L’ultima erede
Capitolo tre: Maschera
Non ricordo per quanto tempo rimasi a fissare le fiamme morenti nel
camino della sala comune,so solo che quando mi decisi a scendere in Sala Grande
il cielo era illuminato da bagliori rossastri. Possibile che fossi rimasta
tanto tempo a disperarmi? Ero o non ero l’erede di Salazar Serpeverde?
Non potevo ridurmi a quei livelli. Ero poco più di una bambina, ma avevo un
orgoglio di ferro. Passai quasi in solitudine tutte le vacanze di Natale,
benché la porta del mio dormitorio fosse sempre stracolma di regali di
“ammiratori”. Ryan era partito per il Galles, per passare le vacanze con la sua
famiglia. La maggior parte del tempo lo passavo distesa sul mio letto a
baldacchino, mentre le mie compagne si divertivano insieme. Le mie compagne…
non mi ero mai data la briga di conoscerle,non mi interessava. Erano così
frivole, così altezzose,mi ricordavano Mathilda in
miniatura. Eppure anche loro provenivano da famiglie di Purosangue ricchi e
bene piazzati in società: ero sempre io quella diversa. Fin da piccola mi ero
sempre imposta di essere ciò che gli altri volevano io fossi, ma c’era sempre
quella parte nascosta di me che veniva fuori nei momenti meno opportuni. Quel
potente fuoco ardente che scioglieva la mia insulsa maschera di cera. Quella
maschera che avevo creato io stessa, perfettamente stereotipata, per essere ciò
che mi chiedeva la società. Quando le gocce di liquido appiccicoso mi
scivolavano sulla faccia, mi lasciavano inerme, indifesa contro quel mondo di
cattiverie. Scoppiai a piangere un’altra volta, durante un pomeriggio di neve.
Ero raggomitolata tra quel groviglio di seta verde-argento, quando una giovane Serpeverde rientrò in dormitorio. Era Maggie
Smith, rampolla di una famiglia di maghi dell’Irlanda. Smisi di singhiozzare,
l’unica cosa che mi era rimasta era la dignità. Mi alzai di scatto e,
trattenendo un moto di rabbia ingiustificata contro colei che aveva interrotto
il mio strazio, corsi in bagno. Vidi la sua chioma bionda scivolare agile verso
di me, nel vano tentativo di entrare attraverso la porta laccata di verde. Io
fui più veloce e chiusi in fretta la porta a chiave, poggiandovi la schiena
esausta e fremente. I singhiozzi non volevano saperne di soffocarsi, le lacrime
scendevano più bollenti di prima sul mio viso gelido. Mi guardai allo specchio:
obbiettivamente ero bella anche in quello stato, il rossore dell’affanno mi
donava quel po’ di colore che mi mancava. Maggie
cominciò a bussare ininterrottamente alla porta.
“Tutto bene, Isabella?” chiese. Come se le importasse, lei era come
tutte le altre: buon viso a cattivo gioco. Feci una smorfia di scherno tra le
lacrime, mi avvicinai alla porta e cercai di far apparire la mia voce quanto
più tagliente possibile.
“ Cosa vuoi ,Smith?” le chiesi, con noncuranza. Come se non fosse
successo niente, come se fosse un normale pomeriggio di vacanza passato ad Hogwarts. Sentii la
sua piccola mano fare più pressione sulla maniglia d’ottone, istintivamente
bloccai la porta con la mia schiena. Attraverso il sottile legno potevo sentire
i suoi sospiri, probabilmente stava pensando ad un modo per entrare. In un
improvviso moto di insensata e spudorata rabbia, le aprii la porta senza tante
cerimonie. Volevo solo urlarle in faccia di lasciarmi in pace, volevo sfogare
su di lei tutti i miei dolori. “Non è del tutto corretto, lei non centra
niente”. La voce della mia coscienza mi urlava queste parole che però non
trovavano eco nella mia mente annebbiata dalle troppe lacrime. Quello che mi si
parò davanti non era ciò che mi aspettavo: Maggie non
aveva il solito sorriso quasi sadico che la caratterizzava. Al suo posto sul
suo candido viso si faceva strada un principio di un sorriso di comprensione, o
forse compassione. Sta di fatto che mi abbracciò, senza che io le dicessi
niente. Avrei potuto scansarmi, vomitarle addosso tutta la mia frustrazione,
farle provare ciò che provavo io ad essere lasciata in un angolo buio, in
attesa. Non lo feci, né mi domandai il perché di quel suo inusuale gesto.
Nessuno mi aveva mai abbracciato. Fu in quel momento che misi da parte per una
volta la mia maschera di freddezza, per lasciare posto alla vera Isabella.
Piansi molto quel pomeriggio di neve, aggrappata spasmodicamente alla spalla di
Maggie, che di tanto in tanto mi dava qualche
colpetto sulla schiena. Non mi chiese il perché della mia crisi di pianto,
questo mi fu di sollievo. Sarebbe stato troppo complicato spiegarle tutto: di
Ryan, di quanto era dolce, di quando ci tenesse davvero a me, di come Tom aveva
rovinato tutto, di come avevo perso la “famiglia” che non avrei avuto comunque.
Avrei dovuto confessarle quella parte nascosta di me che nemmeno io riuscivo a
cogliere appieno. Quella sciocca e insicura Isabella, quella strana, quella
malinconica e perennemente ferita. Solo dopo una buona mezzoretta Meggie si decise a parlare.
“ Ora vuoi dirmi cosa ti è successo?” mi chiese cauta, con uno sguardo
supplichevole. Era logico, tutti avrebbero voluto sapere perché la Serpeverde per eccellenza si era abbandonata a quel dolore.
La guardai negli occhi, i miei erano ormai prosciugati da ogni segno di
insicurezza. Avevo riacquistato tutta la cattiveria che circolava a forza nelle
mie vene, ma cercai di trattenermi. In fondo, anche Maggie
era una Purosangue, era una mia pari… non potevo trattarla come Ryan.
“ E a te cosa importa? Ah certo, se te lo dico avrai in mano lo scoop
sull’allieva più odiata dai Serpeverde”. Sussurrai
queste parole come se stessi parlano con me stessa, in tono atono e
inespressivo. Come in risposta, la ragazzina scosse la testa indignata.
“ Sono una Serpeverde, ma non vuol dire che
io sia così cinica e crudele. Non siamo amiche, non siamo nemmeno conoscenti,
ma ora hai bisogno di qualcuno, bisogna sempre essere solidali con i compagni
della propria Casa” mi disse citando le parole del Cappello Parlante, come se
fosse ovvio. Per me non lo era, era tutt’altro che ovvio. La guardai sorpresa,
non credevo che tra quel mare di insensibili ci fosse qualcuno disposto a prestarmi
aiuto. Credevo sarei rimasta a marcire piangente in un angolo del castello.
“ Io non voglio fare pietà a
nessuno, specie ad una come te. Non ho bisogno del tuo aiuto” sibilai
tra i denti. Era inutile, non credevo nemmeno io a ciò che avevo appena detto.
Stavo già bene esteriormente, ma ancora in me si scatenava l’inferno. Privata
di tutte le mie energie spese a piangere,
il mio cervello doveva essersi un po’ annebbiato e fu così che le
raccontai quasi tutto di ciò che era successo. Le dissi semplicemente che la
mia matrigna non voleva che io frequentassi i Mezzosangue e che una delle poche
persone che teneva a me era uno di loro. Nulla di più. Maggie
capì che non sarebbe riuscita a strapparmi un’altra parola sull’accaduto e
insieme scendemmo in Sala Grande per la cena, dopo che io finii di rassettarmi
per essere la solita, irraggiungibile Isabella.
Di ciò che era successo quel pomeriggio non ne parlammo più, ne io ne Maggie. In compenso però diventammo amiche, amiche vere non
come Tom. Continuavo a frequentarlo, ma cercavo di tenere le distanze: lo
facevo solo per la mia immagine e per ciò che pensava la mia matrigna. Ero
ancora arrabbiata a morte per quello che era successo prima delle vacanze e non
ero ancora riuscita a spiegarmi come si conoscessero, ma probabilmente era
perché Tom conosceva tutte le persone importanti , al solo scopo di ammaliarle.
Gli ultimi giorni delle vacanze furono i migliori, mi divertivo a pattinare e
passeggiare per il parco innevato con Maggie e quando
ero con lei mi dimenticavo dei miei dolori anche se ,per paura di essere presa
in giro, non tolsi più la mia “maschera” nemmeno di fronte a lei.
Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che mi seguono, anche se
non lasciano recensioni. Un particolare ringraziamento va a Nimphalys
e a NoirAima
per aver recensito i capitoli precedenti! Che dire, spero che vi sia piaciuto
questo capitolo ( mi spiace… lo so, ho aspettato tanto per pubblicarlo XD) e
spero che continuiate a seguirmi! Se vi va recensite, anche solo per dire la
vostra! Accetto molto volentieri critiche purché siano costruttive :D
Un bacio,
Hayley J