Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Elos    20/11/2010    2 recensioni
Gabriel non ricorda di essere stato umano, Gabriel non ha più nessuno. C'è stato un tempo in cui era bello, molto bello, bellissimo, ma adesso quel tempo è passato. Gabriel viaggia con un armadio al seguito e quattrocento anni di ricordi perduti sulle spalle.
In una casa antichissima piena di cose rotte e di cose preziose avrà inizio la più bizzarra delle convivenze.
Prima classificata e vincitrice del Premio Attinenza al concorso Once upon a Bloody December indetto da storyteller lover.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



1. sonaglio



- Ho fiducia in te. - aveva detto Etienne mille miliardi di anni prima, un'altra vita, un altro mondo. - So che farai il meglio per noi. -
Ma lui non era riuscito a farlo. Oh, no.


Gli ospiti di Gabriel avevano trovato per lui una casa in un incrocio di Candledoore Square, persa in un dedalo di strade tutte uguali e di graziose, alte villette dai giardini curati con fontanelle, archi e orribili statue di gnomi e fatine.
La casa che aveva cercato era una casa come queste: una bella casa vecchia e grande, una casa con delle scale, grosse persiane di legno, una porta che si potesse sprangare. Doveva avere un cortile riparato più che un giardino - e questa ce l'aveva - e una cantina, una soffitta, tanti ripostigli. La casa in Candledoore Square era tutto questo e, inoltre, era proprio in fondo alla strada che portava a Victoria Lane. Gli ospiti di Gabriel erano stati molto accurati, molto premurosi. Gli ospiti di Gabriel avevano paura di lui.
Lui era vecchio, era potente. Lo sapevano tutti che era pazzo, e mai, mai, mai si discuteva con i pazzi.
Nella casa in Candledoore Square nessuno abitava più da anni. Conservava un odore di stanze abusate e di vecchio, e aveva pavimenti marciti e imposte rovinate, ma c'erano ancora i mobili, dentro, tavoli e sedie storpiati, i lavelli rotti, due grosse vasche e armadi pieni di tarme e di scheletri di topi. Gabriel salì fino al secondo piano, tirandosi dietro la ragazza, e spalancò tutte le porte finché non trovò quel che faceva al caso suo: una stanza impolverata con una grande finestra - e tutte le finestre avevano grate di metallo, in Candledoore Square - e un vecchio letto a baldacchino posto proprio nel mezzo. Fece sedere la ragazza sul materasso sfatto. Le molle cigolavano, c'era odore di muffa.
- Te ne prenderò uno nuovo. - le disse. Le accarezzò i capelli, parlando, e la ragazza smise di guardarsi intorno e lo fissò curiosa. Non aveva ancora detto una parola e forse, pensò Gabriel, era muta: ebbe l'improvvisa tentazione di cacciarle un'unghia nella gola per sentire se avrebbe strillato, se si sarebbe lamentata, ma la represse. Sarebbe uscito del sangue, se l'avesse fatto. Gli sarebbe venuto appetito.
- Devi stare qui se io non ti dico di fare diversamente, hai capito? -
Lei aveva i capelli più neri del nero. Erano lisci e sottili e non avevano riflessi. Le avrebbe tinto qualche ciocca di blu, decise Gabriel, o di viola. Sarebbe stata più bella, così, con l'arcobaleno in testa. Lei non sembrava aver sentito quel che lui le aveva detto, e Gabriel le strattonò una manciata di capelli per costringerla a guardarlo.
- Se provi a scappare ti trovo e ti ammazzo. -
Lei aveva gli occhi azzurri. Pallidissimi, nebbiosi, sembravano gli occhi di una bambola: ma erano privi di lucidità, di fissità, e vagavano distratti come libellule senza fermarsi su nulla. Anche la minaccia non sembrò colpirla particolarmente. Forse era davvero sorda. Gabriel decise di mettere alla prova l'ipotesi e le chiese:
- Hai fame? -
Stavolta c'era stato un barlume di interesse in quello sguardo pieno di niente. Lei aveva il viso così magro che gli occhi sembravano sprofondarci dentro, e un naso aquilino che le dava un aspetto stranamente aguzzo, rapace, da corvo. Continuò a guardarlo e non disse niente, e Gabriel sorrise.

- Hai fame? - domandò ancora. E poi, abbassando la voce quel tanto che gli serviva per farla risuonare minacciosamente: - Non avrai niente finché non rispondi. -
La ragazza annuì. Non era sorda, allora.
Gabriel avrebbe voluto sentirla parlare. Per un attimo pensò di volerla sentire urlare, anche, gridare e piangere, perché così forse gli occhi nebbiosi sarebbero apparsi più svegli, più presenti, e lei sarebbe sembrata più solida. Sarebbe sembrata più lì, con lui. Forse aveva un buon sapore, forse un assaggio non le avrebbe fatto poi tanto male. Magari, quando l'avesse nutrita, lo avrebbe fatto.
- Molto bene. - le disse. Le passò una mano tra i capelli e la ragazza non si ritrasse: quando le dita di lui le accarezzarono un orecchio, anzi, spinse il viso contro il suo palmo, contro i suoi polsi sporchi e bendati. Gabriel aveva già cominciato a ritrarre la mano, ma il gesto gli piacque infinitamente; si fermò a grattarle il collo - lei sembrò trovarlo gradevole, perché abbozzò un sorriso trasognato - e ripeté più piano: - Molto bene. -

Gabriel conservava ricordi estremamente vaghi riguardo a ciò che era essere umani. Era passato troppo tempo per lui, troppi giorni che erano diventati mesi ed anni e secoli, tutto tempo senza sole che aveva trascorso a non invecchiare.
Gli esseri umani dovevano mangiare, e questa era una certezza. Cosa dovessero mangiare, invece, rimaneva un mistero.
Gli esseri umani dovevano dormire, e anche questa era una certezza. I suoi ospiti gli avrebbero procurato un materasso nuovo, come lui aveva promesso alla ragazza, e Gabriel avrebbe cercato di ricordarsi che lei non poteva fargli compagnia durante tutto il giorno.
Gli ospiti di Gabriel, la gens del cimitero, gli avevano fatto trovare sulla porta di casa una grossa valigia piena di vestiti spumosi e variopinti che, gli avevano lasciato scritto su un biglietto, erano quelli di Morrigan, gli abiti di Morrigan. Poteva vestirla con quelli. A Gabriel occorsero diversi minuti per realizzare che Morrigan era un nome. Il nome di lei. Spinto dalla curiosità tornò nella sua stanza e la chiamò:
- Morrigan. -
Era notte fonda. La casa era buia, le stanze immobili, silenziose. C'era una falena intrappolata tra il vetro e le persiane a sbattere le ali freneticamente. La ragazza, che era rimasta seduta sul letto esattamente dove lui l'aveva lasciata, alzò la testa e cominciò a cercarlo con gli occhi: nell'oscurità cieca e umida delle imposte sbarrate non poteva vederlo, ma ci provò lo stesso. Gabriel lo trovò divertente.
- Morrigan. - la chiamò ancora. - Vieni qui, Morrigan. -
E la ragazza lo fece. Si mise in piedi e avanzò nella camera goffamente, le mani tese avanti a sé per non andare a sbattere contro i mobili. Gabriel allungò un braccio e l'afferrò un attimo prima che lei inciampasse e finisse faccia a terra, perché era umana, era fragile, si sarebbe spezzata. Non voleva che lei venisse rotta. Se fosse stata rotta non avrebbe potuto ballare.
Gli ospiti di Gabriel gli avevano fatto trovare anche una cassa di bottiglie piene di un liquido chiaro e grasso: a lui bastò annusarlo una sola volta per ritrarsene stomacato. Sulle confezioni c'era scritto latte. Gabriel ricordava poco del latte. Ricordava che era stato bianco, che aveva avuto sapore di dolce. Non ricordava com'era stato succhiarlo dal seno di sua madre - ma chi lo ricordava? Ricordava vagamente che non bastava a riempire lo stomaco, da solo, che bisognava metterci qualcos'altro accanto. Insieme alla cassa di bottiglie c'era una scatola di cartone dove erano state pigiate buste di plastica che scrocchiavano mentre lui le apriva, seduto ad un tavolo malmesso al pianterreno, e le esaminava curioso. L'odore gli risultò sempre stomachevole, ma Morrigan parve interessata: allungò le mani verso le buste e prese una manciata di quei cosi tondi che c'erano all'interno. Si sbriciolavano anche sotto alle sue dita fragilissime e ossute, da uccellino, e mentre lei cominciava a masticare Gabriel ricordò e realizzò. Biscotti, si disse, e ne spinse una busta piena verso la ragazza.
Non c'erano bicchieri. Lasciò che Morrigan bevesse dalla bottiglia e pensò che il giorno dopo si sarebbe fatto portare un servizio da tè, un bellissimo servizio da tè. Non era ben sicuro che potesse andare bene anche per il latte, ma ricordava con piacere com'era stato, anni e anni e anni prima, tenere la porcellana fragilissima e liscia sotto le dita, le decorazioni lucenti d'oro, gli smalti.
Gabriel osservò Morrigan nutrirsi. Studiò il punto in cui il boccone premeva sulla gola ogni volta che deglutiva, il sangue che pulsava a fior di pelle in quella graziosa, piccola vena tracciata in azzurro dal mento alle clavicole. Aveva ossa sottili, la ragazza, un collo magrissimo. Gabriel sentì l'appetito crescergli nello stomaco come un mostro agitato, ruggire, ma si disse che poteva resistere un altro po'.
Guardarla mangiare era divertente. Guardarla respirare era divertente. Non voleva ucciderla, ancora.

Gabriel aveva portato con sé un grosso armadio di mogano scuro.
La gens del cimitero non aveva detto nulla, vedendolo arrivare con un armadio sulle spalle, e non aveva mostrato nessuna curiosità. Gabriel era pazzo. Lo sapevano tutti. Gabriel era pazzo e viaggiava in compagnia di un armadio. Gabriel non si separava mai dal suo armadio.
Lo appoggiò in un'altra delle stanze al secondo piano e ne accarezzò il legno con reverenza. Non lo aprì - Gabriel non ricordava neanche quand'era stata l'ultima volta in cui lo aveva aperto - e chiuse la porta della camera a chiave prima d'uscire.

Erano arrivati a Candledoore Square che era passata da poco la mezzanotte, ed adesso era ormai l'alba. Morrigan aveva il viso annebbiato di sonno, gli occhi lucidi. Si muoveva goffamente e, quando Gabriel le si inginocchiò davanti e le sollevò un piede, lo lasciò fare passivamente.
Lui le legò un nastrino attorno alla caviglia sinistra e vi fece scorrere un sonaglio d'ottone a mo' di ciondolo.
- Cammina. - le ordinò poi.
Morrigan fece un passo, tintinnio, un altro passo, tintinnio. Girò su sé stessa senza che lui avesse bisogno di dirglielo, e il tintinnio adesso era una cascata, un'ondata di suoni liquidi come argento mentre le braccia della ragazza disegnavano spirali nell'aria muffita della casa. Gabriel sorrise, soddisfatto.
- Non devi toglierlo mai. -
Avrebbe fatto musica, così, lei. Avrebbe fatto musica per lui, sempre.


Immagine di Prisca Turazzi.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Elos