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Autore: RossaPrimavera    13/01/2011    3 recensioni
Sud Carolina, 1776. Celeste ha 17 anni e una candida bellezza, la sua giovane vita dedicata ad occuparsi dei suoi numerosi fratelli.
William Tavington, colonnello dei Dragoni Verdi, è un uomo spregiudicato, che non conosce limiti ai propri desideri.
Il loro incontro è uno scontro, ma il destino si premurerà di sconvolgere le loro vite, rendendoli così diversi da sembrare irriconoscibili.
"Ho solo 17 anni,e quando mi guardo allo specchio il mio volto mi pare di un candore assoluto. Davvero, non credevo di poter far gola a qualcuno. Non ad un uomo del genere comunque."
"Tu sei pazza, Celeste. Tu, tra noi, sei come nessun'altra."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In Punta di Piedi
di Elle H.



CAPITOLO  2
Haunted
 
              

(Un' apatico inferno;i miserabili incontri; occhi di ghiaccio e occhi di vetro)


“I am done
Smoking gun
We’ve lost it all
The love is gone.
 
E’ finita
La pistola fuma
Abbiamo perso tutto
L’amore è finito”
-You lost me, Christina Aguilera-

 
Le tiepide luci di una cittadina si profilarono all’orizzonte, rompendo il buio omogeneo delle campagne circostanti. Celeste si ritrovò a ringraziare il cielo che quella corsa notturna fosse terminata: avevano cavalcato per quelle che le erano parse ore, e i suoi muscoli indolenziti e le membra fredde invocavano pietà a gran voce.
Il gruppo di militi cambiò la direzione, seguendo il loro colonnello, dirigendosi spediti verso quello che risultò essere solo un agglomerato di poche case e vie fiocamente rischiarate da qualche fiaccola.
Fermarono i cavalli e smontarono di fronte ad un edificio illuminato, dal cui interno provenivano cori di voci e rumori di bicchieri che picchiavano pesantemente tra loro.
Celeste dovette accettare nuovamente la mano del Colonnello per smontare da cavallo, e mentre cercava di guardarsi intorno per farsi un’idea di dove fosse stata condotta,lui le diede una spinta secca sulla schiena, spronandola a camminare. Fu costretta ad entrare in quella che, lo capì subito, non era altro che una taverna.
La sala era grande e i lunghi tavoli di legno erano occupati da una moltitudine di soldati inglesi di ogni grado dell’esercito, intenti a bere da alti boccali di birra o a giocare a carte, in un continuo risuonare di risate sguaiate.
Con sorpresa la giovane notò di sfuggita delle donne muoversi tra i tavoli: pensò fossero cameriere, tenendo conto che tra le mani reggevano vassoi e distribuivano boccali ai clienti, ma a giudicare dagli abiti succinti e da come si concedevano agli uomini, lasciandosi afferrare e toccare tra risatine civettuole, il loro ruolo era ben altro.
Celeste in vita sua aveva visto solo una volta una prostituta, quando era più piccola,  durante una gita con i genitori a Mary Town. La donna era fuori da una locanda, e mentre parlava con degli avventori, la sua risata acuta aveva fatto voltare la bambina; era rimasta sorpresa e affascinata dal suo aspetto appariscente, prima che la madre le coprisse la vista e la trascinasse via, rifiutandosi di rispondere a qualsiasi delle sue ingenue domande.
Nessuno nella sala parve dar conto dell’entrata del nuovo gruppo di uomini, accompagnati da una ragazza scarmigliata e in camicia da notte, ma mentre questi si dirigevano ad occupare un posto, il colonnello prese per il polso la giovane e la trascinò dalla parte opposta della sala.
Una fila di soldati attendeva da bere al bancone, ma quando si accorsero dell'avvicinarsi del loro superiore, questi si spostarono immediatamente, chinando rispettosamente la testa. Il taverniere si chinò verso di lui, un espressione vagamente spaventata sul volto, e ascoltò ciò che gli venne sussurrato nell'orecchio.
Annuì brevemente, indicando poi una porta nell’angolo della sala.
Prima che la ragazza potesse tentare di porre qualche domanda, il Colonnello la trascinò nuovamente, tenendola ancora saldamente per il polso, verso quella porta; preoccupata, puntò i piedi sul legno del pavimento, inutilmente.
Ma con sua sorpresa, l'interno della stanza si rivelò essere semplice: un tavolo e qualche sedia, riscaldati dal chiarore di una stufa.
 Un vestibolo apparentemente, visto che in un angolo una scala conduceva ai piani superiori.
L’uomo si voltò e squadrò nuovamente Celeste, che ricambiò il suo sguardo con astio.
“Come  hai detto che ti chiami, ragazza?”
La ragazza sentì un fiotto d’ira invaderla appena sentì la sua voce.
“Non l ho detto” rispose, il tono irato che aveva sostituito quello supplicante di poco prima.
Lo vide sorridere e d’improvviso le tirò uno schiaffo, così violento da girarle la faccia e farla vacillare.
Celeste si massaggiò la guancia, senza osare più guardarlo.
Le sue labbra si mossero, controvoglia e doloranti.
“Celeste, signore” rispose infine, la voce ridottasi in un bisbiglio intimorito.
“Celeste … è un bel nome. Ti si addice direi” constatò, ridendo brevemente tra se.
La giovane realizzò solo dopo un istante che quello doveva essere un complimento, e quando alzò la testa incrociò ancora il suo sguardo beffardo.
“Perché mi ha condotta qui?” domandò, assetata di quella fatidica informazione.
“Desidero che tu inizi a lavorare qui, dove possa … vederti spesso” rispose, camminando dinnanzi a lei, calcando volutamente sulla parola “vederti”.
“Lavorare? Quale dovrebbe essere il mio ruolo?” chiese, spaesata, un cattivo presentimento che le attanagliava lo stomaco.
“Apparentemente, la cameriera in questa taverna. Io però preferirei chiamarlo prostituta”.
Il tono deliziato con cui lo disse le  fece accapponare la pelle, ma non era nulla in confronto allo shock che che le causò quella singola parola.
“Prostituta … Prostituta … Prostituta …” la parola le rimbombava nella mente, come se qualcuno la stesse urlando a gran voce.
“No!” proruppe, angosciata, indietreggiando verso la porta.
Era inconcepibile; non poteva essere possibile. Lei, proprio lei, avrebbe dovuto vendere il proprio corpo, schiavizzarsi e prostrarsi agli ordini di qualsiasi uomo la desiderasse?  La morta era una prospettiva decisamente più appetibile.
“Ti stai forse rifiutando? Preferiresti forse che domani mattina andassi a cercare quei bastardi dei tuoi fratelli, che li facessi a pezzi e ti riportassi ognuna delle loro piccole ossa?” chiese, prendendola per le spalle e allontanandola dall’unica via di uscita, la voce minacciosa e tagliente come una lama.
Celeste si sentì crollare: aveva combattuto per i suoi fratelli; si era lasciata trasportare di peso lì, per loro.
La loro vita era l’unica cosa che contava veramente.
Doveva quindi vendersi ora, per salvarli?
Scosse il capo, inghiottendo l’ennesimo groppo di lacrime.
Un istante dopo, la porta che conduceva al locale si aprì, lasciando entrare una signora.
La donna doveva già avere 50 anni buoni, ma il suo fisico dalle forme grandi e piene possedeva ancora una certa florida bellezza, benché il viso, dalla pelle cotta dal sole, che denotava una vita passata nei campi, fosse attraversato da una sottile rete di rughe.
Quando vide l’uomo, si lisciò la gonna e sorrise affabile, portandosi alla bocca una pipa finemente intagliata.
“Colonnello Tavington, è un piacere rivederla. Mi dica, in cosa posso esserle utile stasera? Desidera passare la notte con … “ incominciò, con una voce leggermente gracchiante, ma l’uomo la interruppe.
“Per stasera, nulla, Madama. Ho condotto qui questa ragazza, desidero che si aggiunga a voi” spiegò, indicando Celeste, che osservava la donna intimidita.
Ella sembrò notare solo allora la presenza della ragazza: le si avvicinò, la pipa stretta tra i denti e la osservò attentamente.  Le pose le mani sulle spalle e la fece girare, senza che Celeste osasse protestare, limitandosi a tossire alle nuvolette di fumo che l'avvolgevano.
Le tastò sbrigativamente i fianchi e le gambe, poi il viso ed infine una ciocca di capelli.
“Sei un po’ troppo magra ragazza, ma puoi piacere. Beh colonnello, bella è bella. Come ti chiami, ragazza?”  chiese realmente interessata, come se la giovane fosse diventata d'improvviso una preziosa mercanzia.
“Celeste, signora”
“Hai anche un bel nome e una bella voce. Va bene colonnello, la prendo con me” decretò infine, soddisfatta. Poi parve ripensarci un istante.
“Sei vergine, ragazza?” domandò dubbiosa.
Celeste esitò e involontariamente un debole rossore le dipinse le guance pallide.
Annuì, occupata ad osservare il ghigno malevolo sul volto del colonnello.
“Meraviglioso, un affare davvero meraviglioso. Potrei far pagare alta la tua verginità … “ concluse ragionando tra se, deliziata dalla scoperta.
“Al riguardo, proporrei uno scambio” intervenne Tavington, rimasto in ascolto durante le domande della donna.
“Che scambio, colonnello?” domandò sospettosa, il sorriso trasformatosi in un broncio.
“Io vi cedo la ragazza, e mi aggiudico la sua prima volta. Nessuno dei due dovrà versare un centesimo.
E’ un affare perfetto, non trovate?” propose, un sorriso gonfio di soddisfazione che si faceva strada sul suo volto.
Sapeva in anticipo che la donna non avrebbe rifiutato.
Infatti, come previsto, la signora sospirò e assentì.
“Siete un uomo astuto, Colonnello. Ebbene, si può fare … la desiderate già stasera?”
Lo sguardo di Celeste saettò sull’uomo e ne incrociò lo sguardo, mentre avvertiva la paura montare nuovamente.
“No, un altro giorno andrà benissimo. L’idea di trovarmi un pezzo di legno nel letto non mi aggrada” concluse, sorridendo canzonatorio, e rivolgendole un ultimo sguardo sprezzante, uscì dalla stanza.
Celeste si voltò di scatto verso la donna, incerta su cosa fare e dire, completamente stordita dall'imprevisto corso degli avvenimenti.
In quel momento la porta si riaprì ed entrò una ragazza, sicuramente poco più grande di Celeste.
“Madama, John mi ha detto che ne è arrivata una nuova …” disse, ma si fermò non appena vide la giovane.
“Capiti al momento giusto Kat! Devo tornare di là, tu portala di sopra e occupati di lei, dalle la camera vicino alla tua. Oh, e già che ci sei, falle fare un bagno, sembra stia morendo di freddo” ordinò distrattamente la donna, uscendo in fretta dalla stanza, come se avesse perso improvvisamente interesse per la nuova venuta.
La nuova ragazza invece guardò curiosamente Celeste, che suo malgrado ricambiò l’attenzione.
Era piuttosto carina, un gradevole contrasto tra pelle naturalmente abbronzata e soffici, spumosi boccoli biondi; l’abito succinto evidenziava ogni curva del suo corpo dalle forme voluminose.
“Io sono Katrina, ma puoi chiamarmi Kat come fanno tutti” disse presentandosi, sorridendo incoraggiante e tendendole la mano. Celeste l’afferrò, e tentò di sorridere, ma le sue labbra rimasero ostentatamente serrate in una smorfia tirata.
“Io sono  Celeste” pronunciò il proprio nome senza vivacità, sentendosi improvvisamente stanca, mentre il freddo e la tensione le abbandonavano il corpo. Kat parve accorgersene.
“Dai, vieni con me, ti faccio vedere la tua camera” disse, e sempre tenendola gentilmente per la mano, l’ accompagnò verso le scale.
Celeste si lasciò condurre mollemente, osservando il lungo corridoio non appena giunsero di sopra: malamente illuminato, una serie di porte chiuse; le parve un posto da incubo.
La sua stanza, scoprì, era in fondo al corridoio.
“Quella imparte è la mia, basta che bussi se hai bisogno di qualsiasi cosa … ovviamente quando non ho clienti, dubito apprezzerebbero e sai che scenate farebbe Madama!” si affrettò ad avvertire.
Le parlava con vivacità, come se fosse una  sua vecchia amica d’infanzia, tentando di distrarla.
Notò sollevata che la stanza era piccola e semplice, occupata per la maggior parte da un grande letto e, nell’angolo, da un armadio in legno.
“Non hai abiti, ci scommetto. Ma non ti preoccupare, ne abbiamo molti di riserva e domani Madama penserà a procurartene qualcuno della tua taglia. Sai, sei così magra …” disse a mo di scusa, guardandola con occhio critico.
Celeste non rispose, limitandosi a sedersi stancamente sul letto.
Katrina la guardò con compassione.
“E' dura all’inizio. Molto dura, direi … Ma poi ti ci abituerai, davvero! La nostra vita è relativamente comoda: abbiamo più privilegi di quanto tu possa credere, e nessuno tra gli uomini che serviamo osa farci del male. Madame non glielo permetterebbe mai” disse, cercando di consolarla, sedendosi accanto a lei.
“Chi è questa Madama?” domandò Celeste, dopo averla sentita nominare varie volte.
“Ma come, l’hai vista tu stessa poco fa! Tutti la chiamano così. E' una donna incredibile...  certo, è schietta e forse un po’ troppo brusca, ma ha un fiuto straordinario per gli affari ed è più astuta di una volpe. Ci tratta molto più bene di quanto farebbe qualsiasi mezzana, credimi”.
Celeste annuì con distacco, le  parole che le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro: in quel momento, tutta la sua attenzione era rivolta altrove.
Che stavano facendo i suoi fratelli? Avrebbero aspettato l'alba a muoversi? Sarebbero riusciti a oltrepassare da soli il bosco?
“Ma cosa ne sarà della mia famiglia?” chiese infine, e lo sguardo dell'altra si fece allora incerto.
"Ecco … non saprei … dipende. Cosa è successo?” domandò,tra il mortificato e l' incuriosito.
Celeste raccontò il tutto con poche, fredde parole. Ciò l’aiutò a guardare la situazione obbiettivamente, e gli occhi ammirati di Katrina glielo confermarono: aveva agito con coraggio, aveva salvato la sua famiglia. Ma a quale prezzo?
“Però così hai condannato la tua vita” sottolineò infatti, carezzandole una mano, dispiaciuta.
Gliela strinse con forza, tornando a sorridere.
“Non ti preoccupare Celeste, saremo tutte buone con te. Basta che non fai nulla per far arrabbiare Madama … Niente sciocchezze ti prego, come tentare di scappare”
“E quell’uomo? Quel Tavington?” la interruppe la giovane.
Il sorriso di Katrina scomparve.
“Non possiamo sparlare dei clienti. Ma..." 
Si guardò intorno, circospetta.
"Lui viene sempre qua, e perciò dobbiamo soddisfarlo. Si dice che sia un uomo spietato, non ha rispetto nemmeno per i suoi superiori, men che meno con noi!"  ribadì alzandosi, tormentandosi le mani nervosa.
“Devo tornare da basso. Ti mando una cameriera con la tinozza … almeno ti puoi fare un bagno caldo prima di andare a dormire.
Cerca di riposarti come puoi, domani ci penserò io a svegliarti” le disse infine sorridendo conciliante e abbassandosi per darle un familiare bacio sulla guancia.
Rimasta sola Celeste attese la cameriera immobile come una statua di granito.
Sentiva il suo corpo come un estraneo, il desiderio di fuggire, correre, sentirsi libera e soprattutto poter tornare dai suoi fratelli era superiore su ogni altra sensazione, dal dolore fisico delle botte ricevute al fango che le insozzava i piedi e la camicia da notte.
Quanto entrò la domestica con tinozza e secchi d’acqua calda, la ragazza la guardò solo di sfuggita, ringraziandola con voce flebile.
Solo immergersi nel bagno caldo le causò una ventata di ricordi … A casa sua il bagno si faceva una volta ogni tre giorni, molto più che in ogni altra famiglia della campagna. Sua madre era stata una maniaca della pulizia, e ognuno vi si sottoponeva senza proteste, chi con espressione contrita e chi con autentica, schiamazzante gioia.
Le lacrime di Celeste le defluirono  dagli occhi come una cascata, uno stillicidio di gocce salate che andarono ad aggiungersi all’acqua bollente. Si lasciò cullare dal tepore come se fosse quell’abbraccio che le era stato sottratto, e quando l’acqua tornò fredda, a malincuore si strinse nell’asciugamano, trascinandosi al letto come un invalida.
E invalida si sentiva: avvertiva un vuoto opprimente al petto, come se le fosse stato reciso un organo vitale; si stupiva che con tutto il dolore che provava il suo cuore battesse ancora.
Si rannicchiò in un angolo del letto, abbracciandosi le ginocchia al petto, e tirò il lenzuolo sopra il viso; come faceva da piccola, quando aveva paura.
L’ultima cosa che le passò per la testa fu di dormire.
Si abbandonò tra le braccia di un pianto terribile e disperato.

 

“Your body's aching 
Every bone is breakin' 
Nothin' seems to shake it 
It just keeps holdin' on
 
Il tuo corpo dolorante

Ogni osso è rotto
Nulla 'sembra scuoterlo
Si continua ad aspettar
e”

-Beat the Devil Tattoo, Black Rebel Motorcycle Club -

 

“Fammi indovinare: ti sei addormentata all’alba, eh?” dichiarò Kat, scuotendole delicatamente una spalla.
Celeste sollevò appena la testa dal cuscino ancora umido di tutte le lacrime versate. Constatò stupita di essersi infine addormentata, in quella che poteva dichiarare con certezza la notte più brutta della sua vita. Poi si ricordò della notte che l’attendeva ancora e il suo umore, se possibile, peggiorò drasticamente.
“Che ore sono?” biascicò mettendosi a sedere, sollevandosi dagli occhi gonfi la massa di capelli ramati,annodati e indomabili.
Il viso di Katrina le apparve sorridente e di buon umore mentre apriva le tende, inondando di luce la stanza.
“Mezzogiorno passato … se scendi pranziamo, così puoi conoscere le altre” suggerì, gentile.
La prospettiva non le parve così orrenda dopotutto, e Celeste si alzò,indossando uno scialle che Kat le tendeva e seguendola oltre la porta.
Gli ambienti, illuminati a giorno, le parvero  molto più rassicuranti della sera prima, e quando giunsero da basso, trovò la sala grande pulita e deserta, all’infuori di quattro donne sedute ad  un tavolo.
Quando le raggiunsero, le loro teste si voltarono a guardarla.
“E lei chi è?” domandò la ragazza che, a occhio e croce, le parve la più giovane. Pelle ambrata, grandi occhi scuri come i capelli che le incorniciavano il viso dagli zigomi alti e dalle narici leggermente larghe; era di un’esotica e appariscente bellezza.
“Ragazze, vi presento Celeste! E’ arrivata ieri sera” spiegò Kat con vivacità, presentandola.
Gli occhi delle donne si velarono di una leggera ostilità, e Katrina parve notarlo immediatamente.
“L’ha portata qui Tavington” disse, come se fosse una giustificazione.
I visi delle donne si distesero in un’espressione compassionevole, e le fecero subito cenno di sedersi al tavolo  con loro.
Un attimo dopo una cameriera minuta, poco più di una bambina, si fece strada timidamente tra loro, posando delle ciotole ricolme di brodo e qualche boccone di pane.
“Facci l’abitudine, è tutto quello che passa il convento. Carne solo una volta al mese” disse ancora la ragazza dalla pelle scura, accennandole un sorriso.
Celeste la guardò con più attenzione e lei ne intercettò lo sguardo.
“Ti stai chiedendo da dove arrivi eh? Dal Mexico, mi querida. Il mio nome è Azula, vedi di ricordatelo” le disse, sorridendo più  intensamente. Celeste fu colpita da quella sorta di brio presente nella sua parlantina sciolta e nel suo gesticolare continuo.
La donna davanti a Celeste pareva pensare la stessa cosa.
La osservò con più attenzione: doveva essere la più grande tra loro, forse aveva addirittura più di 30 anni, ma qualcosa nel suo aspetto molle e arrendevole, o nelle belle labbra carnose con un neo scuro sopra, o persino nella crocchia di capelli corvini sfatta, la rendevano estremamente affascinante.
“Non sai quanto invidio il tuo entusiasmo Azula” commentò la donna, con una sorta di amarezza nella voce.
“Qualcuno deve pur tenere alto l’umore del gruppo, tesoro” cinguettò di risposta, sorridendo al suo indirizzo.
Spontaneamente anche gli angoli della bocca di Celeste si tesero in un vago sorriso, sorprendendola, e la donna davanti lo notò, sorridendo a sua volta.
“Io sono Cherry tesoro, è un piacere avere una faccia nuova come la tua” disse, con quello che doveva probabilmente essere un complimento gentile.
“Io sono Caroline” si presentò con uno sbadiglio una ragazza nell’angolo.
Celeste pensò che doveva probabilmente avere poco più di 20 anni, ma il suo aspetto anonimo contrastava con la bellezza delle altre tre donne: i suoi capelli color sabbia ricadevano in spirali rigide come una corda srotolata, senza poter valorizzare il viso dai tratti appena accennati, come se qualcuno li avesse sfumati; gli occhi erano marroni, ma scuri e piccoli come pezzi di carbone, del tutto irrilevanti.
Celeste si guardò attorno, ingoiando l'ultima cucchiaiata di brodo.
“Ma scusate, siamo solo noi?” accennò timidamente, guardando interrogativamente le altre donne.
“Manca Cynthia, sarà su a dormire dopo l’ennesima notte di lavoro, tanto per cambiare” borbottò Azula, finendo la sua minestra in un ultimo famelico sorso.
“Che ti aspettavi, dolcezza? Mica è un bordello questo” disse Cherry, guardando con riprovazione il modo con cui Azula leccava il piatto.
“Ah no?” chiese ancora la nuova arrivata, confusa.
“No sciocchina. Te l’ho detto che è una taverna … siamo a metà strada tra il forte e l’accampamento, bastiamo per gli ufficiali e i soldati di passaggio, credimi” la corresse Kat.
“In teoria saremmo anche cameriere, ma a mandare avanti la caparra è il lavoro notturno, stanne certa. Ci concediamo solo agli ufficiali, ma non ti devi neanche preoccupare di chi ci prova con te; è Madama che provvede a scegliere i clienti” disse Cherry, con la stessa buona volontà di un insegnante che spiega una lezione piuttosto semplice ad un alunna relativamente testarda.
“E vedi di ricordarti di chiedere il pagamento anticipato: si definiscono uomini d’onore, ma tentano sempre di fare i furbi, quei porci” commentò aspramente Azula.
“Cerca sempre di soddisfarli, e quando sei in sala mostrati sempre gentile e disponibile: solo così ti scelgono, e puoi star sicura che Madama non ti butterà in strada” continuò, imperterrita.
Celeste le guardò con occhi sgranati, leggermente confusa dai loro atteggiamenti spicci.
Di rimando, loro la osservarono con più indulgenza.
“E’ la tua prima volta?” chiese a bassa voce Caroline,  come se le stesse chiedendo di rivelarle un intimo segreto.
La giovane annuì, senza il minimo desiderio di parlarne.
Caroline timidamente le sfiorò la mano in una carezza, come se volesse consolarla ma non trovasse le parole.
“La prima volta è la peggiore tesoro, non preoccupartene troppo. Dopo ci farai l’abitudine, gli uomini sono tutti uguali” disse consolatoria Azula.
“Gli uomini sono tutti uguali? Perché devo sentire queste stronzate di prima mattina?” domandò un’alta, velenosa voce femminile.
Un’altra ragazza si aggiunse a loro, scendendo la scala a balzi, facendo ondeggiare la sottoveste semitrasparente che indossava come camicia da notte, lasciando ben poco spazio alla fantasia.
Il suo viso pareva perennemente increspato da un'espressione imbronciata, causata delle voluminose labbra dalla forma a cuore. I tratti spigolosi dovevano evidenziare una certa bellezza da bambina cattiva, che doveva sicuramente esercitare attrattiva negli uomini, ma che Celeste trovò subito volgare. I suoi capelli svolazzanti si accordavano al viso: un osceno arancio brillante, sicuramente ottenuto con chissà quale mistura.
“Cynthia cara, Azula stava appunto spiegando a Celeste che gli uomini sono tutti uguali, come hai ben sentito” disse Cherry, utilizzando un tono educato, velato di un evidente sarcasmo.
Il sorriso di Cynthia si oscurò appena non appena notò il volto nuovo. Non si presentò né la saluto, limitandosi ad afferrare una mela dalla tavola.
“Una nuova arrivata eh? Beh allora vedi di istruirla come si deve, senza raccontare cazzate del genere” ribattè, addentando la mela e masticandola a bocca aperta, sedendosi in disparte.
Cherry la fissò con palese disgusto.
“Anzi, ci penso io, visto che qua sono quella che guadagna più di tutte messe assieme” dichiarò, ridendo scioccamente.
“Bada a come parli Cynthia, qua lavoriamo tutte quante” ribatté aspramente Azula, senza nemmeno guardarla.
Cynthia fece finta di non averla sentita, continuando a guardare malignamente Celeste.
“Innanzitutto gli uomini non sono tutti uguali … C’è chi lo fa meglio ovviamente, e quelli sono i migliori. Ma forse una con la faccia come la tua non se li beccherà mai” disse, fingendosi dispiaciuta.
“A questo tavolo dubito qualcun altra oserebbe dire che Celeste non sia bellissima” la difese Azula, con un’espressione disgustata sul viso.
“Tesoro non arrabbiarti, Cynthia ha solo paura che Celeste gli rubi i clienti” disse Katrina.
La derisione del suo tono fece scattare Cynthia.
“Ma per favore! Con la faccia da melina bianca che si ritrova, dove vorrebbe andare? Ci metto la mano sul fuoco che sei vergine, e nessuno ti ha ancora comprata” disse, scagliandosi contro di loro e fissando Celeste.
Lei non batté ciglio, ostentando un’espressione incolore.
“E invece qualcuno l’ha già scelta, cara mia… come vedi, ha subito fatto conquiste” ribattè Kat, esagerando volutamente.
“E chi sarebbe? Bordon? No no, aspetta… Garrett! So che gli piacciono le bambine … “ insinuò, malevola.
Un attimo di attesa serpeggiò nella tavolata, perché solo due di loro ne erano effettivamente al corrente.
“L’ha scelta Tavington” concluse infine Kat, distogliendo lo sguardo.
Quando udì quel nome Celeste si riscosse. Benchè la discussione vertesse proprio su di lei, abituata come sempre a ignorare i litigi nella cerchia delle sue conoscenze, non prestava la minima attenzione alle parole delle ragazze. Soprattutto non le interessavano le critiche di una qualsiasi acida prostituta.
Le sole parole “cliente”, “pagamento”, “soddisfare” erano bastate perché si chiudesse in un volontario mutismo, mentre la sensazione di essere piombata in un incubo si acuiva.
Ma il nome del colonnello, quel mostro che aveva osato strapparla alle braccia dei suoi fratelli, aveva il potere venefico di calamitare tutta la sua attenzione; in lei si accendeva  un reale interesse, un sentimento nuovo, un misto di pura rabbia e autentico terrore.
Alzò la testa in tempo per poter vedere l’espressione esterrefatta di Cynthia.
“No, non è possibile! Da quando il Colonnello sceglie in modo così scadente? Passi Caroline, ma ora lei!” urlò quasi, il volto paonazzo, alzandosi in piedi.
A Celeste ricordò una bambina capricciosa che pesta i piedi perché le è stato rubato il giocattolo preferito.
Poi parve riprendere il controllo di se, tornando a sedere e posando quel che rimaneva di una mela stritolata.
“Devo proprio averlo fatto impazzire l’ultima volta … si, sicuramente è andata proprio così. Perché, forse non lo sai … ma nessuno ti sa sbattere come sa fare lui” disse, tendendosi verso di lei.
Il sorriso dolciastro con cui parlava di quell’uomo mandò Celeste su tutte le furie.
“Faccio anche a meno di quest’informazione” sibilò, le mani che le prudevano dalla voglia di tirarle uno schiaffo.
“Ma che parlo a fare con una vergine?”disse Cynthia con dispregio, sputando la parola “vergine” come il peggior insulto.
Due mani batterono fortemente sulla tavola, facendole sobbalzare.
“Celeste, per favore, sii così gentile da accompagnarmi a ritirare del tabacco all’emporio qui davanti” proruppe Cherry, alzandosi subito in piedi.
Celeste si alzò immediatamente, il viso che si distese non appena furono fuori da quella casa.
“Ci metto due minuti, aspettami fuori” disse Cherry, entrando in una squallida bottega dove si poteva a malapena scorgerne gli interni, a causa dei vetri incrostati di sporco.
Celeste si guardò attorno: la corta strada era deserta, nelle poche case presenti sembrava che le persone vi si fossero barricate dentro.
Si poteva a malapena definirlo paese: era più una specie di “punto d’incontro” tra due distanze.
Quando la donna uscì, le fece cenno di seguirla sul retro della taverna, dove davanti ad un minuscolo lenzuolo di terra adibito ad orto, vi era una panchina sgangherata.
“Sembrava stessi per colpire Cynthia” disse Cherry, come se fosse una cosa molto divertente.
Celeste non rispose, gli occhi puntati sul lavoro del tabacco: la donna lo estraeva a pizzichi, avvolgendolo in un piccolo pezzo di carta. Lo portò poi alla bocca, accendendolo con un fiammifero e aspirando voluttuosamente il fumo.
Anni addietro, aveva osservato zio Jules fare lo stesso di soppiatto, nascosto nel retrobottega.
“Puoi parlare liberamente con me … a meno che tu non abbia intenzione di picchiarmi” disse ancora Cherry, estremamente divertita.
Celeste sorrise leggermente: si sentiva stranamente a suo agio con quella donna. Aveva la sensazione che dovesse avere esperienze ben peggiori delle sue,e ciò la faceva sentire un po' più rassicurata.
“Quando ero piccola mi picchiavo regolarmente con il mio fratello maggiore … Ero un tipo impulsivo. Poi, crescendo, ho dovuto imparare a comportarmi da signorina, e armarmi di pazienza ” disse la giovane, la dolcezza sulle labbra nel nominare il proprio pacifico passato.
Anche Cherry sorrise vedendo l’espressione rasserenata della ragazza.
“Bè anche chi è armato delle migliori intenzioni, con Cynthia perderebbe la calma” commentò, osservandosi i piedi nudi sporchi di polvere, proprio come quelli di Celeste.
“La odio. Anzi, l’ho sempre odiata, dalla prima volta che l’ho vista. Quella sciocca ragazza rappresenta chiaramente tutto ciò che più detesto. Incarna lo stereotipo che ogni uomo ha di una puttana: stupidità e volgarità” disse, quasi nauseata.
“Tu non sembri stupida, né tantomeno volgare, se questo ti è di qualche consolazione” le suggerì Celeste, incuriosita dalle sue motivazioni.
“Non lo sono mai stata, benché sia una miserabile prostituta da ben 7 anni”
La ragazza la fissò allibita, gli occhi azzurri sgranati.
“7 anni?! Ma … è tantissimo”
Come poteva una donna come Cherry, bella, affascinante e probabilmente anche intelligente, essere finita in quello schifo di “mestiere”?
“E’ un tempo che ti pare infinito, lo so. Ma ci si fa l'abitudine, come a tutto. Ho troppi debiti con Madama, non potrei mai tirarmi fuori da questa merda” commentò, lanciando via il mozzicone.
Il suo sguardo si perse, e il silenzio sostituì le loro parole, prima che la curiosità di Celeste vincesse il riserbo.
“Che ti è successo?” domandò semplicemente.
Gli occhi della donna rimasero immersi in un passato lontano, lasciando che le parole che le fluivano lente dalla bocca dessero dei connotati ben definiti alla sua storia.
“Un tempo appartenevo ad una famiglia contadina: la nostra vita era relativamente dura, e dovevo sudare sui campi come ogni altro membro della famiglia. Ma avevo sogni ben diversi da quelli delle mie sorelle: sognavo un matrimonio in grande stile, una casa grande ed elegante, una famiglia ben diversa dalla nostra.
Ero, ovviamente, una sciocca. Mi lasciai coinvolgere in una relazione con un uomo di un rango sociale molto più alto del mio, immaginando chissà quali piaceri e privilegi. Avevo 19 anni quando rimasi incinta. Non appena lui lo seppe, mi abbandonò; quando la mia famiglia lo scoprì, mi sbatté fuori casa”
Fece una pausa; la sua voce era ferma, ma un lieve tremolio della mano mostrò quanto in realtà le emozioni la stessero divorando.
“Vivevo non lontano da qui, da questo paesello che prima della guerra era ancora piuttosto abitato. Sapevo che vi viveva una mia lontana prozia, un’irrimediabile zitella che, ne ero certa, mi avrebbe accolto. Lo fece, ma in seguito dovetti mantenere da sola me e Matthew, il mio bambino. Lavoravo già qua, esclusivamente come cameriera allora, ma ogni giorno che passava i soldi non bastavano mai. Mio figlio aveva una salute molto fragile, e mia zia protestava giorno e notte. Iniziai a indebitarmi sempre più con Madama, finché fui costretta ad ammettere a me stessa che così non si poteva continuare. Quando la mia prozia mi disse che si sarebbe trasferita a Savannah ed era intenzionata a condurre con se Matthew, non opposi resistenza. Dopodichè, non ebbi più uno scopo, e rimasi qui con Madama, al suo servizio” concluse, come spenta.
“E voi vi siete più …?” domandò Celeste, desiderosa di apprendere la fine della storia.
Ma Cherry scosse la testa.
“No, non ho mai più rincontrato il mio bambino. Era nei patti che non ci saremmo più dovuti vedere. Lui sarebbe cresciuto felice, imparando dei sani valori cristiani, senza più dover camminare nella miseria o contare su una madre che passa le sue giornate a vendersi al miglior offerente” disse con amarezza, asciugandosi furtiva una lacrima che minacciava di lasciarsi cadere da un occhio.
“Però va tutto bene, sai? Dopotutto, Matthew crescerà sano e felice” continuò poi, compiendo lo straordinario sforzo di sorridere.
“Sai Celeste, la vita di chi ami è l’unica cosa che conta davvero nella vita. Conta più della tua stessa vita” disse ancora, sfiorandole una guancia.
Bastò uno sguardo, e Celeste spontaneamente raccontò quello che era successo solo il giorno prima.
Parlandone, le sembrò che fossero già trascorsi giorni interi, tanta era la calma con cui ne parlava.
Alla fine, si sentì sollevata, come se qualcuno le avesse strappato un peso dal cuore, e riuscì persino a non piangere.
Cherry fischiò, ammirata.
“Anche tu ti sei sacrificata, ma a differenza mia sei giovane e hai ancora tutta la vita davanti. Hai avuto un coraggio straordinario. E poi, agire così di fronte  a Tavington …” sussurrò, meravigliata.
Celeste attese che continuasse, ma la donna non aggiunse dettagli su quel maledetto uomo, motivandola a porre ulteriori questioni.
“Quell’uomo … come è con le donne?” chiese, esitante, sperando di ottenere più dettagli rispetto a quelli avuti da Katrina.
Non aveva bisogno di domandare come fosse in generale: aveva già avuto prova di che razza di crudeltà fosse capace.
“Su di lui girano pessime storie: la tua piantagione non è la prima che brucia, e non sei la prima ragazza su cui mette gli occhi” iniziò, parlando come calcolando il peso di ogni sua parola.
“E con le donne … cosa ti posso dire, è come qualsiasi altro uomo. E' un bravo amante, dicono” ammise a malincuore.
“Ma sceglie sempre Cynthia o Caroline, quelle che gli paiono più manipolabili o indifese” aggiunse.
Celeste si mordicchiò il labbro inferiore, come faceva sempre quando era molto nervosa.
“Ma forse dopo la prima notte si stancherà, e tornerà da loro” disse, cercando un po’ di approvazione negli occhi della donna.
“Forse” rispose lei, senza un briciolo di convinzione.
Si alzò, come a voler chiudere il discorso, ma Celeste la fermò.
“Io ti sembro indifesa?”
Cherry si voltò, e il suo sguardo era molto triste.
“Sinceramente Celeste … si, lo sembri”


 

“I won't soothe your pain
I won't ease your strain
Eyes on fire

Your spine is ablaze
Felling any foe with my gaze

 
Non allevierò il tuo dolore

Non faciliterò il tuo esaurimento
Occhi di fuoco
La tua colonna vertebrale è in fiamme
Fulmino qualsiasi nemico con lo sguardo”

-Eyes on a Fire, Blue Fondation-

 
Era lei, ma non era lei.
La ragazza nello specchio non poteva semplicemente essere Celeste.
Più si guardava, più trovava inconcepibile che quel riflesso dovesse essere per forza appartenere a lei
Lo specchio rimandava l’immagine di un corpo da giovane donna, la pelle così bianca da apparire alabastrina, avviluppato in panni da puttana.
L’abito di raso verde scuro le lasciava indecentemente scoperte le caviglie, ma peggio ancora era l’oscena scollatura che poneva in bella mostra i suoi candidi seni, stretti all’inverosimile nel corsetto.
“Ci farai l’abitudine, tranquilla … anche per me all’inizio era difficile” sussurrò Caroline, che aveva seguito l’espressione incredula della giovane.
Quella ragazza parlava poco o niente, ma comunicava con gesti solleciti e gentili; le stava appunto pettinando i capelli e legandoli in un semplice chignon sulla nuca, quando la porta della sua stanza si spalancò ed entrò Madama.
Identica alla sera prima, a parte il cambio d’abito, persino l’espressione compiaciuta sul viso era la stessa.
Analizzò entrambe con occhio critico, avvicinandosi tanto da poterle quasi sfiorare con la punta del naso.
"Caroline, vedi di truccarla. Nessun uomo vorrebbe qualcosa che può già avere a casa” decretò infine, uscendo spazientita.
La ragazza sospirò, continuando a pettinarle i capelli.
“Non è sempre così … spesso e volentieri si, ma a volte sa essere persino gentile” disse a bassa voce, ma Celeste non l’ascoltava.
Il riflesso nello specchio si deformò. Era diverso, ma in un certo senso anche più bello: era un volto appariscente, di una bellezza più aggressiva, ma sotto tutta quella maschera, Celeste riuscì ancora a scorgervi il proprio volto innocente.
Il suo aspetto faceva a pugni con i suoi pensieri: in quel momento sarebbe stata disposta a vendere l’anima al diavolo, pur di poter scappare da quell’inferno.
Non toccò cibo, non bevve neppure un sorso di vino a cena. La sua gola era secca e arida come un deserto mentre scendeva da basso con le altre, i volti e gli abiti identici ai suoi.
La sala si stava riempiendo velocemente, una massa di giubbe rosse che fluivano ai tavoli come se fossero trasportati da una corrente invisibile.
Celeste si appostò vicino al  bancone, osservando i comportamenti delle compagne e al contempo tentando di mimetizzarsi con l'ambiente, prima che Madama la scovasse e la spedisse a prendere le ordinazioni.
“Ma tu guarda, una nuova! Che bel faccino che hai, bambolina!” ululò il primo uomo che appuntò lo sguardo su di lei, afferrandole un lembo dell’abito.
“Ha molto altro di bello questo tesoruccio, fatti dare un’occhiata da vicino, bellezza!” si aggiunse un altro, prendendole un polso.
I commenti e i volti già ubriachi degli uomini la disgustavano.
E quelli dovevano essere dei gentiluomini inglesi? Quando le pagarono le ordinazioni, infilandole le monete nel corsetto, dovette reprimere la nausea.
Desiderava parlare con Cherry o con le altre, ma scoprì che era impossibile: tutte si muovevano frenetiche, caracollando su e giù con i vassoi in mano, e sedendosi tra gli uomini per soddisfare le loro chiacchiere.
Solo i loro sguardi incoraggianti, che aveva la fortuna di incrociare qualche volta, la sostenevano a continuare a servire senza scappare in cucina a nascondersi.
Era impegnata a distribuire gli ultimi boccali sul vassoio, quando una strana sensazione la colse: si sentiva come osservata. Certo, era tutta sera che decine di sguardi la percorrevano, ma questa era una percezione diversa.
Si voltò di scatto e incontrò quel freddo, tremendo sguardo azzurro che fu capace subito di procurarle un brivido.
Si diede della stupida nell’aver sperato che quella sera non si sarebbe presentato a reclamarla.
Tavington era seduto ad un tavolo circolare con altri ufficiali, intenti a bere dai loro boccali e a parlare ad alta voce, come tutti gli altri.
Cynthia era seduta in braccio a uno di loro, cinguettava melensa e beveva dal suo bicchiere, ridendo.
Celeste dovette a malincuore avvicinarsi non appena il Colonnello le fece un cenno del capo, sorridendo beffardo.
“Oh mia cara, unisciti a noi, su! Fai compagnia a questi poveri, valorosi soldati” gorgheggiò Cynthia. Celeste si chiese se quella sciocca ragazza fosse realmente ubriaca o stesse solo facendo finta.
Optò per la seconda ipotesi.
“Ma questa … è la ragazza di ieri? Che meraviglia, devo farti i complimenti signorina!” disse uno degli uomini, guardandola meravigliato.
Celeste non riuscì nemmeno a sorridere, mentre Tavington allargava il braccio sulla panca, come aspettandosi che lei si sedesse contro di lui.
La giovane al contrario si appollaiò sul bordo della panca, senza neppure degnarlo di uno sguardo.
“E come ti chiami, dolcezza?” domandò ancora l’uomo di prima, facendosi più audace.
“Celeste” rispose lei, semplicemente, senza aggiungere una sola parola gentile.
Ma lui neppure parve notarlo.
“Un nome azzeccatissimo! Che ne dite, ragazzi, c’è la giochiamo tra noi per stanotte?” suggerì l’uomo, estraendo delle carte da gioco da una tasca e iniziando a mischiarle.
“Giocate pure amici miei, ma la ragazza stasera è già impegnata” intervenne Tavington, sorridendo sfrontatamente, quasi con sfida.
Gli uomini intorno si fecero subito meno baldanzosi.
“Sei sempre un passo avanti a noi, eh William, vecchio mio?” domandò l’unico rimasto tranquillo, già intento ad affondare il volto nel florido decolté di Cynthia, che rideva contenta come una bambina la mattina del giorno di Natale.
Il colonnello non rispose, e sogghignando tese il braccio e attirò a se  Celeste per la vita, facendola scontrare contro il proprio petto.
Non le rivolse la parola mentre giocava a carte, ma in ogni caso le prestava attenzione: la sua mano scorreva imperterrita sulla sua coscia, accarezzandole l’abito, sollevandolo a tratti.
Celeste non osò muoversi, ma quel contatto la ripugnava profondamente.
La serata entrò nel vivo poco dopo: le voci si alzarono di un’ottava, si udirono canti stentorei e grasse risate, e alcuni si alzavano per sparire: chi per vomitare tutto ciò che aveva bevuto, chi accompagnato da qualcuna delle prostitute nelle camere.
“Devo dire che con il trucco sei piacevolmente cambiata” disse Tavington improvvisamente, distogliendola dai suoi pensieri.
Lei si voltò a guardarlo, mentre l’uomo si attorcigliava intorno al dito una sua ciocca di capelli sfuggita dallo chignon, portandola al naso e odorandola.
“E dimmi, come è stata la prima notte qui?” chiese, un ghigno bastardo che gli illuminava il volto.
Celeste si rifiutò di rispondergli con garbo.
“Uno schifo” dichiarò, senza enfasi.
L’uomo rise, tirandole così forte la ciocca quasi fino a strappargliela.
“Non farci l’abitudine: le tue notti d’ora in poi non saranno certo sprecate a dormire. Non quando ci sarò io, ovviamente” concluse, sussurrandole nell’orecchio.
“E dimmi, sei emozionata all’idea che stanotte ti strapperò uno ad uno i tuoi abiti? Bè, non che tu ne abbia molti addosso … “ aggiunse, solleticandole il lobo con le labbra.
Celeste trattenne il respiro involontariamente.
“Non vedo perché dovrei” sibilò, tentando di mantenere un controllo che neppure aveva.
Un uomo di un altro tavolo si avvicinò e li interruppe.
“Via William, non vorrai tenere questo gingillo tutto per te? Lasciala venire un po’ da noi!” lo sollecitò, gioviale.
Tavington lo fissò con freddezza, irritato per essere stato interrotto.
“La ragazza è già prenotata Garret, tu e i tuoi uomini tenete le mani apposto per stasera” ordinò senza alzare la voce, ma l’effetto fu immediato: l’uomo si ritirò, il sorriso tremante.
Non era l’unico uomo a guardare Celeste; ad ogni tavolo, qualcuno buttava l’occhio furtivo su di lei.
Anche il Colonnello parve notarlo.
“Si aspettano tu vada da loro; come dei bambini che vogliono  provare il nuovo giocattolo” disse, stringendole più fermamente la vita.
“E’ quello che esattamente state facendo anche voi” disse la giovane, sdegnata e in un certo senso impressionata dalla leggera rabbia nella sua voce.
L’uomo invece di arrabbiarsi, sorrise intensamente.
“La differenza, Celeste, è che io sono arrivato per primo”
E a sorpresa, con impeto, la prese per la nuca e posò le labbra sulle sue. La mano si spostò sulle sue giovani guance, premendo fino a quando lei non gli concesse l’accesso.
Il colonnello affondò la lingua nella sua piccola bocca, profanandola, esplorandola.
Celeste spalancò gli occhi, sbigottita: prima ancora di sottrarle la verginità, quell’uomo si divertiva a rubarle il primo bacio. Attese quasi fiduciosa un’immediata sensazione di disgusto, ma questa non giunse.
Non ricambiava il bacio, ma in un certo senso non osava nemmeno ritirarsi man mano che questo si approfondiva ulteriormente.
“Vammi a prendere da bere” sussurrò l’uomo, appena si staccò dalla sua bocca.
Celeste si alzò, malferma sui piedi come se dovesse cadere da un momento all’altro, ancora scombussolata da quel gesto impetuoso e improvviso.
Mentre si dirigeva al bancone per ritirare un’altra birra, ebbe l’assurda sensazione che la sala si fosse allungata quasi, tanto le parve il tempo che impiegò ad andare e tornare.
Si guardò un attimo attorno: non incrociò più lo sguardo di nessuno; al suo passaggio, le teste si voltavano sistematicamente, evitandola.
Tavington parve soddisfatto di ciò, ma ugualmente l’attirò nuovamente a se.
Alternava piccoli sorsi di birra, leccando via la schiuma che gli macchiava la pelle, a continui, profondi baci.
Celeste rimaneva passiva tra le sue braccia; i suoi stessi pensieri si erano come ovattati e lei giaceva così, come una bambola di pezza.
Ma quando l’uomo chinò la testa e le leccò lascivamente il collo, non poté trattenere un brivido.
La mano dell’uomo le sfiorava il seno, anticipando un contatto ben più reale. Celeste, che ne seguiva il percorso apprensiva, alzò lo sguardo e incrociò nuovamente il suo: le iridi dei suoi occhi, simili a ghiaccio, parevano scintillare, ricolme di un desiderio bruciante e violento.
“Andiamo su. Adesso” ordinò, cogliendola di sorpresa, nonostante fosse consapevole che sarebbe successo.
La prese per un polso prima che potesse replicare, e si avviò a passo spedito verso la porta in fondo alla sala.
Celeste si voltò, cercando disperata i volti di qualcuna, ma gli sguardi di Cherry e Azula, le uniche che individuò, erano solo incredibilmente dispiaciuti. Non l’avrebbero salvata, non potevano.
Nessuno poteva più.
Si ritrovò a salire le scale frettolosamente, rischiando di cadere quasi, e in cima il colonnello la sospinse contro la parete del corridoio.
“Qual è la tua stanza?” chiese, respirando affannosamente sul suo collo, come se avesse compiuto una lunga corsa.
“Quella in fondo” rispose lei in un sussurro, prima che l’uomo le prendesse il volto e le strappasse l’ennesimo bacio, come se fosse incapace di resistere oltre.
La trascinò poi in camera, e una volta dentro si premurò di chiudere la porta a chiave e lasciare cadere per terra l’unica via di salvezza della giovane.
Celeste si lanciò verso il comodino, cercando una candela o anche un solo fiammifero, terrorizzata da trovarsi immersa nel buio in sua compagnia.
Tavington fu però più veloce, e afferrandola per la vita, la spinse sul letto, sormontandola, cercando nuovamente le sue labbra.
“Mi lasci! Mii lasci andare!” urlò quasi Celeste, presa dal panico.
Era l’identica, terribile paura del giorno prima: pur dimenandosi, pur cercando di colpirlo o di schivare il suo volto, si trovò incapace di fronteggiare i suoi gesti.
Tavington le prese i polsi, bloccandosi ai lati della testa della giovane.
“C’è ancora bisogno che ti minacci, Celeste? Devo ancora nominare i tuoi fratelli?” domandò, senza un briciolo di rabbia, ma anzi con una calma glaciale. E dieci volte più inquietante.
I tentativi di ribellione si sedarono all’istante.
“Vedi di soddisfarmi” sussurrò l’uomo, compiaciuto dal risultato ottenuto dal semplice uso delle minacce.
Si tuffò nuovamente sul suo collo, stavolta mordendolo con forza, godendo del gemito di dolore che ricevette. Leccò i morsi, scendendo lungo tutta la sua gola, soffermandosi sull’ampia scollatura, e afferrati i bottoni sul retro dell’abito, iniziò a slacciarli inesorabilmente uno dopo l’altro.
Le aprì violentemente l’abito, rivelando il suo corpo nel fiore della giovinezza, avvolto ora solo in corsetto e sottogonna.
L’uomo attese  un suo gesto, ma la ragazza giaceva sulle lenzuola spiegazzate, gli occhi azzurri spalancati e intimoriti.
“Avanti, spogliami” fu costretto a esortarla, in un sussurro.
Le mani di Celeste tremarono mentre sbottonava la giubba dell’uniforme, lasciandogliela cadere alle spalle.
Passò alla camicia bianca dal collo elaborato, ma non osò toglierla, e pudicamente allontanò le mani da lui, sottraendosi al suo ordine.
Tavington si alzò, levandosi la spada e la rivoltella che teneva infilate nella cintura, per poi spogliarsi del tutto. La ragazza distolse immediatamente lo sguardo, ma all’uomo non sfuggì il lieve rossore che le imporporò le guance.
Per quello l’aveva voluta! Era proprio quella sua castità che aveva avuto l’istantaneo potere di eccitarlo, che l’aveva spinto a condurla lì. E ora solo l’idea di poter derubare della sua purezza quella pelle così liscia a e candida lo fece quasi impazzire.
Si impossessò del corsetto e della sottogonna, che fecero subito la stessa fine dei suoi abiti a terra. Si concesse solo una manciata di secondi per poter ammirare appieno il suo corpo, prima di tornare a sormontarla completamente.
Le sue mani vagarono accuratamente su quel corpo, tastandone la morbidezza, come a voler esplorare un nuovo territorio; modellò i suoi seni, ostentando un ghigno compiaciuto quando, guardandola negli occhi, le prese in bocca un capezzolo, succhiandolo avidamente come un lattante.
Celeste si mosse, a disagio: avvertì uno spasmo alla bocca dello stomaco, e più l’uomo continuava a giocare col suo corpo, gustandolo come se fosse un piatto squisito, più si chiedeva che cosa stesse aspettando.
Si era ormai arresa all’evidenza che non sarebbe potuta venire a capo di quella situazione, e desiderò soltanto che tutto ciò si  concludesse in fretta.
Ma dopo la frenesia iniziale, l’uomo parve di tutt’altro avviso.
Con lentezza, lasciò una scia di baci e saliva su tutto il suo petto,  e improvvisamente, non senza una certa irruenza, la penetrò con un dito.
Celeste sentì tutti i muscoli del proprio corpo irrigidirsi violentemente non appena iniziò a muoverlo con una lentezza esasperante, ma era determinata a non mostrare più nessuna emozione, a non lasciar cadere neppure una lacrima o un lamento.
I suoi propositi furono subito infranti quando, con un affondo più deciso, la ragazza fu costretta a mordersi un labbro per non gemere; non poté nemmeno fingere a se stessa che fosse per dolore.
Non poteva essere piacevole. Non doveva assolutamente essere piacevole.
Tavington osservò con attenzione le sensazioni che incresparono il volto della giovane: non era minimamente consapevole di essere un libro aperto sotto ai suoi occhi.
“Sottomettiti a me, Celeste” sussurrò, divertito. E in quegli occhi la giovane vi lesse l’esatta trama di quanto stava per succedere.
Serrò gli occhi con decisione quando le prese le cosce allargandogliele, e lo sentì penetrare in lei.
Li chiuse con così forza che il nero improvviso dietro le sue palpebre la stordì, ma al contempo non poté impedire che dalle sue labbra si strappasse un grido.
Fu paura. Fu terrore. Fu dolore.
Il male era così forte, così avviluppato intimamente al suo cuore che non fu nemmeno più in grado di controllare il proprio corpo.
Mentre l’uomo si accaniva, quasi con bestialità, su di lei,la sua volontà si chiuse a riccio.
Era come avvolta in una bolla di estraneità: avvertiva ciò che le succedeva e al contempo non lo avvertiva.
Sentiva l’impeto delle spinte con le quali l’uomo profanava irruentemente il suo corpo; sentiva  il calore liquido, sangue sicuramente, che le scorreva tra le gambe; sentiva persino le proprie mani arpionare le lenzuola convulsamente, o l’ansimare appagato dell’uomo.
Aveva coscienza di ogni dettaglio, ma ciò non la toccava più. I suoi occhi restarono chiusi e  asciutti e le sue labbra non emisero più un gemito.
Era come morta, proprio come avrebbe desiderato essere.
Le spinte accelerarono incredibilmente, provocando l’ennesima ondata di sordo dolore al suo corpo, e poi diminuirono fino a cessare.
La bolla di estraneità in cui si era rifugiata esplose, e aprendo gli occhi, si ritrovò a fissare quelli del colonnello, che ancora era accasciato su di lei.
Rimasero a guardarsi per un istante, prima che scivolasse fuori dal suo corpo, distendendosi al suo fianco.
La luna si intravedeva appena oltre le nubi, ma la sua pallida luce illuminava i due corpi, gli occhi di entrambi spalancati, concentrati sul biancore del soffitto.
Non una parola, non un gesto.
Il silenzio si distese tra loro, stampandosi come una didascalia.



Elle's Space -

Credo che questo si possa definire un gran ritardo, ma ammetto di essermela presa con comodo, un po' per pigrizia e un po' perché ho la pretesa di continuare altre storie contemporaneamente. Quindi, pur essendo già gennaio inoltrato, auguro a tutti buon anno! :D
Di questo capitolo, che dire? Ho con sorpresa scoperto che esistono altre fic sul Patriota dove la protagonista è costretta a divenire una prostituta. Sorvolando sul fatto che sono magnificamente scritte (e me ne sono già innamorata **), ho deciso di continuarla perché sono particolarmente legata al personaggio di Celeste, e perché il significato della storia è in ogni caso differente.
Riguardo alla "fatidica prima volta"... Lo so che Tavington è un figo allucinante, e se me lo trovassi realmente davanti agli occhi probabilmente gli salterei addosso, ma se mi avesse praticamente distrutto l'esistenza il giorno prima, ammetto che avrei seri problemi ad eccitarmi (semplificando il dibattito sorto con una mia amica sul "Se è un figo, perché non se lo gode?!")

x Cipychan87 : Le storie su Tavington sono davvero poche, e in generale anche quelle su tutti i personaggi di Jason. Almeno con questa storia contribuisco ad ingrandire il numero, lieta che ti sia piaciuta (:

x ragazzapsicolabile91 : Il tuo commento mi ha causato un espressione identica a quella che ebbi da piccola quando mi risposero alla domanda "Pesa più un kg di piume o uno di piombo?". Purtroppo faccio errori frequenti di grammatica, sicuramente capiteranno ancora, mi scuso in anticipo ç_ç. Per il resto, grazie mille dei complimenti e spero che questo capitolo non ti deluda!

Ebbene, ho finito! Buona lettura  e buona serata gente.


Elle H.

   
 
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