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Autore: The DogAndWolf    05/12/2010    0 recensioni
La dottoressa Jackleen Simmons viene chiamata da New York per un consulto al Princeton-Plainsboro.
Il suo arrivo sconvolgerà la vita di un membro della squadra di House in particolare: Tredici.
Arrabbiata con il mondo, conquistatrice incallita, geniale giovane chirurgo... riuscirà Jackleen, tra ex irascibili, capi cinici e colleghi diffidenti, a trovare un po' di pace grazie a Remy alla fine di questa long-fic?
Magari proprio a Seattle, dove abita e lavora la sua migliore amica?
Crossover tra House e Grey's Anatomy (fine quinta stagione in poi).
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Remy Hadley/Tredici, Un po' tutti | Coppie: Greg House/Lisa Cuddy
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Sesta stagione
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Il locale non era molto grande, sebbene fosse uno dei più cari e alla moda di Princeton.
Le luci sembravano studiate apposta per far rimbambire i clienti e la musica era così forte che a stento il barista riusciva a capire le ordinazioni.
Se avesse continuato così, sarebbe sicuramente diventato sordo. Erano questi i pensieri dell’uomo pelato dietro al bancone, che sembrava più un buttafuori che un barista dalla corporatura.
Il gigante stava placidamente asciugando un boccale da birra con lo straccio mentre osservava una ragazza seduta davanti a lui. Era abbastanza nervoso: la ragazza, sui trent’anni, era già al suo ottavo drink e avrebbe sicuramente dovuto toglierle le chiavi della macchina e chiamarle un taxi.
Lei era molto bella e affascinante: aveva i lisci capelli biondi lunghi fino a metà schiena, due occhi scuri abilmente sottolineati da un trucco leggero e fresco ma con una strana sfumatura che non riusciva a decifrare e un fisico davvero invidiabile. Non l’aveva mai vista in giro prima di quella notte, ne era sicuro: aveva un’ottima memoria.
La ragazza si sporse un po’ verso di lui e gli parlò, o meglio, urlò per contrastare il volume della musica nella discoteca.
«Qui c’è sempre questa schifezza di musica?» gli chiese, abbastanza infastidita. Accennò un sorriso ironico guardandolo negli occhi e il barista capì di che colore fossero. Erano di un viola intenso che tendeva al nero. Rimase per un attimo imbambolato da quel colore quasi miracoloso: aveva sentito parlare di occhi viola, ma quella era la prima volta che li vedeva.
«Perché rimani qui se non ti piace?» le rispose il bestione, abbastanza brusco. Tra risse sedate e poliziotti che rompevano per il chiasso che proveniva dal locale non aveva assolutamente intenzione di farsi trattare male da quella primadonna ubriaca.
La ragazza strinse gli occhi lucidi, irritata e pensosa. Sembrava completamente in sé nonostante tutto l’alcool che aveva in corpo. Abbassò per un secondo lo sguardo nel suo bicchiere e lo svuotò in un solo sorso. Poi tornò a guardare il barista e ammise acida: «Me lo sto chiedendo anch’io…».
Si girò per saltare giù dalla sedia e andarsene, ma fu bloccata dalla voce dell’uomo: «Ehi! Dove credi di andare? Non puoi guidare in quello stato!».
La ragazza lo fulminò con lo sguardo e ringhiò: «Pensi che sia idiota? Non sono venuta in macchina! Tieni, controlla pure mentre vado ad animare un po’ la festa!».
Gli tirò la borsetta bianca, che ebbe la prontezza di prendere prima che gli si schiantasse in faccia.
Ottima mira per un’ubriaca! ebbe il tempo di pensare, colpito.
Lei, intanto, era già in piedi a qualche metro dal bancone. Sembrò ripensarci, fermandosi. Si voltò di nuovo verso il barista, avvicinandosi a lui e disse, con voce minacciosa: «E non pensare nemmeno per un secondo di intascarti qualcosa di mia proprietà… il mio ragazzo è un avvocato!».
Il barista si sentì riempire di rabbia a quelle parole, ma non poté ribattere perché la ragazza che aveva ferito il suo orgoglio da cittadino modello era ormai indistinguibile nella folla.
 
Qualche passo più in là, la ragazza bionda stava sghignazzando e scuotendo la testa, molto divertita.
Il mio ragazzo… davvero esilarante, dottoressa Simmons! si disse per poi scoppiare a ridere nuovamente, senza un minimo di senso di colpa per aver mentito a quel povero barista. Probabilmente era annegato nell’alcool con buona parte di tutto il resto…
Osservò per un attimo la massa informe di corpi che si agitavano a tempo (chi più, chi meno) di quella che, secondo lei, non si poteva definire propriamente musica, in cerca di qualcuno che attirasse la sua attenzione.
Nulla. Vide solamente tutti che si strusciavano contro tutti. Ovviamente.
Certo, c’erano delle ragazze carine, ma il suo standard era un tantino elevato. E questo da sempre.
Alzò le spalle, per niente rassegnata, e si gettò nella mischia. Dovette spingere un po’ di gente per farsi strada mentre ballava a tempo e pestò un totale di cinque piedi a cinque persone diverse.
Non si lamentarono. Troppo impegnate.
Riuscì ad uscire in quello che sembrava uno spiazzo un po’ meno affollato del resto del locale e riprese un po’ aria. Trovava strano il fatto che al centro della pista da ballo ci fosse più ossigeno che ai lati. Anche se non era proprio sicura che quello fosse il centro…
Perdita dell’orientamento dovuta all’alcool, senza dubbio.
Si guardò nuovamente attorno e, questa volta, una ragazza catturò il suo interesse. Era poco più bassa e giovane di lei, capelli castano chiaro con riflessi ramati e un corpo semplicemente divino. Stava ballando vicino ad un’altra ragazza bruna e carina, ma niente di strepitoso.
La ragazza bionda concluse che si fossero conosciute lì e che quella che aveva attirato il suo sguardo fosse a caccia, come lei. Niente di serio. Quindi perfetto. Se non fosse stato così… se la sarebbe cavata più che egregiamente in una rissa contro quella tappa bruna dall’aspetto sconsolatamente ordinario. Ghignò e si fece più vicina alle due, puntando con sicurezza la ragazza che le interessava.
Ora era dietro di lei, che non l’aveva ancora vista e che continuava a ballare con l’altra.
La bruna, invece, l’aveva notata e il suo sorriso si fece incerto quando si accorse che la nuova arrivata aveva messo gli occhi sulla sua partner.
La dottoressa Simmons si sporse leggermente, quasi furtiva, per poi esclamare nell’orecchio della ragazza davanti a lei, in un tono molto provocante e abbastanza alto da sovrastare la musica ma non così alto da far sentire le sue parole all’altra: «Andiamo, non credo assolutamente che quella lì sia il tuo massimo!». La ragazza girò la testa e subito dopo il corpo verso la profonda voce femminile.
La bionda fu abbagliata da due occhi azzurro ghiaccio incredibili e da un ghigno furbo e malizioso mentre il sorriso della bruna si estingueva in meno di un secondo. Quest’ultima sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi, quando vide che la ragazza con cui aveva ballato la ignorava senza farsi troppi scrupoli, se ne andò, molto infastidita.
Sorridenti, le due ragazze si studiarono per poco prima di iniziare a danzare molto più vicine l’una all’altra. Finalmente la bionda si lasciò completamente andare ai fumi dell’alcool, scatenandosi persino con quella musica che aveva snobbato non più di qualche minuto prima. L’altra ragazza la seguì adattandosi al suo ritmo, anche lei completamente ubriaca.
Nonostante fossero entrambe piene di alcolici, i loro movimenti non sfiorarono nemmeno per un attimo il grottesco; anzi, da quel lato sembravano lucide e terribilmente coscienti di quello che stava succedendo loro.
Dopo tre canzoni iniziarono a rubarsi rapidi baci sul collo, assaporando con le labbra l’una la pelle dell’altra. Ogni volta che succedeva, sentivano entrambe una specie di scossa a basso voltaggio ed era come se la pelle toccata ardesse piacevolmente.
Finché, alla fine della quarta canzone, la bionda non incatenò la bocca dell’altra ragazza in un lungo bacio profondo e caldo che ricambiò all’istante, con passione e decisione, quasi aggressiva.
Dopo un po’ staccò le labbra da quelle della ragazza bionda, si avvicinò al suo orecchio e le disse, in tono sensuale: «Non qui, conosco un posto migliore!».
Afferrò la sua mano e la trascinò lontana dalla folla indistinta e anonima. Passarono vicino a molte coppie indaffarate, ignorandole, fino ad arrivare nel bagno delle donne, fortunatamente vuoto.
Appena la porta del bagno si richiuse, ovattando la musica della discoteca e isolandole dal mondo circostante, ricominciarono a baciarsi con passione, bramose l’una della bocca dell’altra.
La bionda sghignazzò sulle labbra della sconosciuta e, staccandosi di poco da lei, sussurrò: «Non mi hai nemmeno detto il tuo nome…». Successivamente passò a baciare ogni centimetro di pelle visibile del collo dell’altra ragazza. Trovava quella situazione terribilmente sexy e divertente. Cioè esattamente quello che cercava.
Con gli occhi socchiusi per il piacere e la voce roca per l’eccitazione, l’altra ragazza soffiò, ansimando leggermente: «Remy… il tuo?».
La domanda era dovuta più ad un riflesso incondizionato che a vero interesse, ma la bionda non se ne preoccupò e replicò, mentre Remy le mordicchiava il lobo dell’orecchio destro: «Jackleen…».
La ragazza bionda immerse una mano nei capelli dell’altra e l’avvicinò ancora di più a sé mentre si scambiavano lentamente l’ennesimo bacio profondo e sensuale.
Jackleen fece scorrere la mano libera fino alla coscia nuda appena sotto all’orlo della minigonna di Remy, mentre quest’ultima iniziò a esplorare il corpo della bionda con il suo tocco delicato.
Le accarezzò la schiena fino ad arrivare al fondoschiena e lì si fermò. Cominciò a baciarla con più forza e la spinse contro la parete piastrellata del bagno, vicino al lavandino.
Jackleen ridacchiò per il comportamento della ragazza. Doveva ammettere che baciava davvero bene e che era molto determinata. Di solito era lei che conduceva il gioco, ma quella variante non le dispiaceva per nulla: Remy era estremamente sexy.
All’improvviso un rumore inaspettato mandò in frantumi quell’atmosfera sensuale che si era creata tra loro. Qualcosa che vibrava, senza dubbio un telefonino.
Remy s’irrigidì all’istante e si allontanò bruscamente da Jackleen, tastandosi febbrilmente la tasca.
La bionda le rivolse uno sguardo interrogativo finché la ragazza non alzò gli occhi nei suoi. Aveva un’espressione terrorizzata e sconcertata mista a quello che sembrava senso di colpa, come se si fosse svegliata all’improvviso e si fosse trovata davanti ad una sconosciuta che la stava baciando.
Senza un singolo monosillabo, Remy sfrecciò fuori dal bagno, lasciando Jackleen completamente sola a fissare interdetta e confusa il nulla davanti a sé.
Si riprese da quello stato di trance solo quando un’altra ragazza entrò nel bagno. Per un secondo sperò che fosse Remy, ma fu delusa quando vide la bruna che prima ballava con lei.
Si osservarono per un attimo, stupite.
Poi la bruna ghignò nella sua direzione e sembrò voler dire qualcosa, ma fu preceduta da Jackleen che ringhiò minacciosa: «Se ci tieni ai tuoi arti superiori con le loro dovute falangi, non dire nulla!».
L’espressione della bruna passò in un attimo da vittoriosa a spaventata, ma la bionda era troppo irritata per farci caso. Uscì dal bagno sbattendo bruscamente la porta.
Non era dell’umore giusto per provarci con un’altra ragazza, quindi ritornò al bancone per riprendersi la borsa e andare via da quel locale schifoso.
Fu salutata dalle parole del barista: «Ehi, Begli Occhi… come mai quella faccia?».
Begli Occhi gli lanciò uno sguardo assassino e gli rispose: «Sta’ zitto e dammi la borsa, Steve!».
Il barista le porse subito la borsa bianca, felice che la ragazza scontrosa se ne andasse, ma gli sembrò doveroso puntualizzare: «Non mi chiamo Steve…».
Jackleen gli strappò la propria borsa di mano e ribatté, andandosene: «Ed io non ti ho chiesto la storia della tua vita, Bei Capelli!».
L’uomo pelato non poté fare altro che guardarla andare via con suo immenso sollievo, anche se quella donna era riuscita, per la seconda volta nella serata, a farlo infuriare.
 
Jackleen Simmons salì sul primo taxi che riuscì a trovare per ritornarsene in albergo. Era così ubriaca e assonnata che per poco non diede al tassista l’indirizzo del suo appartamento a New York.
Per tutto il tragitto si domandò cosa avesse sbagliato con Remy e perché se ne fosse andata in quella maniera, senza una sola parola di scusa o rimprovero.
Concluse che il problema non poteva certamente essere lei, ma la ragazza stessa. Magari soffriva di personalità multipla o forse quella chiamata aveva scatenato quella reazione.
Sì, con ogni probabilità era stata la chiamata. Decise questo mentre pagava il tassista e scendeva dall’auto, lasciandogli una mancia modesta.
Chiese la chiave della sua stanza nella hall, salì in camera e quasi svenne sul letto, senza aver nemmeno il tempo di togliersi i vestiti.


 
*****
Questo è il mio primo crossover in assoluto! *-*
L'idea per questa fanfiction mi è venuta perché adoro il personaggio di Remy "Tredici" Hadley e, come vi accorgerete in seguito (xD) odio profondamente Eric Foreman. Ovviamente potete immaginare il mio disgusto quando la povera Remy è finita con Capretta (lo chiamo così, non fateci caso! xD)! Quindi ho pensato: "Mah... e se invece...", e da questo grande "e se" è nato il complesso e travagliato personaggio di Jackleen Simmons. Poi... perché crossover? -chiederete voi (oddio, adesso sento anche le voci O.O xD). Beh, perché non ho potuto pensare a un medical senza Grey's Anatomy! ù.ù xD C'è anche un'altra motivazione un po' più pratica che scoprirete verso la fine di questa ff... ù.ù Quindi chi vivrà vedrà! ù.ù xD
E vi lascio con il solito ed obbligatorio:

Hope you liked it! ^^
Dog
   
 
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