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Autore: Shichan    10/01/2011    5 recensioni
C'era chi diceva che un "no, grazie", potevi rivolgerlo solo a richieste superficiali.
In realtà, potevi rifiutare qualsiasi cosa con un'espressione di falsa cortesia come quella: promesse, parole, e persino la gentilezza.
Potevi rifiutare anche di essere salvato.

[Raccolta di tre oneshot: G/Giotto, Cavallone Primo/Alaude, MukuroTsuna]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Mukuro Rokudo, Nuovo Personaggio, Tsunayoshi Sawada
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi appartengono ad Amano-sensei

Disclaimer: i personaggi appartengono ad Amano-sensei.

Prompt: 29. Even though I don’t need eternity, why does it seem like they can't be lost…  (Tabella)

Note: seconda oneshot della raccolta, il capitolo Cavallone Primo/Alaude. È stata un maledetto parto.

Cavallone Primo è un personaggio nato dalla mente dei fan, per i fan. La Amano non ha rilasciato informazioni su questo personaggio (né si sa se lo disegnerà mai); fra i papabili nomi che gli vengono dati ci sono Oliviero, Ivan e un terzo che non ricordo. Ho optato per Oliviero. Per aver presente il personaggio graficamente, rimando a questa immagine.

Ringraziamenti, note ulteriori (ossia scleri dell'autrice), tutto in fondo <3

 

 

Parole

 

 

Anche se non ho bisogno dell'eternità,

perché sembra come se non potessero andare perdute...?

 

 

 

Alaude non era certamente quello che, tra i Guardiani del Primo, si potesse definire il più “legato” alla figura del Boss. Non che fosse un traditore, certo: sarebbe stato ben difficile appartenere alla stessa categoria di persone che tanto detestava – una delle tante, almeno.

Ma non aveva nemmeno quell'ammirazione che sfociava nella riverenza a legarlo, per così dire, al biondo; né quel qualcosa prettamente tipico unicamente di G, che sembrava un padre nel pieno del terrorismo psicologico ai danni di chiunque minacciasse di portargli via la sua figlioletta (Giotto).

Alaude, per assurdo che fosse, era esattamente a metà strada fra gli altri Guardiani e Daemon, che si dissociava con la stessa delicatezza e proprietà di linguaggio di un carrozziere analfabeta. Il Guardiano della Nuvola, come quello della Nebbia in un certo senso, era d'accordo sul fatto che alcune scelte di Giotto fossero discutibili.

E anche che fosse troppo buono, sebbene non in senso assoluto – era convinto che, preda di un raptus, anche il loro pacifico Boss sarebbe potuto risultare letale.

Alaude era indiscutibilmente parte della Famiglia per Giotto, ma lui non si era mai lasciato coinvolgere troppo dagli altri: ne conseguiva quindi un atteggiamento diverso. Non era lui ad agitarsi per ogni presunta mancanza di rispetto come G, o a fare a Giotto da mamma chioccia come Asari, o da presunto fratello come Knuckle.

Tranne in un caso.

C'era un solo, unico ed isolato caso in cui Alaude, il Guardiano della Nuvola dei Vongola si schierava in prima linea, ed era nelle discussioni con un'altra Famiglia in particolare. Ma non lo faceva per una questione di istinto di protezione verso Giotto, no.

Era qualcosa di molto più semplice.

Ossia che lui, Oliviero Cavallone, non lo poteva proprio soffrire.

Alaude non era esattamente il tipo che si lasciava particolarmente influenzare da terzi. Al contrario, era ben difficile che le azioni altrui rientrassero nella sua sfera di interessi, ad eccezione di rari casi e mai determinati dalla sua volontà.

In primis, che andasse contro il suo lavoro: Alaude vi era sempre stato dedito, anche prima di finire reclutato fra i Guardiani di Giotto. Non apprezzava gli ostacoli, né che i suoi piani – organizzati fin nel minimo dettaglio – andassero in malora per i comodi di terze persone.

Secondo: Alaude non amava quando qualcuno invadeva i suoi spazi. Il motivo principale per cui Giotto riusciva ad avere un rapporto quantomeno vagamente comunicativo con lui, era l'intrinseca capacità del biondo di rispettare i momenti di isolamento – peraltro piuttosto frequenti – del suo Guardiano della Nuvola.

Terzo ma drammatico motivo alla base del suo tracollo nervoso, odiava le persone stupide, e nello specifico quando la loro stupidità intaccava la sua persona e gli procurava problemi di qualsiasi genere.

Oliviero Cavallone concentrava nel proprio essere le tre cose che Alaude sopportava meno – era invadente, gli faceva perdere tempo ed era a suo avviso di una falsa stupidità ancor più irritante che se fosse stata reale idiozia.

Ed esse, insieme a fin troppi altri fattori, erano l'unico motivo per il quale Alaude prestava attenzione a quel capo mafioso più che ad altre persone che lo circondavano. Non che lo facesse per proprio volere comunque, anzi.

Possibilmente, avrebbe preferito ignorarlo; peccato che Cavallone glielo avesse impedito fin dal primo incontro – Alaude rimpiangeva ancora che G, in quell'occasione, non gli avesse lanciato il posacenere.

 

 

Quando Giotto aveva comunicato a tutti loro che il Boss dei Cavallone sarebbe venuto in visita per degli accordi con il capofamiglia dei Vongola, diverse cose erano state chiare ai Guardiani del biondo.

Innanzitutto, l'ultima volta che si erano “incontrati per degli accordi” era finita – come in tutte le occasioni precedenti – con G che aveva voglia di lanciare qualcosa contro Cavallone Primo, salvo poi non poterlo fare per ovvi motivi. Quell'uomo non apprezzava particolarmente Giotto e il suo modo di vedere le cose, e anche se non lo aveva mai detto a chiare lettere era evidente dagli atteggiamenti e dalla faccia da schiaffi che puntualmente metteva su – anche se più di qualcuno era convinto che quella fosse la sua faccia sempre.

Inoltre, avere Cavallone in visita significava che almeno un Guardiano avrebbe dovuto presenziare all'incontro, e non vi erano dubbi che questi sarebbe stato G; peccato che la cosa preoccupante fosse proprio quella.

Giotto, consapevole della cosa, aveva richiesto ad Alaude di presenziare insieme al Guardiano della Tempesta; non che quello della Nuvola saltasse di gioia all'idea, ma era indubbio che almeno Alaude non avrebbe lanciato oggetti contro Cavallone Primo.

Erano entrati nell'ufficio di Giotto, quando il moro era arrivato accompagnato da alcuni uomini – uno solo dei quali era entrato nella stanza con il proprio Boss.

Ed ora Asari entrava in quella in cui Daemon e Lampo – Knuckle non lo aveva ancora incrociato – aspettavano lo svolgersi dell’incontro. Dei due presenti, fu solo Lampo ad alzare lo sguardo su di lui e a rivolgergli un cenno del capo come saluto; Daemon, invece, sembrava preso dalla lettura del libro che aveva tra le mani.

«L'incontro sta procedendo bene?» chiese, rivolgendosi comunque ad entrambi.

Lampo, le braccia incrociate dietro la testa e l'aria annoiata, annuì appena: «Non si sente nulla di strano o preoccupante, quindi dovrebbe essere tutto a posto.» replicò sbadigliando.

Asari sorrise pacatamente, nonostante a seguire le parole del Guardiano del Fulmine ci fosse stata l'aggiunta -  non esattamente rassicurante – di Daemon, che ancora teneva gli occhi sul libro: «O magari si sono uccisi a vicenda, visto che con il Boss ci sono G e Alaude...»

«Loro e Cavallone Primo da soli?» chiese Asari, più perplesso che non esattamente preoccupato; Giotto era infatti nella stanza e, sebbene proprio questo potesse essere la causa scatenante dell'irritazione di G all’ennesima battuta di Cavallone, era certo che il biondo influenzasse il proprio braccio destro persino più di quanto necessario per evitare incidenti incresciosi.

«Mah, non c'è da preoccuparsi.» lo distrasse Lampo, che sembrava più che altro occupato a cercare una posizione comoda sul divanetto su cui aveva preso posto: «Abbiamo mandato Knuckle ad evitare spargimenti di sangue.» assicurò.

Questo, nello stesso momento in cui il suddetto Guardiano del Sole si ritrovava ad assistere ad uno scambio che sarebbe stato anche divertente, se solo non stesse rischiando di diventare una volgarissima e semplice rissa.

«G, calmati.» stava infatti dicendo Giotto in quel momento, leggermente proteso in avanti, verso il suo Guardiano. Ma G, certamente di indole più impulsiva rispetto ai colleghi, non sembrava proprio propenso a lasciar correre l'ennesima insinuazione di Cavallone Primo.

«Ma Boss, quello lì...!» obiettò infatti, completamente ignorato da Oliviero, che sembrava guardarsi intorno come se la discussione non lo riguardasse – e non fosse stata causata da lui, peraltro.

Seduto sulla comoda sedia sulla quale lo aveva fatto accomodare Giotto al suo arrivo, le braccia boriosamente incrociate vicino al petto, portò lo sguardo al proprio fianco, osservando con la coda dell'occhio un Alaude apparentemente impassibile.

«Primo, faccia la cortesia di non portare G a lanciarle qualche oggetto.» commentò atono rivolgendosi al moro. Oliviero spostò allora la sua attenzione direttamente sul biondo, il sorriso arrogante sulla faccia da schiaffi.

«La tua preoccupazione mi commuove, Guardiano della Nuvola.» pronunciò strafottente, come se fosse ovvio che Alaude non avesse altro da fare nella sua vita oltre che pensare all'incolumità del Boss dei Cavallone.

«Non fraintenda.» lo corresse infatti, abbassando lo sguardo ceruleo su di lui: «Lo dico perché nella direzione del bersaglio, ossia lei, ci sono anche io. E perché di insudiciarmi per pulire il suo sangue non ho voglia.» aggiunse lapidario.

Era stato chiaro, a quel punto, che tra Cavallone e Alaude sarebbe stata tacita guerra aperta.

O almeno avrebbe dovuto.

Peccato che Oliviero Cavallone avesse dimostrato di avere un istinto di autoconservazione ridicolo abbastanza da portarlo a considerare Alaude “carino e divertente”, con due ulteriori conseguenze: avvicinarlo più di quanto avrebbe fatto in condizioni normali, e non togliersi più di torno.

 

 

«Alaude, va tutto bene?» chiese Asari, osservando il Guardiano della Nuvola seduto di fronte a lui e che non sembrava esattamente in forma. Non era raro che, eccezion fatta per chi era in missione naturalmente, si ritrovassero a mangiare insieme. Era stata – com'era prevedibile – una richiesta di Giotto, particolarmente avvezzo a tutto ciò che rientrava nella categoria “usanze di famiglia”.

In quel momento erano quasi tutti lì; Lampo e Knuckle erano in missione entrambi, G sedeva alla destra di Giotto e di fronte a Daemon, mentre Asari stava ora prendendo posto al fianco del Guardiano della Tempesta.

Alaude aveva l'aria quasi più stanca di quando, a causa di alcuni pattugliamenti, rimaneva senza sonno per fin troppe ore.

Avendo ricevuto in risposta da lui nulla più di un “mh”, Asari spostò lo sguardo interrogativo sul Boss – ma Giotto si limitò ad un sorriso leggero un po' colpevole – ed in seguito G, che altro non fece se non grugnire.

Fu Daemon a chiarirgli la situazione, e per la verità sembrava anche l'unico divertito dalla stessa: «Alaude oggi è in missione privata, mh?» ironizzò bastardo.

E mentre Daemon imprecava sottovoce contro il vizio di Alaude di ammanettare le persone che lo infastidivano – o lo sfottevano, come in quel caso – qualcuno si prese la briga di spiegare ad Asari che, forte dell'alleanza esistente ora tra le Famiglie da diversi mesi, Oliviero Cavallone aveva espressamente richiesto a Giotto la collaborazione del suo Guardiano della Nuvola per una missione di grande importanza per la Famiglia del moro.

 

«Missione di grande importanza...?» ripeté fra sé e sé Alaude, camminando qualche passo dietro Cavallone, ma assicurandosi di risultare comunque udibile; infatti, Oliviero si voltò verso di lui, un sorrisetto divertito sulle labbra: «Assolutamente!» replicò convinto «Bighellonare per il centro quando devo fare degli acquisti è di importanza vitale.» assicurò senza ritegno.

Alaude portò una mano a massaggiare una tempia, discretamente vicino ad una nevrosi.

Quella mattina, come da accordi presi, Oliviero si era presentato da Giotto per recuperare Alaude; lo aveva trascinato in centro, e troppo presto – precisamente quando aveva congedato la sua scorta – era stato brutalmente ovvio che non c'era e non ci sarebbe stata alcuna missione.

Da lì fino a quel momento – era ormai pomeriggio inoltrato – era stato un continuo, inutile, stupido avanti e indietro di negozi, con l'unica pausa del ristorante dove avevano pranzato a spese del moro.

Se Alaude non lo aveva mollato in mezzo alla strada dopo la prima ora, era stato solo perché era ben cosciente del fatto che se lo avesse lasciato solo senza scorta e – disgraziatamente – fosse accaduto qualcosa, sarebbero stati i Vongola a finire di mezzo, essendo lui assegnato a fare da balia a quel tipo.

«Non ti sfiora l'idea che le persone abbiano di meglio da fare?» ironizzò, fissandone la nuca, minimamente intenzionato ad affiancarlo.

Oliviero si voltò per osservarlo da sopra la propria spalla, un sorrisetto beffardo ma bonario rivolto al biondo: «Nah, mai. Cosa c'è di più divertente di una giornata di riposo ogni tanto? Per giunta sei in ottima compagnia, Alaude. Non sarai mica uno stacanovista, ne?» commentò in maniera così arrogante che c'era da temere che scoppiasse da un momento all'altro come un palloncino, tanto era pieno di sé.

Alaude iniziava ad essere solidale nei confronti dell'istinto omicida di G ai tempi in cui quell'alleanza non esisteva.

«Riesco a pensare ad almeno dieci alternative più allettanti di questo inutile girovagare con il Boss dei Cavallone.» rimbeccò Alaude, incurvando leggermente le labbra in un sorriso pesantemente sarcastico.

«E non mi sto nemmeno impegnando a pensare.» aggiunse infame.

Cavallone parve accogliere la sfida nelle parole del Guardiano e rispose con un'espressione molto simile a quella dell'altro: «È un invito a convincerti del contrario?» provocò.

«È un invito a lasciarmi in pace, a smettere di venire al maniero senza un perché disturbando il mio lavoro, e ad adescarmi con delle bugie nelle tue inutili giornate di ozio.» rispose duramente Alaude, suscitando però in Oliviero niente più che un sorriso soddisfatto – finalmente riusciva a smuoverlo, il che nella sua testa equivaleva ad un grosso passo avanti.

Il moro portò entrambe le braccia dietro la testa, con fare quasi infantile mentre sfalsava il proprio passo per affiancare il biondo: «Ma sei tu che mi costringi ad adescarti con l'inganno.» fece innocentemente notare.

Alaude alzò un sopracciglio, dando voce ad un: «E di grazia, perché ora sarebbe colpa mia?» e pentendosene in tempo record.

«Perché se ti chiedo di uscire con me, ti rifiuti. Ma se anziché “appuntamento” lo chiamo “missione”, allora vieni sempre.» fece notare con naturalezza Oliviero.

«Ricevendo costantemente dei rifiuti, fossi in te mi porrei delle domande.» sottolineò privo di tatto il Guardiano.

Oliviero lo fissò con uno sguardo a metà fra quello divertito di qualcuno che ama essere provocato quando sa di avere comunque il controllo sulla situazione, e quello di chi sta macchinando qualcosa che non ti piacerà.

«Pormi delle domande? E perché?» chiese con falsa perplessità nel tono, chinandosi verso l'orecchio di Alaude: «So già di piacerti.» sussurrò.

 

Glielo ripeteva fino alla nausea.

Mi piaci, mi piaci, mi piaci.

In continuazione.

Anche se lui non rispondeva mai.

 

 

Alaude aveva perso il conto delle volte in cui si era lasciato “incastrare” o “mettere in mezzo” - l'espressione adatta sarebbe “lasciarsi sedurre, Alaude”, lo correggeva sfrontatamente Cavallone.

Il Guardiano della Nuvola, nei suoi momenti di autoanalisi sempre più frequenti, sosteneva che le cause erano molteplici, ma alla fin fine potevano forse essere tutte riassunte in una sola.

Ci era arrivato per sfinimento.

Stando a contatto con Oliviero Cavallone – perché no, quella “missione” purtroppo non era stata l'ultima, tanto che Alaude aveva iniziato a sospettare che Giotto provasse del sadico divertimento nell'accettare sempre le richieste di Oliviero – aveva imparato che il moro non conosceva la parola “arrendersi”.

… Per la verità, per i gusti di Alaude, Oliviero aveva un vocabolario assai limitato: gli erano infatti completamente sconosciuti i concetti di “arrendersi”, “lasciare in pace”, “vivi e lascia vivere”, “piantala di starmi appiccicato” e “no, non mi avrai nudo nel tuo letto ancora per un pezzo, per l'amor di Dio” - tacito e mai pronunciato, ma sempre piuttosto eloquente dai propri atteggiamenti, secondo Alaude.

Gli riconosceva un unico pregio: nel suo essere pedante, non lo annoiava.

… Per quello si era fatto fregare.

Si sentì tirare piano una ciocca di capelli biondi, con fare quasi giocoso, e alzò gli occhi al cielo prima di portarli sulla figura di Cavallone e del suo insopportabile sorriso da imbecille con la sindrome di Peter Pan.

«Alaude, non sei per niente carino.» si lamentò infantilmente, suscitando nel biondo nulla più di un impersonale inarcarsi del sopracciglio.

Tuttavia, lì dove avrebbe dovuto formarsi un broncio o qualcosa del genere, ci fu il mutare dell'espressione falsamente offesa del moro finché non divenne un vero e proprio sorrisetto provocatorio; la mano giochicchiava con i capelli del Guardiano, e non sembrava intenzionata a smettere anche se il padrone era ben cosciente di quanto al momento il gesto potesse infastidire Alaude, per il quale rappresentava una distrazione dal discorso.

Oliviero avvicinò il proprio volto a quello dell'altro, mantenendo invariato quell'incurvarsi di labbra: «Non è carino pensare ad altro mentre siamo al letto insieme, nudi sotto le lenzuola e dopo un discreto divertimento.» gli fece presente, il massimo del candore nel tono di voce nonostante l'oggetto della discussione.

Alaude ricambiò il sorrisetto con una sorta di ghigno bastardo: «Se è stato discreto o disastrato, dovrei essere io a giudicarlo.» gli fece presente con altrettanta intenzione di provocarlo.

A Cavallone Primo venne istintivo – forse perché aveva una mente perversa e concentrata su pensieri poco casti al momento, o forse fu semplicemente uno di quei gesti meccanici che possiede ogni persona – leccarsi leggermente le labbra.

Il Guardiano della Nuvola lo aveva attratto semplicemente per l'aspetto all'inizio, e non si faceva problemi ad ammetterlo; Alaude, i capelli di quel biondo chiarissimo e gli occhi azzurro cielo, aveva l'aria del classico ragazzo con la faccia d'angelo. Forse era un po' freddino e fissato con il lavoro, ma Oliviero era stato convinto, nei suoi momenti di fantasia – quando avrebbe dovuto, tanto per fare un esempio, ascoltare gli altri boss mafiosi degli incontri a cui presenziava – che sarebbe stata una preda tutto sommato semplice da adescare.

Invece, era rimasto piacevolmente sorpreso da quel caratterino che lo aveva fronteggiato non solo senza farsi il minimo problema, ma anche senza un minimo riguardo al tatto dato spesso dalla soggezione che molti provavano in presenza del moro.

«Non sprecarti, Alaude. Alcuni versi che hai fatto hanno già parlato per-- ouch.» si lamentò, ridacchiando subito dopo – no, in tutto il tempo passato il suo istinto di autoconservazione non era aumentato – massaggiando il punto dell'addome in cui lo aveva appena colpito Alaude.

«Sei sempre violento.» lo riprese, falsamente offeso.

«E tu sempre imbecille. Parla di meno.» ribatté il biondo, forse con un picco di ingenuità involontario; Oliviero prese per buone le sue parole, e non impiegò molto ad essere nuovamente sopra di lui, osservandolo con quel senso di superiorità che – a volte bonariamente, a volte no – lo aveva sempre caratterizzato nel suo rapportarsi agli altri. Le mani avevano cercato quelle di Alaude, intrecciando prepotentemente le dita alle sue per fare in modo che non ci fossero colpi bassi.

«Se avevi di nuovo voglia, bastava dirlo.» lo prese in giro, ricevendo in risposta quel sorrisetto che il biondo sembrava mettere su appositamente per non dargli soddisfazione e ribattere: «Non confondermi con te e la tua incapacità di controllo sui tuoi istinti.»

Oliviero in altri momenti in cui il loro botta e risposta aveva raggiunto argomentazioni sul genere, aveva sempre trovato il modo di zittire fisicamente l'altro – non a caso, era più o meno la loro prassi nei cosiddetti preliminari: sfottersi, insinuare, non darla vinta e alla fine ritrovarsi come in quel momento.

Capitava anche, ma molto più raramente, che il moro si soffermasse ad osservare l'altro, anche se spesso la cosa avveniva mentre Alaude ancora dormiva; ora, allo stesso modo, lo sguardo era fermo sul viso del biondo in un'espressione indecifrabile, di quelle che il Guardiano della Nuvola trovava abbastanza snervanti. Persino più di quelle strafottenti di cui l'altro aveva un repertorio invidiabile.

Oliviero si chinò maggiormente su di lui, fino ad andare a sfiorargli il collo candido con la punta del naso prima e le labbra poi, sorridendo sulla pelle dell'altro: «Ne, Alaude?» ne richiamò l'attenzione.

Non attese risposta, conscio che l'altro a dispetto di quanto dicesse, lo ascoltava quando parlava.

«Ti amo.»

«Odio quando me lo dici.» ribatté secco il Guardiano, lo sguardo al soffitto senza muoversi o cambiare inflessione del tono; Oliviero alzò il viso quanto bastava ad osservarlo, ma non sembrava stupito dalla reazione, tutt'altro. Un sorriso – anch'esso indecifrabile – gli incurvava le labbra.

«Lo so, a me sta bene.» replicò, suscitando uno sbuffo seccato nel biondo che si voltò su un fianco, pur rimanendo sotto di lui.

Oliviero si chinò a baciargli la guancia, sussurrando nuovamente un: «Ti amo.» quasi per dispetto.

«Odio quando me lo dici.» ripeté l'altro, chiudendo gli occhi con l'intenzione di dormire ed ignorarlo, apparentemente.

«Continua pure ad odiarlo.»

 

Glielo ripeteva fino allo sfinimento.

Anche se gli diceva di non sopportarlo.

 

«Cavallone, sei masochista o cosa?» borbottò brusco.

«Dici che mi odi ogni volta. E tutte le volte, torni qui.»

 

 

Era vero che tra loro non c'era mai stato nulla di “ufficiale”, per così dire.

Né Oliviero né Alaude erano persone da estraniarlo al mondo: Alaude aveva a malapena fatto sapere ai compagni Guardiani la sua data di nascita, quindi era presto detto. Senza contare che non aveva mai dato – né avuto interesse nel darlo – un nome a quello che c'era fra lui e Cavallone Primo.

Anche se probabilmente era qualcosa che Giotto aveva certamente intuito, e con lui la maggior parte degli altri Guardiani, sebbene tacitamente fossero concordi nel non chiedere nulla.

Da parte di Oliviero, invece, c'era una motivazione molto più malsana per certi versi; non aveva mai parlato di “relazione” e se vi aveva accennato o l'aveva lasciato intendere, il nome della persona non aveva mai sfiorato le sue labbra.

Per il carattere possessivo, capriccioso e infantile che aveva – e di cui era ben consapevole e che, con arroganza, non si impegnava nemmeno vagamente a cambiare – non voleva che nulla di ciò che gli apparteneva fosse alla mercé di altri.

Alaude, prima di tutto.

Era vero che non avevano mai definito precisamente quello che facevano; Cavallone non se ne era preoccupato poi molto inizialmente e dopo aveva trovato semplicemente qualche difficoltà.

Ora forse era chiaro perché: era difficile dare a qualcosa un nome definitivo, quando quel qualcosa non era condiviso o aveva tanti nomi diversi quante le persone in essa coinvolte.

Mantenne lo sguardo su Alaude, intrappolato fra lui e il muro, il braccio di Oliviero che si trovava al lato del suo viso; era tipico di lui, soppesò il Guardiano: gli lasciava una via libera, ma non gli avrebbe mai permesso di sfuggirgli.

Gli concedeva l'illusione di poter decidere di allontanarsi, ma non gliene dava la reale possibilità; al contrario, quasi lo sfidava a provare. E quando Alaude non lo faceva – per motivi che Oliviero poteva più che altro provare ad indovinare – era come dire che di andare via, non aveva davvero voglia.

«Quindi?» lo incalzò in un mormorio, visto che da quella distanza non era necessario alzare particolarmente la voce.

«Quindi questa è l'ultima volta che vengo qui.» ripeté Alaude.

Non sapeva se Cavallone, con quella sua idiozia che non era ancora chiaro se fosse reale o una facciata assunta di tanto in tanto volontariamente, ne comprendesse il motivo o meno. O se lo immaginasse e basta, o avesse semplicemente provato ad indovinarlo.

Sapeva che aveva di nuovo quell'espressione indecifrabile che non permetteva ad Alaude di capirlo e darsi una risposta; fondamentalmente, però, non importava davvero.

Di spiegazioni non doveva né voleva darne.

Sentì Oliviero sospirare e chinarsi su di lui: senza preavvisi di alcun tipo, l'altro poggiò le labbra sulle sue.

Non era un bacio casto: prepotentemente si era intrufolato con la lingua nella sua bocca; Alaude non avrebbe saputo dire se fosse o meno tipico dell'altro. Cavallone era abbastanza lunatico a volte da alternare momenti di attenzioni per il partner, ad altri in cui sembrava che oltre il suo istinto e il suo bassoventre non ci fosse altro in grado di ragionare.

Non lo cacciò, cercando di capire cosa avrebbe dovuto cogliere da quel gesto – era abbastanza certo che spesso il moro usasse il suo modo di fare e il contatto fisico per spiegare più facilmente concetti che, a voce, sarebbero stati troppo lunghi e noiosi almeno secondo lui.

Lo sentiva, in quel bacio umido, avvicinare il corpo al suo come in cerca di qualcosa di specifico.

Alaude rispondeva al bacio, ma le mani non avevano nemmeno accennato a raggiungere il moro: sarebbe stato solo più lungo, più complicato, e non ci teneva.

Alaude preferiva le cose dirette e semplici: non sapeva avere abbastanza riguardo per gli altri, tanto da potersi districare con quelle che finivano irrimediabilmente per mettere di mezzo dei sentimenti.

Fu anche per quello che quando Oliviero si allontanò solo quanto bastava ad interrompere il bacio, lo sguardo di Alaude non era né desideroso di ripristinare quel contatto, né particolarmente seccato dal gesto, né colmo di un'emozione precisa.

Cavallone sospirò piano, poggiando la fronte contro la sua.

«Ti amo.» mormorò, con il tono di sempre – senza la disperazione di un innamorato che lascia andare la persona amata, né nulla del genere. Solo quella dolcezza che mascherava da arroganza.

«...forse non odio poi tanto sentirtelo dire.» mormorò in risposta.

 

Era sempre stato come un copione,

imparato a memoria e diligentemente recitato.

Ogni volta.

Tranne quella.

Perché lui non sarebbe più tornato lì.

 

 

Pronunciò un: «Avanti.» sentendo bussare alla porta del proprio ufficio.

Colse il movimento della porta che veniva aperta e chiusa, ma non si voltò a guardare chi fosse; seduto dietro la propria scrivania, il profilo della sua figura era visibile. Un gomito poggiato al bracciolo della poltrona su cui stava, il pugno sorreggeva pigramente il volto, totalmente rivolto alla finestra a cui normalmente dava le spalle.

Lo sguardo era rivolto fuori dalla stanza, senza guardare poi davvero un panorama che conosceva a memoria.

«Boss» pronunciò il sottoposto che aveva inizialmente indugiato: «ci sono notizie riguardo lo scontro intrapreso dalla Famiglia Vongola. Gli uomini vogliono sapere se... se dobbiamo intervenire, data la nostra alleanza.» riportò, un poco titubante.

Oliviero sospirò impercettibilmente, senza portare lo sguardo su di lui: «Che notizie ci sono?»

«La Famiglia è stata praticamente sconfitta, signore.» replicò, lo sguardo che faceva avanti e indietro dalla figura del Boss al fascicolo che aveva fra le mani.

«Sopravvissuti?» domandò.

Anche se non serviva davvero.

Anche se Giotto, nel loro ultimo colloquio, pur senza pronunciarlo aveva reso intuibile l’esito; quello lì era sempre stato troppo buono, e troppo trasparente.

«Alcuni, signore. Il Boss della Famiglia però è rimasto ucciso nello scontro, e con lui due Guardiani. Uno di loro ha disertato, e la situazione dei sopravvissuti è critica.» riportò quasi febbrilmente, quasi a contrapporsi alla calma apparente di cui Cavallone Primo sembrava preda.

Lo vide voltarsi lentamente, l'espressione seria come poche volte era stata: «Riporta questo messaggio a G, il Guardiano della Tempesta.» esordì, le dita delle mani intrecciate tra loro e l'espressione che si faceva più grave.

«La Famiglia Cavallone e le sue risorse sono a vostra completa disposizione. Presenzierò certamente alla commemorazione dei caduti.» pronunciò.

L'uomo lo osservò, annuendo impercettibilmente: «Sì, signore. Riporto subito il messaggio.» replicò «Volete raggiungerli di persona?» azzardò quindi, incerto.

Cavallone Primo guardava nuovamente fuori dalla finestra.

 

 

Alaude aveva sempre rifiutato le sua parole.

Poco gentilmente, ma almeno senza falsa cortesia.

Quel “ti amo”, forse anche chi lo pronunciava

avrebbe preferito che non venisse mai accettato.

 

 

 

Note autrice

Innanzitutto un ringraziamento a chi segue la raccolta e chi l'ha commentata (Lita, Yoko, Gioielle, Alex, Eiko) <3

Di note a fondo fanfic ho solo che boh. Non so come posso aver reso Oliviero – che è un OC e in quanto tale è brutto e cattivo perché non ho una caratterizzazione su cui basarmi.

Ho tante perplessità anche su Alaude, francamente. Personalmente però, nonostante la sua somiglianza fisica ad Hibari, io lo vedo un po' meno monosillabico quando parla, dato forse dal fatto che – in questa shot compresa – è più grande di Kyoya quando appare. Ho supposto che potesse avere anche un tipo di maturità diversa.

Spero comunque che possa risultare una lettura gradita.

 

Riguardo il finale: è molto una supposizione, giacché io non ho ancora capito Giotto com'è che è morto. Vabbé. Ricordando però di uno scontro tra famiglie che – da quanto ho capito – i Vongola hanno perso, ho pensato che potesse essere una delle tante plausibili cause della morte del Primo.

Quanto al traditore dei Vongola, è chiaramente Daemon.

Dovrei aver detto tutto, perciò non vi tedio oltre <3

   
 
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