***
Pavarotti
era senz’altro un bellissimo nome
per un canarino.
Quel pomeriggio Blaine l’aveva portato alle prove del Glee
Club della Dalton,
ovviamente a sua insaputa. Non si sarebbe mai sognato di entrare a
farne parte
dopo il suo fallito tentativo di spiarli, di sicuro quei due
là si ricordavano
perfettamente di lui, com’è che si
chiamavano… ah sì, Wes e David. Per non
parlare del fatto che avrebbe significato anche gareggiare contro le
Nuove
Direzioni, e Kurt non voleva altri problemi.
“Dove
mi porti ora?”
“Ho dimenticato il libro di chimica in un’aula e
devo assolutamente recuperarlo”.
Certo Blaine, come no. Avrebbe
dovuto
capirlo.
Kurt non sapeva perché mai Blaine l’avesse fatto,
forse per distrarlo dalla
discussione avvenuta in biblioteca, forse, forse no.
Rimosse l’ipotesi senza pensarci più di tanto.
Fatto
sta che all’improvviso si ritrovò in
un’aula colma di ragazzi
in divisa, e
questi lo applaudivano, applaudivano lui e non sapeva il
perché, seduti su dei
divani dall’aria pregiata –che ci facevano dei
divani in una scuola?- con
espressioni di approvazione che sembravano dire ‘benvenuto
fra noi’. In che
mondo era finito? Era sempre lui? Il Kurt Hummel che veniva
abitualmente
picchiato e gettato nei cassonetti?
In
quel momento la conversazione avvenuta due ore prima in biblioteca non
gli era
passata neanche per la mente.
Ora,
era ufficialmente uno di loro, l’idea
non gli dispiaceva, in fondo sembravano tutti gentili, nessuno aveva
detto una
parola spiacevole sulla “ex-spia”, anche se sapeva
benissimo di essere stato
riconosciuto. Neanche una parola, forse Blaine si era occupato di farli
tacere,
là dentro sembrava come dire… un
pezzo
grosso?
Ora che lui era un Warbler, le antiche tradizioni della Dalton Accademy
volevano che, per un certo periodo di tempo, gli fosse affidato un vero
e
proprio warbler. Un uccello
canterino, insomma.
Scacciò dalla mente ogni possibile gioco di parole
squallido, quei doppi sensi
non gli si addicevano, non si addicevano né a lui ne
all’ambiente in cui si
trovava. Ma, Gaga, era impossibile non pensare male. Che cosa avrebbe
detto
Santana in quella situazione?
“Prenditene
cura, lui rappresenta la tua voce”.
Non gli dispiaceva ospitarlo nella sua camera, le sue piume gialle
avrebbero
creato un contrasto gradevole con il grigio-dior
delle pareti, pensava mentre lo caricava in auto.
Tornò a casa, passò per l’ingresso
dell’officina, come suo solito aspettandosi
di trovare suo padre alle prese con qualche gomma da sostituire o
candele da
cambiare.
“Ciao
papà, sei qui?”
“Tuo padre non c’è, gli servivano dei
pezzi di ricambio ed è uscito un attimo a
comprarli… è un canarino quello?” la
voce di Finn veniva da dietro la
carrozzeria di una vecchia auto, stava seduto su uno sgabello, facendo
qualche
passo in avanti Kurt potè vederlo.
“Ah” replicò con noncuranza. Perché
diavolo sei qui?
Finn
si ricordò improvvisamente della
discussione avvenuta la sera prima.
“Tuo padre mi stava facendo vedere come è fatto un
motore”.
“Affascinante” poggiò la gabbietta sul
tavolo.
“Kurt, per quanto ancora hai intenzione di andare avanti
così? Guarda che se è
per ieri ti chiedo scusa, ma per favore, ho litigato anche con Rachel
stamattina, sei l’unico amico che mi è rimasto con
cui posso davvero parlare”.
Era la seconda volta che si scusava in due giorni, doveva essere
proprio solo,
in fin dei conti, Finn non era più uno dei ragazzi
più popolari del McKinley,
non era più il quarterback, non stava più insieme
alla bionda capo-cheerleader,
ma con la bruna bassa e insopportabile Rachel. A pensarci bene, molte
cose
erano cambiate dall’anno precedente, forse anche Finn voleva
cambiare, cambiare
per lui, per la sua famiglia, per la loro
famiglia.
“…Siamo amici vero?”
Kurt si girò verso di lui e si apoggiò al tavolo
a braccia conserte.
“Perché
hai litigato con Rachel
campione?”
“Mhm… nulla, cioè si, come al solito ho
perso il filo dei suoi discorsi e lei
si è offesa credendo che non la stessi ascoltando”
Kurt soffocò una risatina.
“Perché adesso ridi? Non è
divertente”
“No, scusa, stavo solo pensando a quanto le cose siano
cambiate dall’anno
scorso a oggi, cioè, adesso tu e
Rachel state insieme, se ci pensi, esattamente un anno fa tu stavi con
Quinn e
credevi di diventare padre da un momento
all’altr…” si morse la lingua,
credendo di aver premuto un tasto dolente.
Finn non ci fece caso, forse fece finta di non farci caso, ma sorrise.
“E tu adesso mi avresti risposto ‘Rachel
è sempre irritata nei tuoi confronti
perché è una donna e le donne sono un giorno
allegre e un giorno tristi’ no?”
Affermò sorridendo.
Touchè Finn. Aveva
intenzione di
premere anche lui un tasto dolente? O
non lo aveva fatto apposta?
“Sai…” riprese Finn “Sono
contento di non essere diventato padre”
“Vorrei ben vedere” ridacchiò Kurt.
“No, quello che intendo, è che se quella bambina
fosse stata veramente mia,
sarei dovuto rimanere con Quinn e non avrei mai avuto occasione di
conoscere
Rachel, di conoscerla bene.”
Kurt sorrise, pensò che Finn ci tenesse davvero a Rachel,
pensò al modo in cui
la guardava al matrimonio.
“Anche tu sei cambiato” continuò Finn.
“Cambiato?”
“Si, Kurt” lo guardò negli occhi
“Ti ricordi come eri l’anno scorso? Sempre in
un angolo silenzioso, per conto tuo, chissà cosa pensavi di
noi”
“…” Pensavo
che tutti voi indossaste dei
terribili vestiti e che avreste avuto bisogno di qualche buon consiglio
in
fatto di moda.
“Ora sei più aperto, parli con gli altri, sorridi,
l’anno scorso non mi ricordo
di averti visto una sola volta sorridere, Kurt.”
E sorprendentemente era tutto vero ora che ci pensava, Finn era
più perspicace
di quanto pensasse, forse durante l’estate i suoi unici due
neuroni si erano
trovati e avevano deciso di recuperare il tempo perduto.
“Sei più forte, Kurt”.
Ok, ora era in imbarazzo. Cosa rispondere?
“Ok, va bene, smetto di tenerti il broncio, ma per favore, la
prossima volta,
risparmiati questa nenia inutile” sorrise, ma Finn sapeva che
Kurt l’aveva
preso sul serio, la sua nenia, e restituì il sorriso.
“Vado
a cambiarmi, quando tornerò voglio
vedere se in materia di motori sei più preparato di
me” disse Kurt con tono di
sfida.
“Ci sto”.
Quando tornò, Kurt indossava solo un paio di jeans scoloriti
e una t-shirt
grigia con un accenno di olio per motori sulla manica che non si era
voluto
arrendere allo smacchiatore. Nessuna
giacca, nessuna camicia con le borchie, niente anfibi: gli abiti meno
appariscenti che gli avesse mai visto addosso.
“E’ la mia tenuta da officina”
spiegò.
“Avevi paura di macchiare la tua nuova uniforme?”
“Non sai forse che ho un tipo di abbigliamento diverso per
ogni occasione?” e si
avvicinò all’auto da esaminare.
“Allora… questo è un motore a quattro
tempi, questa è la candela di accensione,
la valvola d’aspirazione
e questa invece
e la valvola di scarico e…”
“E lui chi è?” lo interruppe Finn
indicando la gabbietta che ospitava il
piccolo volatile.
“Oh…beh, lui è Pavarotti,
un…”
“Un
uccellino appartenente a una stirpe di
canarini che vive qui alla Dalton dal 1891. Il tuo compito è
prenderti cura di
lui affinchè possa vivere per continuare la tradizione dei
Warbler. Proteggilo.
Quell’uccello rappresenta la tua voce.”
“…Un
regalino di benvenuto da parte dei miei
nuovi compagni”
“Waw… quindi ti sei integrato bene,
immagino”
“Sono tutti molto gentili”
“E hai trovato… si, insomma, qualche ragazzo
carino?”
Kurt scoppiò a ridere.
Davvero Finn Hudson gli stava chiedendo se alla Dalton avesse trovato ragazzi carini? E il tono in cui
l’aveva
detto poi, pieno di imbarazzo! La cosa era esilarante quanto assurda.Ma
chissà,
forse Finn voleva dimostrargli di non essere contro la sua
omosessualità o
qualcosa del genere, che dolce.
Finn riprese.
“Si insomma Kurt, volevo sapere se hai ancora quella cotta
per me”
Kurt si bloccò di colpo, fermando anche le risate. Ecco dove
voleva arrivare,
dai motori erano passati alle questioni di cuore? Il potere di Finn di
deviare
un discorso era degno di lode.
Finn temette di aver toccato ancora un tasto dolente e si
pentì subito di aver
fatto quella domanda. “Puoi non rispondere se
vuoi…”
“No, Finn non preoccuparti” replicò in
fretta “comunque la risposta è no… non
ho più…”
“Si, ho capito, non preoccuparti”
Sorrise sollevato, ora avrebbero potuto essere amici, amici per
davvero. Non
doveva più temere nulla.
“Sai… mi piace un'altra persona”
aggiunse imbarazzato.
Oh dio. “Oh…
dio Kurt, senti, se si
tratta di Sam è meglio che tu sappia
che…”
Kurt
scoppiò a ridere un’altra volta.
Certo, non che Sam Evans fosse merce da scartare, anzi, doveva
ammettere che
era proprio un bel ragazzo –un gran
figo-
ma non era proprio il suo tipo… per una miriade di ragioni!
“Oh no, non preoccuparti non è Sam”
“Oh… lo conosco?”
“Non credo Finn, è alla Dalton”
“Oh…” era nella nuova scuola da un
giorno e aveva già un altro ragazzo per la
testa.
“E’ molto gentile con me”
Finn sorrise “Sono contento”
“Davvero?” lo sguardo di Kurt si accese.
“Si, davvero, spero tanto che funzioni fra voi due”
e ci sperava davvero
“Voglio che tu sia felice Kurt” .
L’aveva detto con un tono serio, quello che usava quando
diceva la verità, lo
stesso di quando l’aveva sentito dire ti amo a Rachel.
Lo
stesso tono che suo fratello stava usando
con lui ora per augurargli di essere felice.
La reazione di Kurt fu un sorriso immediato, avrebbe voluto correre ad
abbracciarlo, un forte e sincero abbraccio fraterno, ma temeva di infrangere qualche regola
invisibile. Si
limito a dire:
“Grazie Finn”
Forse, chi lo sa, sarebbero davvero andati d’accordo come in
un'unica e grande
famiglia. Una cosa era certa, Finn ce la stava mettendo tutta e Kurt se
ne era
accorto.
*
“Quindi,
cosa farai per San Valentino?”
Caffetteria della Dalton, ore 12 e 30.
“Oh, penso proprio che porterò Monica al cinema,
danno quel nuovo film. Non mi
ricordo il nome ma sono sicuro che è un film
d’amore. Non voglio certo fare la
figuraccia di due settimane fa con quell’orribile film sui
mostri alieni di
gelatina” disse Ruben mentre sorseggiava il suo capuccino.
“Hey! Ho adorato quel film!”
“Si, ho capito Paul, ma alle ragazze non piace quel tipo di
film. Bisogna
portarle a vedere dei film romantici, così si sentono vicine
a te, capisci?
Sono contente, e se la tua ragazza è
contenta…”
“…Trova
il modo di ripagarti, dico bene?”
disse Ronald battendo il pugno con l’amico davanti.
“Tu cosa farai Wes?”
chiese poi Ruben
“Beh ragazzi, chiamatemi fortunato, perché proprio
il giorno di San Valentino i
miei sono fuori città per un convegno di lavoro e il signor
Wes davanti a voi
avrà la casa tutta per sé e l’occasione
di ospitare una certa Nancy”
“Vai così Wes!” fece di nuovo Ronald.
Ne seguirono altre ovazioni e Blaine e Kurt si scambiavano occhiate di
compassione reciproca. Nel sentire quei discorsi di autoemancipazione
sessuale
c’era un che di patetico e insopportabile. Era un supplizio
troppo grande ed
era la ragione principale per cui Blaine si rifugiava spesso in
biblioteca
nella pausa pranzo. Quel giorno però avevano deciso di
unirsi agli altri alla
luce del sole, per non far credere a tutti che il motivo per cui si
rinchiudevano ogni giorno in biblioteca fosse di essere dei misantropi
associali… o un altro.
“Tu
che farai Blaine?” chiese Ronald
lanciando una rapida occhiata a Kurt.
Blaine
trovava Ronald insopportabile. In ogni
maniera. Apparteneva a una delle famiglie più ricche della
città, viziato,
arrogante, irrispettoso verso le donne e faceva continue allusioni e
battutine
sugli omosessuali, quindi anche su di lui, ovviamente non quando si
trovava nei
paraggi ma lo sapeva perché ogni tanto lo aveva sentito, e
ignorato, cercando
di non cedere alle sue provocazioni. Ora che era arrivato anche Kurt
senz’altro
non lo avrebbe risparmiato dalle sue squallide battutine, dicendo
qualcosa sui
canarini magari.
“Non lo so Ron, non ho ancora deciso”.
*
“Odio
San Valentino” fece Kurt mogio, quando
ormai era solo con Blaine in biblioteca.
“Io odio Ronald” rispose prontamente Blaine che
ripensava alla pausa pranzo.
Sfogliava un libro sull’ikebana,
senza prestarci molta attenzione. Guardava le pagine e basta.
“E’ una festa così… insulsa e
ipocrita” continuò Kurt “E’
stata fatta solo per
regalare cioccolata, fiori, o cose così, è
ridicolo.”
No. La verità era che Kurt aveva passato ogni San Valentino
della sua vita da
solo. In realtà anche lui avrebbe voluto essere partecipe di
quella festa,
magari avere qualcuno da cui farsi regalare cioccolata, fiori, o cose
così. Non
che ci sperasse ancora. No, meglio non sperarci.
“Sei mai stato innamorato Kurt?”
chiese Blaine dalla sua sedia, alzando appena lo sguardo verso
l’amico in piedi
davanti a lui. La domanda non aveva voluto essere ne provocatoria o
invadente,
sembrava per lo più posta per soddisfare una semplice
curiosità. Blaine
attendeva una risposta, non era neanche imbarazzato per aver posto la
domanda.
Kurt invece, lo era per entrambi.
“Ehm…forse” riuscì a dire.
“Come sarebbe a dire forse?
O è si, o
è no.”
Ci pensò un attimo e gli piombarono in mente due o tre
immagini, tutte con lo
stesso soggetto.
Finn.
La prima, era di lui che lo difendeva da Puck, la prima volta che lo
aveva
visto. La seconda non riusciva a metterla a fuoco, non ricordava bene,
Finn nei
corridoi, forse.
La terza invece era nitida, Finn avvolto in una tenda da doccia rossa,
che
diceva… non se lo ricordava neanche più cosa
diceva.
La sua espressione era seguita attentamente dallo sguardo di Blaine.
“Si” disse infine “l’anno
scorso… una piccola cottarella per uno.”
Una piccola cottarella Kurt?
Hai pianificato di far innamorare tuo padre con la signora Hudson
soltanto
perché il tuo obiettivo era di finire ad abitare insieme a
lui, e magari di
dormire nella stessa camera,… o nello stesso letto, no? Ammettilo, almeno una volta
ci hai sperato.
“Solo
una cottarella?”
“Si si, nulla di serio” rispose prontamente
“Non gli piacevo neanche”
“Ah… Intendi dire che…”
“Non giocava per il nostro team, esatto” concluse
in fretta. Non era un
argomento di cui voleva parlare con Blaine. Sapeva di non provare
più nulla per
Finn, ma era comunque strano accostare il ricordo della sua prima cotta
ai
sentimenti che provava ora per Blaine. Erano diversi, tutto qui.
“Soltanto lui?” disse sorridendo maliziosamente.
“Si” ricambiò un sorriso imbarazzato
“ti ricordo che fino a tre settimane fa
non avevo ancora ricevuto un bacio”
“Non c’entra molto con l’essere
innamorati” disse ridacchiando.
“Già…
è vero” Pensò Kurt fra
sé.
“Quindi, cosa farai a San Valentino?” chiese poi
Blaine.
Kurt ruotò gli occhi, come se stesse pensando, poi li
ruotò verso l’amico
alzando il sopracciglio.
“E tu?” adesso era il suo turno di sorridere
maliziosamente “Prima, con gli
altri, hai detto che non hai ancora deciso nulla, ma a me lo puoi
dire”
“Dirti cosa?” gli occhi di Blaine non avrebbero
potuto essere più belli in
quell’espressione perplessa.
“Dirmi se fai qualcosa per San Valentino”
Insistè Kurt.
“Qualcosa.” Si grattava il mento con
l’indice “Qualcosa… mhm…
Qualcosa per San
Valentino?” ripeteva come se non avesse compreso la domanda.
Si
Blaine, qualcosa per San Valentino. E’
esattamente quello che ho chiesto, si.
La
campanella.
“Facciamo tardi a studi sociali” rapidamente Blaine
si alzò e prese la
cartella.
“Non mi hai risposto”
“Ti risponderò quando tu risponderai a me e mi
dirai i tuoi programmi per
San Valentino” e terminando la frase con
un largo sorriso di vittoria si avviò verso i corridoi.
*
“Eccolo,
arriva”
“Te lo ribadisco, è esattamente come dico
io”
“No Ronald, fidati di me, non è assolutamente il
tipo”
“Lo è lo è, mi ci gioco i venti dollari
che ho in tasca”
La
discussione fra David e Ronald era andata
avanti da giorni ormai. Era cominciato tutto quel giovedì,
il giorno dopo
l’ingresso di Kurt nei Warblers.
“Quell’Hummel, il nuovo” aveva detto Wes
quando erano tutti riuniti in
caffetteria “E’ bravo, si vede che ha la
stoffa”
“Si, concordo”
“Blaine ha visto giusto, deve avere un radar per scovare i
talenti”
“Eh-hem”
Qualcuno seduto attorno alla tavola in mezzo a loro aveva tossito di
proposito.
“Si Ronald? Volevi dire qualcosa?” aveva chiesto
Wes con la sua solita maschera
di diplomazia.
“Miei
cari compagni, mi sembra chiaro che il
nostro caro solista Blaine ci nasconda qualcosa. E’ evidente
come faccia gli
occhioni dolci al nuovo arrivato.”
“Cosa?”
“Naah, ma chi? Blaine?”
“Non è il tipo!”
“Si Ron” Intervenne David “Il fatto che
entrambi siano gay non sta a significare
che..”
“E dai! Non dirmi che non hai notato il modo in cui quei due
stanno sempre
attaccati l’uno all’altro.”
“E’ ovvio Ron, Kurt è nuovo e Blaine
è l’unico ragazzo che conosce qui, è
più
che normale che si appoggi a un amico in un ambiente nuovo dove non
cono-”
“Penso che sia reciproco”
“Eh?” David non avrebbe mai smesso di stupirsi
delle cose assrude che Ronald
riusciva a dire, e non avrebbe mai smesso di irritarsi per tutte le
volte che
lo interrompeva.
“Penso che anche il novellino sia interessato al nostro
solista” aveva bevuto
l’ultimo sorso del suo cappuccino per poi alzarsi e
rivolgersi sorridente ai
suoi compagni:
“Vi dimostrerò che non mi sbaglio”
Così
ebbe inizio tutto, Ronald aveva
continuato insistentemente a sostenere la sua tesi, finchè,
quel giorno, decise
di dargli un fondamento: delle prove.
E chi avrebbe potuto dargliele meglio del novellino?
Era riuscito a trovarlo nell’intervallo fra la terza e la
quart’ora.
Stava in corridoio, da solo e senza Blaine, che fortuna.
“Ciao” aveva detto quando si era avvicinato a lui
sfoggiando un sorriso a tutto
denti “Non so se ti ricordi di me, ma ero anche io alle prove
dei Warblers
ieri, inoltre, siamo nella stessa classe di biologia, mi chiamo Ronald
McRiver”
e detto questo gli tese la mano.
Kurt la strinse di rimando, chiedendosi come mai in quella scuola
fossero tutti
così amichevoli e gentili.
“Oh piacere, io sono Ku-“
“Lo so chi sei” lo interruppe mentre continuava a
sfoggiare una delle sue
espressioni cordiali più finte “Mi hanno chiesto
di avvertirti che le prove
oggi cominceranno una mezz’ora prima, non mancherai
vero?”
“No no, non lo farei mai, stai sicuro che
verrò” Kurt rispose al suo sorriso,
sembrava un tipo gentile.
“Ottimo allora, ci vediamo là”
E detto questo fece dietrofront e si dileguò a grandi passi
in mezzo a quel
labirinto di corridoi.
Ed
ecco che ora Ronald e David si trovavano
seduti entrambi sul divano posto al centro della stanza riservata per
le prove,
in attesa che il novellino
arrivasse.
“Ma non avevi detto di averlo sentito arrivare?”
sbuffò David.
“Devo aver sentito male, arriverà a momenti, ne
sono sicuro”
“Senti, mi spieghi di nuovo perché lo stai
facendo?”
“Mi sembra di essere stato chiaro David, è per il
bene della squadra. Non
possiamo ammettere favoritismi nei Warblers, tutti sono uguali e per il
nuovo
arrivato è meglio capirlo subito. Noi siamo le persone
giuste per fargli capire
come vanno le cose qui”
Ma David conosceva perfettamente la verità, come conosceva
bene il suo amico
Ronald. La verità era che Ronald non avrebbe mai ammesso,
neanche sotto
tortura, di sbagliarsi su qualcosa. Era malato di orgoglio e odiava
perdere, ma
in fondo gli voleva bene. La maggior parte delle volte era
l’unico ad essergli
veramente amico, e l’unico che stava a sentire le sue
idiozie.
Le labbra sottili di Ronald si incurvarono in un piccolo sorriso quando
la
maniglia della porta si abbassò piano per far comparire
dietro di essa la
figura del nuovo Warbler. Fece ingresso timidamente, era da solo.
Blaine non
gli aveva detto nulla sul cambio d’orario, e sembrava non
saperne nulla visto
che non si era presentato.
“Ma come? Siamo solo noi?” disse quando vide che
c’erano solo loro due nella
stanza.
“Oh, si, gli altri arriveranno a momenti non
preoccuparti” fu la risposta
pronta di Ronald. Indicò il divano posto davanti a quello
dove stavano seduti
loro, per invitarlo a mettersi comodo. Kurt poggiò la
cartella e si sedette.
“Non ti abbiamo visto a pranzo” continuò
Ron
“Non devi essere timido sai? Sei un Warbler ora,
hai tutti i diritti di
sedere con noi al nostro tavolo” e sfoggiò un
altro sorriso.
Kurt aveva passato ancora una volta la pausa pranzo in biblioteca in
compagnia
di Blaine e di Balzac. Gli era piaciuto leggere
“Papà Goriot”, ma pur di
evitare di ascoltare di nuovo accesi dibattiti sulle tette in
caffetteria
avrebbe letto anche “La Divina Commedia” in un
giorno.
Decise comunque di non rivelare dove e, soprattutto, con chi avesse
passato la
pausa pranzo. Gli era sembrato che quel Ronald si fosse fatto
l’idea sbagliata
su lui e Blaine.
“Oh,
ho avuto… si, da fare. Ripassare
lezioni, preparare compiti, cose così” Non se la
cavava un granchè a inventare
bugie sul momento.
“Capisco, so che la Dalton Accademy pretende molto dagli
studenti e non sempre
è facile ambientarsi, specialmente per gli studenti che
provengono da altre
scuole”
“Ah, beh si, immagino che comun-“
“Come ti trovi qui Kurt?” finalmente si era
ricordato del suo nome.
Kurt si guardò intorno, per vedere se arrivava qualcuno.
Nessuno. Aveva un
brutto presentimento. David che stava seduto davanti a lui sembrava in
qualche
modo assente, guardava il cellulare, digitava qualcosa, non partecipava.
“E’ bello qui, i ragazzi sono gentili ma le lezioni
un po’ difficili ma cerco
di fare del mio meglio” disse la verità stavolta.
“Sai, ho saputo che vieni da un ambiente difficile, mi
è parso di capire che
nella tua vecchia scuola ci fosse qualche problema di bullismo. Voglio
essere
sicuro che la cosa non accada qua, ti sei fatto degli amici Kurt? Ho
visto che
passi molto tempo con il nostro solista Blaine”
E ora dove vuole arrivare?
“Si, siamo amici” Solo
amici Ronald,
capito? L’idea non piace neanche a me.
“Oh si, Blaine è un ragazzo fantastico,
lo conosco bene”
“Ma che…”
David staccò gli occhi dal cellulare
e con uno scatto spostò lo sguardo verso Ronald,
più confuso che mai. Quando
mai era stato amico di Blaine? Si conoscevano soltanto
dall’inizio dell’anno
scolastico e capitava di rado che si scambiassero qualche parola.
Inoltre
sapeva che Blaine lo trovava insopportabile.
Ronald gli tirò un calcio per farlo tacere.
“Davvero?” Kurt si fece attento.
“Da molti anni ormai” rispose pronto Ronald
“E’ un bene che voi siate amici, il
consiglio stava giusto pensando di
farvi cantare insieme una dolcissima ballad, che ci
assicurerà sicuramente il
primo posto alle regionali”
Un duetto? Con Blaine? Kurt non potè
fare a meno di arrossire al
solo pensiero.
Ronald lo notò e capì di aver fatto centro.
“C’è un motivo per cui Il consiglio ha
scelto te, ha visto come ti stai
impegnando nello studio e con il glee. Blaine … Blaine
invece no, ecco, ha
continuamente la testa fra le nuvole. E’ un bravissimo
cantante e ha molto
carisma, ecco perché è il nostro solista
ma… vedi, non è concentrato. E noi non
possiamo permetterci di perdere le regionali, ne va del prestigio della
scuola,
capisci?”
Kurt annuì.
“Mi sembri una persona che sa cosa voglia dire essere
responsabili, Kurt. Prima
il dovere e poi il piacere. Prima bisogna assolvere i compiti che la
tua
posizione richiede, e poi… beh, e poi tutto il resto, amici,
feste, l’amore…” e
si interruppe, girandosi verso
David “Blaine
non sembra averlo capito. Da quando esce con quel ragazzo non
è più lo stesso.
Arriva in ritardo, scarabocchia sui quaderni, è
continuamente distratto…
l’amore fa quest’effetto a tutti.”
Lanciò una rapida occhiata verso Kurt. Il
ragazzo davanti a lui aveva istantaneamente spalancato gli occhi e non
guardava
più davanti a se. Ronald riuscì a intravedere
anche dalla divisa, il suo petto
gonfiarsi a causa del respiro che si era fatto più pesante.
Ancora più
rapidamente, rivolse di nuovo lo sguardo verso David.
“Quanto saranno adesso? Due, forse tre settimane che ha
smesso di esercitarsi a
dovere, non che ne abbia granchè bisogno sia chiaro, almeno
trova l’ispirazione
per interpretare canzoni come… Teenage
dream, quella nuova di Katy Perry.”
E boom, il colpo di
grazia.
Kurt,
al suono di quelle parole, si sentì la
terra mancare sotto i piedi. Blaine aveva un ragazzo. Si
sentì un perfetto
idiota.
Ronald, invece, si fece sfuggire un sorrisetto, uno di quelli che si
aprono
solo da un lato della bocca.
“L’hai sentito anche tu mentre la cantava
no?”
Kurt
capì che non poteva stare in quell’aula
un secondo di più.
“Oh,
certo” si afrettò a prendere la cartella
da terra. “Scusami, ho dimenticato di avere un impegno
urgente, devo andare.”
Si alzò e sparì dietro la porta, per poi correre.
Correre verso l’uscita
cercando di fermare le lacrime finchè poteva.
David,
che fino a quel momento era stato
spettatore, si voltò verso Ron. Aveva uno sguardo che diceva
chiaramente ‘hai
esagerato’.
“David…” la voce di Ronald fece eco
nella stanza.
“Si?”
“Mi devi venti dollari”.
*
Era
la prima volta che Blaine saltava le
prove del glee. Sapeva che quel gesto non sarebbe stato visto di buon
occhio
dagli altri Warblers, specialmente da Ronald, che avrebbe fatto di
tutto pur di
metterlo in cattiva luce. Qualcun altro forse si sarebbe preoccupato,
forse
Kurt si sarebbe preoccupato.
Era proprio Kurt il motivo che l’aveva spinto in quel
cortile, quello che gli
aveva detto esattamente due ore prima in biblioteca. L’aveva
percorso avanti e
indietro, ripetutamente. Era un posto tranquillo e lui aveva bisogno di
liberare la mente. In fondo, lui era sempre stato un tipo solitario.
Negli
ultimi giorni però, si era accorto che passare le pause
pranzo in compagnia di
Kurt in biblioteca era molto più piacevole che passarle da
solo.
Quel giorno erano stati in compagnia di Balzac.
“E’ la prima volta che leggo qualcosa di
Balzac” aveva detto Kurt sfogliando
‘Papà Goriot’ mentre stava poggiato al
muro “Ma se dovessimo farci una
relazione, non saprei proprio cosa scrivere”
Blaine stava seduto su una poltrona con il libro chiuso sulle
ginocchia. Con la
coda dell’occhio dava delle occhiate furtive
all’amico, in piedi a due metri da
lui.
Cominciava seriamente a rimpiangere i
suoi vestiti. Quei vestiti che gli donavano così
tanto, che sembravano cuciti
addosso a lui. I colori, i tessuti, le trame, ogni giorno differenti,
abbinati
in modo da stuzzicare i suoi occhi e a stupirlo ogni volta che lo
vedeva.
Quella divisa aveva cominciato a stancarlo. Certo, all’inizio
aveva pensato che
gli dava un’aria tenerissima, da bravo scolaretto, ma
ora…
“Blaine?”
Il ragazzo seduto si era voltato di scatto, sollevando la testa dallo
schienale.
“Si?” aveva detto scattante.
“Blaine mi rispondi? Ti ho chiesto cosa pensi di scrivere
nella relazione”
“Oh…” Non voleva parlare di libri
accidenti “Beh… Tu non hai ancora risposto a
me” decise così di insistere e cercare di scoprire
qualcosa in più sull’amico.
Anche a costo di apparire sfacciato.
Kurt lo guardò storto.
“Risposto a che cosa?”
“…Alla mia domanda su cosa farai per San
Valentino” aveva detto guardandolo
negli occhi.
Kurt abbassò lo sguardo un attimo, quella era una domanda a
cui era difficile
rispondere. Avrebbe tanto voluto dirgli : ‘da nessuna parte,
sono libero.
Usciresti con me?’ ma la sfacciataggine in passato aveva solo
fatto in modo di
allontanare (e spaventare) i suoi compagni, bastava ricordare Finn, o
Sam. No,
Sam non proprio. Questa volta aveva preferito volare basso. Non voleva
comunque
affrontare l’imbarazzo di dire che non avrebbe festeggiato
con nessuno, come
ogni anno del resto. Rigirò la domanda a suo favore.
“Neanche tu mi hai risposto”
Neanche stavolta Blaine c’era riuscito. Kurt ci aveva presto
gusto ormai a
rivoltare le domande. Aveva evidentemente capito che era il modo per
metterlo
fuori gioco, perché mai e poi mai Blaine avrebbe ammesso che
non avrebbe
passato il San Valentino con nessuno. Decise comunque di continuare a
giocare
la partita.
“Dimmi un po Kurt, che tipo di ragazzo ti piace?”
Aveva osato troppo?
“Come mai parliamo di ragazzi?”
Blaine aveva fatto spallucce.
“Avanti, non ho mai parlato di ragazzi con nessuno, sei
l’unico con cui posso
farlo.”
Kurt aveva alzato un sopracciglio, tuttavia sembrava avergli creduto.
“Mhm,… va bene” ci aveva pensato un
attimo, aveva rivolto lo sguardo in alto
per pochi secondi, per poi riabassarlo verso Blaine e lasciarsi
sfuggire un
sorriso e arrossire.
“Il mio ragazzo ideale…” aveva detto
“Deve essere…” sorrise di nuovo.
“Il mio
ragazzo ideale deve essere gentile, romantico, dolce … e mi
piacerebbe che prendesse
le mie difese”
“Che ti protegga?” aveva detto Blaine.
“Ehm… si” rispose Kurt un po’
imbarazzato “Lo so che non è un pensiero molto
virile ma… da piccolo, quando guardavo con mia madre quei
cartoni della Disney
su principesse che venivano soccorse da bellissimi principi coraggiosi,
beh,
anche a me veniva voglia di … avere un principe tutto per
me.” Era diventato
tutto rosso in viso e Blaine l’aveva trovato così
irresistibile. Ma prima che
avesse potuto rispondergli, Kurt aveva già raccolto la
cartella.
“Sarà meglio che vada ora, alla prossima ho storia
e il professor Rooney mi
farà a pezzi se arrivo in ritardo” aveva detto
ancora in preda all’imbarazzo
più totale per quell’improvvisa confessione.
“Ma come, mancano ancora cinque minuti”
l’aveva fermato Blaine.
“Lo so, ma la classe è all’ultimo piano,
ci vediamo alle prove. A più tardi” e
detto questo sparì dietro la porta, lasciandosi Blaine alle
spalle.
“Si… a più tardi”
Blaine ebbe appena il tempo di alzarsi dalla poltrona, quando
improvvisamente un
pensiero lo travolse come una doccia fredda.
Kurt aveva detto di volere un principe. Un cavaliere senza macchia e
senza
paura,qualcuno pronto a proteggerlo ogni qual volta si fosse trovato in
pericolo.
Lui non era mai stato così.
Lui, Blaine, era fuggito. Aveva permesso ai bulli, a Mark Ross, alla
paura, di
averla vinta su di lui. Era scappato, semplicemente. Nulla di
straordinario.
Ripensò a quando era andato al McKinley per quel
faccia-a-faccia con Dave
Karofsky, anche in quell’occasione non si era mostrato per
nulla coraggioso.
Quando quel gigante l’aveva sbattuto con la schiena al muro,
non aveva fatto
niente. Era intervenuto Kurt a spingerlo via. Nessuna impresa eroica,
nessuna
frase a effetto, nulla per poter catturare la sua
attenzione. Niente.
Non sarebbe mai stato il suo principe.
Quei pensieri non l’avevano lasciato in pace per tutte le due
ore di lezione
rimanenti. Non aveva ascoltato una parola, soltanto pensava che aveva
bisogno
di riflettere, di aria. Quella classe lo soffocava.
Non gli era sembrato vero quando finalmente l’ultima
campanella suonò,
annunciando la fine delle lezioni.
Fuori da quella classe, però, a distanza di circa
trentacinque minuti, lo
aspettavano le prove dei Warblers. No. Non ci sarebbe andato. Non se la
sentiva
di vedere Kurt, guardarlo e sapere che non era abbastanza per lui.
Aveva
bisogno di uscire e subito. Quasi corse nei corridoi, un po’
per la fretta, un
po’ per la paura di incontrare qualcuno che
l’avrebbe trattenuto. Corse, finchè
non raggiunse il cortile sul retro, grande e spazioso. Senza pensarci,
aveva
buttato la cartella per terra, si era sfilato la giacca della divisa,
perché
quella corsa in quei corridoi immensi l’aveva accaldato.
Aveva portato le mani
dietro la nuca e aveva alzato la testa al cielo, chiuse gli occhi e
respirò a
pieni polmoni.
*
Era
passata almeno un’ ora, e lui non aveva
fatto che passeggiare per il cortile, portando alla mente ricordi,
frasi,
pensieri finalmente liberi di uscire. Aveva pensato anche a Heric. Non
era
stato in grado di proteggerlo, il suo amico che non aveva
più rivisto. Era
rimasto la a guardare, a sentire i discorsi di quei vermi, senza mai
cercare di
essere prevvidente,
di fare
veramente qualcosa per evitare che accadesse. Si sentì un
verme anche lui.
Battè un pugno contro il tronco di un albero, forte,
facendosi male alle nocche.
Se avesse alzato il culo forse le cose sarebbero andate diversamente.
Si
appoggiò a quello stesso tronco di un albero e
sospirò, di nuovo gli comparve
nella mente l’immagine di Kurt, un’ immagine che
aveva fatto capolino nella sua
mente sempre più spesso negli ultimi giorni. Avrebbe voluto
diventare
coraggioso. Coraggioso per lui.
Gli tornò in mente la sua voce. Don’t
cry
for me Argentina, oh dio. L’aveva già
sentito cantare in qualche video
delle New Directions dell’anno precedente, ma non avrebbe mai
potuto immaginare
che, dal vivo, la sua voce fosse ancora più bella. Era
sprecato per quegli
incompetenti dei suoi compagni. Era un insulto per lui indossare una
divisa come tutti gli altri e
mischiarsi a loro
ondeggiando dietro di lui, esattamente come facevano tutti
gli altri. Avrebbe tanto voluto prendergli la mano e zittirli
tutti per lasciar cantare solo lui. Far capire a tutti quanto fosse
bella la
sua voce, quanto fosse bello lui. Il consiglio dei Warblers doveva
essere
formato da sordi per non avergli dato l’assolo. Ah, ma gli
sembrava di vederlo
davanti a se, Wes che diceva che non era bene dare troppa corda ai
nuovi
arrivati, di lasciarli rosicare un po’, per fargli abbassare
la cresta. Sospirò
di nuovo.
Non voleva più correre via.
Non era riuscito a proteggere se stesso e non era riuscito a proteggere
Heric,
ma non avrebbe permesso a nessuno di fare del male a Kurt.
Guardò in alto verso
il cielo e raccolse tutto il coraggio nel suo cuore per promettersi di
cambiare, di diventare coraggioso, di diventare come uno di quei
principi, solo
per lui. Solo per Kurt.
Nel
frattempo, dall’altra parte della scuola,
nel parcheggio riservato agli studenti, a bordo di una Cadillac
blu, un certo Kurt Hummel tentava di mettere in moto da
circa mezz’ora, ostacolato dalle continue lacrime che gli
rigavano le guancie e
che richiedevano il pronto intervento della manica della divisa per
essere
asciugate il più in fretta possibile.
Tratteneva i singhiozzi, cercando in tutti i modi di convincersi che
doveva
tornare a casa. Avrebbero cominciato a preoccuparsi seriamente se non
fosse
tornato subito. Non aveva neanche la forza di allacciarsi la cintura,
sarebbe
volentieri rimasto chiuso nella sua auto, a piangere per ore come uno
stupido.
Provò a calmarsi. Poggiò la testa allo schienale
e respirò profondamente.
Si sentiva un idiota. Era stato un idiota ad averci sperato ancora, da
aver
sprecato giornate intere a sperarci, a pensarci e a ripensarci.
Sarebbe stato troppo bello per essere vero, avere Blaine al suo fianco,
stare
insieme, ascoltare quello che diceva, baciarlo. No, impossibile. Come
era stato
impossibile con Finn, ugualmente lo sarebbe stato con Blaine. Ovunque
guardasse
avrebbe sempre e comunque fatto buchi nell’acqua ed era
sempre rimasto col
cuore spezzato.
Scosse la testa. No, basta pensarci.
Si era gia tormentato abbastanza. Raccolse tutti quei pensieri e li
buttò fuori
con un lungo sospiro.
Si strofinò gli occhi arrossati e poggiò la testa
al finestrino. Guardava fuori
per distrarsi e intanto aspettava che i segni del pianto sul suo viso
andassero
via, così avrebbe fatto finta di niente.
Spostò lo sguardo verso il finestrino che nel frattempo si
era riempito di
minuscole goccioline.
Aveva cominciato a piovere.
Accidenti!
Un’altra pozzanghera.
Blaine
aveva ormai l’orlo dei pantaloni
completamente fradicio. Correva sotto la pioggia, riparato soltanto
dalla
giacca tenuta alta sopra la testa come un tetto. Le maniche a penzoloni
gli
coprivano la visuale. Malgrado tutto ciò era comunque
riuscito a raggiungere il
parcheggio degli studenti, ancora qualche decina di metri e sarebbe
riuscito ad
arrivare alla fermata degli autobus.
Kurt si guardò nello specchietto retrovisore, le guance non
erano più arrossate
e gli occhi non erano più gonfi. Ora poteva andare.
Allacciò la cintura e girò le chiavi nel quadro.
La pioggia intanto si era
fatta più insistente e picchiava violentemente sul vetro
dell’auto, rendendo la
visuale opaca. Stava procedendo in avanti quando
all’improvviso un’ombra gli
passò davanti, tagliandogli la strada.
Kurt frenò di colpo e fece un balzo dal sedile.
Oddio, ma quella era una persona!
Abbassò in fretta il finestrino e si
affacciò fuori. Davanti a lui stava un
ragazzo in ginocchio per terra, il viso era coperto da una giacca blu.
Doveva
essere uno studente.
“Va tutto bene?” chiese Kurt.
Il ragazzo per terra si alzò e raccolse la giacca. Appena
Kurt si accorse di
avere Blaine davanti a sè, il suo cuore perse un battito. Il
suo tono divenne
improvvisamente più freddo e sgarbato.
“Guarda dove vai Blaine! Avrei potuto investirti!”
“Mi… mi dispiace Kurt, io stavo andando verso la
fermata e, la giacca non mi
faceva vedere bene e…”
Kurt lo fissava gelido, però non potè fare a meno
di provare un po’ di pena per
lui. Blaine era bagnato dalla testa ai piedi, e poi la pioggia non
sembrava
dell’intenzione di cessare.
“Salta su” aveva detto.
Blaine non se lo fece ripetere due volte. Montò in auto e si
sedette vicino al
volante.
“Ti porto a casa? Dove abiti?” chiese Kurt.
“Ehm, si, grazie” disse imbarazzato
“Evergreen Terrace, sempre dritto e poi a
sinistra… ancora grazie”
Kurt teneva stretto il volante fra le mani cercando di tenere la mente
sgombra.
La delusione si era convertita in rabbia per il ragazzo seduto affianco
a lui.
“Prego, figurati”
“Vai a casa anche tu adesso?” chiese Blaine.
Kurt annuì senza togliere gli occhi dalla strada.
Blaine guardava in basso, non gli piaceva quel silenzio. Aveva notato
che Kurt
era strano, distante. Provò a rompere il ghiaccio con una
domanda, così, per
cominciare un discorso.
“Come è andata a finire con il tuo fratellastro?
Avete chiarito?”
“E ora cosa c’entra
questo?” pensò
Kurt irritato. Aveva cominciato a non sopportare quelle domande assurde
e
inaspettate di Blaine. Dove voleva arrivare ogni volta? Si divertiva a
metterlo
in imbarazzo? A provocarlo in quel modo?
Si, si divertiva. Blaine voleva solo divertirsi. Non sarebbe mai stato
suo. La
rabbia montava dentro di lui, la stessa rabbia che, un secondo dopo,
aveva dato
origine a delle parole, a una risposta a quella domanda che
uscì dalla sua
bocca senza comando.
“Si, alla fine abbiamo chiarito. Finn, il mio fratellastro,
alla fine mi ha
detto il motivo per cui era arrabbiato con me per la storia del
trasferimento,
di Dave Karofsky e di tutto il resto.”
“Ah… e che motivo aveva?”
“Finn
è innamorato di me”
Per
un secondo, che nella sua testa durò
molto più di un secondo, si sentì solo il rumore
del motore. Senza che lo
volessero, le labbra di Kurt si incurvarono in un minuscolo sorriso di
riscatto
all’ascolto di quel silenzio. Blaine per un attimo, non
trovò le parole giuste
da dire, pertanto non disse nulla. Non riusciva a decifrare che tipo di
sensazione avesse provato. Somigliava vagamente a uno scossone, non
violento
però. E’ più o meno la stessa
sensazione che si prova appena si riceve una
pallonata sulle gambe, solo più prolungata e confusa. Blaine
non riuscì a
trovare una metafora migliore o più elegante per spiegarlo,
ma era la prima
volta che provava una cosa simile.
“Oh…” aveva detto dopo
quell’attimo “E’… fantastico,
credo”
“Si” rispose pronto Kurt “credo che
passerò con lui San Valentino dato che me
lo ha chiesto.”
Blaine sentì un’altra pallonata. “Sono
felice per te” si sforzò di dire.
Tenne la testa appoggiata al finestrino, per quei restanti cinque
minuti di
viaggio che lo separavano da casa sua non disse più nulla.
Kurt sembrò non
badarci.
“Allora ciao, grazie per il passaggio,… ci
vediamo” aveva detto una volta sceso
dall’auto.
“Si, ciao” salutò rapidamente con un
cenno della mano.
A Kurt ci vollero più di venti minuti, circa il tempo di
arrivare a casa, per
realizzare che cosa aveva detto. Secondo Blaine, lui e Finn stavano
insieme.
Beh, più o meno.
Sul momento non aveva pensato alle conseguenze, aveva pensato soltanto
a un
modo per riscattarsi su Blaine, di fargli intendere che non viveva per
lui, che
per lui quel tempo passato insieme non contava nulla, che quindi non
avrebbe
mai potuto giocare col suo cuore, che aveva Finn.
Queste erano tutte delle grandissime bugie e Kurt dentro di se lo
sapeva. Ma in
fondo lui non l’aveva pianificato, era stato il suo stupido
orgoglio maschile a
fare tutto.
Si chiese se avesse fatto bene a mettere Finn in mezzo.
D’altronde Finn e
Blaine non si conoscevano, Finn non sarebbe mai stato effettivamente
tirato in
ballo. Aveva soltanto avuto bisogno di un nome, qualcuno di cui
servirsi, e
Finn era stata la palla da prendere al balzo.
Non servì a molto dirsi quelle parole. Sapeva benissimo di
aver fatto una cosa
sbagliata.
Entrò in casa. Non vide suo padre, probabilmente era andato
a prendere Carole
al lavoro e sarebbe tornato verso le otto come sempre. Per un attimo
pensò di
essere solo in casa, quando sentì cinguettare dalla sua
camera.
Pavarotti canticchiava vivace dall’interno della sua
gabbietta reclamando la
pappa, affiancato da una pila di numeri di Vogue
sulla scrivania.
Kurt tirò fuori veloce una ciotola di mangime e la
posò sul pavimento della
gabbietta. Subito Pavarotti cominciò a beccare ingordo, era
affamato. Kurt si
sentì in colpa, non avrebbe dovuto tardare.
“Kurt ti presento
Pavarotti.”
Kurt
scosse la testa meccanicamente per far
uscire quelle parole dalla sua mente. Non ci riuscì, non
riusciva a toglierselo
dalla testa, quella voce.
Era stato lui a porgergli la
gabbietta davanti a tutti gli altri Warblers, era stato lui
a farlo entrare nel glee, era stato lui
a stargli vicino fin dal primo giorno alla Dalton.
Senza volerlo, aveva ricominciato a piangere.
Si buttò sul suo letto con le mani che gli coprivano il
viso, senza pensare a
quanto il suono dei suoi singhiozzi rimbombassero nella camera.
Non
riusciva a fermarsi.
*
Una
bella manciata di minuti più tardi Kurt
trovò la volontà di mettersi seduto. Diede una
rapida occhiata al suo cuscino e
alla chiazza scura di lacrime che si era formata sulla federa.
Pavarotti lo guardava interrogativo da dietro le sottili sbarre dorate
della sua
gabbietta. Kurt filò in bagno. Non voleva vedere che aspetto
aveva, doveva
essere terribile, si sentiva i capelli tutti schiacciati. Purtroppo
dovette
passare di fronte allo specchio e accorgersi di avere le guance e gli
occhi in
fiamme. Senza dire nulla aprì l’acqua del
rubinetto e si tirò i capelli
all’indietro per iniziare i suoi rituali di idratazione della
pelle. Era in
ritardo di circa due ore, ma la cosa non sembrò importargli,
lo faceva stare
meglio di solito e gli avrebbe tenuto la mente occupata.
Il
rumore dell’acqua e la porta chiusa gli
permisero appena di sentire un rumore di chiavi proveniente dal piano
di sopra.
Doveva essere suo padre quindi non si scomodò più
di tanto.
Finn
fece ingresso a casa Hummel più cupo che
mai. Burt aveva deciso di rubargli sua madre per tutta la sera, per
farsi
perdonare gli aveva lasciato le chiavi di casa con dentro il suo
megaschermo e
un bel po’ di soldi per la cena. Ma non era certo questo il
motivo del suo
cattivo umore.
Scese
nel seminterrato. Non vide Kurt, pensò
che doveva essere ancora a scuola. Posò lo zaino a terra e
si buttò sulla
poltrona. Ancora non poteva crederci.
Rachel.
L’unica
persona che ammirava, che stimava,
che aveva mai amato l’aveva deluso come non mai.
Rachel era stata con Puck. Soltanto per vendicarsi. Sentì un
peso enorme sullo
stomaco che lo fece piegare in avanti, chiudere gli occhi e contrarre
le
palpebre forte. Non voleva. Malgrado il dolore non voleva permettersi
di
piangere. Troppo tardi. Una lacrima fuoriuscì dagli occhi
già umidi e andò a scontrarsi
silenziosamente col tappeto sottostante.
Cominciò a piangere in silenzio, con la testa piegata in
avanti. Ancora non
poteva crederci.
Finn
si asciugò le lacrime in fretta quando
sentì la porta del bagno aprirsi. D’un tratto i
due fratelli si trovarono l’uno
davanti all’altro. Dopo
un secondo di
imbarazzo Finn si alzò.
“Ciao… io… non ti avevo
visto.”
“Ciao Finn, mio padre deve averti dato le chiavi”
disse giù di tono “Non hai
gli allenamenti di football oggi?” disse passandogli davanti
e puntandosi verso
lo specchio a figura intera.
“Non ero dell’umore”
Kurt si voltò e lo guardo strano. “Come
mai?”
“Ho lasciato Rachel stamattina.”
Silenzio.
“Oh…” riuscì a dire Kurt dopo
un po’.
“Già.”
Kurt sentì il suo senso di colpa accumularsi dentro di lui.
Finn era
chiaramente distrutto.
“Finn, io… mi dispiace così
tanto” disse con una sincera tristezza nella voce.
“Ma…
perch-“
“Puck.”
“Oh…” riprese ad asciugarsi il viso.
“Sai…” disse Finn tenendosi il viso fra
le mani “a San Valentino l’avrei
portata da Breadstix per farmi perdonare per quello che è
successo con Santana”
fece un piccolo sorriso che gli morì subito sulle labbra. Se
soltanto fosse
stato sincero con lei, tutto questo casino non sarebbe successo.
Kurt sentì il peso della coscienza aumentare sempre di
più. Strinse l’asciugamano
fra le dita.
“Stai bene Kurt?” disse Finn alzando lo sguardo.
Kurt annuì e si rigirò verso lo specchio.
“Si, certo. Solo… mi ha sconvolto un po’
il fatto che hai rotto con Rachel.
Tutto qui.”
“Ne sei sicuro?”
“Certo.”
“Il tuo cuscino è ancora umido”
Kurt si strinse nelle spalle e guardò in basso. Possibile
che fosse stato così
stupido da non rigirare il cuscino? Si preoccupava sempre di farlo per
essere
lasciato in pace.
“Stavi piangendo Kurt? E’ successo
qualcosa?”
Kurt si girò di scatto. Portò una sedia davanti
alla poltrona dove stava seduto
Finn e ci si sedette con le mani sulle ginocchia, come suo solito.
“Finn, ti devo chiedere un favore.”
***
Ok, erano 2 settimane che
non aggiornavo, causa scuola, 2-3 giorni spesi a lavorare a un'altra
fic, pomeriggi passati a dormire. Chiedo perdono xD volevo comunque
aggiornare prima che mandassero in onda le nuove puntate. Spero che
questo capitolo vi sia piaciuto :) le recensioni mi hanno incoraggiato
molto a continuare a scrivere ^_^ Avrete notato che questo capitolo
è un tantino più lungo dei precedenti. Non ho
molto da dire, spero solo di riuscire ad aggiornare in fretta :>
un bacio!
P.S.
Ringrazio tutti quelli che recensionano e sopratutto Ipuccia che si
prende la briga di leggere le mie cose e di segnalarmi gli erroracci.