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Autore: beesp    06/01/2011    2 recensioni
Killjoys!AU.
La mia versione della realtà di Battery City e la "Better Living" aspettando il fumetto. E magari controllando le diversità, quando uscirà.
Estratto: Dall’alto del suo studio il Dirigente della Better Living di Battery City, Aiko Sabouro osservava attraverso gli schermi collegati alle videocamere dell’intero quartiere generale l’avanzare dei Killjoys. Erano conosciuti nella regione – e nell’intero ex-continente Americano – come dei valorosi ribelli.
KEEP RUNNING!
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringraziamo L i a r, come sempre, per il sostegno morale, per aver messo la storia tra le preferite, per aver commentato e per avermi spronata come sempre (minacciandomi: ma a ognuno i propri sistemi XD).
Un grazie a Ginny_Potter, GioPattz e My_Desperate_Romance per averla inserita nelle seguite.
Per My_Desperate_Romance: Grazie per avermi “esortata”. Sentitevi pure libere, da questa volta in poi, di minacciarmi. Con me funziona meglio delle muse, fidatevi XD Grazie mille per quello che hai detto sullo scorso capitolo, spero che anche questo piacerà a te e alle altre (sempre che siano rimaste con me XD).
Oh, e grazie alle 175 visite, anche se non mi avete fatto sapere di esserci, avete comunque dato uno sguardo al mio lavoro.
Grazie a tutti, buona lettura <3
(Se avete dubbi o domande di qualsiasi genere, chiedete pure).






Introduzione – Parte Seconda.

Non è mai stato certo cosa ci sarebbe stato dopo la morte, nel Mondo. Neanche quando la Terra era un posto libero e ognuno poteva credere ciò che preferiva. Il “Paradiso”, il “vuoto cosmico”, l’“annullamento”. Uno spazio o un non-spazio indefinito.
Per la natura dell’uomo, probabilmente, è impossibile immaginare qualcosa che non ci sia. La presenza dell’assenza.
In particolare, Party Poison era incapace di credere che, una volta chiusi gli occhi del suo corpo terreno, non avrebbe più visto nulla. Non sapeva neanche lui se si trattava di speranza o di tutti quei dogmi che avevano fatto parte della sua infanzia, distante anni luce dalla vita che poi aveva affrontato dal 2012 in poi. Da quando il mondo era cambiato.
A quindici anni aveva aperto gli occhi in una sorta di Pronto Soccorso in una base di ribelli e si era ritrovato di fronte un bambino che, per qualcosa nello sguardo (o forse nel non-sguardo) gli somigliava.
Da quel momento non si era mai seperato da lui. Né da suo fratello, o Jet Star o Erko.
Erko aveva dato loro conforto nel momento in cui erano poco più che quattro bambini sperduti e non desideravano altro che sedersi di nuovo alla tavola delle loro madri, dove affondare la testa in un piatto caldo per affogare le difficoltà, e dondolare sulle gambe muscolose dei loro padri, su cui saltellare, ridere e raccontare le proprie giornate.
Finiti quei tempi. Nell’era della Better Living non c’era spazio per nient’altro che la lotta. Anche i più privilegiati combattevano sin da quando si formavano nell’utero. O arrendersi e soccombere all’assenza di sentimenti.
Korse gli puntò la pistola contro il collo. Lui lo sapeva che anche gli altri lo avrebbero seguito, perché non erano proprio in grado di muoversi da soli.
Gli sembrò di scorgere come Kobra Kid cadesse al suolo, seguendolo, come Girl urlasse piena di dolore. Colma di astio …
Era diventato il momento di Girl. Da quel giorno sarebbe stata lei a prendersi cura di se stessa, della base, la migliore tra i bambini, avrebbe guidato, un giorno, l’organizzazione di Battery City.
I Killjoys erano soltanto pedine per un piano molto più grande che non contemplava l’ipotesi di fermarsi e interrompersi alla loro morte.
Se Party Poison non fosse cresciuto con Erko, avrebbe detto che la morte dei Killjoys era programmata da quando aveva incontrato Fun Ghoul; sarebbe stato esattamente nello stile di Erko scegliere una data nella quale abbandonare per sempre i migliori della base per sostituirli.

Girl era senza parole. La frase adatta. Perché il più sarebbe stato superfluo. Per quello che sentiva – non poteva ignorare il suo corpo di bambina, la pelle che le tirava, gli occhi che le bruciavano, le gambe che le dolevano per la corsa, il cuore che le batteva contro il petto per le troppe emozioni, le pupille ancora lampeggiavano delle pistole laser nell’ingresso della Better Living – non c’erano dubbi. Qualcosa, dentro di lei, si era spezzato.
Qualcosa a cui Party Poison si era aggrappato con le unghie – proprio esattamente il contrario di come si era comportato con tutte le speranze e i piani – e che aveva trascinato con sé (chissà dove e chissà quanto profondo) nel peggiore dei bui.

Fun Ghoul. Un po’ di spazio per lui.
Non aveva mai immaginato una morte diversa da quella che gli era spettata, alla fine. Accanto ai suoi compagni – era certo che nemmeno Jet Star si sarebbe salvato – a provare con ogni forza di vendicare la loro perdita, il modo brutale in cui erano nati i dolori che li tormentavano, il modo brutale in cui dovevano nutrirsi di cibi in scatola perché ogni ortaggio e animale era avvelenato. La Terra malata, arida, cosparsa di un Veleno ancora non-identificato.
Dopotutto, i macchinari tecnologici si trovavano alla Better Living. Non tra i selvaggi quali si erano trasformati gli abitanti del pianeta.
Quanto ardore aveva sentito sotto la pelle fino all’ultimo, le urla di Girl e di tutti gli altri che rimbombavano nelle orecchie, gli occhi riempiti delle lacrime delle parole inespresse, la testa dolorante di ogni colpo al cuore e morto crollato (sotto il peso di tutto quel male).
Anche lui era morto, dunque. I Killjoys non erano immortali. E nemmeno l’amore.

Suo padre l’aspettava nel piccolo appartamento. Era steso al buio, nella cucina, su un divano sgangherato che, quando aveva appena sei anni, era già in quello stato pietoso. E vitale.
L’uomo era immobile, se non per lo sterno che gli si abbassava e alzava ritmicamente, e lo sfarfallio delle palpebre. Era sveglio; quel buio era per cercare di dare un senso.
Era vestito di tutto punto, con quegli indumenti a cui Girl non conosceva alternativa, se non nella Biblioteca della base dove erano conservati vecchi volumi di una civiltà dalle quali ceneri era nata lei.
Girl. La speranza della base di Battery City. Una bimbetta di otto anni con i capelli ricci e gli occhi pieni di domande.
A piccoli passi, lenti, si avvicinò al suo padre adottivo, inginocchiandosi sul pavimento accanto a lui. Erko si voltò verso di lei, aspettando che fosse lei a esprimere la nube di turbamenti e orrore.
Su quel divano i Killjoys ci erano cresciuti discutendo del loro futuro: l’unico argomento che si potesse affrontare in quell’epoca. Il presente stava morendo, il passato era stato distrutto.

Mi sento stanca”.
Sì, piccolina”.
I Killjoys sono morti”. Singhiozzò, nascondendo la faccia tra i cuscini. Se si concentrava, poteva sentire l’odore della carne preferita di Fun Ghoul che aveva impregnato la stoffa dopo tutte le volte che era caduta lì sopra, macchiando e lasciando aloni d’unto.
“ … sono stati coraggiosi, erano lì soltanto per te”.
Non importava quanto avesse tentato di non provar nulla per i quattro, quanto si fosse ripromesso d’essere obbiettivo e oggettivo. E a lui, personalmente, non importava di cosa avrebbero pensato gli altri. Li aveva visti crescere, aveva osservato come diventavano pieni di voglia di lottare per ritornare nel luogo dov’erano nati, con quanta passione erano esistiti. Esistenti. Poteva allungare una mano all’indietro per tastare uno di quei tipici contrasti tra lui e Kobra Kid. Era ben diverso dall’essere semplicemente il loro capo.
Lui era un padre.
I suoi figli erano morti. Gli era rimasta soltanto quel batuffolino di Girl, che diventava giorno dopo giorno sprezzante del pericolo quanto loro, vicina a perire proprio come i Killjoys, a un passo dall’incoscienza dell’orgoglio e della voglia di conoscere.

Dove sono andati, papà?”.
In un posto meraviglioso”.
Ma Girl non era certa che esistesse qualcosa di bello, se portava tanto dolore.

Girl si chiuse la porta alle spalle, con poca grazia. Credeva di aver trascorso delle ore intere sul pavimento accanto a Erko. O forse si trattava di minuti. Erano rimasti in silenzio; qualche volta il dolore era stato troppo forte, non era riuscita ad arginarlo, e si era lasciata andare con qualche singhiozzo. Erko aveva sentito tutto, ogni spasmo, respiro rotto, parola – o nome – sussurrata. Ma aveva lasciato la piccola a se stessa, ai suoi spazi, al caldo della solitudine. Dalla morte dei Killjoys – perdita la quale venuta si attendeva, ormai – Erko aveva deciso sin da quando Girl era comparsa nella vita della base di Battery City che la ragazzina avrebbe preso il posto dei Killjoys. Dal giorno seguente Erko avrebbe organizzato le sue giornate di modo d’allenarla sei ore ogni diciotto, dalla sua alimentazione sarebbero scomparsi i grassi in eccesso e, nel tempo libero, avrebbe studiato.
si stese sul letto, si sentiva mortalmente esausta. Dietro le palpebre pesanti vedeva lampi di luce colorata, odore di bruciato le pizzicava le narici. Ed era sbagliata, totalmente, la musica proveniente da chissà quale punto della base. Qualcuno urlò “finalmente è morto”. Girl lo trovò incredibilmente scortese.

Di cosa avete bisogno?”.
Abbiamo un messaggio per Girl”. Show Pony per la maggior parte del tempo sopportava a stento Erko. Era un uomo dispotico, arrogante e convinto d’essere l’unico in grado di saper distinguere il bene dal male. I Killjoys avevano una totale venerazione per lui, e questo lo rendeva ancor più intollerabile ai suoi occhi. Lo osservava, sapeva che considerava i ragazzini soltanto come delle armi ottime: facili da plasmare e controllabili. Non avrebbe mai scordato come lo aveva escluso assieme ad altri quattro o cinque ragazzini dall’addestramento.
Dr. Death, se avesse potuto senza dare nell’occhio, avrebbe stretto il braccio a Show Pony. Stava cercando d’essere paziente e di mostrare la dovuta – la necessaria – dose di venerazione. Immaginava, anche prima di varcare la soglia dello studio di Erko seguito da Megg – occhi arrossati e gonfi, fazzoletto alla mano – che stesse controllando Girl, non potevano sembrare sospetti, pronti a farle il lavaggio del cervello. Erko era ossessionato dal lavaggio del cervello, e da un certo punto di vista Dr. Death comprendeva i suoi atteggiamenti protettivi fino all’inverosimile e insopportabili. Ed erano ben chiari a quelli come lui, gli scienziati della base, le ragioni per cui fosse così morboso nei confronti della ragazzina, almeno in parte, quel tanto ricavato dalle loro analisi all’apparenza inutili. Non era più un ragazzo e anche quando lo era stato l’impulsività propria di Show Pony non gli era appartenuta. Era quello il motivo per cui aveva scelto di laurearsi in una specializzazione chimica di Medicina. Aveva ricevuto una cattedra da pochi anni nel 2012. Una reazione anomala – stava lavorando in una compagnia avversaria della Better Living – fece esplodere il suo laboratorio. Perse l’uso delle gambe, molti colleghi morirono, altri mutilati irreversibilmente, qualcuno se la cavò con delle semplici escoriazioni. Ma dopo alcuni mesi lui fu l’ultimo sopravvissuto e fu costretto a fuggire a Battery City. Erko lo accolse a braccia aperte, reduce da scempi dopo i quali nessuno era sopravvissuto per raccontarli, tranne lui. Era giusto fosse Erko a guidare la base, era giusto fosse lui a organizzare l’armata. Nessuno aveva il diritto di contrastare i suoi metodi di comando. Ma, al diavolo!, si trattava di Girl; tutti amavano Girl lì dentro, nessuno l’avrebbe tradita, e Dr. Death lavorava con Erko sin dagli inizi, era stato da sempre il suo braccio destro. E lo era ancora. Era il più geniale scienziato di cui disponevano – se non il migliore degli interi Stati Uniti.
Show Pony tremò ancora. Era scosso dalla morte dei Killjoys. Anche se era stato bollato come “diverso” perché escluso dal reclutamento, Fun Ghoul, Party Poison, Jet Star e Kobra Kid erano sempre stati insieme a lui. Dopo qualche tempo anche gli altri si convinsero ad avvicinarglisi e tutti insieme obbligarono Erko a includerlo negli allenamenti e, in seguito, nelle missioni.
C’era troppo rancore tra i due perché Erko non si divertisse a vederlo fremere e perché la voglia di Show Pony di prenderlo a pugni scemasse.

Dovrei visionarlo prima”.
Digrignò i denti. “È personale”. Se Dr. Death conosceva Show Pony – ed era abbastanza sicuro di poterlo decantare quasi fosse una poesia imparata a memoria, o esporne le regole come i nomi dei metalli – entro pochi attimi sarebbe scoppiato. Si sentiva solo e spaesato, ciò lo rendeva instabile, intrattabile e nervoso. Indi per cui facilmente cedibile alle forti emozioni e impulsi.

Erko, per favore. È dei ragazzi …”.
Se Girl ne rimarrà traumatizzata o scossa verrete considerati come diretti interessati, vi do un quarto d’ora, non un minuto oltre. È molto indaffarata in questo periodo e deve riposare”.
Lo sappiamo”. Allora fu Dr. Death a rispondere, ringhiando: non aveva mai approvato i fantomatici ’allenamenti’ di Erko. Non applicati a dei ragazzini.

Dr. Death e Show Pony bussarono alla porta della camera di Girl. Ricordavano l’interno colorato e brioso: lo stile di una bambina e quello dei Killjoys miscelati; al letto aveva legato la collana porta fortuna di Party Poison e il braccialetto di Fun Ghoul, quello regalatogli alla nascita dai suoi nonni. Alle pareti aveva incollato delle foto scattate assieme ai Killjoys e sul davanzale della finestra spiccava una collezione di pezzi di vetro che raccoglievano la luce del sole. Quando Girl diede loro il permesso di varcare la soglia la trovarono seduta dietro la scrivania, visionando delle carte scritte fittamente, un’espressione corrucciata mai vista sul suo volto di bambina. Era tutto, all’interno, grigio e asettico. Al posto dei soliti indumenti, una canotta nera e un paio di pantaloni aderenti dello stesso colore. Al polso aveva legato la collana e il braccialetto; i capelli li aveva tirati all’indietro ordinatamente, in una piccola crocchia perfettamente tonda.
Salve”. Salutò, senza alzare la testa.
“ … ciao, Girl”. Show Pony era più sconvolto di lui, rimaneva sulla soglia, braccia penzoloni, la faccia a metà tra il dubbio e il dispiaciuto. Erano trascorse soltanto due settimane. “Come va?”.
Tutto alla grande”.
Bene”.
Show Pony mosse due passi in avanti. “Pony ed io siamo qui perché dobbiamo darti qualcosa”.

Prego”. Girl indicò il materasso a Show Pony e si allontanò sulla sedia dal tavolo, posizionandosi di fronte i due uomini. “Cos’è?”.
È un video. Un ologramma dei Killjoys”.
Non credere sia un messaggio da addio; è un regalo che avevano preparato per il tuo prossimo compleanno. È un montaggio di tutti i video delle feste … e altri momenti che sono riusciti a raccogliere”.
Erko cosa ne pensa?”. L’unico segno d’emozione in Girl era stato il contrarsi delle dita delle mani poggiate sulle gambe; Pony era sempre più convinto che Erko stesse avviando anche Girl verso la rovina, come se già tutte le persone morte non bastassero. Ma cercare di farla ragionare allora sarebbe stato inutile e dispersivo: avrebbe cominciato a strepitare e convincersi che stessero tentando di “farle il lavaggio del cervello”.
Ha acconsentito”.
Girl annuì, tese una mano, a aspettò che le poggiassero sul palmo l’oggetto. I Killjoys, alla fine, avevano ultimato il regalo. Proprio il giorno dell’incidente nel deserto, quando c’era stato un piccolo scontro con la truppa di Korse e Girl era stata rapita. Mancava ancora un mese all’ottavo anniversario dalla sua nascita, il diciotto Ottobre, anche se ormai due settimane erano trascorse da allora. I cambiamenti erano evidenti anche nel modo di comportarsi di Girl. Erano bastati quindici giorni assieme a Erko, senza l’influenza dei Killjoys a rasserenarla, e si era trasformata, velocemente, in una lugubre copia degli uomini della Better Living. “Come se questo non fosse lavaggio del cervello”, pensò Show Pony, inghiottendo un boccone di saliva particolarmente amaro. Party Poison, Jet Star, Kobra Kid e in particolare Fun Ghoul, ma tutte le persone che erano nate poco prima della strage del 2012 in generale, sapevano cosa significasse vivere. All’aria aperta. Non doversi nascondere, indossare colori luminosi per essere riconosciuti, smettere di usare il bianco.
Certo, le tonalità erano l’ultimo dei loro problemi, c’erano pochi viveri, e non era una sicurezza che sarebbero riusciti a sopravvivere ancora a lungo come ribelli: soltanto la Better Living sapeva come eliminare il veleno dagli alimenti. Ma quella piccola speranza, quella forza di aprire gli occhi per salvare qualcuno, appropriarsi di ciò di cui si aveva bisogno, lottare per se stessi, avere dei compagni … aiutava molto ad andare avanti, a non soccombere.

Adesso potete andare”. Sillabò Girl. Dr. Death e Pony si incamminarono verso l’uscita; Megg, alla loro vista, riprese a piagnucolare in un grande fazzoletto lindo. Quante volte Pony si era intrufolato nella camera dei ragazzi e aveva giocato con loro, alla lotta, ad avere ancora dei genitori; Megg entrava sempre, li contemplava, e subito tornava con dei biscotti o delle prelibatezze cucinate dalle sue stesse mani. Non le era mai importato che Pony fosse “diverso” - soltanto perché a volte gli piaceva travestirsi da donna e preferiva giocare con le femminucce piuttosto che con i maschi – era come un figlio per lei, e i figli si accettano anche quando non sono come tutti si aspettano siano.
Arrivederci, Pony”.
Ciao, Megg”.
Dr. Death, dal basso della sua carrozzina, una volta usciti da quella casa piena di ricordi, avvolse un braccio intorno alla vita di Pony. In circostanze ’naturali’ la vergogna lo avrebbe bloccato: ma si trattava di una difficoltà troppo insormontabile per il compagno, e cercava come poteva di salvarlo da un baratro che si presentava gigantesco per affrontarlo da solo.

Grazie, Death”.

Girl voleva davvero ignorare quell’ologramma poggiato disordinatamente sul tavolo. Ma sembrava chiamarla. Con una voce sconosciuta e dolorante. Voce supplicante, la pregava. Quasi in ginocchio. Forse era proprio se stessa, nascosta lì dentro, a chiamarsi e cercarsi.
Dove era finita Girl?
Sull’asfalto fuori la Better Living, quando aveva perso anche Jet Star: Jet Star c’era sempre, più di tutti gli altri, silenzioso, gentile. Quando litigava con Fun Ghoul e Kobra Kid lui le rimaneva alle spalle, le allungava un cioccolatino, sorrideva sotto i baffi e non le si staccava dal fianco. Aveva un sorriso raro, di quelli capaci di illuminare un’intera stanza. Ed era scomparso. Per sempre.
Chi le avrebbe confidato i segreti del mondo e delle stelle?

Party Poison. Il sentimento che la legava a lui era forte quanto soltanto l’amore passionale dei bambini sa essere. Girl era innamorata di Party Poison. Le sembrava blasfemo e male allontanarsi da quel sentire. Eppure le faceva male il tempo, non riusciva a entrare nella camera dei Killjoys. Non un pezzo, ma ben quattro le erano stati strappati dal petto. Come avrebbe fatto?
Si impossessò dei filmati a malincuore. Avrebbe soltanto peggiorato la situazione quella debolezza.
Le immagini le riempirono gli occhi, i rumori dei Killjoys le orecchie. La mente di ricordi. Aveva chiuso le porte del pianto sin dal giorno seguente la morte dei quattro, non credeva di essere ancora in grado di … piangere. Accucciata sulla sua stupida sedia da lavoro, con le gambe e le braccia al petto. Innocente bambina di otto anni … eppure aveva visto già tutto.
Rivoleva indietro la sua famiglia.

Aiko Sabouro nella sua presunzione di donna e datrice di lavoro perfetta non avrebbe mai immaginato di poter sbagliare. E, certo, quello non poteva essere definito un errore, se si considerava il fatto che non era mai stata avvisata di una tale possibilità.
Quando finalmente era riuscita ad assassinare i Killjoys, si aspettava che il Capo fosse soddisfatto di lei, le assegnasse una promozione, o le dimostrasse in qualsiasi modo avrebbe preferito la soddisfazione per il suo ottimo lavoro svolto. Subito i corpi dei quattro erano stati privati del cuore e del cervello, dove l’anima risiedeva, all’interno delle loro casse toraciche erano state inserite le batterie Better Living, ricolme di Grace che alimentava i “robot”, se così si poteva definirli. Dopotutto, si trattava di esseri umani a quasi tutti gli effetti. La pelle era stata ricoperta della resina isolante che avrebbe permesso al fisico di non andare in decomposizione. Degli elementi allenati e abituati alla lotta come i Killjoys sarebbero sempre stati utili alla Better Living. In più causavano problemi all’Azienda da quando avevano cominciato ad andare in missione, all’età di vent’anni. Mese più, mese meno.
Erano sempre stati la spina nel fianco di Aiko, annientarli aveva avuto un sapore incredibilmente dolce. Sensazioni smorzate dal Grace impoverito, naturalmente, ma dopotutto un aspetto dell’essere umano di cui non si rammaricava era proprio quel piacere nel possedere ciò che si desiderava. E cos’altro avrebbe potuto chiedere, ormai?
Con l’annullamento dei Killjoys poteva aspettarsi soltanto una brillante carriera, accanto al Capo, come suo braccio destro. Le lodi che le giunsero da Tokyo non furono indifferenti, l’uomo le promise un riconoscimento alla fine di Ottobre, avrebbe dovuto aspettare soltanto fino alla fine di quel mese, per poi raggiungere vette incommensurabili.
Purtroppo per Aiko, non aveva previsto ciò che successe nei laboratori della Better Living di Battery City. I “pidocchi”, i “parassiti insignificanti” stavano trionfando di nuovo. Stavano testando il capello della giovane ribelle. Ma c’era un’anomalia nel suo sangue. Non era un qualsiasi tessuto umano quello che avevano tra le mani. Gli scienziati erano tenuti a comunicare qualsiasi distorsione alla base centrale, a Tokyo. Dove erano celati i segreti della società, gli esperimenti a cui pochissimi migliori studiosi avevano accesso. I documenti che, se caduti nelle mani dei ribelli, avrebbero distrutto la società in modo irreparabile e per sempre. Come l’ubicazione – il minore dei mali – della Direzione. Inviarono i risultati delle analisi prima possibile al laboratorio di Tokyo. Fu evidente di cosa si trattasse. Del sangue dell’elemento Omega.
Il Capo fu informato in tutta fretta, gli mostrarono i risultati dei test, a prova di ciò che gli stavano comunicando: qualcosa di cui aveva bisogno sin dal lontano 2021, otto anni prima.

Inviate subito una comunicazione scritta alla signorina Sabouro: che venga qui prima possibile”.
Aiko si trovava sull’aereo per gli spostamenti interni all’azienda verso Tokyo. Ancora dieci minuti e sarebbe atterrata. Una leggera sensazione di panico le attanagliava la gola: aveva paura che i ribelli si vendicassero proprio mentre era via. E un po’ di titubanza la riempiva per quella convocazione anticipata a Tokyo.
L’aereo si posò esattamente sul tetto dell’edificio dei palazzi della Better Living, su quello principale: rigorosamente costruiti in Grace solidificato. Ad attenderla un uomo e una donna con indosso dei camici bianchi e delle cartellette tra le braccia. Le rivolsero un asettico saluto prima di procederla verso l’ufficio del Capo, nel quale non entrava da circa un anno, se ricordava bene. Percorsero i corridoi pallidi e splendenti, tra uomini mascherati e completi che si mimetizzavano perfettamente con i muri e i pavimenti di marmo; qualcuno le accennò con il capo, mentre il ticchettio delle sue scarpe rumoreggiava ed echeggiava lungo i corridoi.
Dall’interno le spalancarono le porte della stanza gigantesca. In un acquario alle spalle del Capo, seduto dietro la sua scrivania di metallo bianco, nuotavano degli squali di dimensioni ridotte. Un paio di collaboratori, in posizione eretta, parlottavano tra loro, al fianco dell’uomo.

Buongiorno, signorina Sabouro”.
Buongiorno a lei”.
E così ha raggiunto un livello che non mi sarei mai aspettato da lei”.
La ringrazio, Signore. Catturare i Killjoys è sempre stata la mia prerogativa da quando sono comparsi. L’operazione è stata portata a termine, finalmente”.
Oh, uccidere i Killjoys è stata la torta, indubbiamente, ma la ciliegina … la ciliegina! Quale prelibato bocconcino, signorina Sabouro, di dimensioni e sapori che neanche riesce a comprendere, ora. Ma con un tale ingegno, una tale bravura, arriverà ben oltre il sapere il perché di questa ciliegina, non si preoccupi”. Aiko sorrise, rilassata, attendendo che il Capo proseguisse a elogiarla spiegandole, inoltre, cosa fosse tale ciliegina. “Mi riferisco alla bambina, naturalmente. Che spero sia in un alloggio adeguato alla sua levatura”.
Lo sguardo di Sabouro parve spaesato per alcuni attimi: poi comprese. La bambina. La riccioluta piaga che aveva giocato con quel pallone di plastica blu nella sala registrazioni. “Intende dire … Girl?”. Ci volle uno sforzo di memoria per ricordare il nome della marmocchia.

Naturalmente. Avrei preferito che la portasse con lei, ma sarebbe potuto non essere prudente. Gli attacchi dei ribelli si stanno evolvendo”. La battuta scaturì delle risate alle sue spalle, dai collaboratori.
Non è più con me. Nel … nel verbale ho scritto che i Killjoys sono riusciti a …”. Ma aggiungere altro sarebbe stato superfluo: il Capo aveva compreso. Dalle espressioni dei segretari – o qualunque fosse il ruolo di cui erano insigniti – Aiko capì di aver messo nei guai anche loro. Probabilmente dovevano essere loro a leggere i verbali delle missioni, e non erano stati abbastanza attenti.
Ma Aiko. Aiko era in pericolo, e lo vedeva. Il Capo non era sembrato mai prima d’allora così furibondo.

Io l’ho raccolta dalla strada, signorina Sabouro. Le ho dato una chance di elevarsi dal basso compito di combattere una battaglia senza speranza contro la Better Living. Le ho affidato carichi importanti, le ho lasciato la piena gestione di Battery City, quel covo di bifolchi … e lei mi viene a raccontare che si è lasciata sfuggire Girl?”.
Io …io …io”. Ogni sicurezza persa in un battito di ciglio; quasi che tutta la sua vita fosse stata gettata via, al vento, e ogni insegnamento avesse seguito i pezzi della sua anima, tagliati via ed espulsi volta dopo volta.
Non c’è bisogno che aggiunga altro”. Sorrise, conciliante, prima di farla portare via, in chissà quale luogo a farle estrarre cervello e cuore per trasformarla in un robot come qualsiasi altro.

Megg in tanti anni aveva atteso quel momento così a lungo … aveva sempre sperato che Erko si ricredesse e cominciasse ad apprezzare i talenti nascosti di Pony. L’aveva spedita a chiamarlo quella mattina, pressoché all’alba, aveva attraversato l’intera base, fino a trovarsi di fronte l’uscio della casetta di Dr. Death, nella quale sapeva avrebbe trovato anche Pony. Difatti fu proprio lui ad aprirle la porta, con i capelli scompigliati e un’enorme maglietta che gli arrivava fino alle cosce.
Erko ti vuole vedere”. Gli annunciò, un sorriso a trentadue denti.
Forse, nonostante l’avversione, ciò che Pony desiderava ardentemente era essere apprezzato dall’uomo in cui sperava e voleva vedere un padre. Ci era riuscito, a quanto sembrava. Era riuscito a far puntare il suo occhio critico su di sé.
Ripercorsero insieme la strada, Megg non smetteva di raccontare quanto fosse promettente quel desiderarlo nel suo ufficio. Sul tavolo aveva sistemato gli strumenti da lavoro: poteva significare soltanto che avrebbero svolto un qualche compito di genere.
Megg lo accompagnò fino all’uscio, per poi lasciarlo con una pacca sulle spalle, e osservare mentre tornava in cucina quanto ci avrebbe impiegato a bussare.
Si decise dopo, calcolando approssimativamente, due minuti. Rispetto ai Killjoys – loro commettevano imprudenze all’incirca ogni dieci minuti – era stato velocissimo, un fulmine.

Ah, Show Pony … pensavo avresti impiegato di più”.
Megg mi ha fatto intendere fosse urgente”.
Non esageratamente urgente”. Lanciò uno sguardo in tralice all’orologio, per poi fargli cenno di accomodarsi. “Voglio che tu sia il mio braccio destro”.

   
 
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