Ringraziamo
L i a r,
come sempre, per il sostegno morale, per aver messo la storia tra le
preferite, per aver commentato e per avermi spronata come sempre
(minacciandomi: ma a ognuno i propri sistemi XD).
Un
grazie a Ginny_Potter,
GioPattz e
My_Desperate_Romance
per averla inserita nelle seguite.
Per
My_Desperate_Romance:
Grazie per avermi “esortata”. Sentitevi pure libere, da
questa volta in poi, di minacciarmi. Con me funziona meglio delle
muse, fidatevi XD Grazie mille per quello che hai detto sullo scorso
capitolo, spero che anche questo piacerà a te e alle altre
(sempre che siano rimaste con me XD).
Oh,
e grazie alle 175 visite, anche se non mi avete fatto sapere
di esserci, avete comunque dato uno sguardo al mio lavoro.
Grazie
a tutti, buona lettura <3
(Se
avete dubbi o domande di qualsiasi genere, chiedete pure).
Introduzione – Parte Seconda.
Non
è mai stato certo cosa ci sarebbe stato dopo la morte, nel
Mondo. Neanche quando la Terra era un posto libero e ognuno poteva
credere ciò che preferiva. Il “Paradiso”, il
“vuoto cosmico”, l’“annullamento”. Uno
spazio o un non-spazio indefinito.
Per
la natura dell’uomo, probabilmente, è impossibile
immaginare qualcosa che non ci sia. La presenza dell’assenza.
In
particolare, Party Poison era incapace di credere che, una volta
chiusi gli occhi del suo corpo terreno, non avrebbe più visto
nulla. Non sapeva neanche lui se si trattava di speranza o di tutti
quei dogmi che avevano fatto parte della sua infanzia, distante anni
luce dalla vita che poi aveva affrontato dal 2012 in poi. Da quando
il mondo era cambiato.
A
quindici anni aveva aperto gli occhi in una sorta di Pronto Soccorso
in una base di ribelli e si era ritrovato di fronte un bambino che,
per qualcosa nello sguardo (o forse nel non-sguardo) gli somigliava.
Da
quel momento non si era mai seperato da lui. Né da suo
fratello, o Jet Star o Erko.
Erko
aveva dato loro conforto nel momento in cui erano poco più che
quattro bambini sperduti e non desideravano altro che sedersi di
nuovo alla tavola delle loro madri, dove affondare la testa in un
piatto caldo per affogare le difficoltà, e dondolare sulle
gambe muscolose dei loro padri, su cui saltellare, ridere e
raccontare le proprie giornate.
Finiti
quei tempi. Nell’era della Better Living non c’era spazio
per nient’altro che la lotta. Anche i più privilegiati
combattevano sin da quando si formavano nell’utero. O
arrendersi e soccombere all’assenza di sentimenti.
Korse
gli puntò la pistola contro il collo. Lui lo sapeva che anche
gli altri lo avrebbero seguito, perché non erano proprio in
grado di muoversi da soli.
Gli
sembrò di scorgere come Kobra Kid cadesse al suolo,
seguendolo, come Girl urlasse piena di dolore. Colma di astio …
Era
diventato il momento di Girl. Da quel giorno sarebbe stata lei a
prendersi cura di se stessa, della base, la migliore tra i bambini,
avrebbe guidato, un giorno, l’organizzazione di Battery City.
I
Killjoys erano soltanto pedine per un piano molto più grande
che non contemplava l’ipotesi di fermarsi e interrompersi alla
loro morte.
Se
Party Poison non fosse cresciuto con Erko, avrebbe detto che la morte
dei Killjoys era programmata da quando aveva incontrato Fun Ghoul;
sarebbe stato esattamente nello stile di Erko scegliere una data
nella quale abbandonare per sempre i migliori della base per
sostituirli.
Girl
era senza parole. La frase adatta. Perché il più
sarebbe stato superfluo. Per quello che sentiva – non poteva
ignorare il suo corpo di bambina, la pelle che le tirava, gli occhi
che le bruciavano, le gambe che le dolevano per la corsa, il cuore
che le batteva contro il petto per le troppe emozioni, le pupille
ancora lampeggiavano delle pistole laser nell’ingresso della
Better Living – non c’erano dubbi. Qualcosa, dentro di
lei, si era spezzato.
Qualcosa
a cui Party Poison si era aggrappato con le unghie – proprio
esattamente il contrario di come si era comportato con tutte le
speranze e i piani – e che aveva trascinato con sé
(chissà dove e chissà quanto profondo) nel peggiore dei
bui.
Fun
Ghoul. Un po’ di spazio per lui.
Non
aveva mai immaginato una morte diversa da quella che gli era
spettata, alla fine. Accanto ai suoi compagni – era certo che
nemmeno Jet Star si sarebbe salvato – a provare con ogni forza
di vendicare la loro perdita, il modo brutale in cui erano nati i
dolori che li tormentavano, il modo brutale in cui dovevano nutrirsi
di cibi in scatola perché ogni ortaggio e animale era
avvelenato. La Terra malata, arida, cosparsa di un Veleno ancora
non-identificato.
Dopotutto,
i macchinari tecnologici si trovavano alla Better Living. Non tra i
selvaggi quali si erano trasformati gli abitanti del pianeta.
Quanto
ardore aveva sentito sotto la pelle fino all’ultimo, le urla di
Girl e di tutti gli altri che rimbombavano nelle orecchie, gli occhi
riempiti delle lacrime delle parole inespresse, la testa dolorante di
ogni colpo al cuore e morto crollato (sotto il peso di tutto quel
male).
Anche
lui era morto, dunque. I Killjoys non erano immortali. E nemmeno
l’amore.
Suo
padre l’aspettava nel piccolo appartamento. Era steso al buio,
nella cucina, su un divano sgangherato che, quando aveva appena sei
anni, era già in quello stato pietoso. E vitale.
L’uomo
era immobile, se non per lo sterno che gli si abbassava e alzava
ritmicamente, e lo sfarfallio delle palpebre. Era sveglio; quel buio
era per cercare di dare un senso.
Era
vestito di tutto punto, con quegli indumenti a cui Girl non conosceva
alternativa, se non nella Biblioteca della base dove erano conservati
vecchi volumi di una civiltà dalle quali ceneri era nata lei.
Girl.
La speranza della base di Battery City. Una bimbetta di otto anni con
i capelli ricci e gli occhi pieni di domande.
A
piccoli passi, lenti, si avvicinò al suo padre adottivo,
inginocchiandosi sul pavimento accanto a lui. Erko si voltò
verso di lei, aspettando che fosse lei a esprimere la nube di
turbamenti e orrore.
Su
quel divano i Killjoys ci erano cresciuti discutendo del loro futuro:
l’unico argomento che si potesse affrontare in quell’epoca.
Il presente stava morendo, il passato era stato distrutto.
“Mi
sento stanca”.
“Sì,
piccolina”.
“I
Killjoys sono morti”. Singhiozzò, nascondendo la faccia
tra i cuscini. Se si concentrava, poteva sentire l’odore della
carne preferita di Fun Ghoul che aveva impregnato la stoffa dopo
tutte le volte che era caduta lì sopra, macchiando e lasciando
aloni d’unto.
“ … sono
stati coraggiosi, erano lì soltanto per te”.
Non
importava quanto avesse tentato di non provar nulla per i quattro,
quanto si fosse ripromesso d’essere obbiettivo e oggettivo. E a
lui, personalmente, non importava di cosa avrebbero pensato gli
altri. Li aveva visti crescere, aveva osservato come diventavano
pieni di voglia di lottare per ritornare nel luogo dov’erano
nati, con quanta passione erano esistiti. Esistenti. Poteva allungare
una mano all’indietro per tastare uno di quei tipici contrasti
tra lui e Kobra Kid. Era ben diverso dall’essere semplicemente
il loro capo.
Lui
era un padre.
I
suoi figli erano morti. Gli era rimasta soltanto quel batuffolino di
Girl, che diventava giorno dopo giorno sprezzante del pericolo quanto
loro, vicina a perire proprio come i Killjoys, a un passo
dall’incoscienza dell’orgoglio e della voglia di
conoscere.
“Dove
sono andati, papà?”.
“In
un posto meraviglioso”.
Ma
Girl non era certa che esistesse qualcosa di bello, se portava tanto
dolore.
Girl
si chiuse la porta alle spalle, con poca grazia. Credeva di aver
trascorso delle ore intere sul pavimento accanto a Erko. O forse si
trattava di minuti. Erano rimasti in silenzio; qualche volta il
dolore era stato troppo forte, non era riuscita ad arginarlo, e si
era lasciata andare con qualche singhiozzo. Erko aveva sentito tutto,
ogni spasmo, respiro rotto, parola – o nome – sussurrata.
Ma aveva lasciato la piccola a se stessa, ai suoi spazi, al caldo
della solitudine. Dalla morte dei Killjoys – perdita la quale
venuta si attendeva, ormai – Erko aveva deciso sin da quando
Girl era comparsa nella vita della base di Battery City che la
ragazzina avrebbe preso il posto dei Killjoys. Dal giorno seguente
Erko avrebbe organizzato le sue giornate di modo d’allenarla
sei ore ogni diciotto, dalla sua alimentazione sarebbero scomparsi i
grassi in eccesso e, nel tempo libero, avrebbe studiato.
… si
stese sul letto, si sentiva mortalmente esausta. Dietro le palpebre
pesanti vedeva lampi di luce colorata, odore di bruciato le pizzicava
le narici. Ed era sbagliata, totalmente, la musica proveniente da
chissà quale punto della base. Qualcuno urlò
“finalmente è morto”. Girl lo trovò
incredibilmente scortese.
“Di
cosa avete bisogno?”.
“Abbiamo
un messaggio per Girl”. Show Pony per la maggior parte del
tempo sopportava a stento Erko. Era un uomo dispotico, arrogante e
convinto d’essere l’unico in grado di saper distinguere
il bene dal male. I Killjoys avevano una totale venerazione per lui,
e questo lo rendeva ancor più intollerabile ai suoi occhi. Lo
osservava, sapeva che considerava i ragazzini soltanto come delle
armi ottime: facili da plasmare e controllabili. Non avrebbe mai
scordato come lo aveva escluso assieme ad altri quattro o cinque
ragazzini dall’addestramento.
Dr.
Death, se avesse potuto senza dare nell’occhio, avrebbe stretto
il braccio a Show Pony. Stava cercando d’essere paziente e di
mostrare la dovuta – la necessaria – dose di venerazione.
Immaginava, anche prima di varcare la soglia dello studio di Erko
seguito da Megg – occhi arrossati e gonfi, fazzoletto alla mano
– che stesse controllando Girl, non potevano sembrare sospetti,
pronti a farle il lavaggio del cervello. Erko era ossessionato dal
lavaggio del cervello, e da un certo punto di vista Dr. Death
comprendeva i suoi atteggiamenti protettivi fino all’inverosimile
e insopportabili. Ed erano ben chiari a quelli come lui, gli
scienziati della base, le ragioni per cui fosse così morboso
nei confronti della ragazzina, almeno in parte, quel tanto ricavato
dalle loro analisi all’apparenza inutili. Non era più un
ragazzo e anche quando lo era stato l’impulsività
propria di Show Pony non gli era appartenuta. Era quello il motivo
per cui aveva scelto di laurearsi in una specializzazione chimica di
Medicina. Aveva ricevuto una cattedra da pochi anni nel 2012. Una
reazione anomala – stava lavorando in una compagnia avversaria
della Better Living – fece esplodere il suo laboratorio. Perse
l’uso delle gambe, molti colleghi morirono, altri mutilati
irreversibilmente, qualcuno se la cavò con delle semplici
escoriazioni. Ma dopo alcuni mesi lui fu l’ultimo sopravvissuto
e fu costretto a fuggire a Battery City. Erko lo accolse a braccia
aperte, reduce da scempi dopo i quali nessuno era sopravvissuto per
raccontarli, tranne lui. Era giusto fosse Erko a guidare la base, era
giusto fosse lui a organizzare l’armata. Nessuno aveva il
diritto di contrastare i suoi metodi di comando. Ma, al diavolo!, si
trattava di Girl; tutti amavano Girl lì dentro, nessuno
l’avrebbe tradita, e Dr. Death lavorava con Erko sin dagli
inizi, era stato da sempre il suo braccio destro. E lo era ancora.
Era il più geniale scienziato di cui disponevano – se
non il migliore degli interi Stati Uniti.
Show
Pony tremò ancora. Era scosso dalla morte dei Killjoys. Anche
se era stato bollato come “diverso” perché escluso
dal reclutamento, Fun Ghoul, Party Poison, Jet Star e Kobra Kid erano
sempre stati insieme a lui. Dopo qualche tempo anche gli altri si
convinsero ad avvicinarglisi e tutti insieme obbligarono Erko a
includerlo negli allenamenti e, in seguito, nelle missioni.
C’era
troppo rancore tra i due perché Erko non si divertisse a
vederlo fremere e perché la voglia di Show Pony di prenderlo a
pugni scemasse.
“Dovrei
visionarlo prima”.
Digrignò
i denti. “È personale”. Se Dr. Death conosceva
Show Pony – ed era abbastanza sicuro di poterlo decantare quasi
fosse una poesia imparata a memoria, o esporne le regole come i nomi
dei metalli – entro pochi attimi sarebbe scoppiato. Si sentiva
solo e spaesato, ciò lo rendeva instabile, intrattabile e
nervoso. Indi per cui facilmente cedibile alle forti emozioni e
impulsi.
“Erko,
per favore. È dei ragazzi …”.
“Se
Girl ne rimarrà traumatizzata o scossa verrete considerati
come diretti interessati, vi do un quarto d’ora, non un minuto
oltre. È molto indaffarata in questo periodo e deve riposare”.
“Lo
sappiamo”. Allora fu Dr. Death a rispondere, ringhiando: non
aveva mai approvato i fantomatici ’allenamenti’ di Erko.
Non applicati a dei ragazzini.
Dr.
Death e Show Pony bussarono alla porta della camera di Girl.
Ricordavano l’interno colorato e brioso: lo stile di una
bambina e quello dei Killjoys miscelati; al letto aveva legato la
collana porta fortuna di Party Poison e il braccialetto di Fun Ghoul,
quello regalatogli alla nascita dai suoi nonni. Alle pareti aveva
incollato delle foto scattate assieme ai Killjoys e sul davanzale
della finestra spiccava una collezione di pezzi di vetro che
raccoglievano la luce del sole. Quando Girl diede loro il permesso di
varcare la soglia la trovarono seduta dietro la scrivania, visionando
delle carte scritte fittamente, un’espressione corrucciata mai
vista sul suo volto di bambina. Era tutto, all’interno, grigio
e asettico. Al posto dei soliti indumenti, una canotta nera e un paio
di pantaloni aderenti dello stesso colore. Al polso aveva legato la
collana e il braccialetto; i capelli li aveva tirati all’indietro
ordinatamente, in una piccola crocchia perfettamente tonda.
“Salve”.
Salutò, senza alzare la testa.
“ … ciao,
Girl”. Show Pony era più sconvolto di lui, rimaneva
sulla soglia, braccia penzoloni, la faccia a metà tra il
dubbio e il dispiaciuto. Erano trascorse soltanto due settimane.
“Come va?”.
“Tutto
alla grande”.
“Bene”.
Show
Pony mosse due passi in avanti. “Pony ed io siamo qui perché
dobbiamo darti qualcosa”.
“Prego”.
Girl indicò il materasso a Show Pony e si allontanò
sulla sedia dal tavolo, posizionandosi di fronte i due uomini.
“Cos’è?”.
“È
un video. Un ologramma dei Killjoys”.
“Non
credere sia un messaggio da addio; è un regalo che avevano
preparato per il tuo prossimo compleanno. È un montaggio di
tutti i video delle feste … e altri momenti che sono riusciti
a raccogliere”.
“Erko
cosa ne pensa?”. L’unico segno d’emozione in Girl
era stato il contrarsi delle dita delle mani poggiate sulle gambe;
Pony era sempre più convinto che Erko stesse avviando anche
Girl verso la rovina, come se già tutte le persone morte non
bastassero. Ma cercare di farla ragionare allora sarebbe stato
inutile e dispersivo: avrebbe cominciato a strepitare e convincersi
che stessero tentando di “farle il lavaggio del cervello”.
“Ha
acconsentito”.
Girl
annuì, tese una mano, a aspettò che le poggiassero sul
palmo l’oggetto. I Killjoys, alla fine, avevano ultimato il
regalo. Proprio il giorno dell’incidente nel deserto, quando
c’era stato un piccolo scontro con la truppa di Korse e Girl
era stata rapita. Mancava ancora un mese all’ottavo
anniversario dalla sua nascita, il diciotto Ottobre, anche se ormai
due settimane erano trascorse da allora. I cambiamenti erano evidenti
anche nel modo di comportarsi di Girl. Erano bastati quindici giorni
assieme a Erko, senza l’influenza dei Killjoys a rasserenarla,
e si era trasformata, velocemente, in una lugubre copia degli uomini
della Better Living. “Come se questo non fosse lavaggio del
cervello”, pensò Show Pony, inghiottendo un boccone
di saliva particolarmente amaro. Party Poison, Jet Star, Kobra Kid e
in particolare Fun Ghoul, ma tutte le persone che erano nate poco
prima della strage del 2012 in generale, sapevano cosa significasse
vivere. All’aria aperta. Non doversi nascondere, indossare
colori luminosi per essere riconosciuti, smettere di usare il bianco.
Certo,
le tonalità erano l’ultimo dei loro problemi, c’erano
pochi viveri, e non era una sicurezza che sarebbero riusciti a
sopravvivere ancora a lungo come ribelli: soltanto la Better Living
sapeva come eliminare il veleno dagli alimenti. Ma quella piccola
speranza, quella forza di aprire gli occhi per salvare qualcuno,
appropriarsi di ciò di cui si aveva bisogno, lottare per se
stessi, avere dei compagni … aiutava molto ad andare avanti, a
non soccombere.
“Adesso
potete andare”. Sillabò Girl. Dr. Death e Pony si
incamminarono verso l’uscita; Megg, alla loro vista, riprese a
piagnucolare in un grande fazzoletto lindo. Quante volte Pony si era
intrufolato nella camera dei ragazzi e aveva giocato con loro, alla
lotta, ad avere ancora dei genitori; Megg entrava sempre, li
contemplava, e subito tornava con dei biscotti o delle prelibatezze
cucinate dalle sue stesse mani. Non le era mai importato che Pony
fosse “diverso” - soltanto perché a volte gli
piaceva travestirsi da donna e preferiva giocare con le femminucce
piuttosto che con i maschi – era come un figlio per lei, e i
figli si accettano anche quando non sono come tutti si aspettano
siano.
“Arrivederci,
Pony”.
“Ciao,
Megg”.
Dr.
Death, dal basso della sua carrozzina, una volta usciti da quella
casa piena di ricordi, avvolse un braccio intorno alla vita di Pony.
In circostanze ’naturali’ la vergogna lo avrebbe
bloccato: ma si trattava di una difficoltà troppo
insormontabile per il compagno, e cercava come poteva di salvarlo da
un baratro che si presentava gigantesco per affrontarlo da solo.
“Grazie,
Death”.
Girl
voleva davvero ignorare quell’ologramma poggiato
disordinatamente sul tavolo. Ma sembrava chiamarla. Con una voce
sconosciuta e dolorante. Voce supplicante, la pregava. Quasi in
ginocchio. Forse era proprio se stessa, nascosta lì dentro, a
chiamarsi e cercarsi.
Dove
era finita Girl?
Sull’asfalto
fuori la Better Living, quando aveva perso anche Jet Star: Jet Star
c’era sempre, più di tutti gli altri, silenzioso,
gentile. Quando litigava con Fun Ghoul e Kobra Kid lui le rimaneva
alle spalle, le allungava un cioccolatino, sorrideva sotto i baffi e
non le si staccava dal fianco. Aveva un sorriso raro, di quelli
capaci di illuminare un’intera stanza. Ed era scomparso. Per
sempre.
Chi
le avrebbe confidato i segreti del mondo e delle stelle?
… Party
Poison. Il sentimento che la legava a lui era forte quanto soltanto
l’amore passionale dei bambini sa essere. Girl era innamorata
di Party Poison. Le sembrava blasfemo e male allontanarsi da quel
sentire. Eppure le faceva male il tempo, non riusciva a
entrare nella camera dei Killjoys. Non un pezzo, ma ben quattro le
erano stati strappati dal petto. Come avrebbe fatto?
Si
impossessò dei filmati a malincuore. Avrebbe soltanto
peggiorato la situazione quella debolezza.
Le
immagini le riempirono gli occhi, i rumori dei Killjoys le orecchie.
La mente di ricordi. Aveva chiuso le porte del pianto sin dal giorno
seguente la morte dei quattro, non credeva di essere ancora in grado
di … piangere. Accucciata sulla sua stupida sedia da lavoro,
con le gambe e le braccia al petto. Innocente bambina di otto anni …
eppure aveva visto già tutto.
Rivoleva
indietro la sua famiglia.
Aiko
Sabouro nella sua presunzione di donna e datrice di lavoro perfetta
non avrebbe mai immaginato di poter sbagliare. E, certo, quello non
poteva essere definito un errore, se si considerava il fatto che non
era mai stata avvisata di una tale possibilità.
Quando
finalmente era riuscita ad assassinare i Killjoys, si aspettava che
il Capo fosse soddisfatto di lei, le assegnasse una promozione, o le
dimostrasse in qualsiasi modo avrebbe preferito la soddisfazione per
il suo ottimo lavoro svolto. Subito i corpi dei quattro erano stati
privati del cuore e del cervello, dove l’anima risiedeva,
all’interno delle loro casse toraciche erano state inserite le
batterie Better Living, ricolme di Grace che alimentava i “robot”,
se così si poteva definirli. Dopotutto, si trattava di esseri
umani a quasi tutti gli effetti. La pelle era stata ricoperta della
resina isolante che avrebbe permesso al fisico di non andare in
decomposizione. Degli elementi allenati e abituati alla lotta come i
Killjoys sarebbero sempre stati utili alla Better Living. In più
causavano problemi all’Azienda da quando avevano cominciato ad
andare in missione, all’età di vent’anni. Mese
più, mese meno.
Erano
sempre stati la spina nel fianco di Aiko, annientarli aveva avuto un
sapore incredibilmente dolce. Sensazioni smorzate dal Grace
impoverito, naturalmente, ma dopotutto un aspetto dell’essere
umano di cui non si rammaricava era proprio quel piacere nel
possedere ciò che si desiderava. E cos’altro avrebbe
potuto chiedere, ormai?
Con
l’annullamento dei Killjoys poteva aspettarsi soltanto una
brillante carriera, accanto al Capo, come suo braccio destro. Le lodi
che le giunsero da Tokyo non furono indifferenti, l’uomo le
promise un riconoscimento alla fine di Ottobre, avrebbe dovuto
aspettare soltanto fino alla fine di quel mese, per poi raggiungere
vette incommensurabili.
Purtroppo
per Aiko, non aveva previsto ciò che successe nei laboratori
della Better Living di Battery City. I “pidocchi”, i
“parassiti insignificanti” stavano trionfando di
nuovo. Stavano testando il capello della giovane ribelle. Ma
c’era un’anomalia nel suo sangue. Non era un qualsiasi
tessuto umano quello che avevano tra le mani. Gli scienziati erano
tenuti a comunicare qualsiasi distorsione alla base centrale, a
Tokyo. Dove erano celati i segreti della società, gli
esperimenti a cui pochissimi migliori studiosi avevano accesso. I
documenti che, se caduti nelle mani dei ribelli, avrebbero distrutto
la società in modo irreparabile e per sempre. Come
l’ubicazione – il minore dei mali – della
Direzione. Inviarono i risultati delle analisi prima possibile al
laboratorio di Tokyo. Fu evidente di cosa si trattasse. Del sangue
dell’elemento Omega.
Il
Capo fu informato in tutta fretta, gli mostrarono i risultati dei
test, a prova di ciò che gli stavano comunicando: qualcosa di
cui aveva bisogno sin dal lontano 2021, otto anni prima.
“Inviate
subito una comunicazione scritta alla signorina Sabouro: che venga
qui prima possibile”.
Aiko
si trovava sull’aereo per gli spostamenti interni all’azienda
verso Tokyo. Ancora dieci minuti e sarebbe atterrata. Una leggera
sensazione di panico le attanagliava la gola: aveva paura che i
ribelli si vendicassero proprio mentre era via. E un po’ di
titubanza la riempiva per quella convocazione anticipata a Tokyo.
L’aereo
si posò esattamente sul tetto dell’edificio dei palazzi
della Better Living, su quello principale: rigorosamente costruiti in
Grace solidificato. Ad attenderla un uomo e una donna con indosso dei
camici bianchi e delle cartellette tra le braccia. Le rivolsero un
asettico saluto prima di procederla verso l’ufficio del Capo,
nel quale non entrava da circa un anno, se ricordava bene. Percorsero
i corridoi pallidi e splendenti, tra uomini mascherati e completi che
si mimetizzavano perfettamente con i muri e i pavimenti di marmo;
qualcuno le accennò con il capo, mentre il ticchettio delle
sue scarpe rumoreggiava ed echeggiava lungo i corridoi.
Dall’interno
le spalancarono le porte della stanza gigantesca. In un acquario alle
spalle del Capo, seduto dietro la sua scrivania di metallo bianco,
nuotavano degli squali di dimensioni ridotte. Un paio di
collaboratori, in posizione eretta, parlottavano tra loro, al fianco
dell’uomo.
“Buongiorno,
signorina Sabouro”.
“Buongiorno
a lei”.
“E
così ha raggiunto un livello che non mi sarei mai aspettato da
lei”.
“La
ringrazio, Signore. Catturare i Killjoys è sempre stata la mia
prerogativa da quando sono comparsi. L’operazione è
stata portata a termine, finalmente”.
“Oh,
uccidere i Killjoys è stata la torta, indubbiamente, ma la
ciliegina … la ciliegina! Quale prelibato bocconcino,
signorina Sabouro, di dimensioni e sapori che neanche riesce a
comprendere, ora. Ma con un tale ingegno, una tale bravura, arriverà
ben oltre il sapere il perché di questa ciliegina, non si
preoccupi”. Aiko sorrise, rilassata, attendendo che il Capo
proseguisse a elogiarla spiegandole, inoltre, cosa fosse tale
ciliegina. “Mi riferisco alla bambina, naturalmente. Che spero
sia in un alloggio adeguato alla sua levatura”.
Lo
sguardo di Sabouro parve spaesato per alcuni attimi: poi comprese. La
bambina. La riccioluta piaga che aveva giocato con quel pallone di
plastica blu nella sala registrazioni. “Intende dire …
Girl?”. Ci volle uno sforzo di memoria per ricordare il nome
della marmocchia.
“Naturalmente.
Avrei preferito che la portasse con lei, ma sarebbe potuto non essere
prudente. Gli attacchi dei ribelli si stanno evolvendo”. La
battuta scaturì delle risate alle sue spalle, dai
collaboratori.
“Non
è più con me. Nel … nel verbale ho scritto che i
Killjoys sono riusciti a …”. Ma aggiungere altro sarebbe
stato superfluo: il Capo aveva compreso. Dalle espressioni dei
segretari – o qualunque fosse il ruolo di cui erano insigniti –
Aiko capì di aver messo nei guai anche loro. Probabilmente
dovevano essere loro a leggere i verbali delle missioni, e non erano
stati abbastanza attenti.
Ma
Aiko. Aiko era in pericolo, e lo vedeva. Il Capo non era sembrato mai
prima d’allora così furibondo.
“Io
l’ho raccolta dalla strada, signorina Sabouro. Le ho dato una
chance di elevarsi dal basso compito di combattere una battaglia
senza speranza contro la Better Living. Le ho affidato carichi
importanti, le ho lasciato la piena gestione di Battery City, quel
covo di bifolchi … e lei mi viene a raccontare che si è
lasciata sfuggire Girl?”.
“Io
…io …io”. Ogni sicurezza persa in un battito di
ciglio; quasi che tutta la sua vita fosse stata gettata via, al
vento, e ogni insegnamento avesse seguito i pezzi della sua anima,
tagliati via ed espulsi volta dopo volta.
“Non
c’è bisogno che aggiunga altro”. Sorrise,
conciliante, prima di farla portare via, in chissà quale luogo
a farle estrarre cervello e cuore per trasformarla in un robot come
qualsiasi altro.
Megg
in tanti anni aveva atteso quel momento così a lungo …
aveva sempre sperato che Erko si ricredesse e cominciasse ad
apprezzare i talenti nascosti di Pony. L’aveva spedita a
chiamarlo quella mattina, pressoché all’alba, aveva
attraversato l’intera base, fino a trovarsi di fronte l’uscio
della casetta di Dr. Death, nella quale sapeva avrebbe trovato anche
Pony. Difatti fu proprio lui ad aprirle la porta, con i capelli
scompigliati e un’enorme maglietta che gli arrivava fino alle
cosce.
“Erko
ti vuole vedere”. Gli annunciò, un sorriso a trentadue
denti.
Forse,
nonostante l’avversione, ciò che Pony desiderava
ardentemente era essere apprezzato dall’uomo in cui sperava e
voleva vedere un padre. Ci era riuscito, a quanto sembrava. Era
riuscito a far puntare il suo occhio critico su di sé.
Ripercorsero
insieme la strada, Megg non smetteva di raccontare quanto fosse
promettente quel desiderarlo nel suo ufficio. Sul tavolo aveva
sistemato gli strumenti da lavoro: poteva significare soltanto che
avrebbero svolto un qualche compito di genere.
Megg
lo accompagnò fino all’uscio, per poi lasciarlo con una
pacca sulle spalle, e osservare mentre tornava in cucina quanto ci
avrebbe impiegato a bussare.
Si
decise dopo, calcolando approssimativamente, due minuti. Rispetto ai
Killjoys – loro commettevano imprudenze all’incirca ogni
dieci minuti – era stato velocissimo, un fulmine.
“Ah,
Show Pony … pensavo avresti impiegato di più”.
“Megg
mi ha fatto intendere fosse urgente”.
“Non
esageratamente urgente”. Lanciò uno sguardo in tralice
all’orologio, per poi fargli cenno di accomodarsi. “Voglio
che tu sia il mio braccio destro”.