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Autore: alchemist    04/12/2010    3 recensioni
Questa è la prima fanfiction che ho il coraggio di postare. L'ho scritta solo pensando che un bel personaggio come Ludwig non dovrebbe essere sempre bistrattato da tutti, e che abbia davvero un modo di essere stupendo.
Sperando di nn averlo stressato troppo a chiedergli una parte nella mia storia e sperando che la mia editrice non scopra che perdo tempo a postare fanfiction... mi auguro che la mia visione di questo bel personaggio possa piacere a chiunque lo ami!
BUONA LETTURA!
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 1-Basta!
 



Basta. Avrebbe voluto dirlo, ma non gli sembrava opportuno, perché lui si dovesse preoccupare tanto di cosa era opportuno e cosa no, neanche questo gli era più tanto chiaro, dato che sembrava non importare a nessun’altro oltre a lui.

- Doitsu! Doitsu! – strillava come sempre Italia lui lo seguiva con lo sguardo. Anche se non avesse voluto farlo il suo senso del dovere glielo imponeva. Chi altri poteva controllare quell’idiota scalmanato se non lui? E se poi si faceva male quando era con lui? Sapeva che non sarebbe riuscita a perdonare facilmente se stesso... si chiedeva perché, dato che nessun altro invece avrebbe dato tanto peso alla faccenda.

Perché lui era l’unico che prendeva le cose sul serio? L’aveva sempre fatto, senza che nessuno glielo chiedesse, pensava fosse il normale e giusto comportamento che avrebbe dovuto tenere un essere umano, ma ultimamente era stato costretto a ricredersi, perché solo lui seguiva quel rigido stile di vita!

Eppure, anche se se n’era accorto e ora si sentiva ingannato dalla vita, sapeva benissimo che avrebbe passato il resto dell’esistenza stretto nel vincolo di regole che ormai valevano solo per lui, ma che pur troppo lui non si sentiva in grado di infrangere, perché dentro di sé sentiva la loro forza e la validità dei suoi principi. Anche se gli avessero detto che non c’era bisogno che lui fosse così, rigido, serio, senza senso dell’umorismo, lui non poteva farci nulla e stava male ogni volta che gli diceva nodi lasciarsi andare.

Per le persone normali bastava ubriacarsi un po’, ma sapete qual è la cosa bella di essere la Nazione patria della birra e terra dei migliori bevitori del pianeta? Che proprio come il suo popolo prima di ubriacarsi gli servivano ettolitri di superalcolici e in ogni caso, lui non si sentiva quasi mai in grado di lasciare la sua gente da sola e disorientata perché lui aveva bisogno di staccare un po’ e starsene senza pensare.
E quel’era la ciliegina sulla torta? Esatto, nel suo stato attuale, anche se avesse deciso di ubriacarsi sarebbero successe solo cose spiacevoli. Due erano le opzioni che vedeva davanti a sé in quel caso: svalvolamento completo e uccisione per strangolamento di qualche insulso passante o, peggio ancora, una sbronza triste.

Per questo lui non si lasciava andare mai. Aveva paura. Esatto, aveva una fottuta paura di star peggio una volta tornato in sé, aveva paura di far del male a qualcuno, aveva paura di mostrarsi per quel che era veramente. Un depresso con voglie perverse inconfessabili che si era innamorato veramente una sola volta nella sua vita e che era stato mortalmente ferito. Sia nel corpo, per la guerra che aveva appena combattuto, sia nel cuore, quando, tornando a casa, aveva scoperto di averla perduta.

Da quel momento era cresciuto, le ferite erano guarite alla stessa velocità con cui credeva che il suo cuore fosse morto. Non lo sapeva davvero cosa fosse quel muscolo che batteva dove una volta aveva provato tante cose meravigliose, ma di una cosa era sicuro, non era il cuore che ricordava. Non lo stesso cuore che aveva da ragazzino, quando il suo nome e il suo corpo non erano ancora cambiati, quando a casa con lui c’erano tante Nazioni, mentre ora c’era solo Prussia a tormentarlo e quell’italiano sregolato e sciocco che non pensava mai a quello che faceva. Si sentiva come una madre frustrata che deve gestire le scenate dei figlio adolescente e le lagne di quello appena nato.

E in quel momento, nonostante fosse seduto sul suo divano, con una birra in mano davanti a una partita, aveva una gran voglia di dire basta e radere al suolo tutto quello che non avrebbe risposto subito al suo ordine.
Feliciano non faceva che commentare (urlando) continuamente che la strategia di gioco dei suoi era stupida. Perché conosceva tanto bene quello stupido gioco e non riusciva nemmeno a capire quale parte di una granata lanciare? Si chiedeva e non trovava una risposta che non lo facesse infuriare.
Per non parlare di quel nulla facente di suo fratello che blaterava riguardo a quando fosse scortese la gente che non si inchinava al passaggio della sua magnifica persona, e che con la sue stupide chiacchiere copriva la voce dei cronisti.

Così, Ludwid, aveva come audio e l’irritate voce di Gilbert unita a quella lagnosa di Feliciano e l’unica cosa che riusciva a comprendere era che la germania stava perdendo tre a uno.
Ed è facile e logico capire come la cosa avrebbe mandato in bestia chiunque. Lui tentò anche di resistere alla voglia contrastante che aveva dentro di sé: quella di sbraitargli contro e quella di andarsene semplicemente, tentando di allontanarsi da tutto quel frastuono.

- Basta. – mormorò dopo un’attenta analisi della situazione, mentre la sua pazienza svaniva, evaporata dalle loro chiacchiere. I due non lo sentirono nemmeno.
- BASTA!! FATE SILENZIO! – urlò lanciando la bottiglia di birra contro la parete, mandandola in frantumi. In un attimo Prussia lo fissava senza capire, piuttosto irritato che qualcuno avesse interrotto il suo fantastico discorso e Italia era rannicchiato in un angolo del divano, spaventato, mentre cominciava a frugare nelle tasche alla ricerca di una bandiera bianca.
Lui li fissò con rabbia mista a rammarico, perché, nonostante finalmente lo avessero ascoltato e avessero chiuso entrambi la bocca, capiva dalle loro espressioni che loro invece non avevano capito minimamente perché lui avesse reagito in quel modo.

Ma Germania non era un tipo che amava spiegarsi, né, soprattutto avrebbe sopportato oltre di trovarsi davanti a persone che non potevano e mai avrebbero potuto comprenderlo... lui stesso infondo non voleva che loro scoprissero chi lui era veramente. In un certo senso sentiva che il vero se stesso era qualcosa di troppo privato che non sarebbe mai riuscito a mostrare a chicchessia.

Tentò di regolarizzare il respiro. Alle sue spalle ora la voce del cronista si sentiva chiara, come il fischio della fine che annunciò ufficialmente che la Germania aveva perso la partita. E lui si chiese perché erano sempre le cattive notizie a giungere forti e chiare alle sue orecchie.
Tentò di incanalare parte della sua frustrazione generale, mentre esprimeva sottovoce il suo disappunto sul risultato della partita: - Merda... – e come aveva previsto anche poco prima di soffiare fuori quella parola, non si sentì meglio abbastanza da pensare che non fosse stato solo fiato sprecato.

Con questi pensieri nella testa si chiuse nella sua camera, vagando per una meta indefinita fino a sedersi in fondo al suo letto. Poi, lentamente, si lasciò scivolare a terra, gettando la testa all’indietro sul materasso. Sentì la voce infantile di Feliciano dire: - Beh, non c’era mica bisogno di arrabbiarsi così... non è mica colpa nostra se stasera la Germania ha giocato tanto male!
E Ludwig si obbligò a non pensare oltre.
  
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