Capitolo secondo
Jane passò il viaggio, che fortunatamente fu
brevissimo, a guardare l’orso alle sue spalle in modo da cogliere eventuali
movimenti minacciosi. Non che avrebbe saputo cosa fare, in caso ne avesse
fatti, ma almeno sarebbe stata pronta.
-Guarda che Bill mangia solo spazzatura.-
commentò Erik svoltando a destra.
-Beh, per come mi sento in questo momento,
potrebbe anche scambiarmi per spazzatura.- commentò Jane senza pensare,
poggiandosi al finestrino. Subito dopo aver pronunciato quelle parole se ne
pentì: non le aveva detto, Jud, che in quel paese i pettegolezzi giravano in
fretta? Non era il caso di far sapere a tutti quello che le era successo!
Erik si accigliò e la guardò per un istante,
per poi concentrarsi sulla strada –Non mi sembri spazzatura. Mi dispiace,
comunque.-
Sorpresa che anche lui, come Jud, suonasse
del tutto sincero, Jane lo ringraziò e tornò a guardare di sottecchi l’orso.
Erik sorrise e scosse la testa prima di fermarsi davanti alla locanda: era un
piccolo edificio di legno su due piani, deliziosamente campagnolo. Dietro una
casetta così piccola, decorata di piante rampicanti, le enormi montagne
innevate formavano un effetto davvero spettacolare.
-Wow.- mormorò scendendo dal camioncino e
pensando, per la prima volta da quando era scesa dal pullman, che forse aveva
scelto il posto giusto.
-Non male, eh?- le sorrise Erik.
-Decisamente.- commentò Jane con gli occhi
brillanti –Grazie mille del passaggio.- si riscosse poi, prendendo le sue
valige.
-Nessun problema. Hai bisogno di aiuto per
portare le valige?- si offrì.
-Ce la faccio, grazie. Occupati pure di
questo coso… cioè, di Bill.- si corresse, stranamente divertita –Immagino che
ci vedremo.-
-Credo proprio di si.- rispose Erik e,
salutandola con un gesto, mise in moto e si allontanò, portandosi dietro
l’orso.
Jane trascinò le valigie fino alla porticina
di legno e la aprì. Questa le diede il benvenuto con un cigolio e Jane entrò in
un piccolo corridoio che sboccava in una stanzetta che fungeva da hall. Dietro
a un banco coperto di una tovaglia rossa sedeva un ragazzo dai capelli color
cenere che, non appena entrò, alzò su di lei gli occhi castani e li sbarrò,
spalancando la bocca per la sorpresa.
-Ehm… salve.- salutò Jane incerta: era così
sbalordito per l’arrivo di una cliente? Non dovevano fare grandi affari in quel
posto –Io… vorrei una camera. Il mio nome è…-
-Jane Watson.- concluse per lei il ragazzo
guardandola con un sorriso incredulo –Sei… cioè, lei è Jane Watson, vero?-
-Ah… si. Il tu andava benissimo, comunque.-
precisò Jane poggiando il trolley e prendendo la carta d’identità.
-Io sono un suo… un tuo, un tuo grande fan. Ho letto tutti i tuoi libri.- rivelò il
ragazzo.
-Oh, ma certo, sei Rob!- esclamò Jane.
-Hai ricevuto la mia e-mail?- domandò il
ragazzo sbalordito –O hai guardato il tuo fun club?-
Jane si guardò attorno, cercando le parole
–Ecco, in effetti mi ha parlato di te Jud, della caffetteria, ma… sono certa di
aver letto l’e-mail, anche se in questo momento non mi viene in mente.-
-Certo, certo, è ovvio, devi riceverne
centinaia.-
Jane sollevò le sopraciglia: no, centinaia
proprio non ne riceveva, decisamente.
-Ma vorrai una stanza. Immagino che tu sia
stanca… per quanto tempo ti fermerai?- domandò Rob prendendo il registro degli
ospiti. Sbalordita per l’assenza di un computer, Jane rispose –Si, ecco, in
effetti non ne sono sicura. Due settimane, un mese, un anno… boh.- sollevò le spalle –Ti creo
problemi se non ti do una data precisa?-
-Assolutamente, certo che no!- le assicurò
Rob –Ecco, la nostra stanza migliore. Vieni, ti porto le valige.- disse e,
prima che lei riuscisse a protestare, le aveva afferrate e si era avviato su
per le scale. Jane lo seguì su per una scalinata stretta e quando arrivarono al
primo piano Rob aprì la prima porta –Ecco qui. Spero che ti piaccia.-
Jane entrò e si guardò attorno: senza dubbio
non era gigantesca, ma a chi importava? C’era un letto, una lampada e una
piccola scrivania. In bagno c’era anche la doccia: aveva tutto ciò che le
serviva –Bellissima, è perfetta. Grazie.-
Con un enorme sorriso, Rob andò sulla soglia
–Sono contento che ti piaccia. Ti lascio a sistemarti… per ogni cosa, sono di
sotto. Oh… facciamo solo colazione, ma per pranzo e cena c’è il locale di Jud e
Zac, vanno lì praticamente tutti.- rimase un secondo in silenzio, poi concluse
–Bene, vado. Ciao.-
Sorridendo, Jane aprì la sua valigia e tirò
fuori una canotta grigia, una felpa nera e dei jeans. Non vedeva l’ora di darsi
una lavata e di mettere a lavare quegli indumenti che erano durati per tutto il
viaggio. Prima, però, tirò fuori il cellulare.
-Maledizione, non prende.- sbottò. Aprì la
finestra e provò di nuovo, ma non cambiò nulla. Iniziò a vagare per la stanza,
alzando e abbassando il cellulare. Alla fine, trovò un punto: all’angolo prima
della porta, in basso, una cinquantina di centimetri dal pavimento. Si sedette,
poggiandosi al muro, e digitò il numero di sua sorella.
-Una volta arrivata lì ti sei resa conto di
non poter sopravvivere e vuoi tornare a casa?- domandò Mary non appena rispose
al telefono.
-Ciao, Mary, si stro bene grazie mille, il
viaggio è andato bene. E comunque no, non voglio tornare. La gente è simpatica,
qui, sono molto ospitali. Farei a meno degli orsi, ma…-
-Per orsi intendi uomini grossi, pelosi e scorbutici, vero?- la interruppe la
sorella.
-No.- rise Jane in risposta –No, c’è un vero
e proprio orso che a volte viene in città, pare. Pensa, lo chiamano Bill.-
Mary si mordicchiò un’unghia, seduta nel suo
ufficio a New York –Jane, in che diavolo di posto sei andata a ficcarti? Con
tutte le città che ci sono al mondo…-
-Non preoccuparti, Mary! Và tutto bene,
davvero! Magari mi ci vorrà un po’ per abituarmi ma… credo di poter
sopravvivere, davvero.-
-Lo spero. Senti…- Mary s’interruppe,
incerta –No, niente.-
-Cosa?-
-Ecco… non so se dovrei dirtelo, ma Dan è
stato qui oggi. Voleva sapere dove sei e non gliel’ho detto… ho fatto bene?-
-Certo che hai fatto bene.- rispose
rapidamente Jane con una fitta al cuore –Grazie, sei sempre la migliore.-
-Lo so.- sospirò Mary –Vedi di chiamarmi
regolarmente e di rispondere alle mie chiamate, chiaro?-
-Ecco, in realtà il cellulare non prende
quasi mai. In questo momento sono accucciata sul pavimento, è l’unico punto
della stanza in cui c’è campo.- ammise Jane.
-Oh poveri noi.- scosse la testa Mary –E va
bene. Lascia almeno all’albergo il mio numero. Voglio essere avvisata se vieni
sbranata da un orso o sepolta da una valanga.-
-Va bene, va bene.- scoppiò a ridere Jane
–Ti adoro.-
-Anche io, o avrei già smesso di
preoccuparmi per i tuoi colpi di testa.- commentò Mary roteando gli occhi
–Ciao.-
-Ciao.- rispose Jane con un sorriso un po’
malinconico per la distanza della sorella. Non erano abituate ad essere così lontane,
dopotutto erano gemelle e avevano sempre vissuto assieme.
Jane si fece una rapida doccia e, lasciando
asciugare i capelli all’aria, uscì dalla stanza. Infilando portafoglio e
cellulare nella borsa scese nella hall.
-Ciao.- la salutò Rob indossando una giacca
verde militare –Stai andando a cena?-
Jane gli rispose annuendo –Credo che andrò
all’Insonnia, è l’unico posto che conosco.-
-Beh, Jane, mi dispiace dirtelo ma è l’unico
posto che c’è. Ci sto andando anche io.- le sorrise il ragazzo –Se ti và,
possiamo andarci insieme.-
-Magari!- rispose la ragazza: era strano
essere lì da poche ore e conoscere già quattro persone. Strano in un modo
piacevole, decise. Così, i due uscirono assieme dalla locanda.
-Ti spiace se passiamo da Hope, prima?-
domandò Rob mentre imboccavano quella che, intuì Jane, doveva essere la strada
principale, ossia quella in cui si era fermata con l’autobus e in cui sorgeva
l’Insonnia.
-No, certo, andiamo pure… chi è Hope?-
domandò la ragazza.
-Giusto. L’estetista, parrucchiera nonché
barbiera del paese.- spiegò Rob –In realtà, di solito Joe si occupa delle
occupazioni da barbiere e Hope del resto, ma spesso si scambiano se c’è
bisogno.-
-Capito.- annuì Jane –Devi… tagliarti i
capelli?- domandò: i capelli di Rob le sembravano già abbastanza corti.
-No, prenoto la piega per mia madre, sai.
Sono i sacrifici che bisogna fare quando si vive con i genitori.- scosse le
spalle Rob.
-La locanda è loro?- s’informò Jane.
-Si. Io ci lavoro spesso, ma in realtà ho
una stazione radio. Beh… insomma, ho l’unica stazione radio del paese, in
effetti, quindi non è che io abbia molta concorrenza. Poche stazioni prendono
qui, per via delle montagne.- spiegò lui.
-Ovviamente.- ridacchiò Jane: mai avrebbe
pensato di potersi trovare in un posto tanto disperso.
-Il negozio è questo.- indicò. La vetrina
era assolutamente anonima e, in qualche modo, Jane la preferì a quelle di New
York, chiassose e colorate, zeppe di foto di tagli di capelli che in realtà i
parrucchieri non erano in grado di eseguire. Almeno, qui non mentivano: i tagli
delle poche foto erano tutti piuttosto semplici. Rob entrò nel negozio e Jane
lo seguì, guardandosi attorno. C’erano tre donne e un uomo: due erano in
attesa, una donna si stava facendo lavare i capelli da una ragazza dai
liscissimi capelli castani e l’uomo stava dicendo addio ai suoi capelli lunghi
fino alla schiena per dare il benvenuto ad un taglio decisamente più corto.
-Ehi Joe.- salutò Rob –Hope. Signor Darling, è sceso a valle prima quest anno.
Signorine…- Rob salutò tutti con un sorriso sulle labbra, dopodichè passò alla
presentazioni –Lei è Jane Watson. Rimarrà alla locanda per un po’.-
Due delle donne la riconobbero: avevano
letto i suoi libri –Come mai è venuta qui, signorina Watson? Non vive a New
York?- domandò una, quella che si stava lavando i capelli.
-Non fare queste domande.- la redarguì
l’altra signora –Non hai sentito che suo marito… oh! Mi perdoni, non ne vuole
parlare, immagino.- esclamò portandosi una mano alla bocca. Jane sbiancò,
sorpresa: come faceva a saperlo?
-Signore, non siamo qui per spettegolare.-
le rimproverò il ragazzo con le forbici in mano, che doveva essere Joe.
-E per fare cosa, allora?- sbottò l’uomo a
cui stava tagliando i capelli –Mi faccio tutta questa strada ogni sei mesi,
voglio almeno qualche novità.-
-Devi
scusare il signor Darling.- sorrise la parrucchiera, che Rob aveva presentato
come Hope –Vive sulla montagna est, proprio in cima. Quando viene qui vuole le
ultime novità… e non sa né tenere la bocca chiusa né comportarsi civilmente!-
lo rimproverò con allegria.
-Non c’è problema.- sorrise Jane, ma sentì
comunque le lacrime fare capolino: non aveva considerato che, in una piccola
città, tutti avrebbero saputo ciò che era successo. Forse la sua scelta non era
stata la migliore… si morse la lingua: no,
doveva smettere di farsi condizionare così.
-Volevo prenotare la piega per mia madre,
hai posto domani?- cambiò discorso Rob, lanciando un’occhiata a Jane che lo
ringraziò con un sorriso.
-Certo. Dille di venire nel pomeriggio.-
rispose Hope e, dopo essersi salutati, Rob e Jane uscirono. Non appena ebbe
sceso il gradino davanti al negozio, però, Jane dovette inchiodare, poiché era
quasi andata a scontrarsi con un ragazzo poco più alto di lei, dagli occhi
scuri e i capelli molto ricci.
_____________Nota di Jane
Eccoci al capitolo due, spero vi sia piaciuto e… ehi,
ho visto che le letture sono tante, quindi ringrazio tutti quelli che hanno
solo letto oltre a chi ha commentato! Spero che decidiate di lasciare un
commentino o una critica, ma l’importante è che continuiate a leggere!
Un bacio,
Jane