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Autore: The_Viking    03/01/2011    1 recensioni
Ho sempre nutrito una forte passione per i Paesi del Nord e la loro cultura musicale, folkloristica, storica e non solo; non è semplicemente dovuto al fatto che, pur non avendo io origini nordiche, il mio nome sia Olaf. No, sarebbe stato troppo banale. E' qualcosa di più profondo, di radicato intimamente... come quando, guardando il cielo al tramonto, ogni tuo pensiero si blocca poiché tu, la stessa persona che tante volte si è fermata a riflettere, volgi ora tutte le tue energie mentali alla contemplazione di quello spettacolo e sai che, se per riflettere avrai ancora tempo, per osservare quella visione effimera non avrai che una manciata di secondi. Da questa sensazione di sospensione magica nasce Miðgarðr No More, una saga di ispirazione vichinga che vuole tradurre in parole tutto questo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La dea Hel e l’umana Jàrnsa non si erano mai incontrate prima. Hel conosceva il marito di Jàrnsa, Baldrir, soltanto di vista, ma nonostante ciò aveva avuto modo di sentire l’uomo parlare con affetto della moglie che aveva lasciato a casa e che avrebbe voluto riabbracciare quanto prima, ed era certa che questa ricambiasse appieno i sentimenti del marito.
Basta guardarla negli occhi: questa è sicuramente una persona dotata di grande sensibilità.
La divinità aveva prontamente aiutato l’umana a riparare il danno provocato in casa sua da Surtr e dalla detenzione che questo le aveva imposto. Subito dopo, la coppia umana-divina aveva compiuto un giro di perlustrazione per rendersi conto di quale fosse la situazione: la maggior parte del villaggio non era stata danneggiata ma alcuni abitanti erano scappati, altri stavano ancora chiusi in casa, temendo un ritorno dei giganti, che sembravano nel frattempo essersi defilati, forse per riorganizzarsi altrove e lanciare così un contrattacco. Regnava tutt’attorno un’atmosfera irreale, conferita dalla quasi totale mancanza di transito sulle strade. Alcuni contadini avevano lasciato gli attrezzi del proprio lavoro lungo la strada; animali da cortile si rincorrevano liberamente lungo i sentieri che fino a un giorno prima erano percorsi dagli abitanti, carri carichi di fieno disposti trasversalmente sbarravano il passaggio; molti ancora erano i segni di tante occupazioni lasciate a metà. I guerrieri che si erano prontamente attivati per respingere l’orda nemica non erano quasi mai stati attaccati: i giganti avevano compiuto numerose azioni di disturbo, evidentemente con lo scopo di disorganizzare le truppe piuttosto che di combatterle direttamente. Regnava in effetti il caos: le difficoltà di comunicazione in tali circostanze erano sotto gli occhi di tutti.

La sorpresa e la paura per l’attacco non durarono tuttavia per molto tempo ancora: la gente doveva lavorare per darsi di che vivere e, alla fine, una certa normalità fu ristabilita dalla gente stessa. Ritrovando un poco di fiducia nella situazione, Jàrnsa e Hel si diressero al porto da cui erano salpati gli uomini alla volta dell’Islanda e presso il quale avrebbero dovuto fare ritorno. Hel aveva garantito a Jàrnsa che Baldrir e gli altri avevano deciso di tornare e, salvo gravi imprevisti, non ci sarebbero volute più di due settimane perché facessero il proprio ritorno. Da allora Jàrnsa passò ore e ore a scrutare l’orizzonte in attesa della sagoma del drakkar del marito. Ogni tanto Hel le teneva compagnia, sedendosi al suo fianco, senza quasi mai dire nulla. Riteneva che, in certi frangenti, più che dire tante parole importasse mostrare la propria partecipazione allo stato d’animo altrui con una presenza anche fisica. Quando non accompagnava Jàrnsa, la dea compiva delle perlustrazioni silenziose, travestita da mendicante, per rendersi conto personalmente di come evolvesse la situazione. Aveva appurato che diversi giganti di Jötunheimr, gli jotnar, alle dipendenze di re Þrymr, si erano accampati a circa una trentina di mil di distanza, in attesa dei rinforzi da parte di Surtr e dei suoi fratelli, i Múspellsmegir. Pareva che, durante tale attesa, non avessero nulla di meglio da fare che darsi agli ozi e agli eccessi, non perdendo occasione di manifestare una volgarità inaudita. Hel si era affrettata a riferire quanto visto alle truppe che difendevano il villaggio di Jàrnsa, che non persero l’occasione per motivare con successo la popolazione, facendo leva sul ben diverso approccio alla vita di quest’ultima rispetto ai giganti.
Questa continua alternanza di ricognizioni presso l’accampamento nemico e di compagnia a Jàrnsa continuarono, per Hel, fin quando finalmente non arrivò quanto tutti aspettavano.

Quel giorno Jàrnsa si era svegliata presto, poco prima dell’alba, per dirigersi al porto. Sentiva che era la volta buona: aveva invocato gli dèi perché la sua sofferta attesa finisse.
L’attesa è una micidiale forma di sofferenza. Non è violenta come un pugno né come un colpo di spada: è più subdola, molto più sottile. Si trascina per un tempo che pare non avere fine, è una tortura lenta e logorante. L’animo è lacerato dallo stridente contrasto tra ciò che si aspetta e la realtà del presente, in cui l’oggetto dell’attesa manca. A tratti sembra che il proprio desiderio verrà appagato quasi all’istante, altre volte si perde la speranza di riuscirci e si guarda con malinconia a quel vuoto che si ostina a perdurare, afflitti dalla propria impotenza, consci di non essere veramente artefici della propria fortuna.
Così pensava Jàrnsa, che pure non aveva smesso un attimo di aspettare, dal momento in cui, ormai numerosi giorni prima, la sagoma della nave su cui viaggiava il marito era scomparsa all’orizzonte, perdendosi nella sconcertante grandezza del mare. Si rendeva conto che non avere nulla da aspettare significasse non avere nulla per cui soffrire, ma capiva altrettanto bene che non avere nulla per cui soffrire volesse dire essere entità puramente materiali, come le piante o le rocce; un animo sensibile come il suo era ben lungi dal poter esistere senza nulla o nessuno per cui, all’occorrenza, soffrire.

Hel non sapeva di questa riflessione di Jàrnsa, tuttavia fu come se gliel’avesse letta negli occhi quando, quella mattina, la vide uscire. Si sentiva un po’ strana a pensarci, ma la verità è che era diventata amica di una mortale: mortale come le anime di cui ella era regina a Helheimr. La seguì a breve distanza, senza mostrarsi: non voleva disturbarla, a quell’ora. Entrambe giunsero al porto presso cui erano state tante volte; ci volle poco perché Jàrnsa notasse quella sagoma scura all’orizzonte, seguita poi da tante altre simili, i drakkar degli einherjar di Odino, di cui ancora non poteva sapere nulla. Non era certa che su una di quelle navi ci fosse Baldrir, ma subito il suo cuore batté più forte.

   
 
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