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Autore: Macchia argentata    16/01/2011    35 recensioni
Questa storia prende il via dopo l’incidente di Andrè: il generale Jarjayes, vedendo la figlia sempre più chiusa e scostante dopo la mancata cattura del cavaliere, decide di organizzare una villeggiatura invernale…Ma forse i suoi scopi sono ben altri, visto che si premurerà di invitare nella casa di campagna di Arras due buoni partiti di nostra conoscenza non ammogliatiXD
Fan fiction senza pretesa e dai toni leggeri, scritta naturalmente per le Oscar/Andrè addictedXD
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, André Grandier, Axel von Fersen, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Villeggiatura 3  3: Nulla è così terribile da non poter peggiorare


Tenevo Oscar tra le braccia e lei mi stava baciando. Avvertivo la morbidezza dei suoi riccioli tra le dita, e il tepore del suo respiro sul volto.
Stava ansimando.
“Oscar…” sussurrai, afferrando la presa che avevo ai lati dei sul viso, tuffando le dita tra quei soffici capelli, come tante volte avevo sognato di fare. “Non fermarti…”
In risposta, lei riprese ad ansare. Sentivo il suo respiro farsi sempre più denso. Un leggero filo di saliva le colò da un angolo delle labbra e lo sentii scendere sulla mia guancia.
“…Oscar?”
Dovevo ammettere che, pur non potendomi lamentare della situazione, il suo alito non era dei migliori…
‘Non fare lo schizzinoso Andrè, si vede che ha mangiato pesante ieri sera. Succede, non ne vorrai fare un dramma proprio adesso?!’ considerai tra me e me, mentre mi allungavo verso di lei per baciarne le labbra. Finalmente lei era qua, nel mio letto, stesa sopra al mio corpo pervaso di desiderio…era un sogno che si avverava. La afferrai dietro la nuca e la trassi a me, e proprio in quel momento, qualcosa di umido e scivoloso percorse quasi per intero la mia guancia sinistra, per poi spostarsi verso la destra.
Rimasi senza parole.
Oscar mi stava…leccando?
Non avrei mai immaginato che il suo livello di voluttà potesse arrivare a tanto, ma…
La sua lingua raggiunse il mio orecchio, intrufolandosi in esso, e mi costrinsi a tacere.
Era pur sempre un momento magico, perché rovinarlo con le mie inutili perplessità? Cercai di abbandonarmi alla sensazione dei suoi riccioli tra le dita, senza pensare alla sua lingua umida che ora percorreva indisturbata il mio mento, la mia fronte, le mie sopracciglia…
Le mie sopracciglia?!
Aprii gli occhi di colpo, e non furono dei grandi occhi color del mare quelli che mi trovai davanti, ma uno sguardo fiducioso, bordato di pelliccia.
Il cocker scodinzolante era accucciato sopra al mio stomaco, e mi osservava curioso, dopo avermi ricoperto il volto intero di saliva, mentre io tenevo le dita affondate nelle sue lunghe orecchie ricciolute, che nel delirio delle mie visioni oniriche avevo scambiato per le onde dei capelli di Oscar.
Mi sentivo un perfetto idiota.
Ed ero completamente impiastricciato di bava di cane.
“Ah, perfetto…decisamente il modo migliore di cominciare la giornata…” constatai tra me e me, tirandomi su a fatica, mentre il fautore di quell’umido risveglio saltava a sua volta giù dal letto, gironzolando per la stanza in cerca di qualche briciola dimenticata.
Mi avvolsi la coperta sulle spalle e battendo i denti per il freddo mi diressi alla finestra, dove presi tra le mani la brocca di porcellana per versare l’acqua nel catino. Non sentendo nemmeno una goccia sgorgare dalla caraffa, tuttavia, me la portai davanti all’occhio sano, sbirciandovi dentro, e con amarezza constatai che il gelo della notte, in cui anche il lieve tepore del caminetto mi aveva abbandonato, avevano reso l’acqua un blocco di ghiaccio.
Leggermente irritato provai a rompere la crosta esterna, arrivando a scuotere la brocca, nella speranza che lo strato di ghiaccio fosse solo superficiale. Tutto ciò che ottenni fu che il manico di porcellana rimase nella mia mano destra, mentre il resto della brocca si abbatteva sopra al mio piede sinistro.
Un dolore sordo si irradiò per tutto il mio corpo mentre una miriade di puntini argentati esplodevano davanti al mio sguardo. Non urlai solo perché mi mancò il fiato per farlo.
Zoppicando tornai verso il letto, dove mi lasciai cadere.
Erano le otto della mattina e già mi sentivo esausto. Se pensavo che varcata la soglia mi aspettavano Fersen e Oscar con le loro questioni ancora da chiarire mi veniva voglia di tornare a Parigi a piedi.
Zoppicando, naturalmente.
Afferrai calze e  pantaloni dal bordo del letto, e me li infilai svogliatamente.
Mentre stavo per sfilarmi la camicia da notte dalla testa, tuttavia, un lieve bussare mi distolse dai miei vaneggiamenti.
“Si?”
“Perdonate, monsieur…” il dolce profilo paffuto di Camille fece capolino dalla porta, e la vidi entrare con qualche difficoltà, reggendo tra le mani un vassoio coperto da un tovagliolo e tenendo precariamente sotto al braccio una brocca, da cui uscivano calde nuvolette di vapore.
Per quanto me lo consentisse il piede dolorante, mi precipitai in suo soccorso, sfilandole la brocca appena in tempo, affinché non si ripetesse nuovamente l’increscioso incidente di qualche minuto prima.
“Oh, grazie monsieur, temevo mi sarebbe scivolata da un momento a quell’altro, e sarebbe stato un bel disastro…” commentò la graziosa cameriera abbassando lo sguardo, mentre mi superava per posare il vassoio sulla piccola scrivania di cui era dotata la mia modesta stanza.
Leggermente smarrito, vestendo ancora l’indumento da notte sopra ai pantaloni, la seguii.
“Camille, volete spiegarmi…cosa ci fate qui?”
La ragazza si voltò verso di me, sempre tenendo lo sguardo abbassato.
“Vi ho portato dell’acqua!” rispose, sottraendomi la brocca dalle mani e avvicinandosi al catino. “La notte è stata rigida, così questa mattina vostra nonna ha dato disposizioni affinché si facesse riscaldare un paiolo d’acqua da portare nelle stanze…E ho pensato che anche voi ne aveste bisogno…” concluse infine, lanciando un’occhiata vagamente sconcertata al manico di porcellana che giaceva dove avrebbe dovuto esserci la mia caraffa, rotolata invece chissà dove.
Camille non si lasciò scoraggiare, e versò l’acqua bollente nel lavamano.
Ero senza parole.
“E’…è stato davvero un pensiero gentile, da parte vostra…” farfugliai, confuso “E il vassoio?” azzardai.
“La vostra colazione!”
“La mia…colazione?”
Da quando in qua anche io facevo colazione a letto? Mia nonna stava forse risentendo di qualche trauma postumo del viaggio? Ero leggermente preoccupato.
“Pensavo che vi avrebbe fatto piacere…” la ragazza aveva adesso un’aria vagamente imbarazzata, e le sue guance bianco latte, ricoperte di efelidi, si andavano tingendo di rosso.
“Ma…ma si, si certo! Solo che ecco…io non credo sia vostro dovere…servire…me. E’ una vostra iniziativa, o qualcuno vi ha chiesto di farlo?”
Il viso della graziosa Camille era ora tendente al vinaccia.
“E’ una mia iniziativa…” farfugliò “Per…per ringraziarvi della vostra gentilezza. Il viaggio di ieri…la vostra compagnia…è stata piacevole.”
Un sorriso comparve sulle mie labbra per quella sincera forma di gratitudine, assai rara nella mia vita, e non potei fare a meno di allungare una mano per sfiorare la sua.
“E’ un pensiero davvero gentile, vi ringrazio di cuore, anche se non dovevate prendervi questo disturbo. Il viaggio in vostra compagnia è stato piacevole anche per me, cosa ne dite se abbandonassimo i formalismi per darci del tu? Mi farebbe piacere se potessimo diventare buoni amici.”
“Oh, con gioia, monsieur!” il suo volto ora brillava di entusiasmo. Era incredibilmente giovane e tra le sue parole potevo distinguere un leggero accento popolare.
“Andrè, chiamami pure Andrè.”
“Andrè…” Camille mi sorrise  “Ora…devi fare colazione, Andrè.” Esclamò, esibendosi in un leggera riverenza, prima di avviarsi alla porta. Lesto, mi avvicinai a mia volta all’uscio per aprirglielo, e, quando lo feci, mi trovai davanti al naso Oscar, con la mano levata a pugno, pronta a bussare.
“Andrè…”
“Oscar?”
“Camille?”
“Madame…”
Ci fu un attimo di silenzio, poi Camille, dopo un’altra leggera riverenza, questa volta giustificata dalla presenza della padrona di casa, sgusciò via furtiva, allontanandosi velocemente per il corridoio, mentre il ticchettio delle sue scarpe si faceva sempre più ovattato.
Ci furono alcuni istanti di silenzio tra me e Oscar.
“Dunque, Oscar…hai bisogno di qualcosa? O forse dovevi dirmi qualcosa?”
“Io…” Oscar, per una volta, sembrava essere rimasta a corto di argomenti.
“Vuoi entrare?” le domandai, sconcertato quanto lei dal suo momentaneo smarrimento.
I limpidi occhi azzurri di Oscar mi scrutarono sospettosi per alcuni secondi.
“Andrè…questo…è molto sconveniente.”
Perplesso, levai un sopracciglio.
“Sconveniente? Ritieni sconveniente il fatto che ti stia invitando ad entrare?”
“Sai a cosa mi sto riferendo.”
“In tutta grazia, Oscar, no…Non ho la più pallida idea a cosa tu ti stia riferendo…”
Oscar abbassò lo sguardo.
“La cameriera dei Girodelle…” mormorò tra i denti “Non dovresti…insomma, i pettegolezzi... sono nostri ospiti…sarebbe imbarazzante.”
La fissai perplesso, non avendo capito che una vaga sfumatura di quanto mi stava dando ad intendere.
“Quali pettegolezzi? Quella ragazza è solo venuta a portarmi dell’acqua calda!” esclamai.
Gli occhi di Oscar tornarono nei miei.
“Ah…dunque…beh, lasciamo perdere.” Improvvisamente sembrava aver recuperato tutta la sua fermezza. Mi feci da parte per lasciarla passare, ma quando fu sulla soglia Oscar si voltò verso di me.
“Comunque, Andrè, ti consiglio prudenza in futuro. I Girodelle potrebbero aversene a male se venissero a sapere che tu…che voi…che hai una relazione con la loro cameriera.”
“Bene, lo terrò presente se mi venisse qualche grillo per la testa, e cercherò di essere discreto.” Le risposi per accontentarla, vagamente esasperato da quelle insinuazioni. Era una novità per Oscar essere tanto invadente.
Indugiò ancora qualche secondo sulla soglia.
“Ti ringrazio Andrè…e ricordati che è molto irrispettoso chiuderti la porta alle spalle quando c’è una signora nella tua stanza, a meno che tu non abbia deplorevoli intenzioni.” Mi oltrepassò, seria “E adesso, chiudi la porta.” Mi fece eco, da dentro la camera.
Roteai gli occhi al cielo per l’ironia della situazione, e adempii ai suoi ordini.
A prescindere dal fatto che se mai avessi dovuto avere intenzioni deplorevoli, come le definiva Oscar, con una donna, quella donna sarebbe stata lei, ero dubbioso soprattutto in quanto ritenevo che Girodelle si sarebbe sentito più indignato dal fatto che mi chiudevo in camera con Oscar, piuttosto che con la sua cameriera. Ma ognuno aveva i suoi punti di vista.
Quando raggiunsi Oscar vidi che, con il suo occhio di falco, aveva già notato il vassoio con la colazione, e stava sollevando il tovagliolo.
“Colazione a letto?” domandò levando il sopracciglio.
“Il pensiero gentile di una ragazza premurosa.”
“Ah-ah…”
Cambiai velocemente discorso: “Dunque sei venuta per dirmi…”
Oscar stava ancora fissando il vassoio. Mi avvicinai a lei e ricoprii la tazza di latte e le fette di pane imburrato con il tovagliolo.
“Sei venuta per dirmi?” ripetei gentilmente, così da costringerla a guardarmi in volto.
Il suo sguardo era vagamente accigliato, e da quella distanza potei notare due profonde occhiaie scure sotto ai suoi occhi, segno inequivocabile di una nottata in bianco.
Il pensiero di Fersen nella camera accanto, supponevo.
Restammo a fissarci per alcuni secondi, in cui provai ancora quell’inspiegabile sensazione che Oscar mi stesse nascondendo qualcosa…
“Beh…mentre riordini i pensieri, Oscar, ti dispiace se finisco di vestirmi? A quest’ora mia nonna mi avrà già dato per disperso…”
Oscar non ribatté, così mi scostai da lei avvicinandomi al catino, e mi sfilai la camicia da notte dalla testa, rimanendo a torso nudo.
Mi sciacquai il viso con l’acqua calda, e benedissi una volta di più l’anima candida di Camille. Mi passai l’acqua sul collo e sotto alle ascelle, dopodiché cercai tentoni il piccolo asciugamano.
Non c’era.
Mi voltai, cercando di mettere a fuoco la stanza e ogni luogo in cui avrebbe potuto trovarsi, e mi imbattei nello sguardo di Oscar, fisso su di me. Quando i miei occhi si posarono su di lei, distolse immediatamente lo sguardo.
“Oscar, vedi in giro la pezzuola?”
Lei, senza scomporsi, si spostò fino al bordo del letto dove raccolse il pezzo di stoffa, tendendomelo sempre senza guardarmi.
“Oscar?”
Mentre afferravo la pezzuola le sfiorai una mano, e lei la ritrasse come se l’avessi ustionata.
“Ma che ti prende oggi, si può sapere?”
“Niente, perché?” il suo tono di voce era leggermente stridulo.
“No…così, sei strana.”
“E tu sei…mezzo nudo. Rivestiti, per piacere.”
“Cosa? E da quando è un problema per te?”
“E’…è…molto sconveniente.”
“Com’è che oggi sei improvvisamente diventata una fervida sostenitrice dell’etichetta?” le domandai con un sorriso. Per farle un dispetto, visto che la situazione mi stava divertendo, mi avvicinai deliberatamente a lei.
“Ah-ah, ho capito…tu temi il confronto!” la presi affettuosamente in giro “Guarda qua che muscoli!” Esclamai, mettendole un braccio sotto al naso.
“Sei pessimo Andrè.” Fu tutto quello che ricevetti in risposta “Ero venuta per chiederti un favore, ma vedo che ho scelto la giornata sbagliata…forse stai ancora pensando a quella tua cameriera, e non riesci ad essere ragionevole.”
Le sue parole smontarono tutta la mia voglia di scherzare.
“E va bene” sospirai “Servo vostro devotissimo, chiedete e verrete esaudita” commentai con tono piatto.
“Prima devi rivestirti”
“Ai suoi ordini, madame.” Borbottai, infilandomi dalla testa la camicia che avevo indosso il giorno precedente. Mentre mi abbottonavo il gilet le lanciai un’occhiata, notando che mi stava nuovamente fissando.
“Dite che adesso il mio abbigliamento è abbastanza consono alla vostra presenza?” le domandai, mettendomi in mostra.
“Non volevo offenderti, Andrè.”
“Va bene, fine degli scherzi. Allora, di che favore si tratta?”
Lo sguardo di Oscar si fece vagamente imbarazzato.
“Dunque…oggi i nostri ospiti hanno intenzione di recarsi con la slitta fino al piccolo laghetto,  e io dovrei andare con loro.”
“E?”
“E…dato che hanno portato con loro l’attrezzatura per il pattinaggio su ghiaccio, temo che vorranno farne sfoggio…”
“E?”
“E, Andrè, tu devi trovare una scusa per non lasciarmi andare!”
“Cosa?!”
“Inventati qualcosa…a me non è venuto in mente nulla di plausibile, ma tu sei sempre stato più bravo a raccontare bugie, anche quando eravamo bambini riuscivi sempre a cavartela quando non volevi fare qualcosa…”
“Oscar, non siamo più dei bambini! Perché non vuoi andare al laghetto con i tuoi ospiti?”
Oscar non rispose.
“Non sai…pattinare?” azzardai.
Le sue guance divennero di porpora.
Ecco spiegato l’arcano. Oscar doveva primeggiare in tutto, se non sapeva fare qualcosa preferiva gettare la spugna piuttosto che essere mediocre.
Ripensai a quando, anni prima, aveva voluto a tutti i costi aspettare Girodelle sulla strada per Versailles, per dimostrargli che poteva batterlo come e quando voleva in qualunque circostanza.
Se fosse caduta sui pattini davanti ai suoi occhi sarebbe stata un’onta irreparabile per il fiero comandante Oscar François de Jarjayes. Avrebbe preferito uccidere il suo secondo Girodelle piuttosto che doverlo rivedere tutti i giorni a Versailles.
Per non parlare di Fersen…
Per un attimo, un demone maligno si affacciò sulla mia spalla, suggerendomi che sarebbe stata una segreta soddisfazione abbandonarla al tormento di fare una figura assai poco dignitosa davanti al suo caro conte.
Dopotutto lui era svedese, era probabile che pattinasse sul ghiaccio meglio di come andasse a cavallo…
Probabilmente andava anche a pesca di salmoni sui suoi pattini da ghiaccio, doveva essere così che aveva imparato a zigzagare per i corridoi di Versailles con tutta quella grazia e ad accalappiare dame con tutta quella facilità .
Poi i miei occhi si rispecchiarono nei suoi, e sentii la mia voce esclamare, nemmeno avessi avuto un suggeritore nella buca pronto a imbeccarmi la battuta:
“Suvvia, Oscar, se è solo questo il problema, ti insegno io a pattinare!”
Lo sguardo di Oscar si fece leggermente più speranzoso.
Bravo, Andrè.
E adesso come glie lo spieghi che nemmeno tu ti sei mai infilato un paio di pattini?

La contessa Colette era fuori di sé dalla gioia, e io cominciavo a temere che avrei perso anche l’uso dell’orecchio sinistro oltre a quello dell’occhio.
“Guardate! Guardate quelle mucche!!” trillò alla vista di un contadino che rientrava al suo podere con tre giovenche leggermente sfiancate al seguito, mentre la slitta scivolava silenziosa per le campagne, escludendo l’ininterrotto tintinnio dei campanelli appesi ai finimenti dei cavalli.
La contessa si aggrappò al braccio del fratello:
“Victor, ho sentito che Maria Antonietta ne ha due o tre nella sua fattoria al piccolo Trianon, e che beve latte fresco ogni mattina! Oh, Victor, voglio anche io una mucca che faccia latte fresco ogni mattino!”
Girodelle sospirò, vagamente imbarazzato.
Nei duecento metri che avevamo percorso per quel tratto la contessa aveva desiderato, in ordine: una fila di salici per il loro ‘piccolo giardino all’inglese’, una mucca, un cane da pastore per la mucca, un laghetto artificiale in cui tenere pesci orientali l’estate e potervi pattinare l’inverno.
“Ma cara sorella, noi beviamo in ogni caso latte fresco ogni mattina, ce lo porta la lattaia del podere Leroux.”
Colette lanciò un’occhiataccia al fratello, mollando il suo braccio.
“Siete sempre così indisponente nei miei confronti! Non mi sembra di chiedervi molto, dopotutto!” Esclamò offesa, tornando ad infilare le mani nel manicotto di ermellino, mentre il cappellino di piume che si reggeva a malapena sulla sua incipriata acconciatura veniva sballottato di tanto in tanto dai movimenti della slitta. Oscar e Fersen non commentarono. Anche se io avrei giurato di  vedere l’impassibile sguardo del conte alterarsi la frazione di un secondo nel sentir pronunciare il nome della regina.
Quando il laghetto fu in vista, vidi Oscar lanciarmi un’occhiata nervosa, al quale cercai di rispondere con un leggero cenno del capo.
Non preoccuparti, Oscar, se tu rischierai di romperti una gamba, questo pomeriggio, stai pur certa che io me le romperò tutte e due nel tentativo di farti stare in piedi.

Tutto sommato, avevo sottovalutato le mie capacità.
Era più semplice di quel che sembrasse.
Guardai soddisfatto verso la sponda del laghetto ghiacciato, da cui mi ero allontanato all’incirca di…
Mezzo metro? Strano, mi sembrava di aver percorso molta più strada.
Oscar, ancora incerta, mi fissava esattamente da quel punto, e avrei potuto giurare che il suo sguardo non trasmetteva esattamente cieca fiducia nei miei confronti.
“Avanti Oscar, vieni, non è difficile!” esclamai tendendole la mano.
In quel momento Girodelle mi passò davanti talmente veloce che se non avessi ritratto il braccio in tempo mi sarei sicuramente trovato travolto.
“Madamigella, posso avere l’onore di accompagnarvi?” Esclamò galantemente, dopo aver frenato sferzando cristalli di ghiaccio tutto intorno.
Aggrottai le sopracciglia.
Quel damerino pattinatore!
Più camminando che scivolando sul ghiaccio ripercorsi il mio mezzo metro, fino a trovarmi tra Oscar e Girodelle.
“Scusate, Girodelle, mi pare di aver sentito vostra sorella chiedere di voi…laggiù!” esclamai, indicando il punto in cui Colette, che ad onor del vero pattinava quasi meglio del fratello, stava aggrappata al braccio di Fersen con sguardo ammirato.
“Oh…ma vedo che con lei c’è il conte di Fersen. Di certo l’aiuterà lui se dovesse perdere l’equilibrio…”
“Non preoccupatevi, Girodelle, andate pure da vostra sorella, con me c’è il mio attendente…”
Forse avevo un’espressione eccessivamente soddisfatta, perché Girodelle mi lanciò uno sguardo leggermente risentito. Poi si voltò verso Oscar, abbassando il tono della voce.
“Madamigella, permettetemi di dirvi che, in tutta sincerità…non mi sembra che il vostro attendente abbia un buon controllo sulla sua andatura…”
“Parlate di Andrè?” Oscar sembrava stupita “Andrè è un ottimo pattinatore, se è questo che vi preoccupa.”
“In questo caso…” Girodelle, sconfitto, mi lanciò un’ultima occhiata irritata, prima di allontanarsi con grazia sui suoi pattini.
“Ti ringrazio per la fiducia, Oscar.” Esclamai orgoglioso, porgendole la mano.
Oscar però mi fissava, seria.
“Andrè, dimmi la verità, non ti sei mai messo un paio di pattini, non è così?”
“Beh…”
“Sei sempre il solito sbruffone. Perché non me lo hai detto subito?”
Perché volevo fare colpo su di te, Oscar. E non volevo che venissi qua, sola, con Fersen. Quel pensiero attraversò la mia mente veloce, e pregai che non si potesse leggere nell’espressione del mio sguardo.
Oscar sospirò, e mi tese la mano.
“Non fa niente, Andrè. Ci sosterremo a vicenda.”
‘Come abbiamo sempre fatto’ aggiunsi io, mentalmente.
Tremolanti, ci avviammo sulla superficie del ghiaccio. Le mani di Oscar stringevano convulsamente le mie, e percepivo tutta la sua insicurezza a lasciarsi andare su quel terreno scivoloso.
Aveva uno sguardo vagamente terrorizzato.
“Avanti Oscar, non ti lascio cadere…” le sussurrai, cercando di portarla al centro della pista, mentre le mie mani si stringevano più saldamente intorno alle sue.
Cominciai a prendere sicurezza e a provai ad aumentare l’andatura.
La situazione mi stava inebriando, e mi azzardai addirittura a lanciare uno sguardo vittorioso nei confronti di Fersen…
Ma Fersen non era dove avrebbe dovuto essere.
Nel giro di mezzo secondo la situazione precipitò.
Lo scontro con Fersen e la contessa Colette, che arrivavano dalla nostra sinistra, invece che dalla nostra destra, come avevo inizialmente creduto, fu talmente violento ed immediato che non ebbi nemmeno il tempo di realizzare che la mia mano non stringeva più quella di Oscar.
Il cappellino della contessa mi finì nell’occhio buono, le sue braccia attorno al mio collo, e piombammo stesi a terra, in un vortice di vesti, strilla e borotalco, che dalla sua acconciatura si trasferì sul mio volto, facendomi emettere uno starnuto talmente violento che il contraccolpo mi fece sbattere violentemente la testa al suolo.
Dopo alcuni secondi di intorpidimento, sentii le mani della contessa che mi afferravano il bavero della giacca.
 “Victor, credo di aver ucciso l’attendente di madamigella Oscar! Non respira più!”
“Bontà divina!” Gridò Girodelle, precipitandosi in nostro soccorso. Aprii un occhio, aspettandomi di vedere Girodelle che veniva a risollevare la sorella, la quale era completamente stesa su di me, ma quello che vidi fu il vicecomandante delle guardie reali che sfrecciava rapido al nostro fianco, superandoci.
“Viiiiictorrrrrrrrrrr!” Strillò stridula la contessa, che, davanti alla totale indifferenza di suo fratello, si chinò su di me, spremendomi le guance tra le mani inguantate: “Monsieur, mi sentite?! Non morite, vi prego, ne va della mia salvezza ultraterrena!!”
“No movivò contescia se no mi sciofochevete priva voi….” Provai a farfugliare, stretto nella sua morsa. Roteando l’unica pupilla che mi rimaneva, tra le piume del cappellino e il borotalco, vidi Girodelle che si fermava giusto davanti a due figure stese a terra, l’una sopra quell’altra, aggrovigliate tra di loro.
“Boncià discina!” esclamai a mia volta, distinguendo la matassa dorata dei capelli di Oscar fare tutt’uno con quelli di Fersen. I loro volti non erano visibili, ma perfino un cieco, come quasi ero diventato io in quel momento, non avrebbe potuto capire che erano praticamente guancia a guancia.
“Oh, Dio del cielo, madamigella, mi sentite?” domandò Girodelle ad Oscar, che delle due figure era quella che stava sopra.
Fortunatamente, vidi la testa di Oscar sollevarsi mestamente, puntellando i gomiti sulle clavicole di Fersen. Si guardò attorno confusa, con i riccioli dorati che le ricoprivano metà volto, e supposi che non si era accorta di essere stesa sul conte, il quale, tra tutti, sembrava aver avuto l’impatto peggiore visto che era ancora riverso a terra quasi privo di sensi. Oscar si passò disordinatamente una mano sul viso, scostando disordinatamente i capelli che le si erano appiccicati alla faccia, e si tastò un punto che, a giudicare dal suo sguardo, doveva essere dolente.
Immaginavo che lei e Fersen avessero fatto un testa-testa, e non invidiavo affatto il conte in quel momento: sbattere contro alla testa dura di Oscar doveva essere quanto di più doloroso potesse  esistere.
Vidi che Girodelle tendeva la mano ad Oscar e lei lo osservava intontita:
“Girodelle, è la guerra?” domandò farfugliando.
“No, madamigella. Siete caduta dai pattini e…temo abbiate travolto il conte di Fersen.”
“Il conte…Fersen? E dov’è adesso?”
“Hem…sotto di voi, madamigella…”
Oscar abbassò lo sguardo, confusa.
“Oh buon Dio!” esclamò, quasi cadendo di lato.
Girodelle si piegò verso il conte, prendendogli il mento tra indice e pollice, compostamente come era sempre lui, e girandolo da una parte e da quell’altra.
“Conte di Fersen, mi sentite?”
“Ghhhh…” fu l’insensato commento del conte.
“Conte, siete ancora dei nostri?” Chiese, mentre Oscar osservava quasi inorridita, dopo essersi allontanata leggermente dal corpo di Fersen.
“Donne e bambini…” bofonchiò a quel punto Fersen, sempre tenendo gli occhi chiusi “Portate in salvo donne e bambini…”
“Qui ci deve essere un bel trauma cranico…” fu l’unica interpretazione di Girodelle.
Io, dopo essermi assicurato che Oscar non sembrava aver riportato altre ferite, lasciai ricadere la testa di lato, mentre la contessa Colette, sopra di me, farfugliava qualcosa a proposito di confessori e indulgenze per la sua anima gravemente compromessa.

Il viaggio di ritorno in slitta fu il più mesto e imbarazzato avessi mai avuto.
Oscar non aveva più detto una parola dopo che io e Girodelle avevamo dovuto portare a braccia il conte Fersen in carrozza, che era adesso convinto di trovarsi ancora in America e continuava a domandare quando saremmo arrivati all’accampamento. Si era limitata a lanciarmi un’occhiataccia tra la rabbia e il disprezzo, visto che, a quanto pareva, tutta la dinamica dell’incidente era stata a causa di una mia svista. Come se Fersen non avesse gli occhi per vedere dove stava andando. Io, se non altro, ero giustificato dal fatto di possederne solo uno, di occhio. Probabilmente mi ero sbagliato sul conto del conte che andava a pesca di salmoni saettando sul ghiaccio così come saettava dentro e fuori dai letti delle dame. Anche se quel pensiero non mi era di particolare conforto in quel momento, davanti all’ostentata indifferenza di Oscar nei miei confronti, e alla sua preoccupazione per Fersen.
Guardai i volti dei presenti, uno ad uno, ed un unico pensiero si affacciò alla mia mente: ‘se sopravvivo a questa villeggiatura, sarà un miracolo’.

Nota dell'autore
Con un po' di ritardo sono finalmente riuscita ad aggiornare la Villeggiatura^^ Vorrei ringraziare, come sempre, tutte le persone che leggono e commentano, e quelle che mi hanno spronato a proseguire questa storia, che spero continui ad essere di vostro gradimento, nonostante non sia propriamente convinta di questo capitolo...(il cui titolo è 'rubato' alle leggi di Murphy, mio personale vademecum!)
Cercherò di rifarmi nei successivi^^ Baci


  
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