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Autore: Harry Potter Return    10/01/2011    1 recensioni
Un gruppo di accaniti fan non si è arreso alla parola fine posta da J.K. Rowling e ha deciso di continuare a raccontare le avventure di Harry, Ron ed Hermione. Una serie di racconti che narrano ciò che succede dalla fine della Battaglia di Hogwarts al capitolo "19 anni dopo".
Per ulteriori informazioni e per contribuire visitare il sito: http://hpreturn.forumfree.it/
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Una luce giallastra, che donava alla stanza un’atmosfera calda e accogliente, penetrava dalla piccola finestra alla sinistra del letto.
Si capiva subito che quella era stata la camera di Percy Weasley, il fratello maggiore di Ron; la maggior parte delle pareti era ricoperta da librerie e scaffali colmi di tomi dei più svariati colori e volumi, tutti strettamente ordinati per ordine alfabetico, e non c’era nulla di sorprendente nel notare la polvere che li ricopriva. D’altronde, nessuno si era più preoccupato di spolverare da due mesi a quella parte.
   L’unico aspetto che stonava con il consueto ordine solito a quelle quattro mura era rappresentata da un cumulo di quotidiani posto esattamente sotto la finestra, che in quel momento era semiaperta di fronte al tepore della serata estiva. Dovevano essere circa una cinquantina, ed erano tutti alla rinfusa, come se fossero stati gettati lì di malavoglia dopo essere stati letti; ormai sarebbe stato quasi impossibile rimetterli in ordine di pubblicazione in meno di qualche ora.
   Harry Potter stava seduto sulle lenzuola gialle del letto sgangherato posto al centro della stanza, le mani tra le gambe, intento a leggere il foglio di pergamena che aveva appena estratto da una busta ormai dimenticata poco più in là. Per poter concentrarsi nella lettura, ogni tanto doveva spostare la frangia, orribilmente lunga dopo mesi in cui non era stata tagliata.
 
Caro signor Potter, 
siamo lieti di informarLa che Lei è stato riammesso alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, con iscrizione diretta al settimo anno di corso. 
Alleghiamo a questa lettera l’elenco delle attrezzature e dei libri di testo necessari per il nuovo anno scolastico. 
Le ricordiamo, inoltre, che i corsi inizieranno, come di consueto, il primo settembre. L’Espresso per Hogwarts lascerà la stazione di King’s Cross, binario nove e tre quarti, alle undici in punto. 
Rimaniamo in attesa di una sua eventuale conferma via gufo, entro, e non oltre, il 15 agosto p.v. 
Con la speranza che stia bene, 
                                                 

Filius Vitious,
Vicepreside

 
   Rilesse nuovamente la lettera; poi, prese in mano il secondo foglio di pergamena contenuto nella busta che fino a pochi minuti prima era sigillata dal marchio rosso che raffigurava lo stemma di Hogwarts, mentre l’indirizzo e il nome del destinatario erano appuntati molto accuratamente con un inchiostro blu intenso, lo stesso utilizzato per scrivere i contenuti della missiva. 
   Ora gli si presentava davanti un dilemma, un problema che sentiva di dover risolvere da solo, senza i consigli dei suoi amici, per non parlare di quelli dei signori Weasley.  
Fino a pochi giorni prima era convinto che il suo futuro fosse oltre le solide mura di quel castello che per primo era stato la sua vera casa, ma l’arrivo del tutto inaspettato dell’allocco di casa Weasley in quel caldo pomeriggio di metà luglio aveva fatto improvvisamente crollare tutte le sue convinzioni. 
   Non aveva mai veramente pensato a cosa fare se non fosse tornato a Hogwarts. A pensarci bene, non aveva neanche avuto il tempo necessario per riflettere su una cosa così importante. Dopo gli eventi di due mesi prima, dopo lo scontro che lo aveva reso, se possibile, ancora più famoso, erano accadute talmente tante cose che la pace della Tana, riacquistata solamente da poche settimane, lo aveva invitato a spegnere il cervello e a non pensare a nulla. 
   Sbuffò, inquieto, e si sdraiò sul letto cigolante, osservando la tinta del soffitto della camera di Percy; era un colore spaventosamente neutro.  
Non si era ancora goduto completamente la tranquillità del posto, e ora il silenzio, tipico del luogo da quando Fred e George erano andati a vivere da soli, gli si presentava davanti agli occhi in tutti i suoi aspetti, in tutti i suoi dubbi. Occupava quella camera da quando era arrivato, dopo essere rimasto ad Hogwarts per oltre una settimana; da allora, tutto quello che la signora Weasley aveva cercato di mantenere pulito e intatto, nella speranza del ritorno del figlio Percy, era degradato in un disordine sempre più visibile.  
   Si girò sul fianco sinistro, e cercò di scorgere qualcosa tra le piccole fessure che si aprivano e si chiudevano continuamente nelle tende verdognole, mosse da un'impercettibile brezza della tiepida serata estiva. Al di là dei vetri semiaperti scorse le fronde apparentemente immobili del boschetto di proprietà dei Weasley, e notò il cielo che, sempre più rosseggiante, preannunciava l’avvicinarsi del tramonto. 
   Poi, abbassando lo sguardo, notò il cumulo di giornali sparso sul pavimento. Si trattava di tutte le Gazzette del Profeta che aveva ricevuto da due mesi a quella parte, e che aveva portato con sé anche dopo essere tornato alla Tana per un motivo che doveva ancora comprendere del tutto. 
   Allungò svogliatamente il braccio sinistro fino a toccare i fogli del quotidiano più vicino al letto, e lo avvicinò a sé con un sforzo che gli parve immane.  
Lo aprì, sbadigliando, e lesse per quella che doveva essere la centesima volta l’enorme titolo nero che troneggiava sulla prima pagina. 
 

Bugie e verità sulla caduta di Voi-Sapete-Chi
Cosa è realmente accaduto quella notte?

 
   Sotto il titolo, un’enorme foto che raffigurava una veduta del parco di Hogwarts in un'alba tristemente accesa veniva attraversata lentamente da profili neri che entravano e uscivano dal portone del castello. Di fianco, un’annotazione rimandava alle pagine due e tre. 
   Girò la pagina; mentre la seconda facciata era completamente scritta in un carattere talmente piccolo da togliere la voglia di leggere, sulla terza troneggiava il viso, adorno della solita bombetta verde acido, di Cornelius Caramell, il vecchio Ministro della Magia. Il titolo annunciava: 
 

Anche Caramell si ricrede

 
   Harry non aveva voluto leggere quell’articolo, non aveva voluto conoscere i pareri di maghi e streghe dopo la notte della morte di Voldemort. Incoraggiato dal tempo che era trascorso, però, decise che era giunto il momento di rendersi conto delle conseguenze delle sue gesta, così, dopo essersi caricato con un profondo respiro, si immerse svogliatamente nella lettura. 
 
  Molti maghi e streghe hanno espresso i loro pareri dopo essere venuti a conoscenza degli incredibili fatti avvenuti presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts durante la notte della definitiva caduta di Voi-Sapete-Chi. Alcuni di loro ci hanno permesso di pubblicare le loro parole.  
 
   Dedalus Lux, noto membro dell’organizzazione Ordine della Fenice, ha ammesso di non aver potuto prendere parte alla Battaglia contro Voi-Sapete-Chi e i suoi seguaci perché impegnato sulle coste dell’Albania in circostanze che non ha voluto svelare. 
 
   Harry sapeva bene cosa doveva fare Dedalus in Albania. Da poco meno di un anno, il suo compito era quello di sorvegliare accuratamente la famiglia Dursley, gli unici parenti in vita di Harry, trasferitasi controvoglia per motivi di sicurezza personale. 
Per quanto si sforzasse, non riusciva a immaginare la reazione che i suoi zii dovevano avere avuto quando Dedalus li aveva informati sulle sorti del loro unico nipote. Forse, si ritrovò a pensare prima di riprendere la lettura, erano già tornati nella loro villetta di Privet Drive. 
 
   Come era prevedibile,– continuava l’articolo – il signor Lux ha dichiarato la sua completa solidarietà a Harry Potter e a tutti coloro che hanno perso i loro cari in quello che è sicuramente stato lo scontro più importante dopo il celeberrimo duello avvenuto nel 1945 tra il mago oscuro Gellert Grindelwald e l’ormai defunto professor Albus Silente.  
 
   Sibilla Cooman, insegnante di Divinazione ad Hogwarts, ci ha rilasciato una breve ma concisa rivelazione sui fatti a cui lei stessa ha preso parte.  
   « Ne ho stesi di Mangiamorte » ha ripetuto più volte ai nostri reporter « Le sfere di cristallo possono fare molto male, sapete »  
Alla nostra domanda su come abbia reagito alla notizia che Voi-Sapete-Chi si stesse dirigendo verso la scuola, ha poi aggiunto: « Avevo previsto tutto »  
 
   Non siamo tuttavia riusciti ad ottenere un’intervista dei professori più importanti della scuola, perché tutti straordinariamente silenziosi e vaghi nel discutere sull’accaduto.  
 
   Cornelius Caramell, però, l’ormai tre volte ex Ministro della Magia, ha dichiarato la sua incredulità per quanto due anni fa lui stesso aveva dichiarato non poter accadere.  
   « Mi sono reso conto » ha esordito Caramell « che, durante l'ultimo anno del mio mandato, ho commesso errori clamorosi. Devo dire, però, che le prove che il Ministero aveva contro Sirius Black sembravano inattaccabili; ho sempre pensato che si celasse lui dietro quei fatti, e nessun'altro, a parte Potter e Silente, sembrava asserire il contrario. Naturalmente, come tutti ricorderete, proprio per questo motivo ho deciso di congedarmi prematuramente dal ruolo di Ministro » 
Alla nostra ennesima accusa di vigliaccheria per il suo improvviso ritiro, ha poi commentato, con voce adirata:
« Non sono stato un vigliacco, anche se ammetto che tutto lo lasciava pensare. Ho solamente ritenuto più adeguato che qualcun altro tenesse in mano le redini di quanto stava accadendo, qualcuno più abituato all'azione, mentre io, come sapete, sono sempre stato un uomo di mediazione, poco propenso ad usare la forza. E non rimpiango la mia decisione: i fatti mi hanno dato ragione »  
   « Sono comunque molto amareggiato » ha continuato subito dopo « per l’abominevole ruolo che il Ministero della Magia ha avuto negli ultimi mesi. Un Ministro della Magia come Pius O’Tusoe, alleato con Voi-Sapete-Chi, non lo auguro a nessuna nazione »  
Alle nostre osservazioni sul fatto che O’Tusoe sia ritenuto essere stato vittima della Maledizione Imperius, Caramell ha commentato fortemente... 
 
   Harry non continuò la lettura. Voleva risparmiarsi le amare dichiarazioni su ciò che il Ministero della Magia aveva compiuto mentre era sotto il controllo di Voldemort. 
I commenti su O’Tusoe gli erano bastati; quell’uomo rappresentava per lui qualcosa che non sapeva descrivere a parole. Era stato uno dei Mangiamorte che, anche se involontariamente, avevano causato la morte di Fred, ed era stato uno tra i primi a fuggire e ad essere riportato in Sala Grande dopo il frettoloso arrivo degli Auror nei confini di Hogwarts. 
   Sebbene quei momenti avessero dovuto far parte di quei ricordi che risultano essere sfocati nella mente delle persone, Harry rammentava ogni minimo particolare di ciò che era accaduto dopo che il sole era sorto sul parco del castello di Hogwarts, la mattina seguente la morte di Voldemort. 
Quando lui, Ron e Hermione erano tornati nel Salone d’Ingresso dopo il breve ma commovente discorso con il ritratto di Silente nell’Ufficio del Preside, avevano assistito a scene quanto meno strazianti. 
   All’ingresso della Sala Grande, tra le migliaia di pietre preziose colorate che erano cadute a terra quando le clessidre delle Case si erano rotte, avevano subito scorto Kingsley Shacklebolt, dall'aria estremamente seria, mentre parlava con la professoressa McGranitt, che aveva gli occhi velati di lacrime. 
   In quello stesso momento, un uomo alto e massiccio era entrato rumorosamente dal Portone d’Ingresso, portando tra le braccia il corpo di una persona, che aveva tutta l’apparenza di essere esanime. 
   « Chi è? » aveva chiesto la McGranitt con voce rotta dal pianto, appena scorto l’uomo che le veniva incontro. 
   « Pius O’Tusoe » aveva risposto lui, deponendo il corpo sul freddo pavimento « L’ho pietrificato » 
   « Grazie a Dio non è un innocente » aveva commentato lei, mentre si avvicinava insieme a Kingsley.
   « Dove lo hai trovato? » aveva poi chiesto la potente voce di quest'ultimo, suonando fredda come non mai. 
   « Stava cercando di fuggire dal parco. Ce ne sono molti altri; tutta la squadra si sta occupando del loro inseguimento, e in molti stanno arrivando da Londra per aiutarci » 
   « Le protezioni del castello sono ancora infrante? »  
   La voce di Ron, fino a quel momento rimasto in silenzio insieme a Harry e Hermione, era improvvisamente risuonata nel Salone. La McGranitt e Kingsley si erano voltati di scatto, entrambi con aria vistosamente adirata. 
   « Se ognuno può entrare al castello liberamente » aveva continuato Ron, forse senza aver notato l’espressione irrigidita della professoressa « tutti coloro che hanno figli a scuola invaderanno il castello ».  
   « Ron ha ragione » commentò risolutamente Kingsley  « Meglio mettere qualcuno di guardia ai cancelli ». 
   La McGranitt gli lanciò uno sguardo severo mentre lo seguiva verso il parco, seguita dall’Auror che aveva portato O’Tusoe nel castello e da Harry che, senza neanche sapere cosa stesse facendo, al contrario dei suoi predecessori si bloccò non appena la luce del sole ebbe sfiorato il suo corpo. 
   La visione che gli si era parata davanti agli occhi aveva dell’incredibile. Il parco, avvolto in un silenzio tetro, era disseminato qua e là da ombre scure sull’erba soffice, e molto raramente si vedevano i movimenti incerti dei superstiti, alcuni diretti al castello, altri inginocchiati tra i corpi dei caduti.  
In lontananza si udivano leggeri boati, probabilmente causati dai pochi duelli tra Auror e Mangiamorte che si tenevano ai confini del parco di Hogwarts; Harry avrebbe voluto andare ad aiutare nella cattura dei seguaci di Voldemort, ma dentro di sé sapeva che sarebbe stato solo d’intralcio. 
   Un sospiro allarmato annunciò l’arrivo di Hermione. 
   « Non è possibile… » 
   Harry si voltò verso di lei, convinto che l’avrebbe vista abbracciata a Ron, ma l’amico non c’era. Il volto della ragazza era rigato di lacrime silenziose; forse non voleva rompere la tranquillità di quell’alba crudele. 
Non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto abbracciarla, ma non ne trovava il coraggio. Con che diritto lui, la causa di tutto quello che era accaduto, poteva consolare la sua migliore amica? 
   Poi, fortunatamente, un altro sospiro, anch’esso rotto dal pianto ma molto più potente di quello di Hermione, ruppe l’atmosfera solenne di quel momento. 
   « Harry! » 
   Hagrid stava correndo a grossi balzi verso di lui; per un attimo Harry pensò che i boati più vicini fossero procurati dal suo amico Mezzogigante che si avvicinava, ma poi vide spuntare da dietro al castello l’enorme figura del gigante Grop. 
   « Harry, santo cielo, dov'eri finito? » 
   Hagrid piangeva sonoramente mentre lo squadrava da capo a piedi, come per constatare che non mancasse nessuna delle sue parti del corpo, e finì con l'abbracciarlo nella sua morsa stritolatrice. 
Harry non sapeva cosa dire. Non provava nemmeno dolore per il possente abbraccio. Sebbene i suoi occhi stessero osservando il cielo azzurrognolo, nella sua mente guardava ancora quelle macchie nere sul prato di Hogwarts. 
   « Ero sicuro che fossi morto, non ti ho nemmeno sentito respirare mentre ti tenevo in braccio. Come ho potuto sbagliarmi? Tu non potevi morire, sei troppo forte per qualsiasi mago » mugolò Hagrid, tra le lacrime; poi, voltandosi, parve accorgersi della ragazza che gli stava a fianco. 
   « Hermione! » 
   Dopo averlo riposto sui gradini di pietra, si diresse a stritolare la ragazza che ora sembrava non piangere più, forse leggermente sollevata nel rivedere Hagrid. 
Intanto, poco più in là, Grop osservava la scena con aria interrogativa, probabilmente ignaro di cosa stessero facendo, e soprattutto del motivo di tutta quella commozione. 
Harry lo osservò per pochi secondi mentre si metteva in bocca il dito indice della mano destra, e non poté non sorridere. Non era un sorriso di felicità, però, era solo un sorriso. 
   Mentre il sole illuminava il paesaggio con colori vividi, lasciandosi dietro le immagini spettrali dell'alba e mostrando tutta la drammaticità del momento, però, un grido risuonò nel silenzio; era un urlo sommesso, probabilmente così debole per via della lontananza da cui proveniva, e non sembrava un essere provocato da dolore o sconfitta.  
   Hagrid posò velocemente Hermione, e tutti e tre iniziarono ad osservare due puntini neri che si avvicinavano troppo velocemente al castello. Uno sembrava inseguire l’altro. 
   Dopo pochi minuti di tremendo silenzio, riuscirono a distinguere due persone che correvano nella loro direzione; la prima era una donna, che sembrava fuggire dallo stesso Auror che aveva portato nel Salone d’Ingresso il corpo pietrificato di Pius O’Tusoe pochi minuti prima. 
Harry ed Hermione sguainarono meccanicamente le loro bacchette magiche. 
   « Mi lasci andare! » la sentirono urlare quando fu abbastanza vicina.
   A Harry sembrava di averla già vista da qualche parte.
   Poi, Hermione, con la bacchetta tremolante puntata contro le due figure che si avvicinavano, sembrò intenzionata a pronunciare qualche fattura. 
   « Ferma! »     
   La voce di Hagrid le aveva imposto di abbassare il braccio. 
   Dopo pochi istanti, una signora magra, abbastanza alta, con ricci e scompigliati capelli corvini che le cadevano sulle spalle, raggiunse il portone d’ingresso del castello, seguita a ruota dall’Auror ansimante per la corsa. Il suo volto era semicoperto dai capelli voluminosi, e il suo respiro un poco affannoso; teneva tra le braccia un fagotto, che aveva tutta l’aria di contenere un neonato. 
   Harry capì subito di chi si trattava e si girò di spalle. Non voleva credere che tutto ciò stesse accadendo veramente. 
   « Chi è lei? » chiese Hermione di scatto, la voce tremolante.  
   « Non può entrare! » le disse l’Auror, con l'aria di chi ha ripetuto molte volte la stessa frase. 
   La donna fece finta di non sentire, e si tolse i capelli dal volto con un ampio gesto della mano libera, mostrando completamente le guance incavate, la pelle molto pallida e gli occhi infossati. Sembrava la copia esatta di Bellatrix Lestrange. 
   Hermione trattenne rumorosamente il respiro e spalancò le palpebre. 
   « Ciao, Andromeda » la salutò Hagrid, col capo leggermente chino. 
   A quelle parole, nuove lacrime iniziarono a cadere, copiose e silenziose, sul volto di Hermione. 
   Andromeda Tonks rivolse un leggero cenno di saluto ad Hagrid, poi osservò la ragazza, che aveva portato le mani al viso, senza riuscire a controllare i singhiozzi. 
   Nel frattempo, Harry era rimasto sempre di spalle, nella speranza che Andromeda non lo notasse, ma si accorse subito che non era servito a nulla. 
   « Dov'è Dora? E Remus? » sentì chiedere, con un tono comunicante una grande speranza che, Harry lo sapeva bene, era ormai del tutto vana.
   Si voltò.  
   Non aveva avuto bisogno di parlare; una tristezza infinita traspariva dal suo sguardo. Chiuse gli occhi, e udì solamente i passi frettolosi che entravano nel castello. Andromeda aveva oltrepassato il Portone d’ingresso, sicuramente diretta in Sala Grande, dove l’aspettava la tremenda verità.
Hagrid la seguì immediatamente, e così fece lui, ce prese per mano Hermione e la trascinò all’interno, lasciando lì il massiccio Auror, ormai arresosi davanti a quella scena. 
   Scavalcarono il corpo di O’Tusoe senza neanche vederlo, e si diressero velocemente verso la Sala Grande. Lì lo spettacolo era più triste che fuori, forse per il grande numero di maghi e streghe che riempivano la stanza. 
   Lui ed Hermione si fecero strada tra le persone spostatesi per far passare Hagrid, e ben presto raggiunsero il punto dove la lunga storia che aveva segnato la vita di tutti loro aveva visto la sua conclusione. 
   Accasciati a terra, in una posizione quasi normale ma estremamente tragica, giacevano i cadaveri di Lord Voldemort e di Bellatrix Lestrange. Il primo era caduto all’indietro, colpito dal suo stesso Anatema, e ora giaceva supino, gli occhi spalancati contro il grigio soffitto incantato della Sala Grande, le mani comodamente adagiate lungo i fianchi, le fessure delle narici che non respiravano più. Sul suo volto non vi era l’espressione di terrore dipinta su tutti coloro che avevano visto come ultima cosa una luce verde che si avvicinava, ma trasudava solamente sorpresa, con la bocca semiaperta e gli occhi sbarrati. 
   Alla sua destra, poi, Bellatrix Lestrange giaceva coricata, prona, in una posa innaturale, un braccio piegato con una strana angolatura e l’altro, che ancora impugnava la bacchetta magica, rivolto verso il corpo del suo Signore. Aveva il viso rivolto dalla parte opposta ad Harry, che non poté che ringraziare questa casualità. 
   L’immagine di questi due corpi, malvagi in vita ma così pietosi dopo la morte, era passata davanti ai suoi occhi, mentre veniva violentemente spinto da Hermione, che ora dirigeva il loro spostamento verso un altro lato della Sala.  
Mentre camminava, Harry non osservò ciò che stava accadendo intorno a lui, non gli importava di vedere i volti dei superstiti o gli abbracci dei cari, non voleva neanche assistere ai pianti per i caduti, ma dentro di sé sapeva di non potere evitarlo. 
   Poco distante dai corpi abbandonati di Voldemort e della sua più fedele seguace, giacevano anche i cadaveri dei giusti, delle vittime che il destino aveva strappato alla vita. 
Andromeda Tonks si trovava ora accasciata di fianco a sua figlia e a Lupin, mossa solo da tremendi singhiozzi. 
Intorno a lei, Harry notò gran parte della famiglia Weasley, tra cui Ron, mentre il grosso profilo di Hagrid teneva in braccio il fagotto che conteneva il piccolo Teddy Lupin, probabilmente addormentato e ignaro di aver perso entrambi i genitori. 
   Harry non volle guardare i corpi di Tonks e Remus, non volle incrociare i loro occhi ormai vuoti. Nella sua mente si accavallavano due immagini tra loro molto vicine ma allo stesso tempo contrapposte. Rivedeva Villa Conchiglia, nel momento in cui Lupin era entrato ad annunciare la nascita di suo figlio, ma quella scena, che una volta era stata una piccola parentesi di felicità tra le tragedie che si stavano compiendo, si accavallava contemporaneamente con l’espressione vitrea degli occhi di Dobby, l’Elfo Domestico che aveva sacrificato la sua stessa vita per lui ed era stato sepolto su quella scogliera. 
   Si voltò verso destra per distogliere lo sguardo da Andromeda, e scorse Bill e Fleur che osservavano la scena, apparentemente impassibili ma abbracciati l'uno all'altra. Poco lontano, Percy, anche lui in piedi, sembrava sull’orlo della commozione, mentre  Ron, alto quasi quanto il fratello, muoveva insistentemente il piede destro mentre osservava con vago interesse le nuvole plumbee che ricoprivano il soffitto della Sala. Era la prima volta, da quando Harry era giunto ad Hogwarts, che il cielo ritratto magicamente all’interno di quella stanza non copiava il clima all’esterno, che in quel momento era forzatamente soleggiato. 
   Dopo pochi istanti, Ron si voltò per uscire dal cerchio che si era stretto intorno ad Andromeda, ed Harry decise di seguire il suo esempio. Non ne poteva più di osservare il dolore degli altri, voleva solo andare via da Hogwarts.
   In quel momento, però, Kingsley entrò rumorosamente in Sala Grande, con passo svelto e agitato. Si fece largo tra la folla, accorpata qua e là intorno a qualcosa che Harry sperò non fossero tutti cadaveri, gli passò di fianco, rivolgendogli un rapido sguardo, e si avvicinò ad Andromeda, sempre coricata sul corpo della figlia, i cui singhiozzi giungevano alle orecchie dei presenti come lame sulla carne fresca.
   « Vieni via » le sussurrò Kingsley con la sua voce, di nuovo calda e melliflua, non appena l'ebbe raggiunta.
Poi la prese per un braccio, ma lei oppose una terribile resistenza. La scena era straziante; tutte le persone che circondavano i corpi di Lupin e Tonks erano in silenzio, un silenzio tetro, mentre la sola Hermione piangeva ininterrottamente, e i suoi singhiozzi scandivano il tempo come i rintocchi di un orologio.
Quando, pochi attimi dopo, Andromeda si trovò forzatamente in piedi, con il viso rivolto verso Lupin e Tonks e gli occhi chiusi nel suo estremo dolore, la voce di Kingsley risuonò nuovamente nella stanza.
   « Il primo turno di Auror è pronto per lasciare il castello. Porteremo con noi i primi Mangiamorte catturati durante la fuga. Io stesso mi occuperò della famiglia Malfoy »
Accennò con la testa alla porta della Sala, e tutti abbandonarono per un attimo la visione di Andromeda per guardare Lucius, Narcissa e Draco Malfoy, tre teste bionde riconoscibili anche alla fioca luce dell’alba che, poco distante da loro, sembravano abbracciati, nonostante fossero bloccati da numerose corde che avevano l'aria di essere molto strette.
   Solo allora Harry comprese la complessità di ciò che stava accadendo in quella stanza, in quell’alba dolorosamente accecante.
Osservò per alcuni secondi Andromeda che ora, sempre in piedi di fianco a Kingsley, rivolgeva gli occhi al soffitto plumbeo. Alla sua destra, poco lontano, sua sorella Narcissa soffriva il suo dolore, dopo aver rischiato la morte del figlio e avere davanti a sé chissà quanti anni da trascorrere nella prigione di Azkaban. Alla sua sinistra, invece, giaceva l’altra sorella, Bellatrix, coricata su un pavimento da cui non si sarebbe più alzata.
Andromeda, però, non si era minimamente curata delle sorelle, aveva solo pensato alla figlia e al genero appena acquisito.
   Scosso da questi pensieri, Harry fece per uscire dalla stanza, ma un’altra parentesi di quella mattina di dolore gli si parò davanti. Non poteva sperare di evitare anche quello, ma per qualche minuto se lo era dimenticato.
   Sulla traiettoria tra Andromeda e i Malfoy, abilmente in disparte dalla folla, rivide Ron, che gli dava le spalle mentre osservava, forse senza vederlo, il cadavere di suo fratello Fred.
Era proprio come se lo ricordava, con quel sorriso stampato in volto che ora assomigliava molto di più a un ghigno; aveva le mani adagiate sul petto, una sopra l’altra, e gli occhi gli erano stati chiusi dalle mani di qualche parente.
Al suo fianco, la signora Weasley sembrava addormentata, i capelli arruffati dopo lo scontro con Bellatrix e gli occhi fissi verso una qualsiasi mattonella del pavimento di pietra, mentre Ginny, dall’altra parte, stava seduta, e fissava nella sua direzione.
   Appena i loro sguardi si furono incrociati, però, Harry prese a correre, colto da tutti i sensi di colpa per l’accaduto, sentendo solo in lontananza la voce della ragazza; uscì dalla Sala Grande senza neanche accorgersi di essere passato di fianco a Draco Malfoy, e si diresse verso il parco.
Poi, improvvisamente, gli tornò in mente la visione delle ombre nere disseminate sull’erba. Disgustato, si voltò indietro, rivolto questa volta verso la Scalinata di Marmo.
   A metà strada incrociò Ron e Hermione, entrambi con gli occhi velati, che lo stavano evidentemente seguendo. Il primo lo afferrò per un braccio per fermarlo, mentre la seconda lo abbracciava molto forte.
Rimasero lì, in mezzo al Salone d’Ingresso semidistrutto e disseminato di detriti, per quella che sembrò un’ora, finché un leggero colpo di tosse annunciò l’arrivo della professoressa McGranitt.
   « Vorrei parlarvi » disse, molto sbrigativa e con voce ferma « Seguitemi »
   Il suo tono di voce suonava addirittura fuori luogo in quel momento.
Harry, Ron e Hermione si lasciarono, e arrancarono nella sua scia mentre saliva la Scalinata di Marmo in parte esplosa, e rimasero in silenzio per tutto il tragitto.
Lungo il percorso notarono la desolazione del castello in quel triste momento; i resti delle statue ricoprivano il pavimento, mentre gli arazzi che decoravano le mura nude dei corridoi erano stati squarciati o bruciati. Ogni tanto si notava un piedistallo vuoto.
Alla vista di questi ultimi, appena ebbero raggiunto il secondo piano, la McGranitt ebbe un fremito d’angoscia e accelerò velocemente verso la finestra a loro più vicina, che si apriva sulle punte degli alberi della Foresta Proibita. Poi, con un ampio gesto di bacchetta magica, sembrò scagliare fuori un qualche incantesimo, ma senza un’apparente conseguenza.
   « Proseguiamo » ordinò, poi, loro, senza degnarli di uno sguardo.
   Entrati nel suo Ufficio, miracolosamente intatto dopo la Battaglia e ancora immerso nella semioscurità sebbene il sole fosse sorto da molto tempo, Harry, Ron e Hermione si accomodarono su tre poltroncine fatte tempestivamente comparire dalla professoressa, mentre lei, da dietro la scrivania, iniziava il discorso che le premeva.
   « Mi dovete delle spiegazioni » esordì.
   « Cosa? » chiese Ron, improvvisamente attento a quanto accadeva intorno a lui.
   « Dovete spiegarmi cosa è accaduto questa notte » ricominciò lei, come se fosse la cosa più ovvia.
   « Insomma, Potter, cosa diavolo stavi cercando nel castello prima dell’arrivo di Voi-Sapete-Chi? »
   « Si chiama Voldemort » la voce di Hermione suonò stranamente roca, dopo tutto quel tempo « O, meglio, si chiamava così »
   La professoressa McGranitt sembrò messa a disagio per un secondo dalle parole della ragazza.
   « Giusto » riprese « Allora, Potter, quali erano le tue intenzioni? »
   « Non posso dirglielo »
   Aveva creduto di non poter più parlare ma, invece, la voce era uscita dalla sua bocca come se niente fosse.
   « Non essere sciocco, cosa può esserci di così importante da non potermi essere rivelato, dopo tutto quello che è successo? »
Harry alzò per un attimo lo sguardo su di lei, che lo scrutava, torva, ma poi lo lasciò ricadere su Hermione e Ron, trovandoli intenti nel guardarlo, curiosi e spaventati allo stesso tempo da ciò che avrebbe potuto svelare.
   « Le ho già detto che è un segreto tra me e Silente » ricominciò lui, più serio che mai.
   « Silente è morto! »
   La McGranitt si era alzata all’improvviso, in uno scatto chiaramente involontario, e si era riseduta subito, resasi evidentemente conto della sua reazione sproporzionata.
Harry rimase ad osservarla, sbalordito. Solo poche ore prima, anche se sembravano trascorsi mesi, aveva sentito le stesse parole uscire dalla bocca di Voldemort, in tutta la loro malvagità.
La McGranitt sembrò pensare la stessa cosa; era come stupita di se stessa, quando ricominciò a parlare.
   « Insomma, Harry » tutti i presenti notarono l’improvviso, e apparentemente immotivato, cambiamento nel suo tono di voce « Non puoi tenere per sempre celati i segreti che ti hanno portato alla sconfitta di Lord Voldemort »
   « Invece è esattamente quello che farò » ribatté lui.
   Ron e Hermione annuirono silenziosamente, e la McGranitt acquisì un’espressione sconcertata; probabilmente, nessuno le aveva mai risposto in quel modo. Poi sospirò.
   « Bene » ammise in segno di un’arresa involontaria « Ora, invece, puoi dirmi come hai fatto a risorgere come una fenice? »
   « Non sono risorto » ribatté Harry, in tutta la sua finta calma.
   « Ma se, quando i Mangiamorte sono usciti dalla Foresta Proibita, tu eri tra le braccia di Hagrid, che piangeva, e Voi-Sapete-Chi ha detto che eri morto! »
   « Voldemort! »
   Questa volta era stato Ron a parlare. Tutti lo osservarono per qualche secondo, lo stupore dipinto sui loro volti. I Weasley avevano sempre avuto un’avversione con la pronuncia di quel nome.
   « Si… Voldemort » ammise lei, sussurrando.
   Harry non sapeva cosa inventarsi; era sicuro che la scusa che in realtà non era mai morto non avrebbe funzionato, sebbene si trattasse della pura verità.
Neanche Ron e Hermione, poi, conoscevano la risposta a questa domanda, e si aspettavano sicuramente una spiegazione riguardante la Bacchetta di Sambuco, ma lui, Harry, non poteva rivelare quel particolare alla McGranitt.
   Con un gesto automatico, poi, estrasse dalla tasca dei suoi jeans la bacchetta magica, quella che in un tempo che sembrava lontanissimo aveva riaggiustato con il potere della Stecca della Morte.
La McGranitt sembrò notare il gesto, forse dopo aver visto le teste di Ron e Hermione inclinarsi verso il basso, gli occhi sgranati da un orribile presentimento.
   « Ah, Potter » ricominciò col tono autoritario « Cos’è quella storia? Quella che hai raccontato a Voldemort - accennò col capo a Ron e Hermione - prima che… beh lo sai »
   Harry rimase immobile. Sapeva benissimo dove era andata a parare la professoressa. Come poteva essere stato così stupido; le aveva praticamente suggerito la domanda.
   « Possiedi la Bacchetta di Sambuco? » insisté lei, priva di tatto.
   « La Bacchetta di Sambuco non esiste » la voce di Hermione sembrò ancora più autoritaria di quella della McGranitt « Non è mai esistita, è sempre stata un’invenzione dei maghi per vantarsi delle proprie abilità magiche »
   Ron parve alquanto sbalordito dalle sue frasi, ma Harry sapeva che quello che la ragazza aveva appena detto non aveva fatto altro che assicurare alla McGranitt che loro tre erano a conoscenza di qualcosa che non volevano rivelare.
   « Non dica sciocchezze, signorina Granger » riprese, sempre più arrogante; dal tono di voce sembrava ricordare il duello verbale che aveva tenuto tre anni prima con Dolores Umbridge « La Stecca delle Morte è esistita, e probabilmente esiste ancora oggi. E’ menzionata in tutti i libri di Storia della Magia »
   « E tutti i libri di Storia della Magia sbagliano » insisté Hermione.
Si scrutarono per qualche istante, finché la professoressa volse lo sguardo verso Harry e ricominciò, con tono più tranquillo.
   « Allora, Potter, perché quelle frasi? Perché tu e il Mago Oscuro più potente di tutti i tempi avete discusso della Bacchetta di Sambuco, prima di sfidarvi a duello? »
Harry non sapeva cosa rispondere. Un silenzio avrebbe indicato la sua colpevolezza, mentre una storia inventata su due piedi non avrebbe probabilmente sortito alcun effetto.
   Perché, quando parlava con Silente, ogni volta che raggiungevano un punto importante della conversazione, c’era sempre qualcuno o qualcosa che li disturbava, mentre ora che era lì, disarmato davanti alla McGranitt, non accadeva nulla?
Non osò alzare lo sguardo verso Ron e Hermione; non avrebbe fatto altro che coinvolgerli ancora di più.
   « Se avessimo saputo tutto quello che passava per la testa di Voldemort, avremmo risparmiato le vite stroncate questa notte »
Ron aveva espresso il suo parere, con un tono sicuro che gli era sicuramente costato molto dolore, ma ciò che aveva detto non sembrò convincere di più la McGranitt, che sospirò rumorosamente.
   « Sappiate che, però, numerose persone hanno assistito a quella scena in Sala Grande » riprese poi lei, scrutando tutti e tre, a turno « Molto probabilmente la notizia che Potter potrebbe possedere la leggendaria Stecca della Morte sarà presto di dominio pubblico »
   Questa frase raggiunse i timpani di Harry come una pugnalata al cuore. Non ci aveva pensato. Tutti i presenti alla morte di Voldemort avevano ascoltato ciò che loro due si erano detti. Già si immaginava i titoli della Gazzetta del Profeta, che insinuava quello che molti avevano udito.
   « E tutti noi in questa stanza sappiamo cosa ha comportato essere solo sospettati di possedere un’arma del genere » continuò la McGranitt, imperterrita.
   Ormai era tutto chiaro. Ciò che doveva fare gli si presentava davanti agli occhi, più limpido dell’acqua. Doveva nascondere la Bacchetta, trovarle un luogo sicuro e protetto dove nessuno avrebbe potuto trovarla.
    In quell’istante, un raggio di sole inondò la stanza, e abbagliò il viso di Harry che, silenziosamente, si alzò per coprire il vetro accecante con una delle tende.
Giunto vicino alla finestra, poi, notò qualcosa tra i prati verdi del parco di Hogwarts. Non si trattava più dei corpi delle persone morte durante la Battaglia, ma erano armature luccicanti alla luce del sole che, come in una lunga processione, tornavano verso i loro piedistalli all’interno del castello. 
   « Posso parlare con il professor Silente? » chiese, senza pensare alle conseguenze che una domanda del genere avrebbe provocato, mentre si voltava di nuovo verso la scrivania.
Ron e Hermione si rivolsero un rapido sguardo. La McGranitt li osservò per pochi istanti. Poi sorrise, in segno di un'inaspettata vittoria. Harry si sentiva un completo idiota.
   « Ora, ditemi tutto quello che sapete »
  
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