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Autore: Elyse Brunt    04/01/2011    6 recensioni
Mistero.
E' il mistero che circonda Villa Brenn.
La famiglia che vi è abitata è scomparsa da anni.
Tia Lube non sa nulla del perchè quando finisce a Panthalassa, il Paese dei Pupazzi, detto anche Sottoscala.
Come non sa che è predestinata ad impugnare la mitica spada Volucera appartenente all'affascinante pirata Nixalma, capitano della nave che veleggia per i quattro mondi di Pan...
E insieme ad una ciurma particolare, composta da veggenti, pirati, cavalieri, ladri e dalla Prescelta, arriverà a Panurania, il Mondo delle Ombre, dove compierà il suo destino e assisterà alla rinascita della Creatura più oscura e potente dell'Universo, contro i voleri di un Dio capriccioso...
E, yo-oh, beviamoci su! STORIA IN FASE DI CORREZIONE :D
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

Tia Lube osservò con molta circospezione villa Brenn, disabitata da anni. La vernice rossa che li ricopriva era stata in parte rovinata dal tempo e dalle forti piogge

estive che non di rado allagavano il crocevia. La villa si componeva di tre piani, più uno scantinato, ed era circondata da un giardino poco curato.

- La rimetteremo noi in sesto – disse la signora Paula Lube trafficando con le chiavi per aprire il cancelletto.

La villa era rimasta vuota per anni. La famiglia che l’abitava era scomparsa a poco a poco, fino alla sparizione dell’ultima proprietaria. Da allora nessuno aveva rivendicato il possesso della casa, almeno fino a quando un loro lontano parente aveva venduto ai suoi genitori la proprietà. Come fossero entrati in contatto, Tia non lo sapeva, ma avrebbe voluto che non fosse mai successo.

La villa la inquietava.

Era grande, bianca, con gli infissi rosso sangue e fin troppe stanze da mettere a posto. Ed era stata la dimora di una famiglia scomparsa.

La signora Lube riuscì finalmente ad aprire il cancello e fece strada verso l’ingresso, dove, dopo altrettanti tentativi di aprire, spalancarono il portone rosso.

- Siamo i primi ad entrare qui da quasi dieci anni, Tia! Non ti elettrizza la cosa? – esclamò sua madre.

- Moltissimo… - rispose sua figlia inarcando un sopracciglio.

- Su, sii più serena. Fra un paio di giorni arriveranno papà e le tue sorelle, la casa deve essere più ordinata.

- Anche se Olly oggi deve andare alla festa di compleanno della sua amica e papà è occupato all’agenzia, almeno Alice poteva venire ad aiutarci!

- E che aiuto può dare una bambina di dieci anni, Tia?

- Un po’…

Paula Lube mise le mani sulle spalle di sua figlia.

- Tia, non fare del nostro trasferimento una cosa tragica. Questa casa è bellissima, il giardino è enorme, il paese è tranquillo, papà verrà trasferito qui e io aprirò un negozietto qua vicino. E’ tutto a posto, per una volta. Tu ti farai nuovi amici. Ora ti dispiacerebbe andare a dare un’occhiata nel giardino? Sinceramente non so dove inizia e dove finisce.

Tia sospirò. Come al solito sua madre cercava di farla sentire in colpa, come se fosse la causa di tutto ciò che capitava nella sua famiglia. Non faceva altro che pretendere ancora, non si accontentava mai. E non riusciva a capire che lei odiava quel posto.

- Vado.

- Bene.

Nemmeno un “grazie”. Tia uscì di casa molto irritata e arrivò al cancelletto d’ingresso. Si voltò per avere una visione d’insieme.

“Dunque…” pensò. “Davanti c’è quello che una volta poteva definirsi un praticello. Circondato da cespugli. A destra c’è un grosso albero. Una magnolia, di fronte all’ingresso. E un abete, e un melograno. Morto, probabilmente. Marcio. A sinistra c’è un altro melograno e un… non – so – cosa peloso. E anche un altro non – so – cosa strano. E lì in mezzo una specie di sentiero che va dietro. Ma non vedo nulla da qui…”

Tia si fece strada tra l’erba alta e raggiunse il melograno di sinistra. Lungo il sentiero c’erano delle betulle dalle chiome colorate di rosso, e le foglie formavano un tappeto sul quale i passi di Tia erano silenziosi. Dietro una betulla più alta delle altre c’era uno spiazzo pavimentato con piastrelle di pietra e sormontato da un gazebo bianco sporco, intorno al quale era cresciuta molta edera. Tia si avvicinò e si mise a sedere nel gazebo.

Era fantastico. Sembrava uscito dal castello delle fiabe! Eppure…

C’era qualcosa.

Qualcosa che non andava, in quel gazebo.

Tia si alzò e guardò più attentamente.

Poi la vide.

C’era un paio di occhiali dalla montatura antiquata posato a terra. Prima non lo aveva notato.

Si abbassò e stava per prenderli quando vide qualcosa in una fessura fra le pietre che pavimentavano il gazebo. Un luccichio sinistro. Come il riflesso di una lama.

O di un occhio.

Scosse la testa e posò gli occhiali su un sedile di marmo, appoggiandosi imprudentemente ad una dei quattro portacandele murati alle colonnette che pensava servissero a contenere torce per illuminare il gazebo. Il portacandele cedette e si ruppe, facendo cadere Tia proprio nel centro del pavimento. Dove c’era quella fessura.

La pietra sotto di lei fece tlack.

Poi anche le altre.

E Tia rotolò per delle scale a chiocciola di pietra.

   
 
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