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Autore: Kioto    26/01/2011    8 recensioni
« Vuoi avere un caso? Vuoi salvare l’azienda? Bene, fallo. Mettiti pure in mezzo con Gustav, vai con lui già da stanotte se è necessario. Sei incaricato anche tu stavolta. Contento? »
« Non voglio un caso solo per pena. »
« No, è tuo. Ora non puoi più tirarti indietro, Tom. Vai pure e non tornare finché non hai qualcosa di interessante da dirmi a riguardo. »
Tom si voltò trattenendo un sorriso di vittoria e posò una mano sulla maniglia della porta.
« C’è una precisazione. »
Il ragazzo si fermò, attendendo.
« Ovviamente lavorerai anche con Rebecca. »
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Bill era seduto alla scrivania quando Tom bussò nell’ufficio.
« Disturbo? »
« Certo che no. » gli sorrise.
Tom entrò chiudendosi la porta alle spalle.
« Come va con tutte quelle cose da firmare? »
Bill fece spallucce.
« Non c’è male, ho finito giusto ora. »
« Quindi libero? »
Bill rise.
« Vorrei, ma… » tirò fuori una manciata di bozzetti. « Ho l’ispirazione in corpo! »
Tom roteò gli occhi.
« Come tuo solito! »
Bill rimise a posto i bozzetti, poi tornò a guardare il gemello.
« Tutto ok? »
Tom si affrettò ad annuire, aggiungendo poi un sorriso che pareva tirato.
« Sicuro? »
« Che problemi dovrebbero esserci?! » sbottò, voltandosi verso la vetrata.
Bill batté la matita sulla scrivania.
« Mh non so, una certa Rebecca, ti dice niente? »
Tom si pietrificò a metà strada e sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
« Bill, ne abbiamo già parlato e sai come la penso. »
« Sì, certo che lo so: lei ti ha deluso e tu sei così arrabbiato che non riesci proprio a fartene una ragione e a metterci una pietra sopra, nonostante tu ci tenga a lei. »
« Andiamo, mettiti nei miei panni! » Tom allargò le braccia, voltandosi.
« Mi sto mettendo nei tuoi panni! La sola differenza è che io non me ne starei qua a parlottare con mio fratello sapendo che la ragazza che amo sta per lasciare Amburgo per sempre. »
« Io non amo Rebecca! »
« Forse no, ma di sicuro provi qualcosa per lei che dovrebbe distruggere la barriera che ti sei creato. »
Tom non rispose, voltandosi di nuovo.
Bill rimase a guardare le sue spalle, poi si alzò e lo raggiunse.
« Sai anche tu che ho ragione, Tom. Lo sai perfettamente. »
Il fratello non rispose nemmeno quella volta e non si voltò nemmeno a guardarlo. Era la prova che Bill aveva ragione. Tom sembrava davvero affranto da quello che era successo ed era arrabbiato con Rebecca, ma contemporaneamente non voleva perdonarla; aveva paura che lei avrebbe fatto qualcosa in grado di ferirlo di nuovo. Un’idea forse stupida, si disse, ma che lo tormentava costantemente.
Sospirò e Bill aprì di nuovo bocca, prima che qualcuno bussasse alla porta, interrompendolo in partenza. Si voltarono entrambi.
« Avanti. » disse lo stilista.
La porta si aprì e il viso di Rebecca sbucò da dietro essa. Tom sbiancò, girandosi di nuovo verso la finestra.
« Scusa Bill, non pensavo fossi occupato.. volevo solo salutarti. »
Lui le andò incontro sorridente.
« Tranquilla, non crei alcun problema! »
La fece entrare nella stanza, chiudendo poi la porta e l’abbracciò.
« Mi spiace che tu abbia deciso di trasferirti, ma spero che vada tutto bene. »
Rebecca annuì con la testa.
« Ti ringrazio. Ti auguro il meglio anche io, prometto che seguirò con costanza il tuo operato. »
Bill sghignazzò.
« Non c’era bisogno lo dicessi, sapevo già che l’avresti fatto! » ironizzò. Poi si voltò verso Tom, che dava le spalle ad entrambi. « Tom, tu non la saluti? »
Rebecca si affrettò a scuotere la testa.
« No, io devo davvero andare, credo di essere già in ritardo e forse non è la cosa migliore da… »
Bill la bloccò scuotendo a sua volta il capo e sollevando una mano all’altezza della sua bocca, come per farla tacere.
« Vi lascio soli. »
Lo stilista si allontanò e uscì mentre Rebecca mormorava: « No, Bill, veramente… ».
Dopo lo scatto della maniglia, calò il silenzio. Nessuno dei due parlava e non si guardavano. Rebecca fissava la moquette per terra e Tom il cielo scuro sopra la Germania.
« Io… » cominciò lei. « …credo di doverti delle scuse, mi sono comportata male e lo so. »
« Buon per te. » rispose Tom freddo, ancora di spalle.
Rebecca si trovò quasi soffocata da quella situazione e si passò distrattamente una mano fra i capelli, tesa.
« All’inizio ero completamente dalla parte di Georg. Non me ne fregava niente di cosa facevo, erano soldi e li volevo. Così ho iniziato a lavorare intrufolandomi qua dentro. Quando poi hanno messo in atto il progetto per mandare in rovina l’azienda entravo davvero in gioco io ed ero l’unica persona in cui Georg riponesse le proprie speranze. Ian era un pochino geloso, come te all’inizio. Solo che la sua gelosia poi s’è trasformata in possessione. Era convinto che, un giorno, io e lui avemmo avuto una vita insieme e così si è messo a farmi la corte per mesi e mesi. Nel frattempo, dovevo badare anche alla missione che avevo per conto di Georg e recitare la parte di Rebecca, l’agente segreto di Bill Kaulitz. Poi sei arrivato tu. Georg ha sempre provato un odio immenso più per te che per Bill, perché tu eri sempre con lui e farlo fuori era più complicato. Mi aveva descritto la tua personalità in modo così cinico che mi ero fatta un’idea su come potevi essere… ma mi sbagliavo. Non avevo fatto i conti col “conoscerti davvero”. Col passare del tempo, Ian si è accorto che non gli rivolgevo più le dovute attenzioni e ha iniziato a fare un po’ più di testa sua, coalizzandosi con Georg in maniera spaventosa e minacciandomi se qualcosa sarebbe andata male. Da lì partì l’idea della bomba nel mio vestito e non fu un caso quando la sua pallottola beccò me anziché te. Georg andò su tutte le furie quando lo seppe e Ian rischiò davvero grosso quella volta. La notte a Milano, la nostra prima notte insieme, Ian sentì tutto. Per quello sono andata via senza dirti niente: non volevo metterti ulteriormente nei casini. Ho raccontato a Ian che era stato tutto a causa mia e Georg ha messo in avanti l’idea di farti cadere ai miei piedi. Ma io non volevo usarti per far crollare Bill.. e Ian lo capì. Capì che per me non era un gioco quello che c’era fra di noi, capì che lo stavo lentamente sostituendo con te e che le sue possibilità con me diminuivano sempre più. Quando siamo rimasti nella macchina a Milano, Georg era così furioso che per poco non fece fuori sia me che Ian. Nel piano lui doveva tenerti occupato, ma io ti ho seguito e questo l’ha fatto imbestialire; Ian è un tipo molto impulsivo e irascibile. Per tutto il tempo non ha fatto altro che minacciarmi alle spalle di Georg che non ne sapeva niente. Ben presto, la situazione mi portò a difendere te e accadde che Ian decise di agire da sé, agganciandomi un microchip che trasmettesse ai suoi computer ciò che dicevo. Fu così che entrambi scoprirono che eri venuto in azienda da Bill e quando poi hanno inscenato la morte di Georg, era la fine per me. Tu sei scappato lasciandomi qui da sola e loro mi avevano in pugno. Non sapevo dove fossi, ero preoccupata e per di più soggetta a continue minacce da parte loro. Non seppero mai che aiutai Gustav a farti uscire di prigione, né che andai a trovarti. Non glielo raccontai. E non mi dissero nemmeno che sarebbero stati presenti all’ultima sfilata, così io non sapevo nulla di quello che avrebbero fatto. Ho cercato di fermarti, di convincerti a lasciare andare me ma.. è stato tutto inutile. Mi dispiace, Tom… mi dispiace davvero tanto per tutto quello che è successo e.. cazzo, non riesco nemmeno a spiegarmi. Hai tutti i diritti per essere arrabbiato con me e lo capisco. Volevo solo farti sapere come sono andate le cose. »
Rebecca non aveva preso fiato nemmeno un attimo, aveva parlato e raccontato tutto svuotandosi come una brocca piena d’acqua. Tom l’aveva ascoltata dandole sempre le spalle e solo quando lei ebbe finito si voltò lentamente.
Non sapeva tutto quello che Rebecca gli aveva detto e non l’aveva mai minimamente pensato; per lui la colpa era di lei e basta e invece no. C’era dell’altro in mezzo e capì, con immensa gioia, che anche Rebecca era stata una vittima di Georg.
« Questo dovrebbe farmi cambiare idea su di te? »
Lei lo guardò con il suo solito sguardo minaccioso.
« Non ho detto questo. Volevo solo farti sapere come sono andate le cose, niente di più. »
Tom non la guardò e poi lasciò scivolare lo sguardo in basso. Varie immagini di tutto quello che era successo gli passarono per la mente e il silenziò calò di nuovo nella stanza. Rebecca lo ruppe di nuovo.
« Comunque devo andare. Almeno mi sono tolta un peso raccontandoti tutto. » fece spallucce. « Addio, Tom. »
Non avrebbe mai voluto pronunciare quelle parole, soprattutto rivolgendole a Tom. Ma la situazione sembrava non richiedere altro.
Si voltò lentamente, sperando con tutte le sue forze che lui la fermasse.
Ma la porta si faceva sempre più vicina e solo quando la aprì sentì la voce di Tom.
« Reb.. » la chiamò.
Lei si voltò col cuore in gola. Tom non riuscì a sostenere il suo sguardo.
« Stammi bene. »
Rebecca lo fissò da capo a piedi e annuì.
« Grazie. » mormorò, prima di uscire.
Tom guardò la porta.
L’aveva davvero lasciata andare così?
Rebecca si poggiò alla porta, chiudendo gli occhi e sospirando. Non poteva credere che fosse finito tutto in quel modo.
Si staccò debolmente dalla porta e chiamò l’ascensore da cui uscì la segretaria di Bill, Gudrun. Questa la salutò e lei rispose con un sorriso stretto. Si infilò velocemente nell’ascensore e arrivò rapidamente al piano terra. Inforcò un paio d’occhiali da sole e uscì dall’azienda.
« Hey Becky! »
Rebecca si voltò e vide Gustav correrle incontro.
« Sono passata a casa tua ma non c’eri, non sapevo fossi qui. »
« Stai davvero andando via? » ignorò lui.
Rebecca abbassò lo sguardo.
« Ho altra scelta? »
« Sì che la hai! Puoi restare, lavorare qui come hai sempre fatto. »
La ragazza scosse la testa.
« Non posso Gust.. non posso.. »
Lui sospirò.
« E’ per Tom, vero? »
« No, è per me. Mi sono comportata male con tutti voi e probabilmente non riuscirei nemmeno a guardarvi in faccia. »
« Potresti almeno provarci. »
Rebecca sorrise.
« Apprezzo i tuoi tentativi, ma non credo sia possibile. »
Gustav sospirò di nuovo.
« Hai parlato con Tom? »
La ragazza voltò lo sguardo da un’altra parte, come per evitare l’argomento.
« Più o meno. »
« Più o meno cosa significa? »
« Significa che gli ho raccontato tutto e lui non ha detto una parola. »
L’amico sbuffò.
« Becky, lo sai com’è lui.. ha bisogno di tempo.. »
« No, io non lo conosco affatto e lui non conosce me. Ho cercato di farmi perdonare ma evidentemente non è possibile. Ognuno andrà avanti per la propria strada. »
Gustav non seppe più cosa dire. Rebecca controllò l’ora sull’orologio che aveva al polso.
« Devo andare.. »
Gustav allargò le braccia e si abbracciarono.
« Abbi cura di te. » le sussurrò.
« E tu non cacciarti nei guai. »
Lui sorrise un poco e poi Rebecca si allontanò entrando nella sua macchina. Mise in moto e si allontanò, uscendo dal parcheggio. Alle sue spalle, Gustav la salutava e l’azienda si allontanava sempre di più.
Tom aveva osservato tutto dalla vetrata dell’ufficio di Bill, e questo era appena rientrato. Sedeva alla scrivania, ma fissava Tom.
« L’hai davvero lasciata andare? »
Lui non rispose.
Dentro sé si fece strada una strana sensazione di vuoto e la domanda di Bill non fece altro che aumentare quella sensazione.
« Tom, diamine! »
« Bill non è facile! Quello che ha fatto è.. »
« E’ più importate ciò che ha fatto di ciò che entrambi provate? Lei sta aspettando te! »
Tom sbuffò e si prese la testa fra le mani.
Perché cavolo era lì? Poteva ancora cambiare il corso delle cose, no?
Bill sembrò leggergli nel pensiero.
« Il suo treno parte fra 20 minuti. »
Tom lo guardò con la coda dell’occhio e lo vide chinarsi nuovamente sui suoi bozzetti.
Strinse un pugno, mentre vide in lontananza un bagliore illuminare una parte di cielo; come un uragano.
Gli era perfettamente chiaro cosa doveva fare, e non esitò.
Una volta arrivata in stazione, Rebecca tirava il trolley con aria assente. Un altro zaino pendeva sulla sua schiena e aveva una borsa bianca poggiata sul trolley. Con l’altra stringeva l’ombrello che aveva aperto quando aveva iniziato a piovere.
Aveva guardato il tabellone una ventina di volte e per una ventina di volte si era dimenticata qual era il binario.
La gente attorno a lei si muoveva con fretta e impazienza, ma lei più tempo ci metteva meglio era. Poteva sempre dire di aver perso il treno, tornare da Bill e chiedergli se poteva restare ancora per un po’.
No, si disse scuotendo la testa. Doveva andare via di lì. Nonostante sentisse voci chiamarla.
Il suo treno venne annunciato per la prima volta e Rebecca velocizzò il passo.
La pioggia scrosciava attorno a lei e la gente cercava di ripararsi come meglio poteva.
« Rebecca! »
Si voltò sentendo qualcuno pronunciare il suo nome, ma non vide nessuno. Probabilmente non cercavano lei.
Cercò il binario con lo sguardo e quando lo trovò aumentò ulteriormente il passo, cercando di non scontrarsi con le altre persone che percorrevano la sua stessa strada o quella contraria.
« Reb! »
Quella volta lo sentì più vicino e si voltò completamente.
Il cuore le salì rapidamente in gola e davanti a lei si fermò un Tom completamente fradicio, da capo a piedi.
Respirava a bocca aperta e a pieni polmoni.
« Non puoi andare. »
« Cosa? Tu.. »
« No! » sollevò una mano in aria, bloccandola. « Lasciami parlare. »
La ragazza serrò le labbra e stette ad ascoltarlo.
« Non puoi andare via. Non adesso che so veramente chi sei e non dopo tutto quello che c’è fra di noi. Perché entrambi sappiamo che siamo legati più di quanto vorremmo ammettere. E mi scuso per il mio fottuto orgoglio che non mi ha permesso di dirti queste cose prima, ma ti chiedo col cuore in mano di.. non andare. »
Lei scosse la testa in maniera quasi impercettibile e poi si guardò attorno. Tom stava ancora sotto la pioggia.
« Mi mandi a fanculo dopo che ho rischiato la vita per te, ti ho raccontato tutto quello che è successo e ho messo in gioco i miei sentimenti a causa tua, e tutto ciò che ho avuto è stato un “stammi bene”. Ora arrivi qui con chissà quale mania di eroismo, magari suscitata da qualche sermone arabo di Bill e ti permetti di dirmi che non posso andare per il semplice fatto che ti sei svegliato adesso?! »
Tom lasciò zigzagare gli occhi sull’espressione stravolta della ragazza.
« Sì. » ammise spudoratamente.
Lei restò basita e poi mollò il trolley.
« Lurido figlio di puttana! » lo spinse via. « Farabutto! Egocentrico! Egoista! Spocchioso! Vanitoso! Orgoglioso! Testardo! Bugiardo! E stronzo! » ad ogni parola gli dava un colpo che lo faceva indietreggiare. « Come osi venire qui e dirmi cosa devo o non devo fare dopo che mi hai lasciata agonizzare nel mio brodo per questi giorni sapendo che ero seriamente pentita?! Razza di.. »
Tom le bloccò la mano con un solo gesto e con l’altra l’avvicinò a sé, piazzandosi poi sotto l’ombrellone con lei e baciandola. Rebecca non riuscì più a parlare.
Le labbra di Tom erano umide, sapevano di pioggia. Quel contatto le era mancato per troppo tempo e di colpo tutta la rabbia che le era salita in corpo svanì come polvere. Infondo, in quel momento lei non voleva davvero andare via; voleva solo stare con Tom.
« Resta per me. Resta con me. » mormorò lui, sentendo che lei si era calmata.
Rebecca lo fissò a quella distanza minima. Le sue gambe non avrebbero retto ancora molto.
Il suo treno venne annunciato di nuovo e un fischio echeggiò nella stazione. Voltandosi, lo vide in partenza.
Voltò di nuovo lo sguardo verso Tom che continuava a stringerla a sé; poggiò la testa sul suo petto, socchiudendo lentamente gli occhi.
Tom trattenne un sorriso felice e non avrebbe mai voluto slegare quell’abbraccio.
« Mi dispiace.. » mormorò lei.
Lui bloccò qualsiasi altra parola semplicemente stringendola a sé.
« Andiamo a casa. » le sussurrò allora.
Lei annuì ancora poggiata alle sue spalle, poi si scostò lentamente e riprese il trolley con la borsa sopra, ormai quasi completamente bagnati.
Lo tirò via e mise l’ombrello in modo che potesse coprire anche lei e Tom.
« Sai, non ci speravo più. » bisbigliò.
« In cosa? »
« Nel vederti arrivare per chiedermi di restare. »
Tom sfoggiò un ghigno sul viso.
« Però l’ho fatto. »
Rebecca nascose un sorriso soddisfatto e represse un “grazie al cielo”.
Era felice di essere con Tom ed era felice che quella storia si fosse conclusa in quel modo. Georg era in prigione e lei stava continuando la sua vita in compagnia di Tom. Passo dopo passo, oltre ad essere sempre più vicini all’uscita della stazione, ad entrambi sembrava di diventare sempre più forti e uniti.
Era come se l’uragano nella quale erano stati risucchiati, si fosse dissolto.
Tom le cinse una spalla, aggrottando le sopracciglia.
« Mi sono sempre chiesto una cosa. »
Rebecca lo guardò.
« Cosa? »
Il ragazzo si voltò ad osservarla, fermandosi di botto. Gli abiti gli aderivano sempre più alla pelle ed era sicuro che si sarebbe ammalato se non si fosse riscaldato in fretta. Ma non era quello il punto; aveva Rebecca davanti a sé.
Si strinse nelle spalle, pensando di essere tremendamente idiota, e si convinse sempre più di aver fatto la scelta giusta.
Lei attendeva ancora una risposta.
« Tom, allora? »
Tom si schiarì la voce e poi la baciò di nuovo. Poi, si avvicinò al suo orecchio.
« Posso chiamarti anche io Becky? »
   
 
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