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Autore: AmaleenLavellan    30/11/2010    12 recensioni
Un concorso, un filo conduttore.
Un francese che si assume il ruolo di Cupido, un mondo intero che coglierà l'opportunità.
«Bonsoir, gentili ascoltatori, qui è il vostro Francis da Radio “Le Monde”. Prima di lasciarvi cullare da dolci note jazz, devo fare un annuncio importante: dalla settimana prossima, inviateci una dedica, breve o lunga, a una persona a cui tenete, e scrivete anche il nome di una canzone. Ogni giorno, fino a domenica, sorteggeremo una di queste, che verrà letta qui alla nostra radio a fine programma. Che cosa romantica, oui? Mi raccomando, scrivete, scrivete, scrivete! L’amore che dichiariamo ai nostri cari non è mai abbastanza. Potrebbe essere un bel regalo, non è forse vero? Ora vi saluto, sintonizzatevi domani, alla stessa ora, su Radio “Le Monde”! Au revoir~ »
[UsxUk, Angary, GerIta, Spamano, PoLiet, SviLiech]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Axis Powers/Potenze dell'Asse, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lunedì

Il campanello di casa sua suona. A quel punto, Arthur si vede costretto, con uno sbuffo, ad appoggiare il libro che sta leggendo sul tavolino accanto alla poltrona verde scuro. Si alza lentamente e, in tutta calma si avvicina alla porta… Dopotutto, chi lo obbliga ad andare di fretta? La risposta gli arriva subito: la simpatica persona che attende con impazienza all’esterno della casa e che con molta convinzione ha cominciato a suonare un motivetto. «Arrivo!» urla Arthur, l’esasperazione che aumenta ad ogni passo (e ad ogni trillo). Quando spalanca la porta, naturalmente trova Alfred, ancora impegnato a intonare con lo pseudo-strumento l’inno americano, tenendo nella mano non occupata in tale impresa una valigia. All’inizio è per un attimo scioccato. Non si aspettava una sua visita, dopotutto l’ultima volta che lui era stato in America per ragioni di lavoro era stato… due settimane prima.
«Yo, Arthur!» esclama l’intruso, travolgendo l’inglese e fiondandosi in casa sua. Arthur non fa nulla per bloccarlo, tanto sa che sarebbe inutile: quell’americano obeso peserà almeno dieci chili più di lui. Sbuffa di nuovo, osservando il buio della strada londinese in cui abita, e rabbrividendo nel freddo della sera. Poi, con un sospiro, chiude la porta, e in meno di un secondo si prepara la sfuriata che farà a breve al suo “fratellino”.
«Razza di idiota! Chi ti ha dato il permesso di entrare in casa mia?! E soprattutto che ci fai qui?!» comincia a dire ad alta voce, camminando verso di lui.
«Ssssh, calmati, che se ti arrabbi ti vengono le rughe! Già sembri vecchio così!» esclama di rimando l’altro, mettendogli una mano dietro la testa per spingerlo a se e schioccandogli un bacio sulla fronte. In meno di un secondo la pelle pallida di Arthur si tinge di un rosso fuoco, rosso che brucia, mentre la traccia delle labbra di Alfred è gelida. Le sue mani vanno a sfiorare quella zona, mentre i suoi occhi si spalancano increduli. Per un secondo è perfino incapace di ribattere, ma il buon vecchio, tsundere Arthur torna subito ad animargli lo sguardo.
«Tsk, sei ancora un bambino… » Sbuffa, cercando di nascondere (molto male) l’imbarazzo, «Allora, di grazia, ti vorresti decidere a dirmi che diamine ci fai in casa mia, sottospecie di americano?!»
Alfred si lascia mollemente andare sulla poltrona, la suapoltrona, sbadigliando. «Mah, cosa c’è, ora non si può nemmeno passare a salutare? Pft, sei davvero un vecchio bisbetico, permaloso, antipatico, irritabile, scontroso, indisp-»
«Ne hai ancora per molto, razza di idiota obeso?» sbotta Arthur, che non sa se essere più arrabbiato per tutti quegli insulti, o sconvolto che il vocabolario di Alfred sia così ben fornito.
«Effettivamente sì, se vuoi ne ho ancora qualcuna» dichiara il Newyorkese, lanciando distrattamente un’occhiata all’orologio. Prima che il suo “fratellone” possa ribattere con qualche parola poco elegante, però, salta in piedi con gli occhi sgranati, lo sguardo sempre fisso sull’orologio.

«Vorrei tanto stare qui ad ascoltarti ma non c’è tempo! L’eroe deve compiere la sua missione! Sbrigati! Dove diamine ho lasciato le chiavi della macchina? Guido io! E certo, tu non sai dove dobbiamo andare! Ah, eccole! Presto, andiamo!» Comincia a strepitare con eccitazione, senza quasi respirare tra una frase e l’altra, prendendo l’inglese per mano e trascinandolo prima fuori dalla sua casa, poi dentro, e poi di nuovo fuori. Tutto questo fa girare la testa al povero Arthur, non abituato a tutto ciò, che rischia di inciampare e sbattere contro i mobili, le pareti e la porta non poche volte in neanche un minuto. Appena l’americano si ferma un attimo per aprire la portiera della macchina, Arthur approfitta del momento per scrollare la mano, fargli mollare la presa ed erigersi ben dritto sul marciapiede, i piedi puntati a terra e le braccia conserte.
«Stai un attimo fermo, dannazione! Numero 1, io non vado da nessuna parte contro la mia volontà. Numero 2, si può sapere dove diamine vuoi andare? Numero 3, non entrerei in una macchina con te al volante nemmeno se me lo dicessero tutte le fatine dell’Inghilterra.» afferma.
«Ah, ma stai un po’ zitto! È una sorpresa! Che tu lo voglia o no ora vieni con me! E smettila con quelle fatine, per favore, Tony ha già cominciato a pensare che tu sia pazzo» ribadisce e senza dargli nemmeno il tempo di ribattere (come già è successo non poche volte dal momento in cui è entrato nemmeno un quarto d’ora prima) con un solo movimento del corpo lo solleva da terra e lo prende tra le braccia, richiudendo la porta d’ingresso con un movimento del bacino, praticamente lanciando sul sedile posteriore un Arthur strepitante e anche abbastanza stordito dopo la botta e chiudendo la portiera prima che possa uscire, entrando al posto del guidatore e partendo in sgommata. Arthur si massaggia la testa, non si mette nemmeno a gridare e urlare di farlo uscire: ormai è in trappola, e anche se l’idea di saltare giù dall’auto in corsa lo sfiora per un attimo, si vede costretto ad abbandonarla. Però qui si tratta di Arthur, e se proprio non può arrabbiarsi, di qualcosa deve almeno lamentarsi.
«You git! Ma ti rendi conto della velocità a cui stai andando?! Non sai nemmeno da che parte della strada andare! Così ci ammazzi tutti e due! Dannazione! Se proprio fai guidare me! Tanto non posso più andare ora! Alfred, diamine, smettila di fare il bambino!»
Tutto questo discorso, però, giunge alle orecchie del nostro Alfred come un indefinito bla bla bla, concentrato com’è a tenere d’occhio la strada, dare uno sguardo alla cartina, e cercare di ignorare l’inglese che gli sta starnazzando nelle orecchie. Non solo, nel frattempo cerca anche di sintonizzare la radio su un canale specifico, mentre impreca in tutte le lingue che conosce –ovvero la sua- premendo come impazzito i bottoni dell’apparecchio. Roba da eroe, insomma.
«Stai zitto, cazzo, Arthur! Non vedi che sono concentrato?! Ora per favore fai il bravo, stai seduto, zitto e buono che anche un eroe con i superpoteri come me non può concentrarsi se passi il tuo tempo a urlare!» grida. Questo lato di Alfred spaventa un po’ il londinese, che mai l’aveva visto così arrabbiato. Anzi, se non avesse messo in mezzo al discorso eroi e superpoteri avrebbe perfino dubitato che fosse lui. “Evidentemente dev’essere importante”, pensa, e quindi decide di seguire gli ordini. Solo per questa volta, però. Dopo qualche istante dell’incredibile silenzio da parte del ragazzo, Alfred prende di nuovo parola: «Scusami, non avrei dovuto alzare la voce in quel modo. Però anche gli eroi qualche volta si arrabbiano, ahahah! Comunque dicevo sul serio, stai zitto un attimo che mi devo concentrare. Allora… bene, dovrebbe mancare poco» borbotta poi tra sé e sé, bloccando il dito impazzito con un’espressione soddisfatta.

«Bonsoir a tutti, gentili ascoltatori, da Francis di Radio “Le Monde”. » dice suadente una voce, resa leggermente metallica dalla radio « Spero siate pronti a tirare fuori i fazzoletti, perché oggi leggeremo la vostra prima lettera. Sono le 19.30, e con un po’ di canzoni diamo un tributo alla luna, che rende più bella ogni nostra serata con un pizzico di romanticismo.»

Arthur, ascoltando tutto ciò, non può che trattenere l’istinto di vomitare. Tutto quel… romanticume gli da il voltastomaco. Arthur certo è un tipo romantico –anche se non lo ammetterebbe mai- ma a tutto c’è un limite. Soprattutto se a parlare è proprio lui. «Ma questa è la radio di quello stupido mangiarane maniaco! Perché dobbiamo ascoltare questa roba?!»
«Perché serve per la sorpresa! Hahaha!» esclama l’americano, recuperato presto il buonumore. I due cominciano a chiacchierare, o più che altro è solo Alfred a parlare, mentre Arthur sembra essersi rassegnato al suo destino. Ogni tanto il discorso è rotto dal silenzio –sempre di Alfred- che si ferma un attimo a sentire cosa dice la voce di Francis alla radio, e poi dopo qualche secondo riprende con il suo fiume di parole.

Ormai sono in macchina da un’ora e quarantasette minuti (Arthur ha tenuto d’occhio l’orologio), hanno sorpassato caselli, sono entrati e usciti dall’autostrada e finalmente Alfred ha parcheggiato la macchina in uno spiazzo terroso sul ciglio di una scogliera. Senza spegnere né il motore né la radio, esce dalla macchina e apre la portiera ad Arthur, che è rimasto spaesato a guardarsi in giro, cercando di capire dove sono, senza muovere un muscolo. Ci vogliono un “Hey Bro!” e una scossa da parte dell’americano per svegliarlo dal suo stato di trance.
«Queste sono… le Seven Sisters» sussurra dopo essere uscito dalla macchina, guardandosi intorno. C’era stato un milione di volte, nel tempo libero; era un luogo dall’aria magica, misteriosa, quasi irreale. Le onde che si infrangevano sulla scogliera componevano una dolce melodia, rilassante, rassicurante, protettiva, e lui sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo, di aver trovato il suo Paradiso.
«Allora, l’eroe ha scelto bene la location per la sorpresa che sta per farti?» dice Alfred, con un sorriso così splendente che sembra mettere in ombra i lampioni a lato della strada. Alla vista di quel sorriso, Arthur non può fare altro che avvertire il suo cuore traboccante di una sensazione calda, dolce, densa, che parte dal petto e invade tutto il corpo. Però questo non va bene. L’inglese non può essere felice, non a causa di quell’americano obeso. Non può permetterselo. Non in quel senso.
«Vorrei sapere perché diamine mi hai portato qui, razza di hamburger ambulante decelebrato» sbotta con finta irritazione, camminando verso il bordo della scogliera, a pochi passi, rabbrividendo nel freddo della notte. Si aspetta una risposta dello stesso tono, che però non giunge. Si gira a quel punto verso il suo accompagnatore, e lo vede trafficare con la radio. Alfred alza il volume al massimo, ma nonostante questo Arthur riesce a sentirlo mormorare “è il momento”.
Poi "il rapitore" -come l'aveva definito mentalmente Arhur- si avvicina all’amico. «Ascolta, vecchio! Goditi la tua sorpresa!» esclama, incrociando le braccia. Per una volta la curiosità dell’inglese batte il suo brutto carattere, e sta in silenzio, ad ascoltare la voce di Francis.

«Di nuovo buonasera, voi che ascoltate. Come promesso, siamo ora arrivati al clue della serata. Quindi ora, ve ne prego, tendete le orecchie ad ascoltare questa prima lettera che abbiamo ricevuto. Subito dopo ascolteremo la canzone che l’autore ha scelto per commemorare le sue parole. Attenzione, prego.» Francis si schiarisce le voce, e poi comincia a leggere, inserendo qua e là qualche pausa ad effetto.

«Hey Bro, sono io. Si, so che sai chi sono, lo so perché nessuno ti chiama così. Nessuno può farlo, solo io ne ho il diritto.
Avrei così tante cose da dirti, Bro, che tu non ne hai idea. Sicuramente se te le dicessi faccia a faccia mi interromperesti come minimo un milione di volte, urlandomi dietro un’infinità di insulti, alcuni dei quali secondo me neanche esistono. Non sul mio vocabolario almeno. Comunque, dicevo, mi interromperesti urlando, e arrossendo in modo adorabile. Me ne accorgo, sai, che arrossisci. Non sono poi così stupido come credi. Dopotutto sono un Eroe. Forse, se fosse qualcun altro, qualcuno a caso, non me ne renderei conto. Però sei tu. Sei tu, e io ormai ho imparato by heart ogni tuo singolo movimento, ogni tua singola reazione, ogni tua singola espressione.
Eppure chissà perché, nonostante tu sia così vecchio, così all’antica, riesci sempre a stupirmi, a meravigliarmi.
Riesci sempre a farti amare un tantino in più.
E ti giuro, che ogni volta che mi convinco di non poterti amare più di quanto non faccia, tu distruggi il mio castello di convinzioni, e mi rendo conto che l’oceano del bene che ti voglio ha acquistato una goccia.
Non mi facevi così profondo, eh? Tu sei convinto che io sia uno stupido. Tu sei convinto che io sia ancora il tuo fratellino, il bambino che si nascondeva in mezzo all’erba del parco cercando qualcuno con cui giocare. Il bambino che ha scelto te.
Beh, sai, io non sono più il tuo fratellino.
Ma nonostante questo scelgo ancora te.
E non ti scelgo in qualità di fratellino, razza di vecchio. Ti scelgo in qualità di eroe. Ti scelgo in qualità di compagno. Scelgo te e solo te, e lo farò sempre.
Non so se mi spiego, ma la mia vita da quando ci sei tu… è come quando stai mangiando un Hamburger, sei felice, lo divori, ma poi ti accorgi che sta finendo e cerchi di goderti gli ultimi bocconi, ma non ce la fai, pensi sempre al fatto che pezzo dopo pezzo ce n’è sempre meno. E poi, poi la vita decide di regalarti, senza motivo, anche se non l’hai pagato, un altro Hamburger, che ti illumina il viso. Ecco, Bro, tu per me sei quell’Hamburger.
Tu sei il ghiaccio nella CocaCola.
Tu sei la damigella da salvare.
La ragione per cui esisto.
Grazie, Bro, grazie di tutto. Grazie per avermi cresciuto, quando i miei erano lontani. Grazie per avermi voluto bene. Grazie per avermi fatto capire cosa voglia dire essere innamorati, amare.
Grazie. Alla fine era solo questo, quello che ti volevo dirti.
By the Hero.
»

La voce di Francis dice qualcos’altro, ma Arthur non riesce a sentirlo. Arthur è troppo concentrato a reggersi in piedi, i pugni chiusi appoggiati al cofano della macchina, le braccia che tremano, le guance rigate da lacrime lucenti.
Non singhiozza. Non parla. Semplicemente, cerca di respirare, piano.
«Arthur, io…» cerca di dire Alfred, avvicinandosi piano a lui, la boria sparita dalla sua voce, mentre la radio comincia a mandare le dolci note della canzone scelta da Alfred.

~Would you dance, if I asked you to dance?
Would you run, and never look back?

«Ti amo, razza di idiota» singhiozza Arthur, sbattendo il bugno sulla macchina. «Ti amo.»

~Would you save my soul, tonight?

Alfred a quel punto sorride, di uno di quei sorrisi che fanno sentire Arthur come se stesse fluttuando tra le nuvole.
«Anch’io. Ti amo.» sussurra, prendendo Arthur per le spalle e voltandolo delicatamente, poggiando le labbra umide sulle sue. Le braccia dell’inglese gli avvolgono il collo, le sue vanno a cingergli i fianchi, mentre le note della canzone perfetta accompagnano quei loro sentimenti nati da molto, ma che solo ora sono riusciti a sbocciare..

~ I can be your hero baby
I can kiss away the pain
I will stand by you for ever
You can take my breath away.

****** Angolino di Moon!******

Salve a tutti! ^^ La canzone che Alfred ha scelto è Hero di Enrique Iglesias. Andate ad ascoltarla e immaginatevi la scena, credo ne valga la pena u.u Allora, l'UsUk è il mio pairing preferito. E se mi è venuto male questo capitolo, mi suicido. Quindi recensite ò.ò No dai, parlando sul serio... Spero di non aver reso sia Arthur che Alfred troppo OOC. E la lettera sinceramente mi fa un Po' schifo xD ma amen u.u Ditemi cosa ne pensate! Per favore! *occhioni sbrilluccicosi*
Ah, a proposito. Sì, la radio di Francis prende in qualsiasi parte del mondo :D
Un bacio, e al prossimo capitolo. Grazie a tutti quelli che hanno recensito/recensiranno *w* e voi che seguite, vi prego, sprecate un attimino per una povera autrice in erba! *w*
_moon

   
 
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