Amore mio
Mi sento
inutile. Completamente inutile.
Sì,
esatto. Avete capito bene.
Ed
è la
prima volta che mi sento così; proprio un bello schifo.
Due
settimane.
Sono
passate due stramaledette e lunghissime settimane
dall’incidente. Quindici
giorni, trecentosessanta ore, ventunmilaseicento interminabili secondi.
Ziva
è
più fredda di un blocco di marmo e… e non so che
fare. Mi sembra di non contare
più nulla per lei, che lei sia stata con me e abbia deciso
di sposarmi solo per
nostro figlio.
Già,
nostro figlio. Che cosa starei facendo
ora se due settimane fa avessi aspettato Ziva prima di andare al lavoro?
Diavolo,
mi sento terribilmente in colpa. Pensare che il nostro futuro sia stato
cancellato con un colpo di spugna mi fa venir voglia di urlare. Di
sfogarmi con
qualcuno. Ma non posso, non davanti a Ziva.
Lei
è in
camera nostra, rannicchiata sul letto, la luce del comodino accesa. Sta
così da
quando è tornata; mi sembra che mi abbiano lasciato il suo
involucro, senza
niente dentro. Con nostro figlio sembra se ne sia andata via anche lei.
Non
l’ho
mai sentita o vista piangere una volta, non l’ho
più vista ridere, non l’ho
sentita urlare di disperazione, se l’abbraccio mi abbraccia
anche lei
automaticamente senza alcun sentimento, se la bacio…
è da giorni che le mie
labbra non toccano le sue.
È
incredibilmente dimagrita, non mangia più. Un giorno sono
tornato dal lavoro e
non ho trovato neanche una pagina di tutte le riviste o i libri sulla
maternità
che avevamo comprato o che le avevano regalato: mi ha detto che sono
tutte
cretinate.
Non abbiamo
mai affrontato l’argomento veramente. Cioè, io
vorrei farlo ma Ziva no; e la
rispetto.
Mentre
lei è in camera, io sono in soggiorno a fingere di vedere
una delle puntate
vecchie della mia collezione di “Magnum P.I.”.
Mi fa
troppo male vederla così, sento un dolore fisico.
Mi alzo
dal divano e vado piano in camera nostra, mi siedo sul letto affianco a
Ziva;
lei si volta e mi sorride, se quella specie di smorfia posso definirla
un
sorriso.
-
Possiamo parlare? – Mi sistemo meglio sopra le coperte e mi
appoggio con la
schiena alla testiera.
- E di
che cosa? – Ziva, invece, non accenna a muoversi minimamente.
- Di come
ti senti per esempio. Di quello che ti sta succedendo, Ziva. Oramai non
ci
capisco più niente. Vorrei aiutarti, ma non so come fare,
vorrei dirti che va
tutto bene ma so che non è davvero così, vorrei
farti dimenticare tutto ma non
ce la posso fare da solo. Vorrei capire semplicemente. Credo che questo
sia
lecito. –
- Non
voglio far soffrire anche te. È meglio per tutti e due se mi
tengo tutto
dentro, mi passerà stai tranquillo. – Sorride
ancora, non crede neanche lei a
quello che sta dicendo.
- Ma lo
vuoi capire che io sto già male? Capisci che se ti vedo
così sento solo un
vuoto dentro il cuore? Io rivoglio la MIA Ziva! Io ti rivoglio
indietro! Non ti
riconosco più, cazzo! Non so che cosa pensare, se mi vuoi
ancora accanto o se
sia meglio finirla qui! Ma sappi che ti amo e sarà per
sempre, questa volta. Non
so se tu ricambi davvero e il fatto di non volermi far capire quello
che stai
provando mi fa stare male. –
Mi alzo
dal letto con la testa che gira vorticosamente; poi impongo alle mie
gambe di
muoversi e uscire da quella stanza oramai troppo piccola per entrambi.
Non
voltarti indietro, Tony.
Arrivo
sulla soglia, vado a fare un giro, a schiarirmi le idee con un
po’ d’aria
fresca. Forse davvero non c’è futuro per noi due.
-
Tony…-
La voce di Ziva mi fa voltare… non riesco proprio a fare il
duro con lei.
- Dimmi.
– Mi passo una mano tra i capelli e a vederla così
la morsa allo stomaco si
stringe ancora di più: Ziva porta la sua tuta preferita, ha
i capelli
disordinati, le occhiaie e lo sguardo triste. Sì, il
ghiaccio è scomparso dai
suoi occhi ma dentro a quelle perle nere vi leggo tantissimo dolore.
La mia
Ziva… pensare a quella donna così forte che ho
conosciuto così tanto tempo fa;
non che darei per averla indietro con me.
- Mi
dispiace. Ti amo anch’io ma il mondo mi è crollato
addosso dopo tutto quel che
è successo. Non metto sicuramente in dubbio le tue parole ma
non ti voglio far
soffrire.
L’ho
già
fatto tante, troppe volte e mi sentirei ancora più svuotata
a pensarti infelice
per colpa mia; forse è meglio se la chiudiamo qui, almeno
fino a che non mi
sarò ripresa. –
- Non ci
eravamo promessi di affrontare tutto insieme? Ne abbiamo passate tante,
supereremo anche questa. – Non ci voglio credere, non
può finire.
- Questa
volta è diverso, Tony. Ho bisogno di tempo. – Si
avvicina lentamente a me e mi
prende le mani. I suoi occhi fanno piovere qualche lacrima e prendo il
suo
corpo per stringermelo al petto, un’ultima volta. Annuso il
suo profumo per
fare in modo di imprimere questo ricordo nella mente.
Non avrei
mai pensato che sarebbe finita così tra noi, se qualcuno me
l’avesse detto gli
avrei riso in faccia. Eppure eccomi qui, a cercare di non dimenticare
quel viso
che ho visto così tante volte, a quegli occhi
così profondi, al suo sorriso, a
quello che abbiamo fatto insieme… A noi.
Con il
cuore in gola lascio un piccolo bacio sulla fronte della donna per cui
darei la
vita, poi prendo un borsone appoggiato vicino alla cassettiera e lo
riempio con
la mia roba.
Ziva mi
guarda mortificata, le braccia incrociate al petto, i capelli
disordinati e le
lacrime lungo gli zigomi. Dio quanto è bella anche
così.
Quando ho
finito di prendere tutto esco dalla stanza dopo aver ammirato quella
che avrei
creduto di sposare per l’ultima volta.
Recupero
le chiavi di casa – la mia vecchia casa – e apro la
porta. Ziva mi segue e mi
chiama.
Mi volto
ancora, tutto questo è davvero troppo snervante.
-
L’anello. – Se lo sfila da quella mano da cui non
è mai uscito e me lo porge,
cercando di evitare di guardarmi negli occhi.
- No,
tienilo tu. Voglio credere che non sia finita, non ora. Ti
terrò con me, per
sempre. –
-
Anch’io. A presto, amore mio. –
Amore
mio. Non l’ha mai detto a nessuno che io sappia, neanche a me
finora.
Dovevamo
arrivare a questo perché Ziva lo ammettesse?
Esco da
casa “nostra” e mi chiudo la porta alle spalle.
Appoggio il borsone per terra e
mi lascio scivolare lungo la porta di legno massiccio; la testa sembra
scoppiare e la tengo tra le mani, come per voler cancellare tutti i
ricordi di
questa terribile serata.
Poi, per
la prima volta da due settimane, piango anch’io.
Non ho
niente da dire, vi aspetto al prossimo.
Un bacio.
BiEsSe.