Buongiorno e buon sabato a tutti!
Vi ringrazio per l'accoglienza che avete riservato a questa storia. Non
mi aspettavo di ricevere tre recensioni, anzi credevo che l'avreste
ignorata :), quindi davvero mille grazie!
E così con questo primo capitolo diamo inizio al viaggio della protagonista.
Rileggere e corregere questa fan fiction è un piacere,
perchè ritrovo molti lati di me e recupero ricordi di attimi
precisi di due anni e mezzo fa che a volte tendo a dimenticare.
Vi auguro una buona lettura e se avete da segnalarmi qualsiasi errore, fatelo! Ho bisogno di migliorare!
Buona lettura!
1° Capitolo
“Il mio riflesso”
"Guardami quella che tu vedi non sono io,
tu
non mi conosci, è così la mia parte è questa qua...
eccomi,
ciò che mostro è solo esteriorità, certo non il cuore mio...
dimmi,
dimmi chi è l'ombra che riflette me,
non
è come sono io e il perchè non so…
sono
qui obbligata sempre a nascondere
quello
in cui più credo,
essere
fuori e dentro uguale un'identità,
in
un mondo in libertà..."
(Syria)
È
strano provare quell’aliena sensazione che ti porta a desiderare di essere al
posto di qualcun altro.
Io
avvertivo quella sensazione da un pò e mi sentivo stupida. Forse più grave era
il sentirmi costantemente triste. Come se all’improvviso avessi capito di aver
commesso uno sbaglio dopo l’altro.
Continuavano
a ronzarmi dentro, le emozioni suscitatemi da quel libro. Non mi capacitavo del
perché dovevo sentirmi così legata ad una persona che non esisteva se non nella
fantasia di una scrittrice…
Camminavo
per Piano di Sorrento, piccolo paesino vicino casa mia, immersa, come al solito
in quell’ultimo periodo, nei miei pensieri, tanto da non essermi accorta di
aver iniziato a piangere. Mi accadeva spesso ultimamente.
Scossi
la testa, incredula. Cominciavo davvero a non capirmi più.
Tutto
era iniziato qualche giorno prima, dopo aver visto quel maledetto film. Mi ero
sentita, come molti, attratta dalla storia d’amore fra i due protagonisti, così
da decidere immediatamente di acquistare i libri che avevano ispirato quel
film. Li lessi tutti con una foga che non riconoscevo mia e capitolo, dopo
capitolo, avvertivo sempre di più, dentro di me il desiderio di vivere quella
stessa vicenda, tanto che ogni qualvolta si verificava un evento doloroso mi
sentivo colpire al cuore, neanche fossi io la protagonista del romanzo. Forse
era proprio quello il problema: volevo essere “lei”…lo volevo ardentemente!
Quel
libro, senza volerlo, aveva risvegliato in me un vecchio desiderio, la vecchia
“me” sopita dal tempo e dalle delusioni. Colei che amava sognare ad occhi
aperti l’arrivo del grande amore della sua vita, un amore che si struggesse per
lei e che fosse così forte da superare qualsiasi ostacolo e confine. Un amore
che nella realtà, non avevo ancora incontrato, perché non esisteva. E questa
certezza mi faceva stare peggio.
I
miei passi erano lenti, misurati, pesanti. Quasi strisciavo i piedi per terra.
Mi
resi conto che ero proprio stanca, la giornata era stata lunga e per questo
decisi che dovevo sedermi per almeno cinque minuti. Così mi gettai
letteralmente sulla prima panchina trovata per strada, accanto a quel parco
giochi che mi aveva vista correre e sorridere da bambina.
Avevo
gli occhi fissi nel vuoto, guardavo il cielo e mai come in quel momento speravo
che piovesse. Con un movimento repentino, afferrai dalla borsa quel libro. Lo rigirai tremila volte tra
le mani, fin quando, non cominciai a parlare con me stessa: “Sono proprio
pazza!!! Come posso sentire questi sentimenti per lui. Lui non c’è, non è
reale…” soffiai con una voce irriconoscibile.
Cercavo
di fare opera di auto convincimento, senza ottenere alcun risultato. Pensavo
alla descrizione del suo sguardo, del suo sorriso e mi sentivo il cuore battere
forte.
Da
folli. Da pazzi. Assurdo!
Lui
non esisteva. O meglio, non c’era Edward Cullen, ma viveva e respirava sulla
Terra, il suo rappresentante più degno: Robert. Robert Pattinson.
Stufa,
mi portai la mano sul petto e cercai di respirare lentamente. Ad interrompere
questo folle momento ci pensò lo squillare incessante del mio cellulare.
Sobbalzai
per lo spavento.
Dopo
un primo momento di smarrimento, lo cercai nella borsa.
”Pronto?”
risposi con affanno.
”Marghe
ma dove sei? Ti sei dimenticata che dovevamo vederci oggi?” la voce di una
ragazza, quasi urlò quelle parole.
A
quel punto, mi riscossi dal mio stato di trance e controllai l’orologio,
rendendomi finalmente conto che erano le sei di pomeriggio e che mi ero
dimenticata dell’appuntamento con la mia amica Daniela, colei che consideravo la
mia migliore amica, la persona più dolce e tenera che si potesse incontrare
nella vita.
“Uh
hai ragione Dany!” esclamai “Scusa, ho avuto un contrattempo. Ora ti raggiungo
subito!” dissi sperando che mi perdonasse.
Una
chiusa la telefonata, corsi a prendere l’auto.
Mi
guardai nello specchietto retrovisore per sistemarmi dopo la corsa, ma con mio
sommo dispiacere scoprii che sembravo un mostro, anzi lo ero. Cercai di celare,
per quanto potevo, il mio stato d’animo, infondo ero abituata a fingere di
stare bene. Fino ad allora avevo saputo tenere nascosto anche a me stessa
quello che ero realmente e quello che volevo. Quindi non avrei avuto problemi
nel continuare quella recita.
Arrivai
sul luogo dell’appuntamento e vidi Daniela corrermi incontro preoccupata. Il
rimorso mi divorò l’anima. Perché mi comportavo in quel modo? Stavo trascurando
tutto e tutti per…lui!
“Ma
che fine hai fatto? Potevi almeno mandarmi un messaggio o telefonarmi, mi hai
fatto fare i vermi” esordì Daniela, entrando in auto.
Risi
istericamente “Scusa, scusa” tentai di dire.
La
mia amica mi guardò torva prima di ricominciare a parlare ”Cos’hai Marghe? In
questi giorni sei così strana. Parli e mangi poco, sei sempre assente con la
mente. Quando siamo tutti insieme, parliamo, tu fingi di ascoltarci, ma in
realtà pensi a tutt’altro. Siamo tutti preoccupati per te!” ed ecco di nuovo il
senso di colpa, strisciare viscido nelle mie vene.
“Non
ho nulla, Dany. Stai tranquilla! Mi conosci e sai che a volte mi lascio
andare…è solo stanchezza, passerà…” sperai che la mia stupida scusa, la
convincesse. Non mi andava di parlarne.
A
quelle parole vidi la faccia di Daniela rilassarsi un pò “Dovresti riposare un
po’ la notte, invece di leggere” e indicò il libro nella mia borsa.
Risi
di nuovo in modo nervoso.
“Non posso farci niente se sono così passionale! Quel
libro mi travolge totalmente e non mi rendo conto del tempo che passa” risposi
con sincerità.
“Ma se lo hai letto già
trentamila volte!!!” mi accusò la mia amica “Comunque” continuò cambiando
argomento “Che contrattempo hai avuto?”.
Ed
ecco la domanda che avrei voluto evitare.
“Beh…sono andata in libreria a
comprare l’ultimo libro della saga. Ho perso tempo, perché c’era un bel po’ di
gente e ho dovuto aspettare il mio turno…ehm…” balbettai a fatica quelle
parole, mi sentivo così sciocca.
“Tu”
Daniela mi puntò il dito contro “ Tu sei diventata proprio matta!” disse
voltando la testa e puntando lo sguardo fuori dal finestrino.
Sospirai
rassegnata. Cercai di cambiare argomento “Allora stasera che si fa?” chiesi gesticolando,
come mio solito, con le mani. “Ti prego però niente di stressante, sono stanca”
aggiunsi infine.
“Non
ti preoccupare Marghe! Ho organizzato una semplice pizza a casa mia col resto
del gruppo. Qualcosa di rilassante e che ti piace” rise leggera “…ovviamente mi
riferisco alla pizza” e scoppiò a ridere. La guardai e sorrisi per la sua
allegria.
Arrivati
a casa sua, trovai già tutti là ad aspettarci. Ridevano, scherzavano ed io in
quell’esatto momento, mi sentii dannatamente fuori posto. Non ero dell’umore
per ridere, ma cavoli non riuscivo a capirne il motivo, stavo bene fisicamente,
non avevo altri problemi, ma ero…vuota…o
perlomeno era quella sensazione che dominava.
Persa
nei meandri dei miei pensieri, udii qualcosa di caldo sulla mia spalla.
“Marghe
vuoi ancora una fetta di pizza?” mi domandò con gentilezza, Alessandro.
“Ah
Ale, no grazie non ho più fame. Mi sento piena” risposi toccandomi la pancia.
Quel gesto automatico che avevo imparato a fare in quegli ultimi giorni.
“Ma
se hai mangiato pochissimo!” constatò lui, guardandomi con occhi sbarrati.
Aveva
ragione. Tutto quello non era normale per una che come me era abituata a
mangiare tanto, soprattutto quando si trattava di pizza. D’altronde era il mio
piatto preferito.
“No
davvero non ho più fame” insistetti accennando un sorriso, cercando così di
convincerlo che stavo bene, ma la mia bocca si piegò controvoglia verso il
basso, stanca, come me, di fingere.
“Ragazzi
che ne dite di vederci un film?” domandò Lucrezia.
Alla
parola film sobbalzai e il mio pensiero ancora una volta andò lì.
Scrollai
la testa come per fare a pezzi i miei pensieri, ma servì a poco visto che durante
tutta la durata del film non feci altro che rivedere nella mia testa quelle
scene. Questa volta, però, fu diverso, perché ero io la protagonista.
La
verità è che invidiavo l’attrice che interpretava Bella, Kristen Stewart. Non
per il ruolo in sé, per sé, ma perché Robert era innamorato di lei. O almeno
così si vociferava sui giornali.
Robert
aveva qualcosa che suscitava in me sensazioni indescrivibili, forse stavo
impazzendo, ma era dalla visione del film che mi ero attaccata al pc, per
cercare informazioni, notizie che lo riguardassero, scoprendo ogni giorno di
più quanto mi sentissi legata a lui, il suo modo di fare, di parlare così
maledettamente attraente, dolce...ero come in trance...
Passarono
altre settimane, ma la mia apatia, non accennava a sparire.
Mi
ero imposta di non leggere più né tanto meno di avvicinarmi al cinema.
Preferivo
immergermi nello studio, come avevo sempre fatto durante l’adolescenza, quando
cercavo un pretesto per non pensare. Infondo in quel momento era l’unica cosa
che potessi fare, visto che a breve avrei dovuto sostenere gli esami
all’università.
Avevo
iniziato un nuovo percorso, insieme a Daniela e ad altre amiche in comune.
Un’università lontana dal mio paese e mentre all’inizio ne ero entusiasta, in
quell’istante provavo solo tanta paura e nostalgia. Sentivo che stavo crescendo
e che presto le responsabilità sarebbero aumentate e mi chiedevo se sarei stata
in grado di far fronte a tutto. Ero davvero così forte come avevo sempre fatto
credere a tutti?
Beh
la risposta era proprio davanti ai miei occhi. Bastava che mi guardassi allo
specchio per capire che, per come mi ero ridotta, non ero forte per nulla.
Nella
mia vita avevo sempre messo al primo posto gli altri, lo studio, ma non avevo
mai preso in considerazione me stessa né quello che sentivo e volevo. Avevo
rinchiuso nell’angolo più nascosto di me l’amore per la musica, il canto, il
desiderio di comunicare agli altri emozioni forti, indelebili e cosa più grave
avevo smesso di credere nell’amore. Quel sentimento che fino ai 16 anni aveva
illuminato le mie giornate, mi aveva fatto sognare ad occhi aperti, piangere
davanti ad un film romantico; quell’amore che mi avrebbe dovuto far sospirare,
felicità e dolore allo stesso tempo, purchè fosse amore, amore vero, come
quello che ero pronta a donare a tutti senza condizioni, salvo poi sentirmi
stupida perché nessuno capiva come realmente ero e perché a volte fossi così
entusiasta di stare con gli amici o di parlare semplicemente con qualcuno.
La
vita mi aveva cambiata, mi aveva spinta ad adottare un atteggiamento che ben si
conformasse con quello che gli altri volevano o meglio a quello che gli altri
vedevano in me, o semplicemente si aspettavano da una persona come la
sottoscritta.
Niente
di più sbagliato…per fare questo avevo rinnegato me stessa.
Dentro
di me ribolliva la verità e sempre più prepotentemente voleva emergere, ma
avevo troppa paura, perché quello che provavo non era quello che mi ero
imposta.
Sono
sempre stata la classica ragazza tranquilla, monotona, ma negli ultimi tempo
vivevo con la speranza che qualcosa cambiasse, lo volevo fortemente. Dentro di
me cominciavano ad avanzare la voglia di evasione. Volevo andare via, lontana
da tutto e da tutti per poter vivere alla giornata almeno una volta nella mia
vita, senza programmare nulla, senza sperare nulla…volevo solo vivere
davvero!!!
Forse
fu questa mia voglia di vivere che mi spinse a prendere una scelta che avrebbe
cambiato radicalmente tutta la mia vita: partire per Londra.
Londra
era una città che non avevo mai amato moltissimo, avendo io una forte avversione
verso la lingua inglese. A spingermi verso quella direzione fu l’attrazione che
provavo ogni giorno sempre più forte per quell’attore, pur nella consapevolezza
che non sarei mai riuscita a incontrarlo, né tantomeno a parlargli.
Eppure
c’era qualcosa dentro di me che mi diceva che dovevo provarci e che quella
sarebbe stata la mia grande occasione, anche e soprattutto per imparare quella
lingua straniera.
La
mia fu una decisione che sorprese tutti, me per prima, non credevo di essere
così forte da decidere di andare a stare da sola in un posto così grande e così
diverso da quello in cui vivevo. Sapevo bene che avrei avuto mille difficoltà,
ma lottai con tutta me stessa per convincere i miei genitori.
“Ma
come ti vengono in mente certe idee?” gridò mia madre, inveendo contro di me.
“Prendere e partire così d’improvviso, senza motivazione. Cosa ti manca qua?”
“Mamma,
ho solo voglia di mettermi alla prova. Lasciatemi provare. Ho la possibilità di
frequentare un’ottima scuola d’inglese. Mi hanno persino dato la borsa di
studio, è una possibilità che non posso gettare all’aria così. Ne va del mio
futuro!” esclamai, stringendo le mani a pugno.
Forse
fu proprio la mia determinazione, quella strana e nuova luce che illuminava il
mio sguardo, a convincerli. Ero certa che mia madre si sarebbe preoccupata
moltissimo, ma la mia vita in quel momento era più importante.
Non
potevo non prendere in considerazione la possibilità che non mi sarei trovata
bene a Londra; in quel caso avrei fatto le valigie e sarei tornata a casa,
portando con me un nuovo bagaglio d’esperienza, questa volta privo di qualsiasi
rimpianto.
Decisi
di partire nel mese di gennaio, uno dei più rigidi di quell’inverno.
Un
altro aspetto del mio carattere che spesso sorpendeva, era il mio amore
sconfinato per il freddo. Il desiderio di accoccolarsi tra le coperte calde, o
davanti al camino con una fumante cioccolata calda, magari in compagnia delle persone
più amate. Tutto quello mi rappresentava a pieno.
I
miei genitori si offrirono di accompagnarmi all’aeroporto. Lì ebbi la splendida
sorpresa di trovare tutti i miei amici.
Fu strano.
Vissi quell’istante come si
trattasse di un addio definitivo. Percepivo che presto, ogni cosa sarebbe
cambiata, ma fu difficile ammetterlo a me stessa.
Mi
pianse il cuore nel lasciare la mia migliore amica.
Di
fronte al suo sguardo addolorato, quasi crollai. Ma sapevo che qualsiasi cosa
sarebbe successa, noi ci saremmo state per sempre l’una per l’altra.
“Sei
proprio sicura di voler partire?” domandò Daniela un’ultima volta.
Annuii
nuovamente.
“Sto
facendo la cosa giusta” dissi convinta, recependo ciò che il suo sguardo voleva
dirmi.
“Se
ne sei convinta, non posso che accettarlo ed essere contenta per te” cercò di
sorridermi, combattendo inutilmente con le lacrime.
“Non
sparisco, Dany. Ci sentiremo sempre, in ogni momento. Sarò sempre la tua
migliore amica. Questo non lo cambierà di certo, la distanza” parole con le
quali tentavo di convincere entrambe che niente sarebbe realmente mutato. Ma
era una bugia.
Quello
che mi feriva di più, era la convinzione di tutti che non avrei resistito a
lungo e che molto presto, sarei tornata a casa.
Ma
si stavano sbagliando tutti.