccia. Il loro rivale
era chissà in quale ala del palazzo. Oltrepassarono i corpi
degli uomini e si avviarono lungo i corridoi: conoscevano la
planimetria a memoria, era stata una delle prime lezioni che avevano
imparato. “I palazzi della Better Living sono tutti uguali e il
come sono strutturati non è un segreto. Soltanto una stanza è
impossibile da trovare, ed è quella della
Direzione”.
Oltrepassarono ancora altre guardie, lasciandole
stese al suolo. Non era divertente o piacevole uccidere, ma si erano
abituati all’idea, ormai, che per sopravvivere in quel luogo
distrutto e perverso si doveva obbligatoriamente impugnare la pistola
laser e proteggersi con ogni forza.
Passo svelto; Girl doveva
essere salvata. Parlavano poco, agivano.
Funzionava in quel modo assurdo. “Girl
sarà salva”,
si costringeva a credere Party Poison. “non
può andare diversamente: fosse l’ultima mia impresa”.
E
Fun Ghoul, suo fratello e Jet Star dovevano tornare. Alla base
avevano bisogno di loro: erano talentuosi e avrebbero potuto
ricostruirsi una vita. In particolare Fun Ghoul. Insomma, dopotutto
la loro era solo un rapporto frivolo, per trascorrere il tempo, erano
come fratelli, avevano bisogno di scrollarsi di dosso la tensione in
qualche modo. “No?”.
Kobra
Kid aveva smesso di indossare quell’aria lugubre e sorrideva.
Correvano – o meglio, si muovevano velocemente – verso
una direzione senza ritorno: la morte. Andava bene, non aveva
intenzione di abbandonare nessuno, al limite dovevano essere gli
altri a lasciarlo in quel luogo; non ci si salvava dalle pistole
laser, non ci si poteva attardare, altrimenti si avrebbe perso
soltanto tempo.
Aiko impugnò la katana prima che i Killjoys
varcassero la soglia della sala di videosorveglianza e sparì
tra il buio dei macchinari di controllo, un varco pressoché
invisibile, quando apparvero e uccisero – solo momentaneamente
– gli uomini che si accertavano della posizione dei quattro
diligentemente.
“Il
piano sta procedendo come previsto, preparate la procedura per
avviare Korse” disse con un fil di voce, appoggiando il dito
indice all’auricolare nel suo orecchio destro. “Raggiungete
l’atrio”.
Party Poison si gettò al pavimento
stringendo Girl con tutte le sue forze. “Finalmente sei salva”.
La bambina rimase imbambolata: eccolo lì, suo fratello, l’uomo
che amava, il salvatore, tutto.
Ed era tra le sue braccia, di nuovo, dopo quelle ore trascorse ai
piedi della donna frigida e odiosamente elegante e composta.
Aveva,
ora, un’idea di come fossero i pazienti della Better Living.
“Non voglio diventare come loro”.
Si lagnò. Fun Ghoul le sorrise e le scompigliò i folti
capelli ricci.
“È
impossibile che un esserino fastidioso come te diventi così
antipatico”.
“Ragazzi
…”.
I tre si voltarono verso Jet Star e Kobra Kid;
era ora di andare.
Il
tasto di avviamento. Korse si era svegliato e, mentre si avviava giù
con un ascensore, fu seguito da un piccolo corteo di uomini. A sua
volta Aiko ne raccolse degli altri, e delle guardie lasciarono le
loro postazioni per il piano terra. Non servivano tutte le forze per
battere quelle formiche. Ed era inutile sprecarle, dunque.
I
Killjoys lo speravano troppo: che non avessero dovuto combattere di
fronte a Girl.
Si immusonì la bimba, credendo che si
trattasse di una delle esercitazioni, mentre i primi raggi di luce
colorata – letale – partivano da qualsiasi lato della
stanza. I Killjoys erano in svantaggio, ma riuscivano a colpire con
maggiore precisione; ne caddero di corpi, mentre si voltavano di
continuo accertandosi che tutti stessero bene, che non vi fosse
nessuno alle spalle. “Ce
la stiamo facendo!”
esultò interiormente Kobra Kid, nonostante la convinzione
precedente.
Non bisognava distrarsi. Erano la speranza i Killjoys.
Assieme a Girl.
Jet Star ripensò alla prima volta in cui fu
portato nella base. Aveva quindici anni, uno sguardo perso nel vuoto,
e parlava raramente. Gli si presentò di fronte un bambino dai
capelli neri e degli occhi intensamente curiosi e vispi. “Ciao,
io mi chiamo Fun Ghoul e tu?”.
“Mi
hanno detto che il mio nome è … è …”.
“Lui
è Jet Star, Fun Ghoul” comparve Erko alle sue spalle “è
nuovo, e sarà il tuo compagno di squadra, ma dovrai aiutarmi a
spiegargli come funziona la base”. Gli fece l’occhiolino,
scortandoli verso il suo ufficio nella piccola casa in cui viveva
assieme a una governante, la dolce Megg. Fun Ghoul parlò
ininterrottamente per quasi un’ora: nella base nessuno non
lavorava, ognuno eseguiva il compito che sceglieva, tranne gli
anziani, che potevano riposare e raccontare storie alle soglie delle
loro dimore. “C’è un signore che sa tutto sulla
storia e sulla musica! Mi ha insegnato a suonare la chitarra, è
fantastico, dovresti provare!”.
Fun Ghoul, come lui, era
nato nel 2000. La fine del mondo e tutto quello che era successo
l’avevano vissuto con la speranza che fossero bugie raccontate
dagli adulti per spaventarli. Nel 2012 i genitori di entrambi
morirono. Fino a quando Jet Star compì quindici anni portò
avanti una vita marginale a New York, un luogo poco adatto a un
ragazzino: gli temprò il carattere. Era più forte di
quanto molti credessero.
C’erano sempre stati dei passaggi
che mancavano, che erano stati celati loro. “Un giorno vi
racconterò tutto, ragazzi”, prometteva Erko. Ma di
tracce delle spiegazioni ancora nessuna.
Un altro corpo colpito
per Party Poison. E un altro, e un altro- sfilò una maschera
per sbaglio. Quel volto … lo conosceva, l’aveva scorto
ogni mattino dal Duemila al Duemilaquindici. Era suo padre. Suo padre
sotto una maschera. Suo padre che sarebbe dovuto essere morto “
… ma
che cazzo … ?!”.
Dopotutto,
era chiaro: alla Better Living riportavano alla vita i morti. Ecco
cosa accadeva, cosa non andava. E lui aveva appena colpito l’uomo
che l’aveva messo al mondo e chissà che sotto i visi
mostruosi non vi fossero altri parenti, e sua madre … sua
madre e il suo odore inconfondibile di pane, e la marmellata che
finiva sempre tra i suoi capelli color miele ondulati … Korse
era di fronte a lui, si avvicinava, trionfante.
“E
qual è il mio motivo di vivere?”.
Un’immagine
di Fun Ghoul, di Kobra Kid, di Jet Star … Girl.
Dio, Girl.
Ma ormai era troppo tardi per salvare qualcuno, Korse sparò
l’ultimo colpo e Poison si augurò soltanto che lui,
invece, non fosse costretto a resuscitare.
Fun
Ghoul lo capì subito: Girl non aveva mai urlato in quel modo.
Disperato. Troppo per una bambina di otto anni. A otto anni bisognava
ridere e saltare e gioire. Lei urlava. Party Poison era morto. Era un
piccolo fagotto di vestiti colorati – così in contrasto
con l’ignobile bianco accecante tutto intorno –
afflosciato ai piedi di Korse.
Anche Kobra Kid cadde, pochi
istanti dopo. Quasi a voler sottolineare che erano fratelli e che,
divisi, non riuscivano a sopravvivere. Sentì Jet Star, non
lontano da lui, lanciare un’imprecazione. Si slanciarono
insieme verso Girl, al centro della sala, spaesata; Fun Ghoul non
sarebbe uscito di lì, ma Jet Star doveva prendersi cura di
Girl. Chiuse a chiave la vetrata dietro di loro.
“Adesso
a noi, brutti stronzi”.
Avrebbe voluto uccidere Korse, perché l’aveva ferito nel
profondo, dove nessuno sarebbe dovuto arrivare – oltre Party
Poison.
Quando comparve aveva quindici anni e il suo unico amico
era Jet Star. Party Poison lo salutò dal lettino, bofonchiando
e soffocando il dolore in smorfie. “Non dovresti alzarti”.
“E
tu chi sei?”. Gli domandò.
“Fun
Ghoul”.
Annuì, semplicemente, e la testa gli crollò
nel cuscino, di piombo: Fun Ghoul fu in grado di rivedere, come in un
film, tutto quello che era capitato al ragazzino. Si mosse d’istinto,
di scatto, gli strinse la mano nella sua: “andrà tutto
bene, ora”.
Sorrise, leggermente, un pezzo di speranza, un
passo in avanti.
Anche quando gli colpirono la gamba, lui proseguì
verso Korse. Ma non bastò.
“Sei
un idiota, Fun Ghoul”.
Ma non sapeva biasimarlo.
Voleva solo accartocciarsi sull’asfalto.
Ma Girl correva dinnanzi a lui, aveva diritto a un futuro.
Non
sapeva che la bimba stesse urlando, ancora, nella sua testa; che si
rifiutasse di credere che erano morti i suoi fratelli, la sua
famiglia. “Non
mi lasciare anche tu, Jet Star”.
“Non
ce la farò, Girl”.
Lo
seppe, anche prima di voltarsi, dei rumori di laser, e un tonfo. Come
quello di Party Poison e Kobra Kid, come un pezzo di lei che cadeva,
quando l’assenza di ricordi di sua madre la soffocava e si
accasciava contro la porta della sua stanza, dilaniata. Allora
arrivava Party Poison – sempre – e se non lui uno degli
altri a salvarla, a proteggerla. Era solo una bambina. Aveva visto
morire così tante persone … poteva fermarsi, fermarsi e
attendere che portassero via anche lei e non avrebbe assistito alla
morte di nessun altro.
Un furgone le si fermò esattamente
accanto e la incitarono a salire. “Addio,
addio …”:
ormai gli occhi affogavano nelle lacrime.
La
bambina nel video di “SING” si chiama Grace nella realtà;
ho preso il suo nome e l’ho usato per denominare la moglie del
Capo della Better Living e il “Metallo”. Molte cose non
sono spiegate in questo capitolo introduttivo, ma le scoprirete –
per quei pochi che leggeranno, se
ce ne saranno – nei prossimi capitoli. Sempre se
ce ne saranno. XD
Volevo ringraziare particolarmente L i a r perché ha letto l’intera trama della storia e ha commentato positivamente in merito, perché mi sostiene sempre e perché mi ha promesso di essere già pronta a fangirlare su questo mio lavoro. Ti voglio bene <3