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Autore: bababortola    31/01/2011    5 recensioni
Quel cambio di vestiario (quell’improvviso cambio di vestiario) e il modo in cui lo faceva sentire gli aveva fatto pensare che da quel momento in avanti, la vita sarebbe stata diversa, avrebbe preso un’altra rotta, una rotta sconosciuta di cui non conosceva i rischi e gli imprevisti.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finn Hudson, Kurt Hummel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***

 

Pavarotti era senz’altro un bellissimo nome per un canarino.

Quel pomeriggio Blaine l’aveva portato alle prove del Glee Club della Dalton, ovviamente a sua insaputa. Non si sarebbe mai sognato di entrare a farne parte dopo il suo fallito tentativo di spiarli, di sicuro quei due là si ricordavano perfettamente di lui, com’è che si chiamavano… ah sì, Wes e David. Per non parlare del fatto che avrebbe significato anche gareggiare contro le Nuove Direzioni, e Kurt non voleva altri problemi.

“Dove mi porti ora?”
“Ho dimenticato il libro di chimica in un’aula e devo assolutamente recuperarlo”.
Certo Blaine, come no. Avrebbe dovuto capirlo.
Kurt non sapeva perché mai Blaine l’avesse fatto, forse per distrarlo dalla discussione avvenuta in biblioteca, forse, forse no. Rimosse l’ipotesi senza pensarci più di tanto.

Fatto sta che all’improvviso si ritrovò in un’aula colma di ragazzi in divisa, e questi lo applaudivano, applaudivano lui e non sapeva il perché, seduti su dei divani dall’aria pregiata –che ci facevano dei divani in una scuola?- con espressioni di approvazione che sembravano dire ‘benvenuto fra noi’. In che mondo era finito? Era sempre lui? Il Kurt Hummel che veniva abitualmente picchiato e gettato nei cassonetti?  In quel momento la conversazione avvenuta due ore prima in biblioteca non gli era passata neanche per la mente.

Ora, era ufficialmente uno di loro, l’idea non gli dispiaceva, in fondo sembravano tutti gentili, nessuno aveva detto una parola spiacevole sulla “ex-spia”, anche se sapeva benissimo di essere stato riconosciuto. Neanche una parola, forse Blaine si era occupato di farli tacere, là dentro sembrava come dire… un pezzo grosso?
Ora che lui era un Warbler, le antiche tradizioni della Dalton Accademy volevano che, per un certo periodo di tempo, gli fosse affidato un vero e proprio warbler. Un uccello canterino, insomma.
Scacciò dalla mente ogni possibile gioco di parole squallido, quei doppi sensi non gli si addicevano, non si addicevano né a lui ne all’ambiente in cui si trovava. Ma, Gaga, era impossibile non pensare male. Che cosa avrebbe detto Santana in quella situazione?

“Prenditene cura, lui rappresenta la tua voce”.

Non gli dispiaceva ospitarlo nella sua camera, le sue piume gialle avrebbero creato un contrasto gradevole con il grigio-dior delle pareti, pensava mentre lo caricava in auto.
Tornò a casa, passò per l’ingresso dell’officina, come suo solito aspettandosi di trovare suo padre alle prese con qualche gomma da sostituire o candele da cambiare.

“Ciao papà, sei qui?”
“Tuo padre non c’è, gli servivano dei pezzi di ricambio ed è uscito un attimo a comprarli… è un canarino quello?” la voce di Finn veniva da dietro la carrozzeria di una vecchia auto, stava seduto su uno sgabello, facendo qualche passo in avanti Kurt potè vederlo.
“Ah” replicò con noncuranza. Perché diavolo sei qui?

Finn si ricordò improvvisamente della discussione avvenuta la sera prima.
“Tuo padre mi stava facendo vedere come è fatto un motore”.
“Affascinante” poggiò la gabbietta sul tavolo.
“Kurt, per quanto ancora hai intenzione di andare avanti così? Guarda che se è per ieri ti chiedo scusa, ma per favore, ho litigato anche con Rachel stamattina, sei l’unico amico che mi è rimasto con cui posso davvero parlare”.
Era la seconda volta che si scusava in due giorni, doveva essere proprio solo, in fin dei conti, Finn non era più uno dei ragazzi più popolari del McKinley, non era più il quarterback, non stava più insieme alla bionda capo-cheerleader, ma con la bruna bassa e insopportabile Rachel. A pensarci bene, molte cose erano cambiate dall’anno precedente, forse anche Finn voleva cambiare, cambiare per lui, per la sua famiglia, per la loro famiglia.
“…Siamo amici vero?”
Kurt si girò verso di lui e si apoggiò al tavolo a braccia conserte.
 “Perché hai litigato con Rachel campione?”
“Mhm… nulla, cioè si, come al solito ho perso il filo dei suoi discorsi e lei si è offesa credendo che non la stessi ascoltando”
Kurt soffocò una risatina.
“Perché adesso ridi? Non è divertente”
“No, scusa, stavo solo pensando a quanto le cose siano cambiate  dall’anno scorso a oggi, cioè, adesso tu e Rachel state insieme, se ci pensi, esattamente un anno fa tu stavi con Quinn e credevi di diventare padre da un momento all’altr…” si morse la lingua, credendo di aver premuto un tasto dolente.
Finn non ci fece caso, forse fece finta di non farci caso, ma sorrise.
“E tu adesso mi avresti risposto ‘Rachel è sempre irritata nei tuoi confronti perché è una donna e le donne sono un giorno allegre e un giorno tristi’ no?” Affermò sorridendo.
Touchè Finn. Aveva intenzione di premere anche lui un tasto dolente? O non lo aveva fatto apposta?
“Sai…” riprese Finn “Sono contento di non essere diventato padre”
“Vorrei ben vedere” ridacchiò Kurt.
“No, quello che intendo, è che se quella bambina fosse stata veramente mia, sarei dovuto rimanere con Quinn e non avrei mai avuto occasione di conoscere Rachel, di conoscerla bene.”
Kurt sorrise, pensò che Finn ci tenesse davvero a Rachel, pensò al modo in cui la guardava al matrimonio.
“Anche tu sei cambiato” continuò Finn.
“Cambiato?”
“Si, Kurt” lo guardò negli occhi “Ti ricordi come eri l’anno scorso? Sempre in un angolo silenzioso, per conto tuo, chissà cosa pensavi di noi”
“…” Pensavo che tutti voi indossaste dei terribili vestiti e che avreste avuto bisogno di qualche buon consiglio in fatto di moda.
“Ora sei più aperto, parli con gli altri, sorridi, l’anno scorso non mi ricordo di averti visto una sola volta sorridere, Kurt.” 
E sorprendentemente era tutto vero ora che ci pensava, Finn era più perspicace di quanto pensasse, forse durante l’estate i suoi unici due neuroni si erano trovati e avevano deciso di recuperare il tempo perduto.
“Sei più forte, Kurt”.
Ok, ora era in imbarazzo. Cosa rispondere?
“Ok, va bene, smetto di tenerti il broncio, ma per favore, la prossima volta, risparmiati questa nenia inutile” sorrise, ma Finn sapeva che Kurt l’aveva preso sul serio, la sua nenia, e restituì il sorriso.

“Vado a cambiarmi, quando tornerò voglio vedere se in materia di motori sei più preparato di me” disse Kurt con tono di sfida.
“Ci sto”.
Quando tornò, Kurt indossava solo un paio di jeans scoloriti e una t-shirt grigia con un accenno di olio per motori sulla manica che non si era voluto arrendere allo smacchiatore.  Nessuna giacca, nessuna camicia con le borchie, niente anfibi: gli abiti meno appariscenti che gli avesse mai visto addosso.
“E’ la mia tenuta da officina” spiegò.
“Avevi paura di macchiare la tua nuova uniforme?”
“Non sai forse che ho un tipo di abbigliamento diverso per ogni occasione?” e si avvicinò all’auto da esaminare.
“Allora… questo è un motore a quattro tempi, questa è la candela di accensione, la valvola d’aspirazione  e questa invece e la valvola di scarico e…”
“E lui chi è?” lo interruppe Finn indicando la gabbietta che ospitava il piccolo volatile.
“Oh…beh, lui è Pavarotti, un…”

“Un uccellino appartenente a una stirpe di canarini che vive qui alla Dalton dal 1891. Il tuo compito è prenderti cura di lui affinchè possa vivere per continuare la tradizione dei Warbler. Proteggilo. Quell’uccello rappresenta la tua voce.”

“…Un regalino di benvenuto da parte dei miei nuovi compagni”
“Waw… quindi ti sei integrato bene, immagino”
“Sono tutti molto gentili”
“E hai trovato… si, insomma, qualche ragazzo carino?”
Kurt scoppiò a ridere.
Davvero Finn Hudson gli stava chiedendo se alla Dalton avesse trovato ragazzi carini? E il tono in cui l’aveva detto poi, pieno di imbarazzo! La cosa era esilarante quanto assurda.Ma chissà, forse Finn voleva dimostrargli di non essere contro la sua omosessualità o qualcosa del genere, che dolce.
Finn riprese.
“Si insomma Kurt, volevo sapere se hai ancora quella cotta per me”
Kurt si bloccò di colpo, fermando anche le risate. Ecco dove voleva arrivare, dai motori erano passati alle questioni di cuore? Il potere di Finn di deviare un discorso era degno di lode.
Finn temette di aver toccato ancora un tasto dolente e si pentì subito di aver fatto quella domanda. “Puoi non rispondere se vuoi…”
“No, Finn non preoccuparti” replicò in fretta “comunque la risposta è no… non ho più…”
“Si, ho capito, non preoccuparti”
Sorrise sollevato, ora avrebbero potuto essere amici, amici per davvero. Non doveva più temere nulla.
“Sai… mi piace un'altra persona” aggiunse imbarazzato.
Oh dio. “Oh… dio Kurt, senti, se si tratta di Sam è meglio che tu sappia che…”

Kurt scoppiò a ridere un’altra volta.
Certo, non che Sam Evans fosse merce da scartare, anzi, doveva ammettere che era proprio un bel ragazzo –un gran figo- ma non era proprio il suo tipo… per una miriade di ragioni!
“Oh no, non preoccuparti non è Sam”
“Oh… lo conosco?”
“Non credo Finn, è alla Dalton”
“Oh…” era nella nuova scuola da un giorno e aveva già un altro ragazzo per la testa.
“E’ molto gentile con me”
Finn sorrise “Sono contento”
“Davvero?” lo sguardo di Kurt si accese.
“Si, davvero, spero tanto che funzioni fra voi due” e ci sperava davvero “Voglio che tu sia felice Kurt” .
L’aveva detto con un tono serio, quello che usava quando diceva la verità, lo stesso di quando l’aveva sentito dire ti amo a Rachel.

Lo stesso tono che suo fratello stava usando con lui ora per augurargli di essere felice.
La reazione di Kurt fu un sorriso immediato, avrebbe voluto correre ad abbracciarlo, un forte e sincero abbraccio fraterno, ma temeva di  infrangere qualche regola invisibile. Si limito a dire:
“Grazie Finn”

Forse, chi lo sa, sarebbero davvero andati d’accordo come in un'unica e grande famiglia. Una cosa era certa, Finn ce la stava mettendo tutta e Kurt se ne era accorto.



*

“Quindi, cosa farai per San Valentino?”
Caffetteria della Dalton, ore 12 e 30.
“Oh, penso proprio che porterò Monica al cinema, danno quel nuovo film. Non mi ricordo il nome ma sono sicuro che è un film d’amore. Non voglio certo fare la figuraccia di due settimane fa con quell’orribile film sui mostri alieni di gelatina” disse Ruben mentre sorseggiava il suo capuccino.
“Hey! Ho adorato quel film!”
“Si, ho capito Paul, ma alle ragazze non piace quel tipo di film. Bisogna portarle a vedere dei film romantici, così si sentono vicine a te, capisci? Sono contente, e se la tua ragazza è contenta…”

“…Trova il modo di ripagarti, dico bene?” disse Ronald battendo il pugno con l’amico davanti.
“Tu cosa farai Wes?”  chiese poi Ruben
“Beh ragazzi, chiamatemi fortunato, perché proprio il giorno di San Valentino i miei sono fuori città per un convegno di lavoro e il signor Wes davanti a voi avrà la casa tutta per sé e l’occasione di ospitare una certa Nancy”
“Vai così Wes!” fece di nuovo Ronald.

Ne seguirono altre ovazioni e Blaine e Kurt si scambiavano occhiate di compassione reciproca. Nel sentire quei discorsi di autoemancipazione sessuale c’era un che di patetico e insopportabile. Era un supplizio troppo grande ed era la ragione principale per cui Blaine si rifugiava spesso in biblioteca nella pausa pranzo. Quel giorno però avevano deciso di unirsi agli altri alla luce del sole, per non far credere a tutti che il motivo per cui si rinchiudevano ogni giorno in biblioteca fosse di essere dei misantropi associali… o un altro.

“Tu che farai Blaine?” chiese Ronald lanciando una rapida occhiata a Kurt.

Blaine trovava Ronald insopportabile. In ogni maniera. Apparteneva a una delle famiglie più ricche della città, viziato, arrogante, irrispettoso verso le donne e faceva continue allusioni e battutine sugli omosessuali, quindi anche su di lui, ovviamente non quando si trovava nei paraggi ma lo sapeva perché ogni tanto lo aveva sentito, e ignorato, cercando di non cedere alle sue provocazioni. Ora che era arrivato anche Kurt senz’altro non lo avrebbe risparmiato dalle sue squallide battutine, dicendo qualcosa sui canarini magari.
“Non lo so Ron, non ho ancora deciso”.


*

“Odio San Valentino” fece Kurt mogio, quando ormai era solo con Blaine in biblioteca.
“Io odio Ronald” rispose prontamente Blaine che ripensava alla pausa pranzo. Sfogliava un libro sull’ikebana, senza prestarci molta attenzione. Guardava le pagine e basta.
“E’ una festa così… insulsa e ipocrita” continuò Kurt “E’ stata fatta solo per regalare cioccolata, fiori, o cose così, è ridicolo.”
No. La verità era che Kurt aveva passato ogni San Valentino della sua vita da solo. In realtà anche lui avrebbe voluto essere partecipe di quella festa, magari avere qualcuno da cui farsi regalare cioccolata, fiori, o cose così. Non che ci sperasse ancora. No, meglio non sperarci.
“Sei mai stato innamorato Kurt?”
chiese Blaine dalla sua sedia, alzando appena lo sguardo verso l’amico in piedi davanti a lui. La domanda non aveva voluto essere ne provocatoria o invadente, sembrava per lo più posta per soddisfare una semplice curiosità. Blaine attendeva una risposta, non era neanche imbarazzato per aver posto la domanda. Kurt invece, lo era per entrambi.
“Ehm…forse” riuscì a dire.
“Come sarebbe a dire forse? O è si, o è no.”
Ci pensò un attimo e gli piombarono in mente due o tre immagini, tutte con lo stesso soggetto.
Finn.
La prima, era di lui che lo difendeva da Puck, la prima volta che lo aveva visto. La seconda non riusciva a metterla a fuoco, non ricordava bene, Finn nei corridoi, forse.
La terza invece era nitida, Finn avvolto in una tenda da doccia rossa, che diceva… non se lo ricordava neanche più cosa diceva.
La sua espressione era seguita attentamente dallo sguardo di Blaine.
“Si” disse infine “l’anno scorso… una piccola cottarella per uno.”
Una piccola cottarella Kurt?
Hai pianificato di far innamorare tuo padre con la signora Hudson soltanto perché il tuo obiettivo era di finire ad abitare insieme a lui, e magari di dormire nella stessa camera,… o nello stesso letto, no?  Ammettilo, almeno una volta ci hai sperato.

“Solo una cottarella?”
“Si si, nulla di serio” rispose prontamente “Non gli piacevo neanche”
“Ah… Intendi dire che…”
“Non giocava per il nostro team, esatto” concluse in fretta. Non era un argomento di cui voleva parlare con Blaine. Sapeva di non provare più nulla per Finn, ma era comunque strano accostare il ricordo della sua prima cotta ai sentimenti che provava ora per Blaine. Erano diversi, tutto qui.

“Soltanto lui?” disse sorridendo maliziosamente.
“Si” ricambiò un sorriso imbarazzato “ti ricordo che fino a tre settimane fa non avevo ancora ricevuto un bacio”  
“Non c’entra molto con l’essere innamorati” disse ridacchiando.
“Già… è vero” Pensò Kurt fra sé.
“Quindi, cosa farai a San Valentino?” chiese poi Blaine.
Kurt ruotò gli occhi, come se stesse pensando, poi li ruotò verso l’amico alzando il sopracciglio.
“E tu?” adesso era il suo turno di sorridere maliziosamente “Prima, con gli altri, hai detto che non hai ancora deciso nulla, ma a me lo puoi dire”
“Dirti cosa?” gli occhi di Blaine non avrebbero potuto essere più belli in quell’espressione perplessa.
“Dirmi se fai qualcosa per San Valentino” Insistè Kurt.
“Qualcosa.” Si grattava il mento con l’indice “Qualcosa… mhm… Qualcosa per San Valentino?” ripeteva come se non avesse compreso la domanda.  

Si Blaine, qualcosa per San Valentino. E’ esattamente quello che ho chiesto, si.

La campanella.
“Facciamo tardi a studi sociali” rapidamente Blaine si alzò e prese la cartella.
“Non mi hai risposto”
“Ti risponderò quando tu risponderai a me e mi dirai i tuoi programmi  per San Valentino” e terminando la frase con un largo sorriso di vittoria si avviò verso i corridoi.

 

*

 

“Eccolo, arriva”
“Te lo ribadisco, è esattamente come dico io”
“No Ronald, fidati di me, non è assolutamente il tipo”
“Lo è lo è, mi ci gioco i venti dollari che ho in tasca”

 

La discussione fra David e Ronald era andata avanti da giorni ormai. Era cominciato tutto quel giovedì, il giorno dopo l’ingresso di Kurt nei Warblers.
“Quell’Hummel, il nuovo” aveva detto Wes quando erano tutti riuniti in caffetteria “E’ bravo, si vede che ha la stoffa”
“Si, concordo”
“Blaine ha visto giusto, deve avere un radar per scovare i talenti”

“Eh-hem”
Qualcuno seduto attorno alla tavola in mezzo a loro aveva tossito di proposito.
“Si Ronald? Volevi dire qualcosa?” aveva chiesto Wes con la sua solita maschera di diplomazia.

“Miei cari compagni, mi sembra chiaro che il nostro caro solista Blaine ci nasconda qualcosa. E’ evidente come faccia gli occhioni dolci al nuovo arrivato.”

“Cosa?”
“Naah, ma chi? Blaine?”
“Non è il tipo!”
“Si Ron” Intervenne David “Il fatto che entrambi siano gay non sta a significare che..”
“E dai! Non dirmi che non hai notato il modo in cui quei due stanno sempre attaccati l’uno all’altro.”
“E’ ovvio Ron, Kurt è nuovo e Blaine è l’unico ragazzo che conosce qui, è più che normale che si appoggi a un amico in un ambiente nuovo dove non cono-”
“Penso che sia reciproco”
“Eh?” David non avrebbe mai smesso di stupirsi delle cose assrude che Ronald riusciva a dire, e non avrebbe mai smesso di irritarsi per tutte le volte che lo interrompeva.
“Penso che anche il novellino sia interessato al nostro solista” aveva bevuto l’ultimo sorso del suo cappuccino per poi alzarsi e rivolgersi sorridente ai suoi compagni:
“Vi dimostrerò che non mi sbaglio”

Così ebbe inizio tutto, Ronald aveva continuato insistentemente a sostenere la sua tesi, finchè, quel giorno, decise di dargli un fondamento: delle prove.
E chi avrebbe potuto dargliele meglio del novellino?
Era riuscito a trovarlo nell’intervallo fra la terza e la quart’ora.
Stava in corridoio, da solo e senza Blaine, che fortuna.
“Ciao” aveva detto quando si era avvicinato a lui sfoggiando un sorriso a tutto denti “Non so se ti ricordi di me, ma ero anche io alle prove dei Warblers ieri, inoltre, siamo nella stessa classe di biologia, mi chiamo Ronald McRiver” e detto questo gli tese la mano.
Kurt la strinse di rimando, chiedendosi come mai in quella scuola fossero tutti così amichevoli e gentili.
“Oh piacere, io sono Ku-“
“Lo so chi sei” lo interruppe mentre continuava a sfoggiare una delle sue espressioni cordiali più finte “Mi hanno chiesto di avvertirti che le prove oggi cominceranno una mezz’ora prima, non mancherai vero?”
“No no, non lo farei mai, stai sicuro che verrò” Kurt rispose al suo sorriso, sembrava un tipo gentile.
“Ottimo allora, ci vediamo là”
E detto questo fece dietrofront e si dileguò a grandi passi in mezzo a quel labirinto di corridoi.

Ed ecco che ora Ronald e David si trovavano seduti entrambi sul divano posto al centro della stanza riservata per le prove, in attesa che il novellino arrivasse.
“Ma non avevi detto di averlo sentito arrivare?” sbuffò David.
“Devo aver sentito male, arriverà a momenti, ne sono sicuro”
“Senti, mi spieghi di nuovo perché lo stai facendo?”
“Mi sembra di essere stato chiaro David, è per il bene della squadra. Non possiamo ammettere favoritismi nei Warblers, tutti sono uguali e per il nuovo arrivato è meglio capirlo subito. Noi siamo le persone giuste per fargli capire come vanno le cose qui”
Ma David conosceva perfettamente la verità, come conosceva bene il suo amico Ronald. La verità era che Ronald non avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, di sbagliarsi su qualcosa. Era malato di orgoglio e odiava perdere, ma in fondo gli voleva bene. La maggior parte delle volte era l’unico ad essergli veramente amico, e l’unico che stava a sentire le sue idiozie.

Le labbra sottili di Ronald si incurvarono in un piccolo sorriso quando la maniglia della porta si abbassò piano per far comparire dietro di essa la figura del nuovo Warbler. Fece ingresso timidamente, era da solo. Blaine non gli aveva detto nulla sul cambio d’orario, e sembrava non saperne nulla visto che non si era presentato.
“Ma come? Siamo solo noi?” disse quando vide che c’erano solo loro due nella stanza.
“Oh, si, gli altri arriveranno a momenti non preoccuparti” fu la risposta pronta di Ronald. Indicò il divano posto davanti a quello dove stavano seduti loro, per invitarlo a mettersi comodo. Kurt poggiò la cartella e si sedette.
“Non ti abbiamo visto a pranzo” continuò Ron  “Non devi essere timido sai? Sei un Warbler ora, hai tutti i diritti di sedere con noi al nostro tavolo” e sfoggiò un altro sorriso.
Kurt aveva passato ancora una volta la pausa pranzo in biblioteca in compagnia di Blaine e di Balzac. Gli era piaciuto leggere “Papà Goriot”, ma pur di evitare di ascoltare di nuovo accesi dibattiti sulle tette in caffetteria avrebbe letto anche “La Divina Commedia” in un giorno.
Decise comunque di non rivelare dove e, soprattutto, con chi avesse passato la pausa pranzo. Gli era sembrato che quel Ronald si fosse fatto l’idea sbagliata su lui e Blaine.

“Oh, ho avuto… si, da fare. Ripassare lezioni, preparare compiti, cose così” Non se la cavava un granchè a inventare bugie sul momento.
“Capisco, so che la Dalton Accademy pretende molto dagli studenti e non sempre è facile ambientarsi, specialmente per gli studenti che provengono da altre scuole”
“Ah, beh si, immagino che comun-“
“Come ti trovi qui Kurt?” finalmente si era ricordato del suo nome.
Kurt si guardò intorno, per vedere se arrivava qualcuno. Nessuno. Aveva un brutto presentimento. David che stava seduto davanti a lui sembrava in qualche modo assente, guardava il cellulare, digitava qualcosa, non partecipava.
“E’ bello qui, i ragazzi sono gentili ma le lezioni un po’ difficili ma cerco di fare del mio meglio” disse la verità stavolta.
“Sai, ho saputo che vieni da un ambiente difficile, mi è parso di capire che nella tua vecchia scuola ci fosse qualche problema di bullismo. Voglio essere sicuro che la cosa non accada qua, ti sei fatto degli amici Kurt? Ho visto che passi molto tempo con il nostro solista Blaine”
E ora dove vuole arrivare?
“Si, siamo amici” Solo amici Ronald, capito? L’idea non piace neanche a me.
“Oh si, Blaine è un ragazzo fantastico, lo conosco bene”
“Ma che…”  David staccò gli occhi dal cellulare e con uno scatto spostò lo sguardo verso Ronald, più confuso che mai. Quando mai era stato amico di Blaine? Si conoscevano soltanto dall’inizio dell’anno scolastico e capitava di rado che si scambiassero qualche parola. Inoltre sapeva che Blaine lo trovava insopportabile.
Ronald gli tirò un calcio per farlo tacere.
“Davvero?” Kurt si fece attento.
“Da molti anni ormai” rispose pronto Ronald  “E’ un bene che voi siate amici, il consiglio stava giusto pensando di farvi cantare insieme una dolcissima ballad, che ci assicurerà sicuramente il primo posto alle regionali”
Un duetto? Con Blaine?  Kurt non potè fare a meno di arrossire al solo pensiero.
Ronald lo notò e capì di aver fatto centro.
“C’è un motivo per cui Il consiglio ha scelto te, ha visto come ti stai impegnando nello studio e con il glee. Blaine … Blaine invece no, ecco, ha continuamente la testa fra le nuvole. E’ un bravissimo cantante e ha molto carisma, ecco perché è il nostro solista ma… vedi, non è concentrato. E noi non possiamo permetterci di perdere le regionali, ne va del prestigio della scuola, capisci?”
Kurt annuì.
“Mi sembri una persona che sa cosa voglia dire essere responsabili, Kurt. Prima il dovere e poi il piacere. Prima bisogna assolvere i compiti che la tua posizione richiede, e poi… beh, e poi tutto il resto, amici, feste, l’amore…” e si interruppe, girandosi  verso David “Blaine non sembra averlo capito. Da quando esce con quel ragazzo non è più lo stesso. Arriva in ritardo, scarabocchia sui quaderni, è continuamente distratto… l’amore fa quest’effetto a tutti.” Lanciò una rapida occhiata verso Kurt. Il ragazzo davanti a lui aveva istantaneamente spalancato gli occhi e non guardava più davanti a se. Ronald riuscì a intravedere anche dalla divisa, il suo petto gonfiarsi a causa del respiro che si era fatto più pesante. Ancora più rapidamente, rivolse di nuovo lo sguardo verso David.
“Quanto saranno adesso? Due, forse tre settimane che ha smesso di esercitarsi a dovere, non che ne abbia granchè bisogno sia chiaro, almeno trova l’ispirazione per interpretare canzoni come… Teenage dream, quella nuova di Katy Perry.”
 E boom, il colpo di grazia.

Kurt, al suono di quelle parole, si sentì la terra mancare sotto i piedi. Blaine aveva un ragazzo. Si sentì un perfetto idiota.
Ronald, invece, si fece sfuggire un sorrisetto, uno di quelli che si aprono solo da un lato della bocca.
“L’hai sentito anche tu mentre la cantava no?”

Kurt capì che non poteva stare in quell’aula un secondo di più.

“Oh, certo” si afrettò a prendere la cartella da terra. “Scusami, ho dimenticato di avere un impegno urgente, devo andare.” Si alzò e sparì dietro la porta, per poi correre. Correre verso l’uscita cercando di fermare le lacrime finchè poteva.

David, che fino a quel momento era stato spettatore, si voltò verso Ron. Aveva uno sguardo che diceva chiaramente ‘hai esagerato’.
“David…” la voce di Ronald fece eco nella stanza.
“Si?”
“Mi devi venti dollari”.

*

Era la prima volta che Blaine saltava le prove del glee. Sapeva che quel gesto non sarebbe stato visto di buon occhio dagli altri Warblers, specialmente da Ronald, che avrebbe fatto di tutto pur di metterlo in cattiva luce. Qualcun altro forse si sarebbe preoccupato, forse Kurt si sarebbe preoccupato.
Era proprio Kurt il motivo che l’aveva spinto in quel cortile, quello che gli aveva detto esattamente due ore prima in biblioteca. L’aveva percorso avanti e indietro, ripetutamente. Era un posto tranquillo e lui aveva bisogno di liberare la mente. In fondo, lui era sempre stato un tipo solitario. Negli ultimi giorni però, si era accorto che passare le pause pranzo in compagnia di Kurt in biblioteca era molto più piacevole che passarle da solo.
Quel giorno erano stati in compagnia di Balzac.

“E’ la prima volta che leggo qualcosa di Balzac” aveva detto Kurt sfogliando ‘Papà Goriot’ mentre stava poggiato al muro “Ma se dovessimo farci una relazione, non saprei proprio cosa scrivere”
Blaine stava seduto su una poltrona con il libro chiuso sulle ginocchia. Con la coda dell’occhio dava delle occhiate furtive all’amico, in piedi a due metri da lui.
Cominciava seriamente a rimpiangere i suoi vestiti. Quei vestiti che gli donavano così tanto, che sembravano cuciti addosso a lui. I colori, i tessuti, le trame, ogni giorno differenti, abbinati in modo da stuzzicare i suoi occhi e a stupirlo ogni volta che lo vedeva.
Quella divisa aveva cominciato a stancarlo. Certo, all’inizio aveva pensato che gli dava un’aria tenerissima, da bravo scolaretto, ma ora…
“Blaine?”
Il ragazzo seduto si era voltato di scatto, sollevando la testa dallo schienale.
“Si?” aveva detto scattante.
“Blaine mi rispondi? Ti ho chiesto cosa pensi di scrivere nella relazione”
“Oh…” Non voleva parlare di libri accidenti “Beh… Tu non hai ancora risposto a me” decise così di insistere e cercare di scoprire qualcosa in più sull’amico. Anche a costo di apparire sfacciato.
Kurt lo guardò storto.
“Risposto a che cosa?”
“…Alla mia domanda su cosa farai per San Valentino” aveva detto guardandolo negli occhi.
Kurt abbassò lo sguardo un attimo, quella era una domanda a cui era difficile rispondere. Avrebbe tanto voluto dirgli : ‘da nessuna parte, sono libero. Usciresti con me?’ ma la sfacciataggine in passato aveva solo fatto in modo di allontanare (e spaventare) i suoi compagni, bastava ricordare Finn, o Sam. No, Sam non proprio. Questa volta aveva preferito volare basso. Non voleva comunque affrontare l’imbarazzo di dire che non avrebbe festeggiato con nessuno, come ogni anno del resto. Rigirò la domanda a suo favore.
“Neanche tu mi hai risposto”

Neanche stavolta Blaine c’era riuscito. Kurt ci aveva presto gusto ormai a rivoltare le domande. Aveva evidentemente capito che era il modo per metterlo fuori gioco, perché mai e poi mai Blaine avrebbe ammesso che non avrebbe passato il San Valentino con nessuno. Decise comunque di continuare a giocare la partita.
“Dimmi un po Kurt, che tipo di ragazzo ti piace?” Aveva osato troppo?
“Come mai parliamo di ragazzi?”
Blaine aveva fatto spallucce.
“Avanti, non ho mai parlato di ragazzi con nessuno, sei l’unico con cui posso farlo.”
Kurt aveva alzato un sopracciglio, tuttavia sembrava avergli creduto.
“Mhm,… va bene” ci aveva pensato un attimo, aveva rivolto lo sguardo in alto per pochi secondi, per poi riabassarlo verso Blaine e lasciarsi sfuggire un sorriso e arrossire.
“Il mio ragazzo ideale…” aveva detto “Deve essere…” sorrise di nuovo. “Il mio ragazzo ideale deve essere gentile, romantico, dolce … e mi piacerebbe che prendesse le mie difese”
“Che ti protegga?” aveva detto Blaine.
“Ehm… si” rispose Kurt un po’ imbarazzato “Lo so che non è un pensiero molto virile ma… da piccolo, quando guardavo con mia madre quei cartoni della Disney su principesse che venivano soccorse da bellissimi principi coraggiosi, beh, anche a me veniva voglia di … avere un principe tutto per me.” Era diventato tutto rosso in viso e Blaine l’aveva trovato così irresistibile. Ma prima che avesse potuto rispondergli, Kurt aveva già raccolto la cartella.
“Sarà meglio che vada ora, alla prossima ho storia e il professor Rooney mi farà a pezzi se arrivo in ritardo” aveva detto ancora in preda all’imbarazzo più totale per quell’improvvisa confessione.
“Ma come, mancano ancora cinque minuti” l’aveva fermato Blaine.
“Lo so, ma la classe è all’ultimo piano, ci vediamo alle prove. A più tardi” e detto questo sparì dietro la porta, lasciandosi Blaine alle spalle.
“Si… a più tardi”
Blaine ebbe appena il tempo di alzarsi dalla poltrona, quando improvvisamente un pensiero lo travolse come una doccia fredda.
Kurt aveva detto di volere un principe. Un cavaliere senza macchia e senza paura,qualcuno pronto a proteggerlo ogni qual volta si fosse trovato in pericolo.
Lui non era mai stato così.
Lui, Blaine, era fuggito. Aveva permesso ai bulli, a Mark Ross, alla paura, di averla vinta su di lui. Era scappato, semplicemente. Nulla di straordinario.
Ripensò a quando era andato al McKinley per quel faccia-a-faccia con Dave Karofsky, anche in quell’occasione non si era mostrato per nulla coraggioso. Quando quel gigante l’aveva sbattuto con la schiena al muro, non aveva fatto niente. Era intervenuto Kurt a spingerlo via. Nessuna impresa eroica, nessuna frase a effetto, nulla per poter catturare la sua attenzione. Niente.
Non sarebbe mai stato il suo principe.

Quei pensieri non l’avevano lasciato in pace per tutte le due ore di lezione rimanenti. Non aveva ascoltato una parola, soltanto pensava che aveva bisogno di riflettere, di aria. Quella classe lo soffocava.
Non gli era sembrato vero quando finalmente l’ultima campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni.
Fuori da quella classe, però, a distanza di circa trentacinque minuti, lo aspettavano le prove dei Warblers. No. Non ci sarebbe andato. Non se la sentiva di vedere Kurt, guardarlo e sapere che non era abbastanza per lui. Aveva bisogno di uscire e subito. Quasi corse nei corridoi, un po’ per la fretta, un po’ per la paura di incontrare qualcuno che l’avrebbe trattenuto. Corse, finchè non raggiunse il cortile sul retro, grande e spazioso. Senza pensarci, aveva buttato la cartella per terra, si era sfilato la giacca della divisa, perché quella corsa in quei corridoi immensi l’aveva accaldato. Aveva portato le mani dietro la nuca e aveva alzato la testa al cielo, chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni.

*

Era passata almeno un’ ora, e lui non aveva fatto che passeggiare per il cortile, portando alla mente ricordi, frasi, pensieri finalmente liberi di uscire. Aveva pensato anche a Heric. Non era stato in grado di proteggerlo, il suo amico che non aveva più rivisto. Era rimasto la a guardare, a sentire i discorsi di quei vermi, senza mai cercare di essere prevvidente, di fare veramente qualcosa per evitare che accadesse. Si sentì un verme anche lui. Battè un pugno contro il tronco di un albero, forte, facendosi male alle nocche.
Se avesse alzato il culo forse le cose sarebbero andate diversamente. Si appoggiò a quello stesso tronco di un albero e sospirò, di nuovo gli comparve nella mente l’immagine di Kurt, un’ immagine che aveva fatto capolino nella sua mente sempre più spesso negli ultimi giorni. Avrebbe voluto diventare coraggioso. Coraggioso per lui.
Gli tornò in mente la sua voce. Don’t cry for me Argentina, oh dio. L’aveva già sentito cantare in qualche video delle New Directions dell’anno precedente, ma non avrebbe mai potuto immaginare che, dal vivo, la sua voce fosse ancora più bella. Era sprecato per quegli incompetenti dei suoi compagni. Era un insulto per lui indossare una divisa come tutti gli altri e mischiarsi a loro ondeggiando dietro di lui, esattamente come facevano tutti gli altri. Avrebbe tanto voluto prendergli la mano e zittirli tutti per lasciar cantare solo lui. Far capire a tutti quanto fosse bella la sua voce, quanto fosse bello lui. Il consiglio dei Warblers doveva essere formato da sordi per non avergli dato l’assolo. Ah, ma gli sembrava di vederlo davanti a se, Wes che diceva che non era bene dare troppa corda ai nuovi arrivati, di lasciarli rosicare un po’, per fargli abbassare la cresta. Sospirò di nuovo.
Non voleva più correre via.
Non era riuscito a proteggere se stesso e non era riuscito a proteggere Heric, ma non avrebbe permesso a nessuno di fare del male a Kurt. Guardò in alto verso il cielo e raccolse tutto il coraggio nel suo cuore per promettersi di cambiare, di diventare coraggioso, di diventare come uno di quei principi, solo per lui. Solo per Kurt.

Nel frattempo, dall’altra parte della scuola, nel parcheggio riservato agli studenti, a bordo di una Cadillac blu, un certo Kurt Hummel tentava di mettere in moto da circa mezz’ora, ostacolato dalle continue lacrime che gli rigavano le guancie e che richiedevano il pronto intervento della manica della divisa per essere asciugate il più in fretta possibile.
Tratteneva i singhiozzi, cercando in tutti i modi di convincersi che doveva tornare a casa. Avrebbero cominciato a preoccuparsi seriamente se non fosse tornato subito. Non aveva neanche la forza di allacciarsi la cintura, sarebbe volentieri rimasto chiuso nella sua auto, a piangere per ore come uno stupido.
Provò a calmarsi. Poggiò la testa allo schienale e respirò profondamente.
Si sentiva un idiota. Era stato un idiota ad averci sperato ancora, da aver sprecato giornate intere a sperarci, a pensarci e a ripensarci.
Sarebbe stato troppo bello per essere vero, avere Blaine al suo fianco, stare insieme, ascoltare quello che diceva, baciarlo. No, impossibile. Come era stato impossibile con Finn, ugualmente lo sarebbe stato con Blaine. Ovunque guardasse avrebbe sempre e comunque fatto buchi nell’acqua ed era sempre rimasto col cuore spezzato.
Scosse la testa. No, basta pensarci.
Si era gia tormentato abbastanza. Raccolse tutti quei pensieri e li buttò fuori con un lungo sospiro.
Si strofinò gli occhi arrossati e poggiò la testa al finestrino. Guardava fuori per distrarsi e intanto aspettava che i segni del pianto sul suo viso andassero via, così avrebbe fatto finta di niente.
Spostò lo sguardo verso il finestrino che nel frattempo si era riempito di minuscole goccioline.
Aveva cominciato a piovere.

 

Accidenti! Un’altra pozzanghera.

Blaine aveva ormai l’orlo dei pantaloni completamente fradicio. Correva sotto la pioggia, riparato soltanto dalla giacca tenuta alta sopra la testa come un tetto. Le maniche a penzoloni gli coprivano la visuale. Malgrado tutto ciò era comunque riuscito a raggiungere il parcheggio degli studenti, ancora qualche decina di metri e sarebbe riuscito ad arrivare alla fermata degli autobus.

Kurt si guardò nello specchietto retrovisore, le guance non erano più arrossate e gli occhi non erano più gonfi. Ora poteva andare.
Allacciò la cintura e girò le chiavi nel quadro. La pioggia intanto si era fatta più insistente e picchiava violentemente sul vetro dell’auto, rendendo la visuale opaca. Stava procedendo in avanti quando all’improvviso un’ombra gli passò davanti, tagliandogli la strada.
Kurt frenò di colpo e fece un balzo dal sedile.
Oddio, ma quella era una persona!
Abbassò in fretta il finestrino e si affacciò fuori. Davanti a lui stava un ragazzo in ginocchio per terra, il viso era coperto da una giacca blu. Doveva essere uno studente.
“Va tutto bene?” chiese Kurt.
Il ragazzo per terra si alzò e raccolse la giacca. Appena Kurt si accorse di avere Blaine davanti a sè, il suo cuore perse un battito. Il suo tono divenne improvvisamente più freddo e sgarbato.
“Guarda dove vai Blaine! Avrei potuto investirti!”
“Mi… mi dispiace Kurt, io stavo andando verso la fermata e, la giacca non mi faceva vedere bene e…”
Kurt lo fissava gelido, però non potè fare a meno di provare un po’ di pena per lui. Blaine era bagnato dalla testa ai piedi, e poi la pioggia non sembrava dell’intenzione di cessare.
“Salta su” aveva detto.
Blaine non se lo fece ripetere due volte. Montò in auto e si sedette vicino al volante.
“Ti porto a casa? Dove abiti?” chiese Kurt.
“Ehm, si, grazie” disse imbarazzato “Evergreen Terrace, sempre dritto e poi a sinistra… ancora grazie”
Kurt teneva stretto il volante fra le mani cercando di tenere la mente sgombra. La delusione si era convertita in rabbia per il ragazzo seduto affianco a lui.
“Prego, figurati”
“Vai a casa anche tu adesso?” chiese Blaine.
Kurt annuì senza togliere gli occhi dalla strada.
Blaine guardava in basso, non gli piaceva quel silenzio. Aveva notato che Kurt era strano, distante. Provò a rompere il ghiaccio con una domanda, così, per cominciare un discorso.
“Come è andata a finire con il tuo fratellastro? Avete chiarito?”

“E ora cosa c’entra questo?” pensò Kurt irritato. Aveva cominciato a non sopportare quelle domande assurde e inaspettate di Blaine. Dove voleva arrivare ogni volta? Si divertiva a metterlo in imbarazzo? A provocarlo in quel modo?
Si, si divertiva. Blaine voleva solo divertirsi. Non sarebbe mai stato suo. La rabbia montava dentro di lui, la stessa rabbia che, un secondo dopo, aveva dato origine a delle parole, a una risposta a quella domanda che uscì dalla sua bocca senza comando.
“Si, alla fine abbiamo chiarito. Finn, il mio fratellastro, alla fine mi ha detto il motivo per cui era arrabbiato con me per la storia del trasferimento, di Dave Karofsky e di tutto il resto.”
“Ah… e che motivo aveva?”

“Finn è innamorato di me”

Per un secondo, che nella sua testa durò molto più di un secondo, si sentì solo il rumore del motore. Senza che lo volessero, le labbra di Kurt si incurvarono in un minuscolo sorriso di riscatto all’ascolto di quel silenzio. Blaine per un attimo, non trovò le parole giuste da dire, pertanto non disse nulla. Non riusciva a decifrare che tipo di sensazione avesse provato. Somigliava vagamente a uno scossone, non violento però. E’ più o meno la stessa sensazione che si prova appena si riceve una pallonata sulle gambe, solo più prolungata e confusa. Blaine non riuscì a trovare una metafora migliore o più elegante per spiegarlo, ma era la prima volta che provava una cosa simile.
“Oh…” aveva detto dopo quell’attimo “E’… fantastico, credo”
“Si” rispose pronto Kurt “credo che passerò con lui San Valentino dato che me lo ha chiesto.”
Blaine sentì un’altra pallonata. “Sono felice per te” si sforzò di dire.
Tenne la testa appoggiata al finestrino, per quei restanti cinque minuti di viaggio che lo separavano da casa sua non disse più nulla. Kurt sembrò non badarci.

“Allora ciao, grazie per il passaggio,… ci vediamo” aveva detto una volta sceso dall’auto.
“Si, ciao” salutò rapidamente con un cenno della mano.

A Kurt ci vollero più di venti minuti, circa il tempo di arrivare a casa, per realizzare che cosa aveva detto. Secondo Blaine, lui e Finn stavano insieme. Beh, più o meno.
Sul momento non aveva pensato alle conseguenze, aveva pensato soltanto a un modo per riscattarsi su Blaine, di fargli intendere che non viveva per lui, che per lui quel tempo passato insieme non contava nulla, che quindi non avrebbe mai potuto giocare col suo cuore, che aveva Finn.
Queste erano tutte delle grandissime bugie e Kurt dentro di se lo sapeva. Ma in fondo lui non l’aveva pianificato, era stato il suo stupido orgoglio maschile a fare tutto.
Si chiese se avesse fatto bene a mettere Finn in mezzo. D’altronde Finn e Blaine non si conoscevano, Finn non sarebbe mai stato effettivamente tirato in ballo. Aveva soltanto avuto bisogno di un nome, qualcuno di cui servirsi, e Finn era stata la palla da prendere al balzo.
Non servì a molto dirsi quelle parole. Sapeva benissimo di aver fatto una cosa sbagliata.
Entrò in casa. Non vide suo padre, probabilmente era andato a prendere Carole al lavoro e sarebbe tornato verso le otto come sempre. Per un attimo pensò di essere solo in casa, quando sentì cinguettare dalla sua camera.
Pavarotti canticchiava vivace dall’interno della sua gabbietta reclamando la pappa, affiancato da una pila di numeri di Vogue sulla scrivania.
Kurt tirò fuori veloce una ciotola di mangime e la posò sul pavimento della gabbietta. Subito Pavarotti cominciò a beccare ingordo, era affamato. Kurt si sentì in colpa, non avrebbe dovuto tardare.

“Kurt ti presento Pavarotti.”

Kurt scosse la testa meccanicamente per far uscire quelle parole dalla sua mente. Non ci riuscì, non riusciva a toglierselo dalla testa, quella voce.
Era stato lui a porgergli la gabbietta davanti a tutti gli altri Warblers, era stato lui a farlo entrare nel glee, era stato lui a stargli vicino fin dal primo giorno alla Dalton.

Senza volerlo, aveva ricominciato a piangere.

Si buttò sul suo letto con le mani che gli coprivano il viso, senza pensare a quanto il suono dei suoi singhiozzi rimbombassero nella camera. 

Non riusciva a fermarsi.


*

 

Una bella manciata di minuti più tardi Kurt trovò la volontà di mettersi seduto. Diede una rapida occhiata al suo cuscino e alla chiazza scura di lacrime che si era formata sulla federa.
Pavarotti lo guardava interrogativo da dietro le sottili sbarre dorate della sua gabbietta. Kurt filò in bagno. Non voleva vedere che aspetto aveva, doveva essere terribile, si sentiva i capelli tutti schiacciati. Purtroppo dovette passare di fronte allo specchio e accorgersi di avere le guance e gli occhi in fiamme. Senza dire nulla aprì l’acqua del rubinetto e si tirò i capelli all’indietro per iniziare i suoi rituali di idratazione della pelle. Era in ritardo di circa due ore, ma la cosa non sembrò importargli, lo faceva stare meglio di solito e gli avrebbe tenuto la mente occupata.

Il rumore dell’acqua e la porta chiusa gli permisero appena di sentire un rumore di chiavi proveniente dal piano di sopra. Doveva essere suo padre quindi non si scomodò più di tanto.

Finn fece ingresso a casa Hummel più cupo che mai. Burt aveva deciso di rubargli sua madre per tutta la sera, per farsi perdonare gli aveva lasciato le chiavi di casa con dentro il suo megaschermo e un bel po’ di soldi per la cena. Ma non era certo questo il motivo del suo cattivo umore.

Scese nel seminterrato. Non vide Kurt, pensò che doveva essere ancora a scuola. Posò lo zaino a terra e si buttò sulla poltrona. Ancora non poteva crederci.

Rachel.

L’unica persona che ammirava, che stimava, che aveva mai amato l’aveva deluso come non mai.
Rachel era stata con Puck. Soltanto per vendicarsi. Sentì un peso enorme sullo stomaco che lo fece piegare in avanti, chiudere gli occhi e contrarre le palpebre forte. Non voleva. Malgrado il dolore non voleva permettersi di piangere. Troppo tardi. Una lacrima fuoriuscì dagli occhi già umidi e andò a scontrarsi silenziosamente col tappeto sottostante.
Cominciò a piangere in silenzio, con la testa piegata in avanti. Ancora non poteva crederci.

Finn si asciugò le lacrime in fretta quando sentì la porta del bagno aprirsi. D’un tratto i due fratelli si trovarono l’uno davanti all’altro.  Dopo un secondo di imbarazzo Finn si alzò.
“Ciao… io… non ti avevo visto.”
“Ciao Finn, mio padre deve averti dato le chiavi” disse giù di tono “Non hai gli allenamenti di football oggi?” disse passandogli davanti e puntandosi verso lo specchio a figura intera.
“Non ero dell’umore”
Kurt si voltò e lo guardo strano. “Come mai?”
“Ho lasciato Rachel stamattina.”

Silenzio.
“Oh…” riuscì a dire Kurt dopo un po’.
“Già.”
Kurt sentì il suo senso di colpa accumularsi dentro di lui. Finn era chiaramente distrutto.
“Finn, io… mi dispiace così tanto” disse con una sincera tristezza nella voce. “Ma… perch-“
“Puck.”
“Oh…” riprese ad asciugarsi il viso.
“Sai…” disse Finn tenendosi il viso fra le mani “a San Valentino l’avrei portata da Breadstix per farmi perdonare per quello che è successo con Santana” fece un piccolo sorriso che gli morì subito sulle labbra. Se soltanto fosse stato sincero con lei, tutto questo casino non sarebbe successo.
Kurt sentì il peso della coscienza aumentare sempre di più. Strinse l’asciugamano fra le dita.
“Stai bene Kurt?” disse Finn alzando lo sguardo.
Kurt annuì e si rigirò verso lo specchio.
“Si, certo. Solo… mi ha sconvolto un po’ il fatto che hai rotto con Rachel. Tutto qui.”
“Ne sei sicuro?”
“Certo.”
“Il tuo cuscino è ancora umido”
Kurt si strinse nelle spalle e guardò in basso. Possibile che fosse stato così stupido da non rigirare il cuscino? Si preoccupava sempre di farlo per essere lasciato in pace.
“Stavi piangendo Kurt? E’ successo qualcosa?”
Kurt si girò di scatto. Portò una sedia davanti alla poltrona dove stava seduto Finn e ci si sedette con le mani sulle ginocchia, come suo solito.

“Finn, ti devo chiedere un favore.”


***

Ok, erano 2 settimane che non aggiornavo, causa scuola, 2-3 giorni spesi a lavorare a un'altra fic, pomeriggi passati a dormire. Chiedo perdono xD volevo comunque aggiornare prima che mandassero in onda le nuove puntate. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :) le recensioni mi hanno incoraggiato molto a continuare a scrivere ^_^ Avrete notato che questo capitolo è un tantino più lungo dei precedenti. Non ho molto da dire, spero solo di riuscire ad aggiornare in fretta :> un bacio!

P.S. Ringrazio tutti quelli che recensionano e sopratutto Ipuccia che si prende la briga di leggere le mie cose e di segnalarmi gli erroracci.

  
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